Manca la cultura della montagna

Fisici molto allenati, attrezzatura al top e tecnica da campioni. Ma non basta se, come dice Hervé Barmasse, «manca la radice, l’identità, la cultura della montagna».

Manca la cultura della montagna
di Carlo Crovella

Sono almeno dieci anni (contati per difetto) che metto in guardia da questo pericolo: la montagna diventata come il Circo Barnum. L’aspetto circense non è costituito soltanto dagli aperitivi con cubiste o dalle gite in motoslitta con cena notturna in baita.

Anche l’azione sul terreno è permeata da una gran confusione. Il nettissimo salto di qualità dell’attrezzatura, sotto il profilo tecnologico, è uno dei cavalli di Troia di questo fenomeno. Gli altri due sono l’elevato livello di allenamento atletico e la possibilità di provarsi, sul piano delle tecnica arrampicatoria/sciistica, in contesti addomesticati, se non addirittura completamente artificiali.

Insomma: è troppo facile accedere ai monti. Il Circo Barnum si è innescato proprio perché si sono abbassate le barriere di ingresso al mondo della montagna. Le barriere di accesso non sono di tipo economico, ma di facilità nella fruizione. La montagna è ormai troppo comoda, come un avvolgente divano in salotto. Però non si sta sdraiati nel salotto di casa, ma ci si muove in ambiente, dove il contesto non è quello del salotto: anzi, l’ambiente si è ulteriormente ”incattivito” per le conseguenze del generale cambiamento climatico (ghiacciai più tormentati, pareti che crollano, manto nevoso più instabile…).

L’abbattimento della barriere di ingresso, e conseguente Circo Barnum sui monti, è favorito da un fattore dominante: gli “sghei”. Più gente sui monti, cioè più turisti e più materiale venduto… Peccato: anche più incidenti e più morti.

Andare in montagna, anche in una semplice sciata fuoripista, non è come fare una corsettina nel parco cittadino. Ci vuole una corroborata cultura dell’alpinismo (alpinismo: frequentare le montagne in ogni contesto e disciplina, con sci, senza sci, su roccia, ghiaccio, sentieri e ghiaioni…). Finalmente si sta diffondendo la convinzione che, per acquisire tale cultura, sia necessaria un’adeguata “formazione”. L’importante non è insegnare ad arrampicare sull’8c o a saper sciare sui 50 gradi: l’importante è insegnare a camminare su una crestina facile ma esposta, a fare lo zaino come dio comanda, a sapersela cavare sempre e comunque. L’impostazione corretta parte fin dalla scelta a tavolino dell’itinerario adeguato con le condizioni nivo-meteorologiche del momento.

Da caiano convintissimo quale sono, nel mio ruolo storico di istruttore titolato, lo sto dicendo da tempo. Mi sto battendo e, dopo aver sollevato sfottò per anni, ora inizio a percepire che la mentalità sta cambiando. Era ora!

Non sono solo le Scuole del CAI l’unico contesto per una formazione adeguata. Ottimo che si impegnino anche le Guide Alpine, che sicuramente in montagna “ci sanno andare”, ma che negli ultimi tempi spesso corrono il rischio di essere risucchiate nel business delle salite a nastro, senza neppure guardare in faccia i clienti. Ovviamente la maggior parte delle Guide ha un approccio completamente diverso e numerose sono quelle attente a far crescere i clienti da un punto di vista spirituale e di conoscenza della montagna.

Che operino le guide o le Scuole CAI, il punto cardine è che la formazione alla montagna non è cosa che si esaurisce in tre “uscitelle”, piazzate lì fra una performance individuale e l’altra. Ci vuole pazienza, è arte che si incamera lentamente, gita dopo gita, nasata dopo nasata.

Nella Scuola di scialpinismo torinese di cui faccio parte (la celebre SUCAI), il ciclo didattico che porta a maturazione un allievo è di tre anni. A volte anche di quattro per i più testoni (oltre i cinque anni non accettiamo più istruzioni). Solo in casi eccezionalmente positivi riconosciamo il distintivo (che raffigura concretamente l’avvenuta maturità) in due anni.

Ora il punto è che nell’attuale società (liquida, interconnessa e volubile) una formazione di due-tre anni è considerata una perdita di tempo o peggio una gabbia che imprigiona: molti degli alpinisti “mordi e fuggi” fra tre anni saranno già passati ad altri interessi sportivi. Per loro quindi la salsa non vale il pesce, se devono investire così tanto tempo nella formazione. E sbandierano il diritto alla libertà individuale di andare in montagna come e quando si vuole.

Non è questione giuridica, ma di natura. La Montagna (come tutta la Natura) ha le sue leggi implicite, che valgono dalla notte dei tempi. La formazione all’alpinismo deve quindi vertere sull’apprendimento di tali leggi della Natura.

Fra queste, al primo posto, gli orari: spesso, durante le gite di scialpinismo, mi capita di incontrare persone che iniziano a salire proprio quando noi stiamo tornando all’auto. Poveretti, non hanno capito niente. Se inizi a salire nel primo pomeriggio ti troverai a percorrere gli eventuali pendii critici con la neve “molle”. Gli stessi tratti se affrontati nel pieno pomeriggio hanno un grado di rischio di molto diverso rispetto a quando li affronti di primo mattino.

E’ solo un esempio, se ne possono confezionare milioni. Il concetto di base è che conoscere la montagna non ha nulla a che fare con il talento individuale nel superare difficoltà tecniche. Sono due trend che devono crescere in parallelo. Se una delle due gambe non è lunga quanto l’altra, l’approccio alla montagna è “zoppo”. E’ lì che si annida il pericolo.

Purtroppo fare appello agli italiani sul senso di responsabilità è cosa vana. Non mi dilungo sulle cause storiche e sociologiche, discorso interessantissimo ma che ci porterebbe fuori via. E’ così. L’italiano si crede furbo, fa del destreggiarsi il suo principale motivo di autoesaltazione. Non possiamo quindi ipotizzare di limitarci a sensibilizzare gli alpinisti sull’opportunità della formazione. Per il meccanismo che ho descritto sopra, quasi nessuno (fra quelli che più ne avrebbero bisogno) si adeguerà di sua iniziativa. Occorre renderla obbligatoria, con tanto di attestato finale che comprovi la frequenza con profitto della formazione. Ecco perché sono convinto che, prima o poi, si arriverà alla famosa “patente”. Non è un elemento che mi fa gioire, ma non vedo altra possibile evoluzione: sarà la stessa società securitaria che la introdurrà.

Come la pensano le guide
a cura della Redazione

Guido Azzalea: «Cosa sarebbe utile per chi fa fuoripista e fargli comprendere le difficoltà? Affrontare la discesa con l’attrezzatura di vent’anni fa».

Hervé Barmasse: «Mancano le conoscenze, la cultura della montagna. Non c’è più il radicamento fin da bambini. Le guide si sono impoverite, per loro è diventato soltanto un lavoro arrampicare o sciare. Siamo diventati molto bravi dal punto di vista tecnico, ma la sensibilità del territorio è sfuggita a molti. Da istruttore delle guide posso metterle in difficoltà proprio su questo terreno».

Un esempio? «Quando ci sono le condizioni la Nord del Cervino, parete di grande difficoltà, è quasi una palestra per alpinisti. Voglio dire che molti possono affrontarla e raggiungere la vetta, ma poi diventa quasi un incubo la discesa sulla via normale svizzera, la cresta dell’Hörnli che Whymper affrontò nel 1865. Molti sono presi dal panico perché ha tratti aerei e bisogna saper camminare con la corda in mano. Ci vuole l’esperienza di un montanaro».

Cesare Cesa Bianchi: «Non sappiamo più camminare. Qui sta il punto. Si passa dalla palestra alla montagna. Occorre fare una riflessione di grande profondità anche nell’ambito dell’Unione internazionale delle guide. È un passo urgente da fare. Capita che la guida si faccia condizionare dai clienti, che non sappia rinunciare. Dobbiamo quindi pensare a una formazione che riavvicini alla conoscenza ambientale e indichi la strada per diventare leader autorevole di un gruppo che arrampica o che fa fuoripista». E ancora: «In Francia ci sono stati parecchi incidenti in cui erano coinvolte anche guide alpine. Hanno cambiato la formazione. Adesso dobbiamo inserire a livello mondiale uno spazio di praticantato nei corsi guida, per poter affiancare i più esperti ai giovani. Vorrei anche cambiare la legge sulle guide, fare due livelli, uno per le escursioni, per chi cammina, l’altro per chi arrampica. E trovare il modo di avviare una formazione insieme con il CAI per raggiungere più appassionati possibili».

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Manca la cultura della montagna ultima modifica: 2023-05-18T05:08:00+02:00 da GognaBlog

178 pensieri su “Manca la cultura della montagna”

  1. 178
    Riva Guido says:

    Dio li fa e poi li accoppia.

  2. 177
    marco vegetti says:

    Alberto! Gli amici sabaudi del Crovella! Si, alla faccia del Crovella stesso…

  3. 176
    Alberto Benassi says:

    A me le vecchie e doloranti tavole del vecchio Gervasutti  hanno fatto respirare storie d’altri tempi che avevo letto sui libri. Ma i libri ormai si bruciano…
    Nostalgia?  Può darsi.  Ma, nostalgia a parte, quelle vecchie tavole e lamiere, erano un tutt’uno con quello che c’è intorno. Adesso c’è  una specie di asettico tubo per la tac, di sicuro il top della tecnologia e di certo  a NORMA… ma è anche un bel cazzotto nello stomaco.
    Mi domando dovè ce l’hanno il senso del bello chi l’ha voluto, pensato e realizzato.

  4. 175
    Enri says:

    Io da buon genovese ho fatto il Telepass perché’ fa consumare molto molto meno carburante che stare in coda. La tradizionale  parsimonia genovese non si chiude a nuovi metodi di risparmio.
    Quanto al Gervasutti, non sarei così certo che i giovani d’oggi non vi si rechino…. In ogni caso rispetto al passato ora hanno il vantaggio del nuovo sentiero che parte oltrepassato il parcheggio del Bonatti. Anni fa, quando si scendeva magari tardi al buio dal Gervasutti, attraversare il torrente per tornare verso Freboudze si che era un divertimento….come del resto accadeva lo stesso al ritorno dal Boccalatte e anche dal Monzino fino a quando non hanno messo le passerelle…

  5. 174
    Fabio Bertoncelli says:

    In quanto alla cultura della montagna, che ciascuno pensi e faccia ciò che vuole, in nome di una presunta libertà.
     
    Io vado per la mia strada, in compagnia dei miei pensieri o con cari amici: “We few, we happy few, we band of brothers”.

  6. 173
    Roberto Pasini says:

    Cominetti. Il telepass non serve per evitare la morte, ma per arrivare prima al giudizio finale. Si sa che Minosse è più severo con gli ultimi perché ha fretta di andare a fare la famosa merenda sinoira. Meglio arrivare tra i primi, magari finisci solo nel secondo cerchio dei lussuriosi, dove in fondo c’è una bella compagnia, soprattutto femminile. Questa si che è cultura della montagna o meglio del ritorno dalla montagna. Me la insegnarono alla Parravicini il primo giorno e non me lo sono dimenticato in tutta la vita. Meglio diventar rossi dalla vergogna che patire, dicevano i longobardi. Buona settimana e viva il telepass codino e contro-rivoluzionario. 

  7. 172
    Fabio Bertoncelli says:

    Roberto, nel mio precedente intervento (162) non alludevo alla società umana nel suo complesso né a giudizi sulle nuove generazioni.
     
    Mi riferivo invece al singolo individuo. Ebbene, un essere umano – non importa che sia faraone della XVI dinastia o alpinista del XXI secolo – quando il cammino della sua vita è ormai avanzato può provare nostalgia: nostalgia di quando era giovane e forte.
    Perché nostalgia? Perché la vita ha una fine.
     
    Ecco a che cosa mi riferivo.
     

  8. 171
    Marcello Cominetti says:

    Pasini, da milanese, pur vivendo in Liguria,  non ti è sparita la cultura-spauracchio della coda. Pensi, forse, che il Telepass serva per evitarla o per alleviare una morte che comunque arriverà. 
    Le code si possono evitare, quasi sempre. Se uno ci si ritrova, quasi sempre, è per colpa sua.

  9. 170
    Kunde Apple says:

    Ma certo… Patente per andare in montagna, per sciare, skivelox, militarizzazione delle piste con carabinieri, poliziotti, boyscout e giovani marmotte pronte a dare le multe. Come durante il covid con i forestali che scorazzavano per le valle deserta di Cheneil per poi rompere gli zebedei all”unico vecchietto di 90 anni, dico 90, che era in giro per le piste Fra un po’ vorranno la patente anche per andare in bagno. Il Signor. Istruttore del CAI dell`Avvenir noi delle montagne gradiremmo stesse nella sua città, e scorazzasse sempre se munito di ulteriore permesso, nelle sue adorate ZTL. 

  10. 169
    Riva Guido says:

    “Indietro? Neanche per prendere la rincorsa!”.

  11. 168
    Roberto Pasini says:

    Il vero rivoluzionario si riconosce al casello, soprattutto il rivoluzionario ligure che affronta la coda con tenacia e spirito di sacrificio e soprattutto parsimonia 😀 

  12. 167
    Giuseppe Balsamo says:

    Questa cosa delle generazioni anziane che criticano usi e costumi di quelle più giovani è una novità assoluta: bisognerebbe darle un nome…
     
    E invece, magari, te li ritrovi (i giovani), e tanti, con una pala in mano nel momento del bisogno.
    E persino in giro per le montagne.
    Anche se, signora mia, purtroppo per loro non potranno mai gustare quel sapore dell’avventura vera (TM) che ti poteva dare il tetto gocciolante del (vecchio) Gervasutti. Un pò spiace.
     
    Comunque sul telepass sono d’accordo: maledetto simbolo del turboglobalismo, non mi avrai mai!
    Che Guevara spostate! 🙂

  13. 166
    marco vegetti says:

    Quincinetto, dove piove quando in Valle c’è il sole! Però ho trovato un posto dove si mangia bene (e una palestra di roccia carina a Settimo Vittuone)…

  14. 165
    Roberto Pasini says:

    Vegetti. Chissà….magari ce li portano sottraendoli ai loro divertenti e gratificanti giochi sulla plastica. Non trascurare l’influenza nefasta di nonni e genitori, caiani e No CAI, convinti del valore educativo dell’andare per monti 😀 e al ritorno code mostruose per rifiuto rivoluzionario del telepass, come ai bei tempi del casello di Quincinetto, per temprare il carattere e la capacità di resistenza 😀 buon quel resta della domenica. Okkio alle code di rientro.

  15. 164
    marco vegetti says:

    Fabio e Roberto. Mi sa che, a prescindere, siano proprio pochini i “giovani” che vanno fino (!!!) al Gervasutti…  3.30 h su un itinerario semi-alpinistico e che ti devi trovare, sperando di non avere nessuno sopra la testa nel canale e di ricordarsi che i segni gialli sono vaghe indicazioni su dove andare , non i punti dove passare necessariamente… 

  16. 163
    Roberto Pasini says:

    Bertoncelli. Appunto. Nostalgia. Un sentimento comune ad ogni generazione. Pensa le mummie che nostalgia devono provare per le loro piramidi. Le hanno viste costruire dai loro schiavetti e oggi le vedono invase da orde di cannibali, molti eredi di quegli schiavi,  con pantaloncini corti e smartphone. 

  17. 162
    Fabio Bertoncelli says:

    Sí, Roberto, me ne rendo conto. Mi sforzo di capire i tempi moderni e dico sempre a me stesso che, rispetto ai miei vent’anni, ci sono sí cose brutte ma anche cose belle, e queste ultime sono forse la maggioranza. Forse.
    Ma una parte non piccola del mio cuore è fatta di nostalgia di quando ero giovane e forte. E sognatore.
     
    P.S. Però non devi credere di star parlando con una mummia! 😂😂😂

  18. 161
    Roberto Pasini says:

    Bertoncelli. Quanto contano le costruzioni umane e quanto contano i cicli di vita degli uomini? Cosa provera’ tra 60 anni, verso la fine del secolo, un ragazzo che andra’ quest’estate al nuovo Gervasutti? Ah saperlo…..io scommetto sulla carta sempre buona della nostalgia, a prescindere.

  19. 160
    Fabio Bertoncelli says:

    Nell’agosto 1979 passai tre notti con due amici alla Capanna Gervasutti.
     
    Il primo giorno fu dedicato alla salita alla capanna, il secondo al riposo, nel terzo tentammo la via normale dell’Aiguille de Leschaux, e nell’ultimo scendemmo a valle. La capanna era rivestita di lamiera e dal tetto gocciolava la pioggia sui letti a castello, per cui ci sistemammo nelle cuccette inferiori. Non vedemmo anima viva, se non il secondo giorno in cui arrivò una cordata dal fondovalle e che poi scese dopo breve sosta.
    Il posto era eccezionalmente selvaggio, fuori dal mondo. Per procurarsi l’acqua bisognava risalire l’isolotto roccioso fino a un rivolo sovrastante. Ricordo ancora la battuta scherzosa di uno dei miei due amici: “Passaggio di quarto grado con secchio d’acqua in mano…”.
    In alto svettava a incredibile altezza la parete est delle Grandes Jorasses. Sognando a occhi aperti, mi figuravo quasi che, presto o tardi, sarebbe sopraggiunta la cordata del Fortissimo, di ritorno da un tentativo alla est.
    A quei tempi esisteva ancora in loco il vecchio Bivacco di Fréboudze, costruito negli anni Venti (https://it.wikipedia.org/wiki/Bivacco_di_Fr%C3%A9boudze), che oltrepassammo nel corso della salita il primo giorno. Trasudava storia!
    Il tentativo all’Aguille de Leschaux non andò a buon fine. Dopo aver rimontato interamente il ghiacciaio, ci imbattemmo in una cordata di due giovani francesi in discesa, reduci da qualche difficile via sul versante opposto (Petites Jorasses?). Ci avvisarono che la prosecuzione era impegnativa, ma noi tentammo ugualmente; ci bloccò la crepaccia terminale con un muro altissimo e cosí, forse anche intimoriti dall’ambiente severo, decidemmo di rinunciare.
    Poi in due ce ne partimmo per la traversata del Monte Bianco, dal Col du Midi al Refuge de Goûter, e lí tutto andò a meraviglia. Dal Tacul in poi e anche in vetta fummo in splendida solitudine. Che giorni!
     
    Come confessò con tanta nostalgia il filosofo Gianni Vattimo (l’ho già riportato in un altro commento): “Potessi ritornare a quei tempi – poche storie! – darei via tutto il Pensiero debole”. 
     
    … … …
    Mi domando: nel nuovo avveniristico Bivacco Gervasutti, avrei provato le stesse emozioni che seppe regalarmi la vecchia e sgangherata capanna di lamiera?
     
     

  20. 159
    Marcello Cominetti says:

    Ovviamente il Cai nazionale. Il Cai sabaudo, no, quello fa il bivacco Gervasutti, che l’alpinista friulano si rivolta ancora nella bara, ma il vero caiano sabaudo pensa (crede) diversamente.  
    Bontà sua.

  21. 158
    Luciano Regattin says:

    Dal Messaggero Veneto di oggi: ” Il sentiero sul Pleros sarà messo in sicurezza
    “…diversi tratti esposti rappresentano un pericolo per l’escursionista.
    I comuni di Rigolato e Prato Carnico con il contributo parziale della Regione hanno deciso dunque di mettere in sicurezza l’intero tracciato, tra l’altro con la fornitura e posa di cavi ed elementi per la progressione.”
    Eccola la “vera” cultura della montagna: rendere accessibile a tutti qualsiasi itinerario di salita; il Cai è sotto osservazione per il bidecalogo? No problem, si delega ai comuni. Sono curioso di vedere se ci sarà una qualche minima reazione da parte delle sezioni Cai, che dovrebbero aver nel loro Dna, tra le altre peculiarità, la conservazione dell’ambiente naturale e l’insegnamento di come ci si muove al di fuori dei sentieri turistici, ma nutro molti dubbi in proposito, l’inportante è che sull’itinerario ci vada più gente possibile, che il ferrro sia bello, robusto e luccicante e che poi il ferratista si fermi a mangiare, dell’ambiente addomesticato non importa nulla, soprattutto ai montanari. La cultura che manca in montagna è quella del limite, averne la consapevolezza porterebbe già un miglioramento a tutti i livelli.

  22. 157
    marco vegetti says:

    Crovella: ” . La montagna, attraverso la sua severità, ci può educare ad essere cittadini consapevoli, lavoratori indefessi, coniugi attenti e genitori premurosi.”
    Lavoratori indefessi? Coniugi attenti? Genitori premurosi?
    Questa mi mancava!

  23. 156
    marco vegetti says:

    Crovella, non è che vivete in una “separate reality” (citazione colta…)? 4000 soci il CAI Torino, più o meno 25oo UGET: diciamo 7000 su 300.000 del CAI nazionale. Di cosa stai parlando? Di una minimissima parte della Associazione. La sola Sezione di Milano ne ha circa 8000… Quindi, suvvia, mettete via corona e scettro. Per altro, ti avevo già scritto che nemmeno nella tua zona di “pertinenza” ti ascoltano, visto ampliamenti e ristrutturazioni dei rifugi che hanno fatto invece di dismetterli, alla faccia dei tuoi proclami… 

  24. 155
    Carlo Crovella says:

    @153 Probabilmente la spiegazione sta nel fatto che, in area torinese, il CAI è MOLTO diverso da come agisce e si propone nel resto d’Italia. Tu conosci questo “altro” CAI (quello “nazionale”), io agisco da sempre solo nel CAI di area torinese: non mi trovo a disagio né il CAI torinese è minimamente spiazzato rispetto a me, anzi. La spiegazione sta nella comune natura “sabauda”, di cui siamo immersi – fin dalla nascita – sia il CAI torinese (nei suoi mille meandri, a cominciare dall’UGET ) sia, ovviamente, il sottoscritto. Io sono un caiano di ferro, ma sono un caiano del CAI torinese… Il marchio di fabbrica della natura sabauda te lo senti dire fin dalla culla: “Prima il dovere e poi il piacere”.  Il CAI di area torinese (non solo il CAI Sezione di Torino, ma tutti i meandri), essendo stato creato e plasmato da sabuadi è… “sabaudo”. per cui essere caiano a Torino è molto diverso dall’esser caiano nel resto d’Italia. Questa è la mia spiegazione, ritengo che sia fondata, ma è irrilevante. ciò che rileva è che io mi trovo benissimo nel CAI torinese (dal 1969!) e i vari meandri torinesi del CAI si trovano benissimo con me. forse molte incomprensioni fra me e te (e altri) sul tema CAI dipendono proprio da questa differenza fra il CAI di area torinese e quello nazionale.

  25. 154
    Fabio Bertoncelli says:

    Carlo, io sono assolutamente d’accordo con te sui seguenti punti:
    1) Riduzione naturale e consapevole della popolazione mondiale, ma in modo estremamente prudenziale, cioè nell’arco di diverse generazioni.
    2) Non è necessario che gli oceani siano pieni di decine di migliaia di navi cargo che trasportano incessantemente susine, biciclette e cianfrusaglie varie dalla Cina all’Italia, et similia. È demenziale. Possiamo coltivare susine e produrre biciclette pure in Italia. In altre parole, la globalizzazione ha molti effetti perversi, che bisogna eliminare.
    3) Non è necessario andare sempre a scalare dall’altra parte del mondo. Ogni tanto ci si può fermare sulle Alpi. Ogni tanto posso andare sul mio Appennino: ti assicuro che lí esistono magnifiche valli in cui non si incontra anima viva e che raggiungo in un’ora o poco piú.
    4) Meno rifugi, meno strade in alta quota, meno impianti di risalita, e meno fighetti.
     
    Tutto ciò lo penso non tanto per salvare il pianeta Terra (quello si salva da solo), ma perché cosí facendo l’umanità vivrebbe meglio (punti 1 e 2) e io vivo meglio (punti 3 e 4).
     
    Il problema però è il seguente: che si fa con chi non è d’accordo, cioè il 95٪ della popolazione? Per esempio, dovrei forse piazzare una bomba sulla Skyway Monte Bianco per salvare il Monte Bianco? No, eh? E allora che si fa? 
     
    … … …
    In ogni caso, dice il saggio: “Prima di pretendere di cambiare il mondo, incominciamo a cambiare noi stessi”.
     

  26. 153
    Marcello Cominetti says:

    Bene!
    Ma il tuo cazzo di Cai, Crovella, fa proseliti come se non ci fosse un domani. Non trovi che le tue teorie scontrino una contro l’altra?
    Io lo trovo e credo di non essere il solo ma TU caiano estremo che pontifichi su tutto, non credi di contraddirti?

  27. 152
    Carlo Crovella says:

    Giusto per non tirare per le lunghe questa cosa (che oltretutto è quasi tutta fuori tema rispetto all’articolo principale). Sintetizzo al massimo. Mi prometti però di non iniziare con la solita sfilza di domande e obiezioni, di richieste e di spiegazioni, approfondimenti, e varie altre scocciature del genere. La teoria è così: o si prende in blocco o, se non piace, è inutile farci dei ghirigori intorno.  Questa è la mia idea e molto probabilmente non piace né a te né a moltissimi dei lettori. Non piace perché richiede immensi sacrifici, sia di vita operativa che sul piano ideologico, ma potrebbe essere risolutiva proprio perché cambierebbe completamente il paradigma generale. Pertanto lo scopo di questa mia esposizione NON è convincerti/vi, ma informare, chi è interessato, circa l’esistenza di idee alternative a quelle complessivamente dominanti. Chiaro che, fra i tanti ostacoli, occorrerà anche fare i conti con i Paesi emergenti, ma intanto iniziamo a cambiare noi, poi tratteremo anche con gli altri: un passo per volta.
     
    L’estratto della filosofia è: cambiare radicalmente il PARADIGMA esistenziale. Non si può obbligare nessuno a farlo, ma occorre agire affinché tutti maturino la convinzione della necessità di virare nella direzione indicata. Abbiamo pochissimo tempo per invertire il trend. Al massimo una ventina di anni, forse meno, poi tutto è davvero perduto e non resta che il destino del Titanic.
     
    La formula è semplicissima: MENO, PIU’, PIU’.
     
    Ovvero:
     
     – MENO INDIVIDUI (A livello di intero pianeta: tramite la denatalizzaizone quindi in modo incruento. Sulle morti lasciamo fare alla natura, noi concentriamoci nel limitare le nascite (un figlio per coppia): il saldo negativo nati-morti piegherà la dinamica demografica. In montagna: farla tornare “scomoda, scabra, spartana”, togliendo le strutture che ci sono ora. I cannibali e i consumisti alla Briatore, che amano le comodità, la jacuzzi e lo chef stellano, si defileranno in automatico. Li vedremo in alti contesti e produrranno cmq danni, ma nell’immediato accontentiamoci di alleggerire le montagne).
     
     – PIU’ POVERI rispetto a come siamo adesso: abiura della ricerca del profitto come principale parametro dello sviluppo esistenziale ed economico. Lo sviluppo tradizionale, incentrato su crescita industriale e del turismo – che sono fra i principali motori della crescita tradizionale – “consumano” l’ambiente. La produzione sbanca letteralmente il  suolo – alla ricerca vuoi di metalli vuoi di aumento delle produzioni agricole o degli allevamenti intensivi – il turismo consumistico cementifica l’ambiente. Non possiamo più permettercelo: dobbiamo smettere di farlo. Quindi meno consumi – per cui meno produzione – e soprattutto meno turismo. Per arrampicare si può farlo dietro casa senza andare all’latro capo del mondo, per rilassarsi basta leggere un bel libro sul divano…. ovvio che spariranno un sacco di opportunità di lavoro e/o si contrarranno tutti i redditi. ma è un prezzo che dobbiamo capire che è inevitabile…
     
    – PIU’ FELICI rispetto a come siamo adesso: esistenza più semplice, meno laboriosa, torniamo a mangiare “pan e siula” (piemontesismo per “pane e cipolla”), rinunciamo a tutto il superfluo, dal SUV ultraprestazionale alle vacanze alla Briatore a chissà quanti altri status symbol…
     
    In pratica: DECRESCITA FELICE. Complicata da governare, complicatissima da far accettare. Certo. Ma occorre che tutti capiscano che, ora come ora, siamo come un malato terminale: o asportiamo le negatività del nostro attuale modo di vivere o esse ci uccideranno.

  28. 151
    Fabio Bertoncelli says:

    @ 149
    Carlo, io ho tentato ma, se digito “Crovella” nella casella di ricerca, escono diciassettemilacentoquarantatré tuoi commenti.
    Ti fa tanta fatica spiegarmelo di nuovo – magari sintetizzando – e arrivare cosí a diciassettemilacentoquarantaquattro?
     

  29. 150
    Marcello Cominetti says:

    https://www.amicodelpopolo.it/2023/05/25/la-tessera-cai-in-cima-alle-scale-mobili/
     
    A Belluno si diventa socio Cai prima di prendere il bus per le Dolomiti.
    Non è che il Cai, a cui associarsi prima era molto più complesso e si passava una selezione che valutata la qualità  del nuovo socio, è  alla canna del gas?
    Che ne pensa Gargamella? 
    Giacchè di cultura della montagna si tratta…

  30. 149
    Carlo Crovella says:

    No, è agli atti, lo trovi in bibliografia.
     

  31. 148
    Fabio Bertoncelli says:

    @ 147
    Carlo, tu mi scuserai, ma durante la lettura dei tuoi commenti, che spesso mi occupano tre o quattro schermate (con schermo da 27″), a volte cado in stato soporifero. Cosí me lo sono perso. 
     
    Non me lo puoi mica rispiegare?

  32. 147
    Carlo Crovella says:

    @145 Mannaggia… l’ho spiegato milioni di volte!

  33. 146
    Carlo Crovella says:

    @137 e altri. Innanzi tutto mi permetto ricordo ancora una volta a tutti che io NON sono un sostenitore a spada tratta della patente alpinistica. È una delle tante ipotesi sul tavolo. Piuttosto che subire una miriade di divieti erga omnes, cioe’ che colpiscono tutti indiscriminatamente, io personalmente preferisco una scrematura qualitativa alla fonte, come più volte spiegato. Ma la mia preferenza in assoluto va al far tornare la montagna “scomoda, scabra e spartana”. I cannibali e i consumisti amano la comodità, mentre rifuggono la scomodità, per cui la selezione avverrebbe in automatico e senza alcuna imposizione.
     
    Per quanto riguarda Gervasutti & C., primo si tratta di 90 anni fa (non esisteva il problema dell’eccessivo peso antropico), per cui non è una realtà storica confrontabile con l’oggi; secondo si vede proprio che non masticate la storia alpinistica. Allora non esisteva la patente “alpinistica”, è vero, ma in compenso esistevano molti altri documenti politici e chiunque doveva averli con se e tenerli sempre in regola, sennò non ti lasciavano avvicinare ai confini, meno che mai espatriare. Senza i documenti in regola, altro che vie sul Bianco o addirittura in Francia (es Nord Jorasses). Per cui, magari contorto collo, tutti i principlali nomi di quella generazione avevano la “carta” in tasca, state tranquilli. Non si rintracciano lamentele su tale risvolto, semmai appunti di non dimenticarsi di avere sempre tutto in regola. Ma erano altri tempi e fare dei confronti non ha proprio senso.
     
     

  34. 145
    Fabio Bertoncelli says:

    Carlo, come si fa a convincere i montanari ad accettare la riduzione dei turisti da trenta milioni a cinque o sei e la conseguente demolizione di alberghi e impianti di risalita?
    O si usa la forza?

  35. 144
    Carlo Crovella says:

    @136 Invece ti ho risposto e anche molto chiaramente. I 30 mlm di turisti sull’arco alpino NON ci devo proprio essere, a prescindere dal meccanismo che ti preferirà adottare. Nel giro di max 10 anni, quei 30 mln annui devono essere ridotti a circa 5-6 mln. Non esiste il problema di come sottoporli all’esame dell’ipotetico patentino. Se si torna a una montagna “scomoda”, smontando le infrastrutture in essere, in automatico gran parte dei turisti non si indirizzerà più verso le montagne. Mi pare autoesplicativa, no?

  36. 143
    Carlo says:

     Bertoncelli says:
    Ho detto dell’umanità – e non del pianeta – perché l’essere umano per me è al primo posto; dopo vengono le nutrie e tutto il resto

    Che le nutrie e tutto il resto ce la faccia senza uomo non ha bisogno di dimostrazioni….ce la faceva prima che arrivassimo noi. Dovremo iniziare a capire che noi siamo il problema, non la soluzione
     

  37. 142
    marco vegetti says:

    E quando il figlio unico lo applicavano i cinesi, tutti addosso contro i comunisti, riempiendosi la bocca di democrazia e libertà… Arrivate trent’anni in ritardo!

  38. 141
    Carlo says:

    Figlio unico per contrastare l’aumento degli uomini…..bene, ma in occidente dove uno pesa ambientalmente come 10 del terzo mondo…..temo non ridurrà la popolazione, meglio puntare su pandemie incontrollate e uso di armi atomiche.  

  39. 140
    claudio genoria says:

    Vedo che stai “crovellizzando” Genoria

    Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti. Inoltre, se tu fossi un frequentatore storico del Blog, nel tempo avresti potuto verificare di persona che le mie tesi sono state esposte ben più di una volta. Ribadisco , e a questo punto con maggior convinzione, che la situazione non è “sana”: è un Circo Barnum, il blog di Gogna. Anche io, incredibile dictu, ho vissuto una (piccola) fase in cui ero trascinato dal blog di Gogna. Ma questo blog sembra diventato il muro del pianto dei free climber (come ci chiamavamo una volta). Se non conosci nulla del mio lungo “attivismo” ideologico sul tema della montagna “per pochi”, ti informo che si tratta di prese di posizione che “sono agli atti” e tocca a chi è interessato andarsele a rileggere a ritroso: non è possibile che ogni volta io debba riprendere i concetti da Adamo ed Eva in poi. Mi pare che continuino ad emergere individui, come te, che non focalizzano un concetto chiave: io sono sabaudo e sono un profondo conoscitore sia di Pavese che di Fenoglio (perché ovviamente Torino non si riduce al solo confronto agnelliani-debenettiani). Non hai ancora capito che sono io quello che gira abitualmente con il kalashnikov? Sta tranquillo che lo so usare. E contro i bersagli giusti. E se non è kalashnikov, ho mille altri modi, altrettanto efficaci. Roulotte.
     

  40. 139
    marco vegetti says:

    E Cassin? Ahahahahah

  41. 138
    Fabio Bertoncelli says:

    Riuscite a immaginare Giusto Gervasutti e Paolo Bollini della Predosa che, in partenza per i piloni del Frêney, mostrano l’apposita Patente Alpinistica di classe A alle guardie alpine di stanza in Val Veny?

  42. 137
    Alberto Benassi says:

    A maggior ragione tale cambiamento radicale cale per la montagna. Le parole di Tozzi, traslate alla montagna, sono profetiche. Troppo turismo e troppa relativa “cementificazione”.

    La cementificazione e il facilitare a bomba il turismo è una cosa. Il turismo è un’attività economica che distrugge l’anima dei lughi, trasformandoli tutti in vetrine.
    Il patentino per  fare alpinismo è un’altra.
    Crovella te che ammiri Gervasutti, l’avrebbe voluto lui il patentino?  Non credo. Sono sicuro che se glielo avvessero imposto si sarebbe ribellato.

  43. 136
    Luciano Regattin says:

    119. Come al solito e come ero sicuro che avresti fatto, hai ripetuto la tua pappardella evitando accuratamente di rispondere a domanda precisa. Che ti avevo già posto tempo fa. Per quanto riguarda il patentino, sono sicuro che starai rompendo i coglioni a tutti i politici della tua risma, affinché spingano per cominciare a scrivere una proposta di legge in merito. Dì la verità, è il sogno della tua vita.

  44. 135
    Fabio Bertoncelli says:

    Carlo, pure io ritengo che la sovrappopolazione mondiale sia all’origine di innumerevoli problemi dell’umanità.
    Ho detto dell’umanità – e non del pianeta – perché l’essere umano per me è al primo posto; dopo vengono le nutrie e tutto il resto.
     
    Pertanto sono da sempre favorevole a ridurre la popolazione mondiale, specialmente nei Paesi sovraffollati come il nostro. Ciò si deve ottenere non con metodi hitleriani, ma con una denatalità consapevole ed estremamente diluita nel tempo, allo scopo di non innescare cataclismi sociali. Per intenderci meglio, un solo figlio per coppia scatenerebbe un disastro epocale.
    Si tratta di un obiettivo da raggiungere nell’arco di diverse generazioni, per evitare rischi di collasso. Purtroppo noi viviamo in un Paese assai sovrappopolato ma con una natalità bassissima, la quale minaccia disastri.
    Sono disastri che non colpiranno noi ma i nostri figli e nipoti.
     
    P.S. Vedo che stai “crovellizzando” Genoria.
     

  45. 134
    claudio genoria says:

    Bertoncelli (132):
    1) Non ho scritto da nessuna parte “eliminiamo i bacini di espansione (esistenti)” – ho scritto che si tratta di una soluzione pratica, intendendo dire che è una soluzione che funziona, ma che l’argomento viene usato come assoluzione della politica di consumo del suolo, che in questo modo non viene mai messa in discussione. Ha ragione Crovella dove scrive: prima di tutto, basta costruire.
    2) Scrivere che “Crovella se vuole la cementificazione deve trasferirsi nei boschi” è puro e semplice qualunquismo.
    Comunque siamo fuori tema, quindi basta, altrimenti è flood porn e non va bene.
    E concludo “crovellovizzandomi”: ciao a tutti!

  46. 133
    Carlo Crovella says:

    Ho già spiegato milioni di volte che lo scenario, in cui si muovevano comitive anche di duecento persone tutte insieme, è completamente obsoleto, come se fosse una cosa della preistoria. Non era sbagliato, ma va contestualizzato in quel particolare frangente storico, che difatti si chiama “scialpinismo aggregativo”. Ora è diametralmente cambiato il contesto generale, addirittura a livello planetario e, a cascata, fin nei risvolti marginali come la consistenza numerica delle comitive in montagna. E’ comprensibile che, in un quadro tutto nuovo, valgano parametri completamente diversi rispetto al passato.
     
    Sull’eccesso di cementificazione dell’Emilia-Romagna (problema cmq che non riguarda solo quelle terre, ma che ora risalta per i recenti fatti), le domande le devi porre a Tozzi, perché lui è uno dei rappresentanti scientifici che si intesta tale tesi (se non l’hai ancora fatto, guarda il video: le sue parole sono chiarissime). Le soluzioni non sono semplici nel breve, ma nel medio-lungo andranno trovate (in modo incruento) attraverso la denatalità: meno esseri umani, più spazio a disposizione. Nel breve bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma questo riguarda le pianure. In montagna invece si può e di deve spingere per un più repentino cambio di paradigma, con la riconversione verso modelli turistici completamente diversi da quello imperante.

  47. 132
    Fabio Bertoncelli says:

    Io abito a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Una volta il fiume Panaro (ultimo affluente di destra del Po) tracimava con regolarità dopo le piogge d’autunno, allagando anche la via Emilia. Ricordo che noi studenti – beata gioventú incosciente! – speravamo nello straripamento, perché cosí non si andava a scuola a Modena.
    Poi, negli anni Settanta, furono realizzati i bacini di espansione: da allora il Panaro NON ha straripato una sola volta e gli studenti sono rimasti fregati.
     
    … … …
    Che facciamo? Eliminiamo i bacini di espansione lungo il corso del Panaro? Torniamo alla natura selvaggia in Pianura Padana?
    Invitiamo il Crovella a contribuire alla “decementificazione”? In tal caso dovrebbe trasferirsi a vivere in tenda tra i boschi della Val di Susa e abbandonare la sua casa di mattoni e cemento nel centro di Torino.
     
    Carlo, ci vuoi dare l’esempio?
    Dopo aver portato comitive di duecento scialpinisti in gita sui monti, ora propugni piú montagna per pochi. Dopo aver comprato una bella casa a Torino, ora propugni meno case per molti?
    E chi rimane fuori che fa? Campeggia nel bosco con te?

  48. 131
    Carlo Crovella says:

    @126 in lenea teorica esiste il rischio di un alpinismo solo più per cicchi. Ma all’atto pratico non è realistico. Se di decementifica la montagna, la si fa tornare alla sua naturale scomodità: no hotel stellati, no jacuzzi, no apericena, ho happy hour ecc ecc ecc. I ricchi di oggi, i Briatore-Santanché ecc, non amano la scomodità, corrono dietro invece alle comodità, che, però (in una montagna decementificata come l’ho descritta io) non troverebbe più spazio…
     
    Più o meno lo stesso per il mio omonimo Carlo. Se intendi spazi iperaffollati di montagna, nell’ipotesi ottimale dovrebbero sparire del tutto. La montagna parimenti “scomoda” è tutta scomoda. Se invece intendi che i Briatore’s boy, scappando dalla montagna, affolleranno ulteriormente altri luoghi (dalla Costa Smeralda ai Caraibi), portando lì l’eccesso antropico, beh sì hai ragione. Ed è un problema generale da non sottovalutare, ma qui stiamo ragionando sulla montagna.
     
    I problemi planetari hanno una radice molte semplice: l’eccesso antropico generale. Ho già scritto anche sul Blog che da tempo sono sostenitore di una politica, assolutamente incruente, che pieghi la dinamica demografica: un solo figlio per coppia, in tutto il mondo, in modo tale da denatalizzare il pianeta e, grazie al fisiologico saldo nati-morti, far tornare la specie umana intorno ai 5 miliardi di individui (oggi siamo 8 mld con proiezioni a 10 fra pochissimo). Ma questi sono problemi generali che sfuggono alle riflessioni sul futuro immediato della montagna. Nel breve io mi accontenterei di alleggerire le montagne. Sono un appassionato di montagne e mi viene naturale pensare per prime a loro. Se fossi un appassionato di Caraibi, probabilmente penserei di salvare per primi i Caraibi, cosa che va cmq messa in agenda. Un passo per volta.
     
    Ciao a tutti!

  49. 130
    claudio genoria says:

    Bertoncelli (125), altra sciocchezza: oggi sei in forma!
    Ha ragione Crovella dove ti risponde (127) che, a parte il “problema cardine” (cioè il cambiamento climatico), “alla tragedia contribuisce anche la scriteriata azione umana, perché si è costruito l’inconstruibile”.
     
    Bertoncelli, la soluzione che tu enfatizzi, col tuo intervento, è “come se un medico, invece di prescrivere un certo regime alimentare all’ipercolesterolemico, gli dicesse di continuare a mangiare sempre di più e nel contempo gli aumentasse progressivamente le dosi giornaliere di statine” (da un commento apparso altrove). Cioè: è una soluzione pratica, ma non va alla radice del problema (che forse tu preferisci non vedere).
     
    Ha ragione Crovella >> https://gliasinirivista.org/non-costruite-piu-nulla/

  50. 129
    marco vegetti says:

    Caro Crovella, alle solite: quello che dici e conosci tu è Verità Assoluta. Va bene, sembra che ti si gonfi il petto…
    Cascate in Val Masino. Parto da primo, dopo di me parte un Istruttore Nazionale d’Alpinismo di una seria scuola non solo tecnica ma di pensiero. Mi taglia la strada e arriva in sosta 20 metri più su. Senza mai mettere una vite da ghiaccio, ma arrampicando sopra la mia testa. Dietro di lui subito sale il suo compagno, altro INA della stessa seria scuola. L’anno prima sulla rampa della stessa cascata ha perso un rampone allacciato male e si è fratturato una caviglia. Stessa scuola, , sentita con le mie orecchie: INA che dice agli allievi sul ghiacciaio ci si lega con il barcaiolo. Chiusura del corso di scialpinismo in sede. La mattina dopo, bottiglie di birra e whisky per terra ovunque, puzza di fumo e mozziconi spenti per terra e sui muri.  Forse tu conosci solo quello che ti dicono… 

  51. 128
    Carlo says:

    Una sola perplessità sui “tagli” enunciati dal Sign Crovella: non è che allontanando la folla da un posto questa poi non vada ad affollare posti ora tranquilli e da qui a qualche anno saremo punto a capo?????? Non converrebbe iper affollare posti già affollati e compromessi e rendere ancor più difficoltoso l’accesso a zone ora tranquille????????
    Insomma, per chi conosce i posti, più gente al passo sella e meno al passo cereda

  52. 127
    Carlo Crovella says:

    I mancati bacini sono uno dei tanti risvoltu del problema, ma non l’unico. Come l’inserimento nel generale problema dei cambiamenti climatici, che ovviamente è “il” problema cardine da cui deriva tutto il resto.
     
    Ma oltre all’aggravante delle mancate opere e della mancata manutenzione, c’è un orientamento scientifico (Tozzi in particolare, vedi sotto il video) che ormai dice apertamente che alla tragedia contribuisce anche la scriteriata azione umana, perché si è “costruito l’inconstruibile“, la cui colpa è sia di chi ha cementificato là dove non lo si doveva fare, sia soprattutto degli amministratori che, alla radice, hanno concesso i relative permessi. ANCHE IN PIANURA BISOGNA CAMBIARE PARADIGMA
    A maggior ragione tale cambiamento radicale cale per la montagna. Le parole di Tozzi, traslate alla montagna, sono profetiche. Troppo turismo e troppa relativa “cementificazione”. Per questo occorre opporsi anche al più piccolo sbancamento col ruspino che hanno in programma al Sestriere. Non è quel piccolo sbancamento che provocherà la catastrofe, ma esso si inserisce in un paradigma ideologico, che invece deve mutare completamente. Quello che io chiamo il Circo Barnum della montagna dovrebbe sparire completamente. Più tardi ci attiveremo  e più vicini saremo alla catastrofe.
    Video Mario Tozzi su Emilia ecc
    https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/maltempo-mario-tozzi-fermare-cambiamenti-climatici-e-emissioni-co2/AEpSsEVD

  53. 126
    Alberto Benassi says:

    “più montagna per pochi” questo slogan crovelliano non mi piace, lo trovo dittatoriale, esclusivista, un pò fascitoide. Non vorrei che diventasse una porta aperta per una montagna per i soli ricchi.  La montagna per me è un luogo di libertà, di espressione individuale, anche di emancipazione personale come  lo è stata un  tempo per gli alpinisti tedeschi o per gli iatliani usciti dalla guerra.  Ci dovrebbero essere  regole (non scritte, quindi non imposte)  di autolimitazione, autoregolazione,  che non è difficile vedere e comprendere, basta un pò di visione, rispetto e buon senso. Alpinisti,  arrampicatori, escursinisti,  sci-alpinisti dovrebbbero essere i primi a rispettare,  proteggere e difendere i luoghi dove possono soddisfare il proprio gioco. Certamente non dovrebbero assimilarsi a dei consumatori.
    Non condivido l’atteggiamento consumistico della  fruibilità costruita a suon di infrastrutture, di facilitazioni che tendono a portare in quota e in luoghi naturali le comodità cittadine, snaturando la natura dei luoghi, snaturando il senso della scoperta, dell’incertezza, dell’avventura, cancellando il rischio. Insomma il parco giochi e la messa in sicurezza va bene in città, non nell’ambiente naturale che ci da già tutto.
     

  54. 125
    Fabio Bertoncelli says:

    ERRATA 
    “Oggi è ormai assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la precedente e scriteriata azione dell’uomo e le tragedie drammatiche, come (a puro titolo di esempio) quella attuale in Emilia.”
     
    CORRIGE
    Oggi è assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la mancata realizzazione dei bacini di espansione e le tragedie come quella attuale in Emilia-Romagna.
     
    … … …
    Per amor di verità. 

  55. 124
    Carlo Crovella says:

    Mi sembri un po’ fuori. Su tutta la linea.
    Due sole precisazioni. 1) Le Scuole, di rilievo esistono eccome,: a Torino, a Milano, a Tento, Trieste, Bologna, Firenze, Roma… e sicuramente ne ho dimenticata qualcuna per la fretta (chiedo venia agli interessati). Se vai ad analizzarle, queste Scuole sono “di rilievo” perché sono innanzi tutto “scuole di pensiero”, cioè non mere distributrici di nozioni tecniche. L’essere una scuola di pensiero significa avere un’impostazione incentrata sulla diffusione della “cultura di montagna”, che verrà poi applicata (a seconda del tipo di scuola) all’alpinismo, allo scialpinismo, all’arrampicata, ma la matrice concettuale è sempre la stessa. Cito sovente la Scuola in cui opero (che è  oggettivamente fra le più prestigiose nel settore dello scialpinismo) principalmente perché la conosco fin nei minimi dettagli e quindi “so” di cosa parlo. Ma potrei parlare con cognizione di causa di molte altre Scuole, pur non facendone parte: ho molte conoscenze umane all’interno di tali Istituzioni, ho letto quanto scritto dai loro esponenti nel corso dei decenni, ho preso atto di quanto fatto da queste scuole nei decenni, insomma conosco l’humus ideologico che le anima.
     
    2) Il taglio dell’accesso antropico alla montagna non può che essere drastico, sennò non comporta il cambiamento di paradigma. Tale taglio dovrebbe avvenire sia alle “alte” quote (alte nel senso di  dove si praticano alpinismo, scialpinismo, arrampicata, escursionismo impegnativo…) sia ancor di più alle “basse” quote, dove io auspico che il taglio sia addirittura radicale.
     
    Sulla Natura e la sua  capacità o meno di reazione, ti lascio alla tua idea, che però è completamente sbagliata, quanto meno non è coerente con la linea scientifica oggi maggiormente accreditata. Oggi è ormai assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la precedente e scriteriata azione dell’uomo e le tragedie drammatiche, come (a puro titolo di esempio) quella attuale in Emilia.

  56. 123
    marco vegetti says:

    Terza e ultima:
    La Natura si ribella al peso degli umani in montagna? Non dire stupidaggini. La Natura se ne frega e non si ribella: non segue regole umane, segue regole naturali. Il ghiaccio si è sempre sciolto al sole. La Grigna è in decomposizione da almeno 150 anni: la dolomia si scioglie pian piano sotto la pioggia. La Konkordia Hutte è stata costruita a filo dell’Alletschgletcher nel 1877 e già dopo pochi anni, senza riscaldamento climatico, non lo era più. Ma anche Tozzi e Mercalli si riferiscono al cambiamento climatico, non alla antropizzazione eccessiva come invece succede in pianura (vedi Emilia Romagna oggi. Mix tra riscaldamento climatico e cementificazione, con l’aggiunta dell’incuria umana). A parte il fatto che cementificazione delle montagne e della Pianura Padana mi paiono ben diverse…
    Come sempre, i “cittadini” si arrogano il diritto di decidere per chi non lo è. Dal momento che i cosiddetti valligiani non sono poi così pochi se calcolati su Alpi e Appennini, ci vorranno poche parole e molti soldi. Dove? Come? Quando? Vediamo di essere realisti, non utopisti…
    Passi dall’autoritarismo più bieco e selettivo (patentino) all’ambientalismo estremo del rimuovere tutto. E non ti accorgi che, ahimè, quando dici “paradigma generale” stai parlando di un sistema economico agli sgoccioli, lo stesso sistema che avete sostenuto e rimpinzato per secoli. Quando già 150 anni fa dicevano che avrebbe portato alla rovina, li tacciavate di comunisti.

  57. 122
    marco vegetti says:

    Seconda parte
    Le “vere” scuole? Ovvero? Quelle che sono come tu le vuoi? Solo la tua. Ne conosco due di altre Scuole (importanti, sull’efficacia avrei dei dubbi almeno su una). Beh, ti assicuro che quella che conosco meglio se davvero fosse una “scuola di pensiero” avrei orrore a farne parte…
    Una Associazione che tu prendi come unico referente. A parte il fatto che chi propone un libro di 950 pagine  (immagino “Montagna da vivere”) o è un editore pazzo o è Stephen King, non vedo come possa essere presa la posizione di una Associazione come una Bibbia, quando nella stessa Associazione se ne fottono allegramente .
    Allora, decidi una volta per tutte dove deve avvenire il taglio drastico: in alta quota o in bassa quota?  Perché in alta quota toccherebbe solo una minima percentuale di persone, in bassa molta di più. Lo dico perché continui a buttare tutto insieme nel calderone, “alpiisti”, “cannibali”, “turisti”.  Se de cementifichi, tocca tutte e tre le categorie, ma a farne le spese sono soprattutto gli “alpinisti”. Il “cannibale” o il “turista” cambierebbero meta, mari o colline, come già e spesso avviene.  La selezione di quel “gran parte delle strutture…” chi decide quale sia, cosa salvare e cosa eliminare? La tua Scuola?

  58. 121
    marco vegetti says:

    Prima parte
    Basta incensarti troppo. Io io io. Anche io ho scritto su varie testate cartacee e informatiche, e allora? In compenso, l’unica volta che ho proposto un libro (la mia visione dell’alpinismo e delle sua storia) mi è stato gentilmente detto dal redattore che non potevano pubblicare cose così critiche, dirette e puntuali(editore di montagna, per intenderci, redattore famoso e conosciuto).
    Basta questo sarcasmo da puzza sotto il naso: stai dicendo a chi ti “contesta” che ha il cervello di un bambino (questa volta). La tua altezzosità non ha limiti, visto che, alla fine, i tuoi interventi sono tutti autoreferenziali. In più, non hai la minima idea di chi siano coloro che consideri decerebrati.
    La “vostra” scuola non rappresenta nulla al di fuori del Torinese e a me personalmente agghiaccia che immerga in una certa mentalità. E’, di fatto, la creazione di un “pensiero unico” che esclude ogni variazione individuale. Di fatto, è una cultura “istituzionalizzata” che esiste solo in quanto appendice di una Associazione. Quindi, di parte: esiste un enorme mondo, che si voglia o no, che pratica ad ogni livello la montagna ben lontano da quella Associazione, privata, che neppure al suo interno è coesa, al quale dunque sarà ben difficile applicare le “regole” di quella Istituzione (sempre che sia il “meglio” in quanto a “cultura”).

  59. 120
    Jerome Savonarola says:

    @117 Benassi:
    Buon per te. 
    Se è così, il tuo punto di vista sulla questione è esattamente il mio. 
    Ma se ci si sottomette di buon grado a divieti di arrampicata come quello per l’aquila, non capisco perchè una limitazione o regolamentazione degli accessi alla montagna in generale resti del tutto inconcepibile e inaccettabile. Se il problema è l’imposizione da parte dell’autorità parliamo pure di AUTOregolamentazione o autolimitazione. Cosa che molti (tipo te) in realtà già fanno andando in posti desueti dalla frequentazione al più confidenziale, anche a prezzo di rinunciare a qualcosa in termini (nel caso dell’arrampicata) di qualità della roccia oltre che comodità di accesso e ritorno.In definitiva credo che il problema del “crovellismo”, ciò che inquieta e infastidisce di più, non sia il concetto di fondo del “più montagna per pochi”, con il quale chiunque non sia in malafede e non abbia interessi personali non dovrebbe che essere d’accordo, quanto il voler attribuire ad una “istituzione” quale il CAI con le sue scuole il ruolo di stabilire chi abbia diritto. Che poi non è questo che dice Crovella ma è quanto i più sembrano ritenere del suo messaggio.

  60. 119
    Carlo Crovella says:

    Mamma mia che fatica! Le cose che incuriosiscono alcuni di voi sono contenute nelle decine di articoli che ho pubblicato sulle più varie testate (cartacee e informatiche) nonché in alcuni dei miei libri. Solo qui sul GognaBlog pubblico con sistematicità almeno dal 2015. Stimo, a naso, che siano ben oltre 100 gli articoli che ho pubblicato sul Blog in questi anni: c’è quindi ampia bibliografia a portata di mano. E’ facile trovare gli articoli in archivio sul Blog: basta andare nella funzione “cerca” (in alto a destra) e mettere “crovella” come parola chiave. Il sistema porta in automatico a video tutti gli articoli che mi coinvolgono, occorre poi fare la cernita per limitarsi a quelli sul tema specifico, ma il titolo degli articoli è quasi sempre utile a tal fine. La “fatica” della ricerca non può che essere a carico di chi è “curioso”: pretendere che io rispieghi ogni volta è diventato troppo fastidioso per me e rischia di innescare le reazioni di altri lettori. Reazioni della serie “commenti lunghi e sempre uguali, che palle!”.
     
    In ogni caso, giusto per puntualizzare un’ultima volta, ho riguardato l’articolo soprastante e l’ho trovato di una semplicità concettuale tale da esser capito anche da un bambino. Chi non “comprende” i suoi contenuti è perché non vuole comprenderli, per i più disparati motivi (o perché toccano il divertimento personale o  nel risvolto dell’interesse economico).
    Due precisazioni conclusive:
    1) Cultura: è illuminante sul tema il paragrafo scritto da Bramasse, va riletto con attenzione. Però, mi pare di averlo già detto, il concetto di cultura della montagna è molto complesso e molto articolato: infatti nella nostra Scuola si ritiene (da sempre) che, per acquisire una congrua cultura di montagna, occorrano in media tre anni esplicitamente dedicati, con uscite pratiche dei vari corsi, uscite che aumentano, di impegno e difficoltà, dalla più semplici alle più toste, relative esercitazioni sul terreno (almeno una, se non due, ogni gita), numerose lezioni teoriche (su tutti gli argomenti che compongono il concetto di cultura di montagna), tavole rotonde, approfondito studio individuale da parte degli allievi e, per chi desidera accedere al 2 corso, anche un test scritto (oltre che una costante dimostrazione sul terreno, uscita dopo uscita, di sapersi muovere con la testa sul collo). Tutte queste cose compongono un’offerta formativa molto complessa, ma la cosa più rilevante è “essere immersi” in una certa mentalità e poi applicarla costantemente. Per questo le “vere” Scuole (cioè quelle importanti ed efficaci), più che esser scuole in termini di mero insegnamento di nozioni, sono fondamentalmente delle “scuole di pensiero”. A starci immerso per almeno tre anni, acquisisci per osmosi un certo modus operandi, che poi ti resta per tutta la vita. A parte ciò, il concetto di “cultura della montagna” è talmente complesso e articolato che, per esempio, il libro che vi ha dedicato il CAI nel 2013 copre 950 pagine (diconsi novecentocinquanta pagine!). E’ evidente che chi “pretende” che gli venga sintetizzato, in una definizione lapidaria, un concetto di 950 pagina, non si rende neppure conto di cosa si stia parlando.
     
    2) 30 milioni di turisti. Qui viene commesso un duplice errore. Il primo è non capire che l’articolo soprastante sta parlando di eventuale ed ipotetico patentino applicato solo all’alpinismo e alle discipline strettamente collegate (scialpinismo, arrampicata, escursionismo in quota e su terreni complessi, ma non i due passi per andare a mangiare polenta e capriolo). Infatti il resto della gazzarra che si registra montagna, tanto nella versione innevata (comprensori sciistici ecc) quanto in quella estiva è escluso dalle riflessioni dell’articolo, in quanto NON dovrebbe neppure esistere. Il secondo (grave) errore è considerare, quanto meno fra le righe, tali numeri umani un “valore positivo”, mentre essi sono un elemento estremamente NEGATIVO che va corretto/ridimensionato. La montagna non ne può più del peso antropico e occorre cambiare completamente registro strutturale. Occorre DECEMENTIFICARE la montagna, intendendo con ciò “eradicare” gran parte delle strutture turistiche che la stanno soffocando (che poi tali strutture siano in cemento o in acciaio o in altri materiali poco rileva: l’importante è toglierle, ecco il concetto di “decementificare la montagna”)). Il numero di turisti andrebbe governato al ribasso, e ci conviene farlo rapidamente, prima che la Natura si ribelli. La corda è tesa, prima o poi si spezza. Non so dire se si spezzerà domani o fra cinque anni o fra dieci anni. Ma di sicuro siamo prossimi a eventi catastrofici: accreditati esponenti del mondo scientifico (Mario Tozzi e Luca Mercalli, tanto per fare i primi due nomi che mi vengono in mente) lo sostengano apertamente da tempo. Ovviamente il cambio del modello inciderà anche sulla vita dei valligiani, nelle loro opportunità di lavoro e nei profili reddituali. Sono prezzi che vanno messi in conto. Se non si cambia rotta, il destino è già scritto, come per il Titanic.
     
    Quando la Natura si ribella, non fa sconta ed è devastante. Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini del recente disastro in Emilia-Romagna: il mondo scientifico lo imputa all’eccesso di cementificazione e di antropizzazione. Basta guardare quelle immagini ed è semplice capire cosa potrebbe succedere in montagna, amplificato all’ennesima potenza proprio per le caratteristiche morfologiche della montagna. Invece, neppure guardando le immagini della Romagna, sapete fare “due più due”. Cosa ancora debba accadere per farvi capire che occorre cambiare alla base il PARADIGMA generale???

  61. 118
    marco vegetti says:

    114 Luciano. Beh, per i turisti direi corsi presso le ambasciate e i consolati. Invece dell’addetto militare o dell’addetto culturale (generico), si formeranno alla Farnesina gli addetti culturali della montagna. Non troppo giovani (troppo svagati), non troppo vecchi (conoscenze stantie). Stage gratuiti, ovviamente (Meloni: per le alluvioni raschieremo il fondo del barile per trovare dei soldi, figurati per gli addetti culturali della montagna). Stipendio medio 500 euro, vitto e alloggio. Lingua straniera facoltativa, tanto siamo italiani, no?

  62. 117
    Alberto Benassi says:

    Jerome Savonarola says:
    26 Maggio 2023 alle 7:04
    @Benassi #91:La chiusura delle falesie è questione delicata che andrebbe valutata caso per caso, tuttavia SÍ è possibile che le volate in cava a una certa distanza disturbino l’aquila meno di uno che va ad arrampicare vicino al nido. Pensavo che lo sapessero anche i sassi che l’aquila abbandona definitivamente il nido e la probabile unica covata dell’anno alla minima minaccia a distanza ravvicinata (mentre uno sparo di mina a 1km magari non la disturberá più che un tuono) invece a quanto pare no.  Forse la cultura della montagna non esiste ma di sicuro esiste un minimo di cultura ecologica e di rispetto dell’ambiente che evidentemente latita. E temo anche che andiamo verso tempi bui in cui questo tipo di sapere sarà sempre più trascurato nell’acuirsi dei contrasti sociali e generazionali, e lo vediamo già ora con i vari imbrattatori, scioperanti e le disgraziate decisioni europee vissute come imposizioni (perché lo sono). Tornando a Equi non è che le strutture in zona manchino, e non mi sembra che non poter scalare nel Solco sia un dramma. Vai alle Torri…

    Caro SAVONAROLA non fare il Savonarola con chi non conosci bene .  Ho fatto solo un esempio per dire che certa politica si fa grande e grossa  con deboli e debole con i forti, se non addirittura complice.
    Sono il primo ad avere rispetto degli animali tutti e dell’ambiente naturale in genere. Lo so benissimo che bisogna stare lontano dall’aquila e dal suo nido. La parte del Solco d’Equi è veramente bella, direi verdoniana, ma non mi cambia la vita se non ci vado a scalare. Mentre all’aquila si, quindi giusto rispettarla!!
    Ma se le montagne le distruggi a suon di mine che fanno saltare per aria la roccia, voglio vedere dove andrà a nidificare l’aquila. Sui ravaneti??
    Vado alle Torri di Monzone ma anche, e soprattutto,  in posti apuani molto, ma molto!! meno alla moda.

  63. 116
    Riky says:

    @114 ma la domanda che più mi attanaglia , e torniamo sempre li, in questo discorso che necessiterà di una seduta di ipnosi per essere rimossa è: 
    gent.mo Crovella, risponda cortesemente:
    chi tiene le lezioni, e che cosa si insegna?
     
    si., la cultura della montagna 😤, e sti grandissimi cazzi non ce li vogliamo mettere?
    COS’È CHE INSEGNI?!? Ecologia? Etologia? Chimica? Geomorfologia? Idrogeologia? Oppure userai come libro di testo il manuale delle giovani marmotte e insegnerai come riempire una borraccia senza bagnarsi e a distinguere una stella alpina da un genepì.
    O l’étiquette da tenere in rifugio…  

  64. 115
    Jerome Savonarola says:

    @Benassi #91:
    La chiusura delle falesie è questione delicata che andrebbe valutata caso per caso, tuttavia SÍ è possibile che le volate in cava a una certa distanza disturbino l’aquila meno di uno che va ad arrampicare vicino al nido. Pensavo che lo sapessero anche i sassi che l’aquila abbandona definitivamente il nido e la probabile unica covata dell’anno alla minima minaccia a distanza ravvicinata (mentre uno sparo di mina a 1km magari non la disturberá più che un tuono) invece a quanto pare no. 
     
    Forse la cultura della montagna non esiste ma di sicuro esiste un minimo di cultura ecologica e di rispetto dell’ambiente che evidentemente latita. E temo anche che andiamo verso tempi bui in cui questo tipo di sapere sarà sempre più trascurato nell’acuirsi dei contrasti sociali e generazionali, e lo vediamo già ora con i vari imbrattatori, scioperanti e le disgraziate decisioni europee vissute come imposizioni (perché lo sono).
     
    Tornando a Equi non è che le strutture in zona manchino, e non mi sembra che non poter scalare nel Solco sia un dramma. Vai alle Torri…

  65. 114
    Luciano Regattin says:

    Dai Crovella, ci provo un’ultima volta, rispondi a questa domanda (tra le centinaia che potrei farti) a seguito di questa tua affermazione:
    Questa verifica non può che avvenire in un test/esame, al seguito di un lungo periodo di apprendimento ufficiale.
     
    Come si svolgerà il lungo periodo per i circa 30 milioni di turisti, molti dei quali stranieri, che trascorrono le loro vacanze sulle Alpi e desiderano chi farsi il capriolo con polenta, chi andare in funivia a vedere il Bianco, chi a farsi la ferrata delle Bocchette, chi i cazzi suoi, me tutti  quanti sempre a rischio chiamata soccorso?

  66. 113
    Giuseppe Penotti says:

    107. Crovella.
    Simone Moro?
    Quel Simone Moro che ha condotto con la Balivo il reality Monte Bianco?
    E si mette a discettare di cultura della montagna?
    Manca Hannibal Lecter che prepara ricette vegane poi siamo al completo.
    Suma bin ciapà! 🙂  😀

  67. 112
    Riky says:

    Crovella: ci dai la definizione di cultura della montagna?
    attendo (da quasi 100 commenti)
    ps mentre qualcuno friggeva abbondanti padellate d’aria, oggi ho chiodato 4 tiri nuovi in una falesia. Due proprio belli, uno bellino e uno facile che non passerà alla storia.
     

  68. 111
    Alberto Benassi says:

    @96 Neppure tu cogli il tema. Possono anche essere personaggi “discutibili” a titolo personale, ma essendo famosi hanno un impatto mediatico. Se temete che le prese di posizioni pubbliche possano indurre le autorità ad assumere delibere restrittive, dovete temete le prese di posizione dei personaggi davvero famosi, non le mie.

    Non m’importa nulla del loro impatto mediatico, se il pubblico abbocca all’amo peggio per loro.
    Quanto al temere, non ti preoccupare, non mi spavento tanto facilmente.  In montagna continuerò ad andarci come mi pare e piace. Se riterrò giusto darmi delle limitazioni lo farò, altrimenti no.
    Di certo non perchè lo dice Moro, Barmasse, Messner. Loro hanno bisogno di pubblicità, io NO!!
     

  69. 110
    marco vegetti says:

    Braco Crovella, come sempre: sono conoscenti tuoi, decine, che leggono e non commentano mai. Sai cosa? Degli invisibili a me personalmente non frega un caxxo. Sono degli invisibili da maggioranza silenziosa (Torino docet). Rimangono semplicemente affermazioni tue, incontrollabili. Anche io ho decine e decine di amici che leggono il blog (anche famosi) e non commentano ma in privato ,i chiedono chi è ‘sto piemontese “so tutto io”…
    Cit. Chi tace acconsente, ma chi non parla non dice niente

  70. 109
    Carlo Crovella says:

    Vi suggerisco di rileggere l’articolo (intervista a Moro) del settembre 2022:
    https://gognablog.sherpa-gate.com/simone-moro-inutile-chiudere-o-vietare-la-montagna/
     
    E’ utile rileggerlo, compreso il contributo finale di Crovella e quello della Redazione, che già allora era su posizioni non allineate a quelle di Crovella (sul punto specifico della patente), ma che, ciò nonostante, non ha avuto esitazioni a riproporre l’articolo di questi giorni, in virtù delle scelte editoriali di base rintracciabili nel capitoletto “Chi Siamo”.
    Ciao!

  71. 108
  72. 107
    Carlo Crovella says:

    Simone Moro (riproposto sul Blog – su mia segnalazione – nel settembre 2022): 
    “L’alpinista bergamasco sull’emergenza climatica in quota: «Le norme ci sono già, manca la cultura. La natura è da preservare, non uno svago. Altro che bandiere rosse come in spiaggia: per limitare i rischi bisogna cambiare approccio alla montagna».”
     
    Moro concludere schierandosi per la tesi di NON vietare le montagne, ma chiede ai frequentatori un profondo cambiamento di mentalità e una virata verso la “cultura” (ops!, anche lui utilizza questo strano termine… chissà mai cosa intende???).  Anche a me piacerebbe terminare come fa Moro, cioè con un semplice appello al senso individuale di responsabilità. Invece sono propenso a concludere che il modello giuridico generale (altro concetto molto poco noto ai più) impedirà di potersi limitarsi a tale richiesta, poiché spingerà le varie autorità a prendere sempre più diffuse decisioni in termini di divieti/restrizioni.
    Dal mio punto di cista, piuttosto che arrivare a  una gabbia di divieti validi erga omnes, io preferirei  un’altra ipotesi, costituita dalla verifica preventiva sulla congruità di ciascuno nell’affrontare le montagne. Questa verifica non può che avvenire in un test/esame, al seguito di un lungo periodo di apprendimento ufficiale. Il superamento del test/esame genera un attestato, per semplicità chiamato patente, che consente la pratica dell’attività, da quel momento in avanti in libertà e autonomia.
    Se non piace questa ipotesi (quella della patente), non resta che l’altra, quella dei divieti imposti a tutti dall’alto. Viceversa una montagna totalmente libera come  in passato sarà sempre più un’utopia, non perché così vuole Crovella, ma perché la combinazione fra la maggior pericolosità al seguito del cambiamento climatico, l’esplosione numerica assoluta e quella relativa di gente che va “senza cognizione”, metteranno sempre più sotto pressione le autorità. Le quali non hanno altro mezzo se non… “vietare” (erga omnes). 
     
    Ho riportato le tesi di Moro non perché un frequentatore degli 8000 sia più “accreditato” di un qualsuasi alpinista sconosciuto, ma perché l’impatto mediatico che hanno questi personaggi (e altri, come Barmasse e le altre guide) è molto più rilevante delle prese di posizione del sottoscritto. Se davvero temete che le autorità possano prendere decisioni sulla base di prese di posizioni pubbliche, dovete temere molto di più quelle dei personaggi con elevato impatto mediatico.

  73. 106
    Fabio Bertoncelli says:

    “@101 Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti.”
     
    Regattin, benvenuto nel club.
     
    … … …
    Carlo sta guidando in autostrada, tranquillo; poi accende la radio per passare il tempo. A un certo punto la musica si interrompe bruscamente e si sente una voce:
    – ATTENZIONE! ATTENZIONE! C’È UN MATTO CHE GUIDA CONTROMANO IN AUTOSTRADA!
    Perplesso, Carlo guarda la strada ed esclama:
    – UN MATTO? MA QUI SONO MATTI TUTTI!
     

  74. 105
    Carlo Crovella says:

    @100 Conosco di persona moltissime persone (direi parecchie decine) che hanno mentalità simile alla mia, perché facciamo parte dello stesso gruppo. Tutti costoro leggono quotidianamente il blog, con passione. Non lasciano mai commenti per scelta, né quando approvano né quando sono in disaccordo con ciò che leggono, ma a titolo di conversazioni private ci confrontiamo assiduamente. In alcuni casi hanno posizioni anche più radicali delle mie.
     
    @101 Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti. Non solo in questa occasione, continui a richiedere “risposte nei contenuti”, quando è sufficiente leggere l’articolo originario. Le tesi sono già lì e sono esposte in modo semplicissimo. Che bisogno ci sarebbe di ri-descriverle? Non farei altro che fare un “copia e incolla” dall’articolo. Ma allora leggete con attenzione gli articoli, fin dalla prima volta.
     
    Buona giornata a tutti!

  75. 104
    Roberto Pasini says:

    Regattin. Scelte del Direttore. Lui pubblica. I lettori commentano. Non solo i contenuti ma anche le scelte editoriali. Così funziona il gioco. Poi se uno si stufa o gli girano, può cambiare magari un po’ le sue letture. Io lo faccio spesso con i quotidiani. A volte mi arrabbio così tanto che cancello l’abbonamento, poi per fedeltà e abitudine magari ci ricasco e lo riattivo. Lessi un libro anni fa con un titolo stupendo “Anatomia della dipendenza”. Era sulla “cultura” giapponese. Forse siamo tutti un po’ giapponesi, anche se loro sono a un livello superiore da questo punto di vista. 

  76. 103
    Fabio Bertoncelli says:

    @ 100
    “Come fai  a presumere che sono moltissimi quelli che apprezzano ma magari non scrivono neanche un commento? Li conosci uno per uno? vedi dati che sono protetti dalla privacy e li contatti personalmente? O magari, semplicemente, te li inventi di sana pianta? Risposte dirette e chiare, non elucubrazioni, grazie.”
     
    Trattasi di facoltà divinatorie.

  77. 102
    Luciano Regattin says:

    99. Pasini, sai qual è il problema? Che un tema interessante e degno di maggiore approfondimento non doveva essere affidato a Crovella, che non è in grado di affrontarlo se non nella misura in cui tutto va a finire in vacca (cioè nella SUA e solo sua teoria, che tanto gli è cara e sono sicuro che sia il suo sogno, del patentino).

  78. 101
    Luciano Regattin says:

    97. Come ampiamente dimostrato (fino allo sfinimento) non rispondi MAI nel merito delle domande che ti vengono poste. E sottoscrivo parola x parola quanto detto da Riky nei commenti precedenti.

  79. 100
    marco vegetti says:

    97 Crovella. A parte dare del ritardato mentale a chi tu decidi non capisca (con parole “delicate” ma si sa “torinesi falsi e cortesi”) vorrei sapere da dove tu desumi questo che hai scritto:
    “Innanzi tutto i numeri sono decisamente sbagliati (moltissimo sono quelli che apprezzano tali idee e magari non scrivono neppure un commento…)”
    Come fai   a presumere che sono moltissimi quelli che apprezzano ma magari non scrivono neanche un commento? Li conosci uno per uno? vedi dati che sono protetti dalla privacy e li contatti personalmente? O magari, semplicemente, te li inventi di sana pianta? Risposte dirette e chiare, non elucubrazioni, grazie.
     

  80. 99
    Roberto Pasini says:

    Non credo che si volesse in questo caso usare la tecnica del “testimone” ampiamente usata e abusata nella pubblicità e piena di rischi perché a volte il testimone può diventate imbarazzante. Penso che Gogna, come peraltro ha dichiarato nel suo intervento, volesse sottolineare che alcuni temi si fanno strada anche nel mondo dei professionisti. Sul fatto io sono d’accordo e non riguarda solo i professionisti. Poi magari il termine Cultura può indurre qualche equivoco perché sembra appunto alludere a una qualche “superiorità” intellettuale e morale dei possessori di tale cultura e indurre a pensare che c’è una Cultura unica della montagna. Forse sarebbe meglio usare il termine più neutro Conoscenza. Perché il problema è reale. L’aumento della frequentazione porta in montagna persone che hanno poca conoscenza della montagna e culture diverse dalla “cultura” nella quale sono cresciuti molti di noi. Che poi questa mancanza sia all’origine dei problemi principali della contemporaneità montanara questo è oggetto di dibattito. 

  81. 98
    Carlo Crovella says:

    @96 Neppure tu cogli il tema. Possono anche essere personaggi “discutibili” a titolo personale, ma essendo famosi hanno un impatto mediatico. Se temete che le prese di posizioni pubbliche possano indurre le autorità ad assumere delibere restrittive, dovete temete le prese di posizione dei personaggi davvero famosi, non le mie.

  82. 97
    Carlo Crovella says:

    Temo che “cultura della montagna” sia per te concetto che non riesci proprio a focalizzare. Non dico a condividere, che ci può stare che uno la pensi diversamente, ma proprio non riesci a catturarlo mentalmente (e in fondo lo ammetti tu stesso nell’ultimo commento). Dovresti rileggere attentamente l’articolo principale (comprese le parti delle guide) e anche il mio sottostante commento 58.
     
    Però quello che non capisci è che il punto sul quale sono intervenuto maggiormente è un altro. A prescindere dalla bontà oggettiva o meno delle idee esposte, tu stai chiedendo una censura che proprio non appartiene, fin dall’origine, alle scelte redazionali di questi spazi Blog. Tra l’altro ti ergi a rappresentante sindacale di una non meglio precisata schiera che (a tuo giudizio) non vorrebbe più le “puttanate” nel Blog. Innanzi tutto i numeri sono decisamente sbagliati (moltissimo sono quelli che apprezzano tali idee e magari non scrivono neppure un commento…), ma poi è questione che devi dirimere con Gogna e non con me. Dal fatto che non capisci neppure a chi ti devi rivolgere, emerge che vivi in un mondo tutto “tuo”, dove pensi che tutto si regoli secondo le tue preferenze. Se ti interessa “migliorare”, devi fare uno sforzo, altrimenti non accade…

  83. 96
    Alberto Benassi says:

    Crovella, io non citerei “certi” nomi per parlare di cultura della montagna.
    Non è che sono sempre esempi positivi, solo perchè sono famosi.

  84. 95
    Riky says:

    @crovella, ogni tanto mi viene il dubbio che tu rilegga solo quello che tu stesso hai scritto. Che ti esalti guardandoti allo specchio godendo del fatto che ci hai ficcato una citazione in latinorum sperando che io o altri ne rimaniamo basiti come il Renzo. Ma no, non è così purtroppamente.  Preferisco Albanese come fonte di ispirazione stilistica.
    Andando avanti, ciò che più mi/ci fa inalberare è soprattutto il forte dubbio che tu non legga, e se lo fai non ascolti ed elabori per una risposta pertinente, quello che ti scrivono gli altri (e dai commenti emerge che non sono l’unico, anzi).
    Poi leggo il tuo ultimo post e il dubbio svanisce. Leggi forse a righe alterne.
    Dei commenti recepisci solo la forma, ma non entri nel merito delle questioni che ti vengo poste. Tipico. Se uno ti dice: “puttanata” tu pensi “che cafone”, ma non ti viene il dubbio che l’espressione sia adeguata al valore della tesi. E citi Barmasse e Moro per buttare fumo (mi ricorda qualcuno… ?!).
    Io non ti citerò le mie amicizie. GnéGné 
    quindi ripartiamo: cortesemente sapresti offrire a me, misero bifolco dell’alpinismo senza amici importanti una definizione di questa  “cultura della montagna” di cui vai parlando? 

  85. 94
    Carlo Crovella says:

    @91 E’ evidente che non riesci a comprendere quanto viene scritto o pubblicato. Il succo è: trattasi di scelta redazionale, quella di dare voce ai diversi autori con idee diverse anche contrastanti, non del singolo autore.
    Mi ricordi un tipo che, anni fa, in un ristorante aveva piantato una scenata isterica perché il cuoco non preparava il soffritto come piaceva al tipo in questione…  Non hanno cambiato il cuoco…
    Inoltre dovresti seguire quanto meno i canoni di un’educazione di base, quando ti rivolgi ad altri e/o fai riferimento ad altre persone. Si percepisce che non ne sei abituato, ma invece l’educazione è prassi abituale, nella società “civile”.
    Non credo proprio che le autorità arriveranno a varare l’idea di attestati per andare in montagna solo perché la leggono su un blog di montagna o in articoli vari. Piuttosto si indirizzeranno su delibere molto più semplici da adottare, come “divieti erga omnes”, che colpiranno tutti a tappeto, a prescundere dalla maturità o meno con la quale si va in montagna. Magari si tratterà di divieti limitati territorialmente (Monte Bianco ecc), ma come è successo negli anni scorsi potrebbe benissimo capitare di nuovo.
    Infine segnalo che (come da testimonianze in calce all’articolo) la considerazione che sia necessaria una maggior “cultura di montagna” (nella persona che si dedicano alla frequentazione della montagna) si sta già diffondendo fra le guide alpine e gli altri protagonisti di impatto mediatico. Nei mesi scorsi Simone Moro (ne abbiamo dato riscontro anche sul Blog) ha rilasciato diverse interviste in merito, Barmasse più o meno dice la stessa cosa, ecc ecc ecc.
     
    Ecco, se avete timore che siano le prese di posizione pubbliche ad indurre le autorità a varare certe misure, dovreste temere maggiormente le dichiarazioni di nomi del genere rispetto alle mie.

  86. 93
    Riky says:

    @alberto
    è esattamente quello che cercavo di spiegare: se un demente propone il patentino per andare in montagna, poi il politico che deve far capire di essere lo sceriffo lo adotta e manda il vigile a chiederti il patentino. Intanto puoi costruire un albergo o fare una cava nei posti più fragili e inaccessibili del mondo. E noi rimaniamo qui a scornarci per la #puttanata di un pellegrino mentre le montagne vengono privatizzate e rase al suolo. 
    V apunae, vedi cortina vedi Val di Susa, vedi ovunque. Denunce per uno spit poi fanno la 4 corsie nel parco…
    la cultura della montagna… 

  87. 92
    Alberto Benassi says:

    peggio fanno gli interessi di qualcuno a discapito di tutti, o sacrificando le piccole realtà. 

    Vedi in Apuane. Agli arrampicatori è ststo vietato di ammpicare al Solco d’Equi per non disturbare l’aquila. Ma intanto le cave affettano i monti. Forse che le mine non la disturbano l’aquila…??

  88. 91
    Riky says:

    @crovella,  basta, ti prego.
    E penso di scrivere a nome di 97 su 100 che leggono.

  89. 90
    Carlo says:

    Stavo pensando che la CULTURA è unica, come la LIBERTÀ, pertanto è la cultura in ogni ambito che viene a mancare. Tenendo bene a mente che cultura non significa solo sapere le cose o avere titoli. Si può avere una laurea in giurisprudenza e condannare un sindaco perché un sasso caduto da una cascata ha ucciso una persona, questo significa essere azzeccagarbugli ma estraneo alla cultura del vivere che considera l’incidente una tragica fatalità 

  90. 89
    Alberto Benassil says:

    ma politici che, come già commentato in altri post, non distinguono l’arrampicata dal crossfit! 

    Su questo non ci sono dubbi.

  91. 88
    Alberto Benassi says:

    Riky mi associo al tuo urlo di protesta. Spero che la comunità alpinistica saprà far sentire la sua voce e si ribelli alle limitazioni della libertà in montagna. Purtroppo spesso e volentieri ci mettiamo in mano a personaggi che non capiscono una minchia su quello che decidono o peggio fanno gli interessi di qualcuno a discapito di tutti, o sacrificando le piccole realtà. 

  92. 87
    Carlo Crovella says:

    @86 Sottolineo che, se tu fossi un frequentatore storico del Blog, nel tempo avresti potuto verificare di persona che le mie tesi , oltre che controbilanciate (in giornate diverse, ovviamente) da quelle antitetiche, sono state esposte ben più di una volta, con articoli firmati dal sottoscritto. Vado a memoria, ma mi pare che la pubblicazione sul Blog dei primi articoli sul tema “più montagna per pochi” risalga al 2019 (mentre le mie prime uscite pubbliche su questo ampio argomento sono addirittura del 2008-2010 circa). L’articolo di questi giorni non è quindi una novità dirompente che ha rotto un tabù. Evidentemente la linea editoriale, in essere fin dall’origine del Blog, ammette anche la presenza di articoli incentrati su tesi che, magari, ad alcuni lettori (ma non a tutti) possono risultare delle “puttanate”. Se queste sono le regole della casa, le considerazioni in merito all’impostazione diventano irrilevanti.

  93. 86
    Riky says:

    @alberto in linea di principio sono d’accordo con te, quello che dici è ovviamente sensato, ma si scontra coi limiti della democrazia, la sua mala interpretazione e la stupidità umana, che permea ogni strato della società. Oltre che con un problema intrinseco nel meccanismo della dialettica che spiego in fondo. Purtroppo l’esperienza mi ha insegnato a guardare certe cose con una certa lungimiranza. Perché poi a fare le leggi o i regolamenti purtroppo non c’è Gogna o altre persone avvedute, ma politici che, come già commentato in altri post, non distinguono l’arrampicata dal crossfit! Detto questo, trovo estremamente sconveniente che nella comunità alpinistica vengono accreditate, o comunque si da spazio a idee balzane come queste, che non sonno provocazioni dei commenti, ma articoli pubblicati, e c’è una grande differenza! Nel tiro alla fune che simboleggia il processo democratico (e dal presunto compromesso), in un’epoca di impressionante ignoranza e polarizzazione, questo tipo di voci che inneggiano al controllo, alla burocrazia, al divieto sono funghi velenosi che screditano e dividono la comunità senza rappresentarla in maniera adeguata, con sproporzione tra le rappresentanze, un po’ come le voci discordanti riguardo ai vaccini nella comunità scientifica. Al di la del valore delle tesi, il risultato è stato lo screditamento di tale comunità, che si è dimostrata estremamente immatura nella comunicazione, malamente finita in mano a mass media che vendono prodotti polarizzanti e sensazionalistici per gente impreparata.
    Basti vedere il dibattito sul riscaldamento globale, per fare un altro esempio… 
    quindi se per ipotesi la mia posizione rappresentasse il 97% del pensiero, e un’altra il 3, in un dibattito aperto (che è corretto), l’output del classico uno contro uno sarebbe che metà degli scalatori la pensano come me, metà come l’atro. A meno che non ci sedessimo in 100 al tavolo, 97 di qua e 3 di la. Allora, e solo allora il fruitore (pubblico) del dibattito avrebbe un’idea precisa di come stanno le cose.

  94. 85
    Alberto Benassi says:

    Come in ambito “alpinistico” se uno mi pone l’argomento di fare un patentino per andare in montagna.

    Contro la proposta del  patentino in montagna sono il primo a scendere in piazza.
    Mi da molto noia leggere di questo, perchè la montagna dovrebbe essere un luogo di libertà.  Ma l’argomento va affrontato , quindi leggere  di questo per rendersi conto di chi vuole questo, è il primo passo.
     

  95. 84
    Carlo Crovella says:

    E’ stupefacente che un “nick” apparso poco tempo fa (e quindi presumibilmente ignaro su cosa sia il Blog, da quanto tempo esista, quali obiettivi si ponga, che impostazione ideologica abbia fin dall’origine… ecc ecc ecc – molte cose peraltro sono rintracciabili nel capitoletto “Chi siamo” in alto a sinistra) si senta autorizzato a sentenziare dall’alto su cosa il Blog dovrebbe o non dovrebbe pubblicare, perché e per come.
     
    Bisogna avere fiducia in Alessandro Gogna, che inoltre è pure il padrone di casa: è sufficientemente “scafato” (sul risvolto della montagna, dell’editoria e del buon senso generale) che sa perfettamente e in ogni momento cosa sia opportuno o meno pubblicare.

  96. 83
    Carlo says:

    Dal selezionare gli argomenti al censurarli mi pare un passo brevissimo ….troppo

  97. 82
    Riky says:

    @80 c’è un limite al “divertisnent” e alla provocazione. Io spesso mi sono esposto con posizioni dure e difficili, conscio di suscitare reazioni uguali (in forza) e opposte in direzione. Non mi sono mai arrabbiato per la forma, anzi, ho sempre apprezzato lo stile diretto e privo di diplomaticità! Mi sono molto arrabbiato con me stesso quando qualcuno mi faceva notare di aver scritto io una puttanata! Ma c’è un limite (per me) insuperabile, nei contenuti. Se in un ambito democratico uno mi propone un articolo sul togliere i diritti alle donne, per fare un esempio estremo, non è un punto di partenza per una discussione. Con cotanta ignoranza si prova con il ragionamento privato ( e non gli si da spazio pubblico, è il ruolo del direttore responsabile), e se non si arriva a una quadra, gli si spiega che in Italia non c’è spazio per il suo pensiero. Come in ambito “alpinistico” se uno mi pone l’argomento di fare un patentino per andare in montagna. (chiaramente parliamo di ordini di grandezza diversi). Ricordo un articolo uscito a cavallo tra l’80 e il ’90 sulla RdM, in cui si prospettava un futuro in cui gli alpinisti dovevano registrarsi e chiedere ad ogni uscita il permesso per fare le vie al ministero dell’outdoor o qualcosa del genere. Credo fosse di Gobetti, ma non ne sono sicuro. Al tempo lo commentammo come “funerale” della montagna. Ma consci del suo pericolo intrinseco:  perché una puttanata del genere potrebbe piacere moltissimo ai politici/burocrati. (e infatti già viene applicata sul monte bianco, sul selvaggio blu e in altre situazioni…. che infatti trovo raccapriccianti!)

  98. 81
    claudio genoria says:

    poco ascolto dei pensieri altrui

    it takes one to know one 🙂

  99. 80
    Carlo says:

    Funghi velenosi magari no, ma spore di volgarità , offese garbate e non,  maleducazione, poco ascolto dei pensieri altrui……. a iosa

  100. 79
    Alberto Benassi says:

    Non vedo funghi velenosi. Piuttosto: storia, notizie, articoli, opinioni, racconti, esperienze, che si possono condividere oppure no. Insomma pluralità d’informazione che si può anche criticare. La bocca non mi sembra venga tappata a nessuno, tanto meno il pensiero.

  101. 78
    Riky says:

    @gognablog non la vedo così: la mia metafora era a sottolineare che sei tu ad andare nel bosco a selezionare la frutta da mettere sul tuo “bancone”, e se in mezzo ci metti un fungo velenoso…. nulla di strano se i viandanti poi parlano male del tuo negozio (o dei frutti del tuo bosco, immagine oggettivamente più carina!)

  102. 77
    GognaBlog says:

    #76 Riky. Ammetterai che questo blog può somigliare a un bosco. Di sicuro più che a un mercato, visto che qui non si vende proprio nulla!

  103. 76
    Riky says:

    @claudio, vero, ma è diverso trovarli nel bosco o sul banco del mercato!

  104. 75
    claudio genoria says:

    Regattin, sono solo “funghi velenosi”…

  105. 74
    Luciano Regattin says:

    Con gli interventi @59 @73 e il mio 18, siamo (solo) in tre x ora ad esprimere senza giri di parole quanto l’autore di queste puttanate, per quanto libero di esprimersi, potrebbe almeno contenerle nei suoi personali commenti, e non avere spazio come autore all’interno del blog. O dovremo arrivare al punto di lanciare una petizione? 

  106. 73
    Riky says:

    comunque riguardo alla “patente”, caro Crovella, è una puttanata di dimensioni epocali, e il fatto si commenta da solo. Non ho tempo da perdere con chi della montagna non ha veramente capito un ca##o. Ps Alessandro Gogna. Va bene generare dibattito, la discussione è sempre interessante, ma tra mettere i baffi alla gioconda e farsi latore di simili puttanate ce ne passa…

  107. 72
    marco vegetti says:

    61 Crovella  “Tra l’altro costui si rivela uno dei tanti che non hanno ancora capito che io non “invoco” le restrizioni, ma mi limito ad analizzare la situazione e ad elaborare delle previsioni.”
    Forse bipolare? Ma ti rendi conto che elaborare previsioni significa qualcosa come : L’anticiclone durerà due mesi, ma sono possibili intrusioni di bassa pressione in base a statistica e probabilità” mentre tu “Si deve avere l’anticiclone perché tutto il resto è sbagliato, falso, ambiguo”. Se ri rileggessi un po’ scopriresti l’altezzosità che riempite i tuoi bei discorsi patinati, la autoreferenzialità assoluta, una visione “monocromatica” del mondo e degli altri. Davvero, Carlo, un po’ di umiltà ogni tanto… Sei stato a Trento?
     

  108. 71
    Alberto Benassi says:

    La mia cultura della montagna:
    un paiolo di polenta,  salsicce sulla brace al tepore di un fuocherello acceso col patentino.
    Il fuoco disinfetta.

  109. 70

    Gli altri.
    Facendo la guida mi sento spesso rivolgere dai miei clienti la domanda: ma quelli dove vanno? Cosa fanno? Perché fanno così? Chi sono? Da dove vengono?
     C’è sempre un volersi confrontare per essere certi che si sta facendo la cosa giusta. Io rispondo sempre che non sono affatto interessato agli altri e non mi importa cosa, come e dove facciano qualsiasi cosa, a meno che non mettano in pericolo noi. Degli altri non mi importa! I turisti di ferragosto che mi salutano sui sentieri non hanno da me risposta se non li conosco. Mentre saluto io per primo chi incontro in altri periodi. Forse perché ne percepisco l’enorme differenza. Ma a parte questo, lo ripeto, a meno che non stia facendo una gara, non sono minimamente interessato agli altri mentre sono al lavoro in montagna. Questo delude i miei clienti, i quali vorrebbero sentirsi dire da me molto sugli altri. Ma io non gli dico nulla.
    Questa è la mia cultura della montagna. Prendere o lasciare.
    Il cannibalismo crovelliano mi attraversa senza lasciare traccia. 

  110. 69
    Carlo says:

    Tanti paroloni. Andare in montagna ci fa star bene, a volte/spesso/sempre da soli ancor meglio…..io la farei cosi, semplice e veritiera

  111. 68
    Ratman says:

    La tendenza di trasformare un” piacere” in un “valore” è stata studiata nel campo della filosofia morale da eminenti pensatori.
    Nel tema di questo post vediamo all’opera l’ennesimo tentativo di presentare un piacere particolare e individuale – seppur molto condiviso – , quello di andare in montagna in un certo modo, come un valore, cioè come l’unico modo che dovrebbe essere universalmente condivisibile di andare in montagna.
    E’ così che un approccio estetico emotivo personalissimo si legittima diventando “cultura della montagna”, e trasforma la mera affermazione sé in modello del fare.
    La normale insofferenza che si prova per gli altri, per il fastidio che ci provocano, viene purificata nell’ideologia, viene ricompresa in un apparato retorico nel quale la Montagna diviene una sorta di luogo mitico dove far vivere, o rivivere, alcune forze primigenie della natura umana che solo il vero alpinista conosce, e alla conoscenza delle quali solo il vero alpinista può educare.
    Pol pot è dietro l’angolo.

  112. 67
    claudio genoria says:

    Jerome, il fatto che Placido Mastronzo si sia guadagnato una risposta, al contrario di quanto accade a te, si deve al contenuto del suo commento, e dovrebbe sempre essere così. Tu hai postato una cosa inutile, fuorviante e deliberatamente provocatoria: perché risponderti?
     
    Che poi molti tra i commentatori e anche autori di questo blog pretendano che chi interviene si presenti per nome e cognome, anziché usare un nickname come sarebbe d’uso in tutti i forum del mondo (a parte Facebook), è cosa risaputa. La ritengo una pretesa sbagliata, nel senso che i commenti del cavolo sono commenti del cavolo, che siano o meno firmati, ma è la regola della casa e mi ci sono adattato rinunciando, a malincuore, al carinissimo nick che avevo inventato per me, perché non ho niente da nascondere e soprattutto perché mi fa piacere intervenire, qui e non altrove, e se la richiesta è di “metterci la faccia”, in cambio della libertà di intervenire ed essere ascoltato, è una richiesta che tutto sommato, dal mio punto di vista, ci può stare.

  113. 66
    Jerome Savonarola says:

    Immagino che Severo Mastronzo qui sotto sia di gran lunga un soprannome più pregevole.

  114. 65
    Jerome Savonarola says:

    Invece mi ha risposto Cominetti in persona! Che emozione! Le mie carni fremono

  115. 64
    Marcello Cominetti says:

    “Jerome”, sarà che l’autore del commento 59 non ha voglia di rispondere a chi si mette da solo dei soprannomi del cazzo.
    Fattene una ragione.

  116. 63
    Jerome Savonarola says:

    Io ricordo il soggetto autore del commento 59 come autore di un altro articolo apparso in questo blog, peraltro pregevole, che scadeva però nel ridicolo nella conclusione, dove pretestuosamente costui trovava il modo di parlare del periodo di confinamenti e coprifuoco vissuto fino a un paio di anni fa paragonandolo in maniera delirante al coprifuoco vissuto dai nostri nonni durante la guerra.
    Io risposi commentando in maniera provocatoria perchè, se trovasse tanto fastidioso e limitante quel ridicolo coprifuoco, non aveva tuttavia osato violarlo, assumendosene nel caso in toto la responsabilità ovviamente. Come io stesso feci trovandomene costretto al ritorno da un’uscita in montagna, traendo tra l’altro grande soddisfazione dal poter viaggiare su un’autostrada totalmente deserta. Non ho mai ricevuto risposta.
     

  117. 62
    antoniomereu says:

    A sto punto direi manca la cultura.(punto)

  118. 61
    Carlo Crovella says:

    @59 Ecco un esempio auto-esplicativo di cosa spaventa davvero le autorità. Più è diffusa (e aggressiva) questa mentalità e più le autorità (che non sono quasi mai degli alpinisti) se la fanno sotto e saranno spinte a stringere le morse.
     
    Tra l’altro costui si rivela uno dei tanti che non hanno ancora capito che io non “invoco” le restrizioni, ma mi limito ad analizzare la situazione e ad elaborare delle previsioni. In linea teorica queste previsioni potrebbero anche non avverarsi, ma invece io temo che siano molto più realistiche rispetto ad affermazioni senza controllo come quella del 59.
     
    Buona domenica!

  119. 60
    Roberto Pasini says:

    Forse non ci intendiamo sul senso delle parole. Certo che esiste una cultura dell’andare per monti come esiste una cultura dell’andare per mare. Dove c’è un gruppo sociale, una tribù, esiste un collante e questo collante è la cultura del gruppo. Oggi la montagna è frequentata da diverse tribu’ con culture diverse. Pure quelli che vanno in montagna con un approccio “sportivo” hanno una cultura basata su valori, riti e miti che influenzano i comportamenti. Io non condivido l’idea di una gerarchia tra le culture, ma sono d’accordo che alcune culture possono avere un  impatto più negativo di altre su alcuni comportamenti che si vogliono promuovere. Certamente una cultura basata sul “familismo amorale” ha un impatto più negativo sul senso di responsabilità verso la comunità sociale che non una cultura della solidarietà. Una cultura della spiaggia trasferita in montagna ha sicuramente un impatto non positivo sulla tutela dell’ambiente alpino. Io però sono convinto che per riuscire a raggiungere gli obiettivi che molti di noi condividono, al di là dei dettagli e delle antipatie personali, non bisogna “chiudere” e porsi in un atteggiamento di superiorità, io ho la Cultura della montagna tu no e quindi taci, ma perseguire una politica delle alleanze anche verso chi appartiene a culture diverse, non tutte ovviamente. Non si tratta di essere ecumenici ma realisti. E una politica delle alleanze richiede un po’ di tolleranza e di compromesso e anche un po’ di umiltà. Insomma per portare a casa qualcosa e non solo strillare alla luna bisogna costruire ponti e non muri. Siamo sempre lì, vecchi temi che hanno tormentato almeno due generazioni, ma forse sarebbe il caso di coinvolgere e lasciare spazio a chi è oggi è protagonista in prima fila e meno condizionato dalle delusioni del passato. 

  120. 59
    alessandro biffignandi says:

    Crovella hai rotto i coglioni!! la patente dovrebbe essere obbligatoria ma per scrivere qui, così magari si leggerebbero un po’ meno cazzate! le tue paternali risultano stucchevoli e i tuoi auspici circa divieti e brevetti imposti per legge sono un puro rigurgito di fascismo; la montagna è libertà e lo sarà sempre.. non avrete mai ne gli uomini ne i mezzi per controllare tutti gli accessi.. se Dio vuole il territorio alpino è grande, immenso e il corpo forestale dello stato piccolo piccolo.. rassegnati, continueremo ad andar per monti come, quando e con chi ci pare; adesso vatti a rintanare in qualchè grigio caffè Torinese e smetti di ammorbarci con la tua retorica da ventennio

  121. 58
    Carlo Crovella says:

    E’ proprio quel valore non solo astratto, ma addirittura immateriale, che chi lo “riconosce” chiama “cultura della montagna”, a rendere l’alpinismo qualcosa di più di un semplice sport e, anzi, lo fa diventare “magico”. Chi percepisce tale valore immateriale constaterà che l’alpinismo (inteso come “andar in montagna” nelle sue mille sfaccettature) lo accompagnerà per tutta l’esistenza, modellandosi alle diverse esigenze anagrafiche. Non è una mia scoperta, fior di alpinisti di spicco del passato hanno focalizzato lucidamente questo concetto (da Gervasutti a Mila, per citare i primi che mi vengono in mente).
     
    Chi invece (per le più disparate ragioni) non riesce a percepire l’esistenza della cultura della montagna, per reazione ne nega l’esistenza stessa. Credo che lo spartiacque con i cannibali sia proprio sul questo tema. Così facendo costoro svuotano l’attività alpinistica di ogni valore “elevato” e la riducono a un semplice sport, come correre in un parco cittadino. Lo sport, qualsiasi sport, dopo un po’ annoia, o almeno perde di mordente: ciò accade quando ci si accorge che non si riesce più a migliorare (che sia nel dislivello o nella difficoltà superata o in qualsiasi altro risvolto “misurabile”). L’alpinismo intriso di cultura della montagna non annoierà mai, perché ha radici intime così profonde che te lo porti dietro in ogni età.
     
    Poveretti, dico io, quelli che non vedono neppure l’esistenza della cultura della montagna: poveri di spirito, intendo, e li compatisco perché vanno in montagna in modo “animalesco”, mettono semplicemente un piede davanti all’altro (o una mano più in alto dell’altra su roccia), magarti lo fanno a ritmi forsennati, ma senza godere di quella componente che, invece, è la vera ricchezza esistenziale dell’alpinismo. Tutto questo può maturare anche a livello intermedio di difficoltà: non è necessario essere dei campioni.
     
    Però qui il punto non è neppure questo. Fin qui ognuno sia libero di fare quello che vuole. Certo la scuola (scuola di pensiero prima ancora che scuola tecnica) cui appartengo da che sono nato,  insegna, da oltre 70 anni consecutivamente, l’approccio ai monti dove la cosiddetta “cultura della montagna” è il perno centrale della trasmissione didattica. Prima delle singole nozioni, prima delle performance tecniche. Non è l’unica scuola di montagna che abbia tale impostazione, anzi (la maggior parte delle Scuole CAI, specie se “grandi” e blasonate, hanno tale impostazione). Sicuramente noi l’abbiamo, e, siccome ci crediamo, non possiamo che esprimerci in modo sempre coerente con tale impostazione.
     
    Ma, come ho già accennato, il punto in gioco, all’attuale livello delle cose, non è l’opinione degli alpinisti, né quelli “vecchi” come me né i giovincelli ultimo grido. Infatti a concretizzare eventuali decisioni di contingentamento (nelle diverse modalità, non le sto a ripetere) non sono gli alpinisti, ma i soggetti che occupano le posizioni di potere e di responsabilità: sindaci, Presidenti di regione (e loro assessori), parlamentari (in eventuale sede legislativa), magistrati (ai vari livelli, teoricamente fino alla Cassazione, nell’ipotetico caso di situazioni che dovessero arrivare fino agli “ermellini”). Questi sono i soggetti che prendono le decisioni. Molto spesso (quasi sempre) questi soggetti NON sono alpinisti, magari le montagne non le hanno mai viste, neppure col binocolo.
     
    Ebbene: credete forse che l’opinione della platea degli alpinisti conti qualcosa? Forse in modo “indiretto” (cioè come elettori e/o consumatori che portano profitto a chi elegge le cariche…, però con collegamenti lunghi e vischiosi), ma non contano assolutamente nulla in termini “diretti” e immediati.
     
    Un  qualsiasi esempio? Eccolo: quando il sindaco di St. Gervais (comune presso Chamonix, nel cui territorio transita la via normale al Bianco per il Gouter) ha deliberato il numero chiuso (con la prenotazione obbligatoria in rifugio) e il divieto di bivacco su tutto il territorio (compresa la vetta del Bianco), ha forse fatto un referendum fra gli alpinisti?
     
    Ma…’sto pesce! Ha deliberato e basta e, fuori dall’arrivo del trenino della Tete Rouge, ha messo i gendarmi della Brigate Blanche. Ti chiedevano l’attestato della prenotazione in rifugio. Se l’avevi, ti lasciavano passare.  Se non l’avevi, non ti lasciavano passare (parlo al passato perché tale norma era in vigore ed è scaduta, vedremo questa estate se la ripristinerà o meno: io temo di sì). Se per caso non avete idea della rudezza di comportamento dei “gendarmi” francesi, guardate i servizi in TV sui respingimenti alla frontiera italo-francese di Ventimiglia.
     
    Per evitare di finire nelle eventuali maglie di meccanismi del genere, dobbiamo concretizzare qualcosa che mitighi la propensione al rischio oggi cumulativamente espressa dalla comunità degli alpinisti (intesta in senso lato). Può essere riportare in auge la “cultura dell’alpinismo” (marginalizzando, quindi, chi non vi si riconosce e sperando che si dedichi ad altro), oppure può essere una qualsiasi altra opzione, ma non possiamo restare fermi ad assistere passivamente al trend in essere, sennò a farci rispettare le (eventuali) regole ci penseranno i “gendarmi”.

  122. 57
    Roberto Pasini says:

    Riki. L’andare in montagna riflette le tendenze delle culture più generali presenti in una determinata società in un determinato tempo. A mio parere oggi nel nostro paese prevale una cultura di tipo protezionistico, con forti critiche diffuse ad ogni ipotesi “liberista”. È proprio su questo sono caduti i vari Renzi, al di là dei loro problemi caratteriali. C’è però da dire che da noi è molto diffusa anche una cultura del compromesso e delle convergenze parallele. Molti italiani vorrebbero essere svedesi durante la settimana e californiani nel weekend. In altri termini beccarsi il meglio senza pagare troppi prezzi: liberta’ e sicurezza garantita, niente lacci e lacciuoli, però servizi di alto livello gratis nel momento del bisogno,  tutto nello stesso pacco dono natalizio. Illusione, dolce chimera sei tu o inveterata furbizia ? Da qui nascono le oscillazioni continue delle politiche anche sulle sulle cose di montagna: ogni tanto e su certe cose, liberi tutti poi invece ogni tanto e su altre cose lacci e lacciuoli. Qui dove sono io i comuni vorrebbero i cinque milioni annuali di dotazione del Parco esteso di Portofino, però senza vincoli e controlli ambientali che potrebbero infastidire gli elettori e andiamo aventi così da due anni tra ricorsi e sentenze. È il suo bello come dicono a Milano, che determina l’immobilismo delle istituzioni perché le azioni si bilanciano e rende sempre molto difficile fare ipotesi di come si orienterà l’oscillante consenso della maggioranza.  Io penso comunque che ogni ipotesi di creare aree “sprotette”senza soccorso e “scomode” non abbia alcuna probabilità di avere un ampio consenso e sia destinata a rimanere una proposta eccentrica di pochi. È probabile che il frequentatore medio che è anche l’elettore medio dica : “Non vuoi protezione e comodità. Non usarle e fatti li ca@@i tua”. Come avviene su certe vie spittate. 

  123. 56
    Umberto says:

    Personalmente ritengo che la serie di commenti evolutasi a seguito di questo articolo abbia evidenziato come la “cultura” della montagna segua punti di vista generazionali e di trend del tutto leciti se adeguatamente contestualizzati.
    Diversamente, ritengo sia invece presente una deficienza in termini di conoscenza. Determinate regole come qualcuno, giustamente, ha portato ad esempio (vedi orari di partenza per la salita di una scialpinistica)  spesso si sposano con la cultura di una montagna agonistica basata sulle conoscenze di un terreno più addomesticato in netto contrasto con i parametri da osservare in un contesto più “ostile”, spesso dovuti alla traslazione da uno sport ad un altro senza prima aver approfondito le regole di base. Qui un primo problema.
    Altro grande dramma, dal mio punto di vista, è la direzione imboccata dalla società verso una presa di posizione caratterizzata da un fenomeno di iperprotezione, probabilmente dovuto da un’eccessiva speculazione mediatica. Aspetto che, inevitabilmente, si rivela controproducente se non addirittura più pericoloso (divieti, regole emanate dalle istituzioni, patentini, ecc.).
    Inoltre, ad oggi si è portati a credere di avere il controllo su tutto, di essere protetti in ogni dove ma, non è così. L’efficienza dei soccorsi diviene poi un’arma a doppio taglio. La consapevolezza, anche inconscia, di sapere che se mi trovo in difficoltà qualcuno mi viene a recuperare porta inevitabilmente ad un’errata percezione del rischio, così come il possedere attrezzature all’avanguardia e condizioni fisiche degne di un atleta professionista senza conoscerne i limiti e senza tenere in considerazione le possibili interazioni e mutazioni dell’ambiente circostante.
    La formazione si è importante ma, attenzione al formatore. Diverse volte mi è capitato di assistere a corsi CAI o di trovarmi lungo la “strada” delle gite CAI e dover temere per la mia incolumità a seguito di alcune loro azioni (non è mia intenzione offendere nessuno e nemmeno generalizzare sul CAI che molto spesso esegue attività esemplari). Lo stesso dicasi per alcune guide…
    Aggiungerei inoltre, il fattore social che mostra l’aspetto ludico e piacevole e cela tutto ciò che lo precede (chi lo ha fatto? Sulla base di quale valutazione? Che preparazione aveva? Quali conoscenze di quel territorio?), invitando coloro che, definite “cannibali” ad intraprendere percorsi fuori dalla loro portata. È corretto dire che la montagna è di tutti ma, sarebbe bene specificare che essa non è per tutti.
    Per concludere ritengo che discutere su un aspetto culturale sia fuorviante e fine a se stesso. Questo è un aspetto sociologico che varia in funzione del propria “casta” di appartenenza. Io ad esempio sono cresciuto in montagna con gli insegnamenti di mio padre, tramandati da mio nonno, molti dei quali rasentano “l’esoterismo” (ad esempio: non si beve fino a che non si arriva in cima altrimenti ti appesantisci e non cammini più. Non si va in montagna nei giorni delle festività perché ci si fa male) che, nel mio percorso li ho analizzati e riadattati poi con l’esperienza maturata passo passo.
    Mi hanno insegnato che in montagna devi avere tutto il necessario per poter affrontare qualsiasi situazione (ma devi saper scegliere cosa portare, poiché se porti tutto diviene controproducente), mi hanno insegnato che devo conoscere e saper giudicare il terreno, che devi sempre avere una mappa e saperla leggere, che se ti vengono a recuperare per sciocchezze è un onta che difficilmente verrà dimenticata e così via.
     

  124. 55
    okabe says:

    Riky for president!!!!
    condivido al 100%

  125. 54
    riky says:

    Roberto 
    osservazioni molto pertinenti e apprezzate le tue. La soluzione (mia) è piuttosto talebana: l’unica “cultura” che conosco è quella del rispetto della natura. E per me rispetto vuol dire che meno si tocca, meglio è. L’essere umano è una sorta di moderno Attila, le olimpiadi di Cortina ne sono esempio (mentre scrivo mi è sorto spontaneo un neologismo: ESCEMPIO, ma non perdiamoci). In tutto ciò gli aspetti culturali che andrei a stimolare sono quelli di definizione di ciò che si chiama “spazio o terreno di avventura” e della sua assoluta tutela, nei micro e nei macrocomportamenti. E con macro intendo cementificazione, di cui neanche voglio parlare.. I terreni d’avventura dovrebbero essere luoghi in cui l’essere umano ha diritto di transito e azione (trekking, arrampicata, quello che vuoi), ma in cui deve essere conscio del fatto che da li in poi sono cazzi suoi, anche nei confronti del partner. Scusate il tecnicismo legale, ma la chiarezza è importante. Facciamo un esempio di un posto X.  Finite le zone antropizzate, parte il terreno d’avventura, dove ognuno è responsabile delle sue azioni (nel senso: se si perde, affari suoi. Se il chiodo non tiene… affari suoi. Se viene una valanga… affari suoi. Se sceglie il socio sbagliato… come sopra!), deve rispettare la natura (no caccia, no fuochi, no raccogliere genepì, no spazzatura etc, cose normali) e deve vivere la sua avventura come meglio crede. punto. Sapendo di essere unico responsabile delle sue azioni, e senza speranza legale di potersi rivalere su persone o enti giuridici (altro aspetto importante parlando di cultura!). Il soccorso (almeno il tentativo) deve essere garantito (ricordo a tutti che il costo del calcetto per il ssn è infinitamente maggiore di quello del soccorso alpino, sia in termini assoluti che relativi al numero di praticanti, e anche se a me sta sulle scatole il pallone, non grido allo scandalo per i 150.000 infortuni da pronto soccorso annui nei campi da calcetto e che gravano sul SSN!).  Che ne pensate?\

  126. 53
    Riva Guido says:

    L’escursionista e l’escursionismo, come l’alpinista e l’alpinismo, non sono cose astratte perché la montagna è la continuazione della pianura. Chi è pirla giù in città è pirla dappertutto e ovunque frequenta esclusivamente i suoi simili perché diversamente si sentirebbe a disagio.

  127. 52
    Roberto Pasini says:

    Riki. Se per cultura intendiamo come da manuale valori, modelli mentali e riti (a prescindere da una valutazione etica o estetica) quelli che tu hai espresso sono pezzi di “una” cultura  della montagna. Di solito in ogni epoca c’è una cultura dominante e delle varianti di minoranza. Quando ho iniziato, negli anni ‘70, le culture dell’andare per monti sulla piazza erano meno numerose. Oggi mi sembra che la forte differenziazione delle varie attività abbia moltiplicato e frammentato le culture e non ci sia una Cultura dominante, ma varie “sottoculture” che convivono, a volte in competizione/conflitto. Di solito chi è cresciuto in una cultura tende a giudicare le altre come “non culture”.  In realtà esistono e hanno una loro logica anche se ci può sembrare estranea e lunare. Poi c’è il secondo corno della questione: c’è una responsabilità maggiore di alcune culture rispetto ad altre nel generare i problemi ? Qui la faccenda diventa complicata e risente anche dei nostri pregiudizi e gusti. Ritengo che la “cultura della spiaggia” , portata in montagna e fomentata per loro tornaconto da molti operatori turistici e politici locali e nazionali,  abbia notevoli responsabilità rispetto ad alcuni fenomeni di degrado. Ma il problema principale penso sia il numero e su questo sono d’accordo con Crovella. Dove divergo è sulla strategia. Ma di questo abbiamo discusso già molte volte. La domanda è destinata ad aumentare, è un fenomeno che non si può ormai più contenere. Troppi interessi in ballo, soprattutto in zone che di turismo vivono.  La sfida è come la gestisci e certamente si tratta di una sfida che spaventa, soprattutto se non hai una cultura gestionale di grandi numeri diffusa sul territorio  (ce l’hai solo in alcune città) e hai a che fare con una cultura nazionale piuttosto refrattaria al rispetto delle regole. Però non ci sono alternative: qui si fa la Montagna del XXI secolo o si muore, ma a gestire il processo non sarà la mia generazione ne’ quella subito a ridosso. Per questo bisogna far parlare altre voci più fresche e meno zavorrate dal problema del “lascito”. 

  128. 51
    Matteo says:

    Francamente sono un po’ stufo di discorsi, categorizzazioni, profezie ed elucubrazioni che partono da “esempi numerici inventati”.
    Non credo sia un fondamento razionale o che possa condurre da qualche parte.
     
    Vorrei parlare partendo da fatti e numeri, non da un concetto indefinito (e indefinibile) come “cultura della montagna” o dai deliri di un assessore che probabilmente non è mai andato in montagna.

  129. 50
    Stefano says:

    Crovella: Però i primi a comprendere il nostro tornaconto in tutto ciò, dovremmo essere proprio noi alpinisti: se non si inverte il trend, c’è l’ipotesi (ipotesi, non la certezza) di strette d’autorità, che condizioneranno anche noi. In parole povere: se riusciamo a ridurre i cannibali in giro, avremo meno probabilità di strette anche a nostro danno. Se non ci arriviamo, quando saremo costretti in casa, ci starà solo bene .
     
    Le cose stanno così. Bisogna assolutamente invertire questo trend. E’ corretto che l’autorita’ con il tempo stringera’ sempre di piu’ gli accessi. 
    E solitamente poi si passa dalla parte opposta…prima tutti indiscriminatamente, poi proprio nessuno, anche quando si potrebbe. 
    Per esempio si passera’ da tutti vanno indipendentemente dal grado di allerta valanghe, a andrete se non c’è neve (faccio un esempio). Personalmente non vado mai quando le condizioni non sono altamente sicure (la certezza non c’è ovviamente). 
    D’altronde per quel che mi riguarda. Se arriviamo al secondo step, ci vado lo stesso e spero mi abbattano… vivere e non poter nemmeno andare a farmi una scarpinata in montagna non è vivere… è un lager …  
     
    Atra nota.. .Cla … riporta benissimo quello che è accaduto e quello che puo’ accadere… una volta sono stato ligio ai dettami ILLEGITTIMI imposti dall’autorita’ (tutti i giudici hanno archiviato le multe perchè i dcpm erano illegittimi…bastava conoscere un po’ di diritto che le nostre solerti FFOO e soccorritori volontari ovviamente ignorano, anche qui ci vorrebbe per loro un accurato esame di diritto con aggiornamenti) la prossima no signori….sparatemi che fate prima. 
     

  130. 49
    Giorgio Visconti says:

    A 3 anni di corso CAI è preferisco 3 anni di41 bis

  131. 48
    Carlo Crovella says:

    Anche entrando nella precisazioni di Pasini, non è l’età anagrafica la vera discriminante. Anzi, non c’entra proprio nulla. Conosco ragazzi che, oggi, hanno 20-30 anni e che fanno attività alpinistica molto intensa (stile quelli coinvolti nel progetto CAI Eagle Tean, anzi uno è proprio dentro al progetto). Nonostante l’età hanno una “testa” molto tradizionale, addirittura ante anni ’70. Eppure questo non impedisce a loro di essere la top tecnico.
     
    I cannibali non dipendano dall’età che hanno. E’ una loro condizione di default. Conosco cannibali che oggi hanno 20 anni e altri che, sempre oggi, ne hanno 70 e passa. I cannibali ci sono sempre stati, ma con una enorme differenza. Il numero assoluto degli accessi antropici è aumentato a dismisura rispetto a 30-40 anni fa, ma all’interno di tale aumento è aumentato in modo esagerato il numero dei cannibali. E’ questo il nocciolo del problema. Esempio numerico inventato per capirci. 40 anni fa: 1000 accessi annui, 50 di cannibali. Oggi 50.000 accessi annui  e 35-40.000 di cannibali. 
     
    Il fenomeno del consumismo si lega a stretto filo. I cannibali sono in genere attratti dal mondo magico e consumistico, cioè da cose tipo cucina stellata, impianti fino in alto, piscina jacuzzi ecc. Poi magari si scatenano e fanno 3000 m di dislivello in mezz’ora. Ma se chiudiamo le strade in basso, nessuno va più sul Breithorn. Se invece costruiamo addirittura una nuova mega funivia fin sul Piccolo Cervino (come sta avvenendo), avremo migliaia di persone al giorno (al giorno, non all’anno). Da lì, da una montagna “comodosa e consumistica”, deriva l’esplosione numerica dei cannibali, inoltre facilitata da attrezzatura tecnica molto più performante (e leggera) di 40 anni fa.
    Si potrebbe puntare a contenere il problema diffondendo una cultura sana dell’andar in montagna (oggetto delle riflessioni dell’articolo), che è il messaggio anche delle guide, almeno di quelle di cui è stato riportato il pensiero.
     
    Però i primi a comprendere il nostro tornaconto in tutto ciò, dovremmo essere proprio noi alpinisti: se non si inverte il trend, c’è l’ipotesi (ipotesi, non la certezza) di strette d’autorità, che condizioneranno anche noi. In parole povere: se riusciamo a ridurre i cannibali in giro, avremo meno probabilità di strette anche a nostro danno. Se non ci arriviamo, quando saremo costretti in casa, ci starà solo bene . 

  132. 47
    Riky says:

    molto bene, i miei due petardi.
    Primo: la cultura della montagna non esiste. Cos’è la cultura della montagna? Quella dell’andare piano per sentieri a ingolfarci di grassi insaturi nei rifugi?
    Un’alpinismo di ripetizione solo in situazioni controllate? Ma dai, l’esplorazione richiede coraggio, sprezzo del pericolo, chiama rischio e talvolta vittime. Inevitabilmente.
    Si scrivono libri epici e chi si approccia alla montagna li legge e vuole emulare e se possibile lasciare la sua traccia. Come? Ripetendo la Bonatti al Medale?
    Non credo… Tutti abbiamo fatto ca@@ate epocali e in molti siamo sopravvissuti. Quelli che sono morti sono dei cretini, quelli che ce l’hanno fatta sono degli eroi. È sempre stato così. Vae victis! Hansojorg Auer, per dirne una, se fosse morto sul Pesce cosa avremmo detto? E non diciamo cacchiate, lo avremmo appeso in croce! Fermatevi 30 secondi e ditemi di no, se avete il coraggio! E Honnold? 
    Quindi: cos’è la cultura della montagna? I rifugi? Le ripetizioni 2 gradi sotto il proprio livello? Quella dello Speck altoatesino? Quella schizofrenica di Messner che sfida la morte ma poi predica di sicurezza (perché a lui è andata bene, ai suoi cari un po’ meno), e parla di caccia, di lupi e di orsi che in Maiella stanno ancora ridendo di quante cacchiate ha detto? 
    Quella dei professionisti che vendono la “sicurezza” a 300  al giorno, cercando di terrorizzare il mondo per avere l’esclusiva?
    Quella di tanti istruttori cai che prodi del loro 5a da secondi portano la gente a fare vie?
    Nulla di male, ognuno porta acqua al suo mulino. Che macina soldi, non cultura. Dai, basta… Se non sono soldi sono interessi. Il cacciatore, la guida, il contadino, il gestore di impianto da sci e il pastore. La cultura della montagna quando va bene è sfruttamento controllato. Altre volte neanche…
    La cultura della montagna non c’è, e nessuno l’ha definita, Se ne parla come spauracchio ma chi ne parla non sa cosa sia. E non si rende conto delle contraddizioni. La montagna per chi la pratica nel tempo libero, per chi la ama è bella, inutile e affascinante, e tutti abbiamo il diritto i goderne come meglio crediamo (nel rispetto di alcune regole base, ovviamente! Tipo niente ferrate 😉 elicotteri e strumenti invasivi per addomesticarla).
    Chi arriva adesso ha tutto il diritto e anzi il dovere di andare e fare cacchiate (esplorazione, interiore ed esteriore) per monti. Qualcuno farà esperienza (cultura? mah), qualcuno abbandonerà, qualcuno morirà. Più sono, più grandi i numeri saranno, ma sempre proporzionali. E chi li rimprovera… sono solo dei vecchi rancorosi, o qualcuno che ha paura di perdere soldi,  o dei falsi perbenisti che non si ricordano (o forse neanche hanno capito) cos’hanno fatto e quante volte gli è andata bene per arrivare a raccontare quello che raccontano. 
    E di quanto è bella la sensazione di sfidare l’ignoto, di sbagliare e magari poi farcela anziché pagare per fare i compitini di scuola… ma il suo prezzo è alto!
     

  133. 46
    Roberto Pasini says:

    Delle cause e dell’andamento degli incidenti in montagna abbiamo già parlato e abbiamo visto che la risposta non è semplice ma richiede discorsi articolati e differenziati, ad esempio per escursionismo, sci-alpinismo, arrampicata indoor e outdoor, cascate, misto …Qui il tema, indotto anche dal titolo un po’ troppo ad effetto, è la mancanza di cultura della montagna come fenomeno dei nostri giorni. La mia reazione è : un momento, fermi, dipende: ci sono delle aree della frequentazione montana dove certamente questo è vero, anche se io userei forse più la parola conoscenza che cultura, e delle aree dove invece a me pare emergano frammenti di una cultura diversa da quella tradizionale (tradizionale anni ‘70). A mio parere mettere tutto insieme e generalizzare ricercando una causa unica, non fa un buon servizio alla comprensione della realtà e ad un approccio pragmatico e non ideologico alla risoluzione dei problemi. 

  134. 45
    Cla says:

    Benassi :
    non serve essere provocatori, quella dei soccorritori sguinzagliati a pattugliare i sentieri nel periodo di confinamento è stata una squallida realtà, realtà che potrebbe ripetersi, che ne so magari chiedendo proprio il famoso patentino per portare a spasso gli scarponi. Come ho detto prima gli sbirri più bravi sono i vicini di casa. 

  135. 44
    Carlo says:

    36, lo affermo in base al tipo di soccorso richiesto, in base al tipo di offerta che propongono i rifugi. mi pare evidente che si sia persa consapevolezza quando si chiama aiuto perché si ha freddo o si è stanchi (e sono la maggioranza del soccorso avvenuto) o quando si chiede lo spaghetto all’astice. Generalizzare è scorretto, ma credo che saranno queste mancanze a far scattare le manette o, peggio, le patenti

  136. 43
    marco vegetti says:

    41 Crovella.  Poi muoiono sotto una valanga tre guide alpine e immediatamente diventa “fatalità”… Bravo l’assessore, la cui frase più indicativa è “soccorsi costosi” come se pagasse lui… 

  137. 42
    Carlo says:

    Ma se sono solo il numero delle persone a far scattare le “manette” ….chiudiamo scuole cai e guide alpine a pelar patate

  138. 41
    Carlo Crovella says:

    Non c’entra nulla il confronto fra mentalità alpinistica “vecchia” e mentalità “nuova”.
    C’entra che oggi, purtroppo, è incontenibile il numero di gente che va in montagna “ad minkiam”. E’ irrilevante la loro età anagrafica.
    Il problema NON è che tale trend infastidisce i “vecchi scarpun” come me o certe guide alpine, ma che sta espasperando le autorità competenti, le quali stanno iniziando, sempre più numerose, a esprimersi in modo molto critico verso questo modo di andare in montagna (vedi, sotto, il tweet dell’Assessore aostano dopo la valanga di aprile, con due morti in un giorno con bollettino che, in quella precisa zona, dava rischio valanghe 4 su 5).
    Per le autorità non è una questione ideologica sulla “visione” della montagna, ma è una questione di loro responsabilità. Se il trend non si inverte, prima o poi la società sicuritaria, proprio per la sua stessa natura, interverrà d’autorità, o imponendo nei divieti/numeri chiusi/contingentamenti o creando forme di scrematura qualitativa su chi accede alle montagna, con accertamenti attraverso valutazioni e successivi attestati (che possiamo chiamare genericamente “patenti”).
    Se si dovesse arrivare a tali decisioni, non c’entra nulla la visione ideologica dell’alpinista tizio o dell’alpinista caio, invece c’entra che le norme saranno coercitive per tutti e imposte da autorità legittimate a farlo.
    Non è un mio auspicio, ma una amara previsione sul futuro.
     
    Tweet dell’assessore aostano
    @LucianoCaveri
    2 aprile 2023
    È sconcertante che ci siano scialpinisti che disattendono i bollettini che indicano pericolo, esponendo i soccorritori a rischi per salvataggi assai costosi per la comunità, spesso purtroppo solo per recuperare le salme di chi è stato vittima della propria imprudenza

  139. 40
    Roberto Pasini says:

    Sarebbe interessante ad esempio andare in una palestra indoor e in una falesia e fare un po’ di interviste. Così come far parlare quelli di una scuola Cai o quelli del progetto speciale Cai e vedere cosa viene fuori. Se parliamo sempre noi, dove intendo quelli che appartengono ai boomer e alla generazione X alla fine diciamo sempre le stesse cose e rischiamo l’effetto “Pianto antico”. Io per vari motivi non posso farlo ma magari a qualcuno potrebbe dedicare del tempo. Sarebbe un bel contributo, però senza “filtrare” ma riportando le opinioni originali. 

  140. 39
    Riky says:

    anziché sfilacciarci lo scroto con i vostri battibecchi su chi era più sbirro durante i lockdown… andiamo avanti nella discussione

  141. 38
    Carlo says:

    Trovo curioso l’affermazione di Barmasse quando dice che le guide sono istruite male….ovviamente non quelle che istruisce lui. Cultura, si certo, ma quale miglior maestra se non la montagna? Sulla Dibona alla grande arrampicano uno sull’altro, nelle Pale di San Lucano ci va ….Gogna e pochi altri… Eppure ci sono vie di pari sviluppo e difficoltà… solo che una ha avvicinamento di mezz’ora e l’altra 500mt di zoccolo . Possiamo sempre scegliere

  142. 37
    marco vegetti says:

    27 Riky – Mi associo: e come lui vi chiedo, non date risposte scontate. Comunque sia, se la montagna è luogo di libertà, beh scusatemi la mia cultura della montagna vale quella di chiunque altro, famoso o meno…

  143. 36
    Roberto Pasini says:

    Carlo. Sulla base di cosa diciamo che la consapevolezza di cui parli si è persa nei nuovi “adepti” ? Forse sarebbe il caso, come sempre,  di non generalizzare e di mantenere attenzione alle distinzioni. Ripeto che diversità di valori e di modelli non significa necessariamente mancanza. 

  144. 35
    Alberto Benassi says:

    34 Cla
    Ti piace fare il provocatore??
    Sei cascato male, cane da guardia ci sarai te.
     
     
     

  145. 34
    Cla says:

    Si Benassi, se fai parte di quei paraculi del Socc. Alp. Che nel marzo/aprile 2020 erano in giro a fare i cani da guardia, sicuramente eri in montagna. Ma dalla parte degli sbirri! 

  146. 33
    Giuseppe Penotti says:

    25. Cla.

    mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. 

    Io giravo bellamente in montagna senza alcun problema.
    Comunque c’era anche chi era confinato in una casa da 45 mq. Quindi ritieniti più fortunato di altri.

  147. 32
    Alberto Benassi says:

    dice barmasse “manca la cultura della montagna”. Benissimo. ora la domanda: qual’è la cultura della montagna? Attendo risposte non scontate

    chidilo a Barmasse, lui sicuramente ne ha tanta.

  148. 31
    Cla says:

    Ci sono sbirri e sbirri: gli sbirri migliori sono sempre i vicini di casa! 

  149. 30
    Alberto Benassi says:

    17, 22, 23…mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino.

    e chi te la detto che non ci fossimo in montagna…?

  150. 29
    Carlo says:

    La commistione classico moderno proposta intetessantemente dal Pasini mi fa tornare quanto letto nel Fortissimo: gervasutti ha cominciato per primo sui ghiacciai ad usare quelle che sarebbero diventate le vibram , quando incrociava guide che stavano salendo lo rimproveravano per l’uso a loro giudizio sconsiderato di tali calzature, lui rispose “ma vado lo stesso”. Questo per dire che ogni generazione ha il suo modo di andar per monti e di usare le novità, ma quello che stiamo smarrendo è la consapevolezza del perché ci fa star bene andare al monte, di alzarsi letteralmente dal quotidiano. Anche andare in una pineta fa medicamente bene, ma andare al monte lo fa prima e meglio, anche se la scienza non ha ancora ben capito perché. Resta il fatto che dovremo sapere che mantenere un ambiente naturale …naturale, è egoisticamente un nostro interesse

  151. 28
    Matteo says:

    “mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. “
    Pensa te che io non avevo nemmeno il giardino…
    comunque non me ne stavo chiuso in casa: ogni giorno, per almeno un paio d’ore ho fatto lunghi giri in bicicletta, giocando a guardie e ladri con gli sbirri. 
     
    “Non è che ora noi invecchiando ripetiamo lo stesso schema?”
    Alcuni di certo.
    Altri un po’ meno o almeno cercano di capire. Come faceva Cassin, quando diceva “peccato non avere più vent’anni” palando del free climbing e delle gare.
     
    Non bisogna mai fare di tutte le erbe un fascio.

  152. 27
    Riky says:

    dice barmasse “manca la cultura della montagna”. Benissimo. ora la domanda: qual’è la cultura della montagna? Attendo risposte non scontate

  153. 26
    Cla says:

    Senza mascherine e senza greenpass ovviamente! 

  154. 25
    Cla says:

    17, 22, 23…mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. 

  155. 24
    Roberto Pasini says:

    Vedo che giriamo intorno sempre allo stesso punto e allora ripropongo alla discussione una domanda che mi pongo spesso. Sicuramente troviamo in giro persone senza cultura dell’andare per monti. Quelli che Crovella chiama i cannibali. Improvvisati e a volte pure irresponsabili. Tuttavia ci sono in giro anche persone che forse si ispirano ad una cultura della montagna diversa da quella diciamo classica, dove per classica non intendo quella anni 30 ma quella che si è venuta affermando dagli anni ‘70, un misto di tradizione e modernità, nella quale si sono formati molti di noi. Non sarebbe forse il caso di non mettere tutto insieme e di non confondere diversità con mancanza ? Mi spiego con un esempio. Sono cresciuto in un’epoca di transizione. Nella scuola di roccia e ghiaccio che ho frequentato erano presenti due culture, quella classica (davvero classica) e quella che stava muovendo i primi passi. La divisione era chiaramente presente tra gli stessi istruttori e si trasferiva anche a noi allievi. Ricordo molto bene cosa dicevano i “classici” dei “moderni” e dei valori, visioni e modelli di comportamento a cui si rifacevano questi ultimi. Non è che ora noi invecchiando ripetiamo lo stesso schema? In ogni caso forse, come qualcuno ha proposto in modo un po’ provocatorio, non sarebbe il caso di dare più voce a questi nuovi segmenti? Così tanto per conoscere, prima di giudicare e poi magari essere smentiti dall’inevitabile evoluzione delle culture, che non è sempre solo involuzione, anche se a volte lo è, innegabilmente. Aggiungo anche che pure in altri campi, mi è capitato di vedere ex alfieri della modernità diventare più consevatori di quelli che sono nati conservatori. Sarà un processo inevitabile dell’evoluzione individuale? Non ne sono convinto, anche se molti indizi, studiando in po’ la storia delle culture sembrano andare in questa direzione. 

  156. 23
    Alberto Benassi says:

    Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.Venitemi a prendere.

    io il terzo!!
    Sarebbe divertente giocare a guardie e ladri con Crovella in divisa, alla Aldo Fabrizi, che c’insegue.

  157. 22
    Matteo says:

    “Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.
    Venitemi a prendere.”
    E io il secondo…magari ti becco! 🙂

  158. 21
    GognaBlog says:

    #20, vero Placido. Abbiamo provveduto a mettere un sottotitolo dove necessario. Grazie della collaborazione.

  159. 20
    Placido Mastronzo says:

    Redazione al #15: grazie per la precisazione, e le mie scuse a Crovella per avergli erroneamente attribuito l’uso capzioso delle citazioni.
     
    Se posso, faccio però notare che è impossibile capire che una parte dell’articolo non è stata scritta da Crovella.

  160. 19
    Riva Guido says:

    @ Cla all’8. La spiegazione la puoi leggere nel post Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022 al commento 32 a cura di lorenzo merlo.

  161. 18
    Luciano Regattin says:

    Domanda alla redazione.
    Premesso che sto ancora aspettando le risposte di Crovella alle mie domande sulla stesso argomento (post di qualche tempo fa), di conseguenza non entrerò nel merito del contenuto. Possibile che invece della solita brodaglia indigeribile e riscaldata enne volte e preparata da un boomer che ripete da anni le stesse identiche cose (molte delle quali irrealizzabili, vedi patentino), non si possa pescare dal web qualche lettura più interessante possibilmente frutto di qualcuno della nuova generazione. Ci sono molti giovani alpinisti che scrivono testi dai contenuti cento volte più interessanti di quello proposto oggi e probabilmente anche loro non sarebbe dispiaciuti di avere maggiore visibilità, ne guadagnerebbero tutti.
    Poi se i lettori del blog si sentono più a loro agio a commentare sempre le solite assurde fregnacce di Crovella, allora alzo le mani e mi arrendo.

  162. 17
    Paolo Gallese says:

    Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.
    Venitemi a prendere.

  163. 16
    Claudine J. says:

    Informons, formons, OUI
    Patente, NON.
    Sinon,  patente pour toute activité en montagne, même pour une petite promenade  !
    Ridicule !

  164. 15
    GognaBlog says:

    #13 Placido Mastronzo. I commenti delle GA Azzalea, Barmasse e Cesa Bianchi sono stati aggiunti dalla Redazione NON per corroborare la tesi di Crovella al riguardo delle “patenti” (è notorio che la Redazione non è d’accordo con questa idea), bensì per sottolineare quanto il problema sia grande e “sentito”, al di là delle problematiche interne delle guide.

  165. 14
    Valentino Cividini says:

    Molte cose correte e in parte vere. La patente no! Se mettono la patente non sarà più la montagna che conosco quell’ambiente Anarchico dove serve sale in zucca ed esperienza e sbatterci la testa e tornare e brigare per imparare. In ogni modo bisogna investire sulla formazione della cultura montana. E si le guide dovrebbero guardare un po’ di più al piede alpino e ad una corposa attività e non troppo al grado. Non sono d’accordo sull’accessibilità più semplice alle montagne. Dipende sempre dove vai. Accessibili sono quegli ambienti addomesticati. Dove da sempre ti ritrovi il genio che vuol salire il bianco con le tennis dopo aver preso la funivia ma dove ci sono ore di avvicinamento con passo da atleta e zero punti di appoggio io vedo mica tanta gente ..

  166. 13
    Placido Mastronzo says:

    Crovella da un lato continua ad affermare che la “famosa patente non è un elemento che lo fa gioire”, ma al contempo non perde occasione per scrivere articoli dove rimarca che l’unica strada sarebbe quella della patente.
    Delle due l’una.
    Inoltre, come già detto da altri, “usa” i commenti delle GA Azzalea, Barmasse e Cesa Bianchi (tra l’altro senza citarne la fonte, che è un articolo pubblicato su lastampa.it) per corroborare la propria tesi, quando è invece evidente che detti commenti si riferiscono alla situazione interna delle guide.
    Personalmente sono assolutamente convinto dell’importanza dell’educazione e dell’esperienza, così come sono assolutamente convinto della nocività di un patentino obbligatorio.

  167. 12
    Placido Mastronzo says:

    Raffaella al #10 scrive:

    Cominciamo col far pagare gli interventi del soccorso quando non veramente necessari, qualcuno ci penserebbe forse due volte prima di scegliere l’uscita della domenica.

    Raffaella, sei male informata.
    Il costo degli interventi che richiedono un ricovero in PS o in ospedale sono interamente a carico del SSN (con delle eccezioni: alcune regioni chiedono comunque un contributo).
    Il costo degli interventi che NON richiedono ricovero in PS o in ospedale sono a carico dei recuperati. Ogni regione o PA ha le sue tabelle di costo.
    Rimando a questo ottimo articolo per tutti i dettagli:
    https://alpinismofiorentino.caifirenze.it/2020/11/soccorso-alpino-quanto-costi/

  168. 11
    Stefano says:

    Raffaella for president.!

  169. 10
    Raffaella says:

    Il Cai è da sempre associazione politica e si è sempre venduto alle mode (vedi cambio di linea, anni fa, sulle mountain bike). Non credo che possano davvero fare la differenza: scrivono tesi e documenti, ma quando si tratta di mettersi davvero di traverso di fronte ad evidenti violazioni dell’etica di base, spesso stanno a guardare.
    Cominciamo col far pagare gli interventi del soccorso quando non veramente necessari, qualcuno ci penserebbe forse due volte prima di scegliere l’uscita della domenica.

  170. 9
    Stefano says:

    Direi bravo Crovella ad aver individuato il problema, ottimo Benassi sulla soluzione. 
    Si impara in montagna ANDANDOCI. 
    E non è questione di corso o meno.. .tu puoi fare tutti i corsi che vuoi e poi non applichi un fico secco… E’ questione di materia grigia…o ce l’hai o non ce l’hai.
    Mai fatto un corso, sempre andato da solo (o quasi) mai successo niente. Quando ero con altri anche esperti sono sempre sorti casini…
    Valuto tutto, meteo con sole o nubi, temperature, stagione, esposizione della parete, presenza di nevicate nei giorni precedenti e temperature dei gg precedenti, stato fisico mio…
    Una guida per fare escursione??? ma non siamo mica paraplegici.. camminare è la cosa piu’ istintiva che ci sia..
     

  171. 8
    Cla says:

    Perché se una cosa viene trasmessa, cioè insegnata, non è più esperienza. 

  172. 7
    Riva Guido says:

    @ Alberto al 6. Perchè “L’esperienza non è trasmissibile”.

  173. 6
    Alberto Benassi says:

    a sapersela cavare sempre e comunque

    Mi domando come si fa ad insegnare questo???
    Questo lo s’impara da soli, sulla propria pelle. Non te lo può insegnare nessuno.
    E’ questo il messaggio che dovrebbe passare.

  174. 5
    Marco Luca Righini says:

    D’accordo, ci vuole formazione.
    Utili le scuole, le uscite con le guide o con persone esperte, ma alla “maturità” alpinistica ci si avvicina con l’attività personale. Provi, sbagli, torni indietro, impari dagli errori, cresci. 
    Sono contrario all’idea di una “patente” alpinistica (che potrà al più certificare la conoscenza di nozioni e tecniche) perchè per me montagna è sinonimo di libertà.
    È vero, la tecnologia ha semplificato l’approccio all’ambiente, ma alla fine sono la disponibilità alla fatica e l’accettazione di un lungo percorso di crescita a operare la selezione. 
    Puntiamo sulla responsabilità personale, meno sui regolamenti e proviamo a guardare avanti.
     

  175. 4
    Luciano Regattin says:

    Per quanto tempo ancora dovremo leggere queste fregnacce crovelliane? Cosa ci azzecchi poi il suo commento con le considerazioni successive, dove si parla, senza alcun approfondimento, di guide alpine, è inspiegabile.

  176. 3
    Luca says:

    Purtroppo è accessibile a tutti per questione economica così si rovina la bellezza della maestosa montagna aime

  177. 2
    Carlo says:

    Articolo interessante, condivisibile e con presa di coscienza. Si cita l’italianità del rapporto col monte, mi sorge la curiosità di sapere l’approccio degli altri paesi alpini. Come funzionano i corsi “cai”? E il “sentire popolare” è molto diverso dal nostro? Nell’articolo si cita una certa propensione ad esagerare da parte delle guide francesi, in Slovenja ed austria mi par di vedere un approccio meno performante da parte delle guide. Se ne vedono molte, molte in età, accompagnare persone anche su facili percorsi. Credo che anche le tariffe siano più bassi. ( Via bomber al triglav 200 euro per le guide slovene studlgrat al  gran campanaro 300 per quelle carinziane,  mentre per la breve grande di lavaredo mi pare si chieda 400 da parte italiana. Forse è anche per questo che i clienti chiedono di più alle guide??
     

  178. 1
    bruno telleschi says:

     
    Purtroppo l’unica foto a corredo dell’articolo mostra due vandali in bicicletta sul sentiero della montagna. Il sole dell’avvenire che appare radioso all’orizzonte illumina proprio quel mondo dell’artificio e della tecnica  che giustamente Crovella deplora.

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