Fisici molto allenati, attrezzatura al top e tecnica da campioni. Ma non basta se, come dice Hervé Barmasse, «manca la radice, l’identità, la cultura della montagna».
Manca la cultura della montagna
di Carlo Crovella
Sono almeno dieci anni (contati per difetto) che metto in guardia da questo pericolo: la montagna diventata come il Circo Barnum. L’aspetto circense non è costituito soltanto dagli aperitivi con cubiste o dalle gite in motoslitta con cena notturna in baita.
Anche l’azione sul terreno è permeata da una gran confusione. Il nettissimo salto di qualità dell’attrezzatura, sotto il profilo tecnologico, è uno dei cavalli di Troia di questo fenomeno. Gli altri due sono l’elevato livello di allenamento atletico e la possibilità di provarsi, sul piano delle tecnica arrampicatoria/sciistica, in contesti addomesticati, se non addirittura completamente artificiali.
Insomma: è troppo facile accedere ai monti. Il Circo Barnum si è innescato proprio perché si sono abbassate le barriere di ingresso al mondo della montagna. Le barriere di accesso non sono di tipo economico, ma di facilità nella fruizione. La montagna è ormai troppo comoda, come un avvolgente divano in salotto. Però non si sta sdraiati nel salotto di casa, ma ci si muove in ambiente, dove il contesto non è quello del salotto: anzi, l’ambiente si è ulteriormente ”incattivito” per le conseguenze del generale cambiamento climatico (ghiacciai più tormentati, pareti che crollano, manto nevoso più instabile…).
L’abbattimento della barriere di ingresso, e conseguente Circo Barnum sui monti, è favorito da un fattore dominante: gli “sghei”. Più gente sui monti, cioè più turisti e più materiale venduto… Peccato: anche più incidenti e più morti.
Andare in montagna, anche in una semplice sciata fuoripista, non è come fare una corsettina nel parco cittadino. Ci vuole una corroborata cultura dell’alpinismo (alpinismo: frequentare le montagne in ogni contesto e disciplina, con sci, senza sci, su roccia, ghiaccio, sentieri e ghiaioni…). Finalmente si sta diffondendo la convinzione che, per acquisire tale cultura, sia necessaria un’adeguata “formazione”. L’importante non è insegnare ad arrampicare sull’8c o a saper sciare sui 50 gradi: l’importante è insegnare a camminare su una crestina facile ma esposta, a fare lo zaino come dio comanda, a sapersela cavare sempre e comunque. L’impostazione corretta parte fin dalla scelta a tavolino dell’itinerario adeguato con le condizioni nivo-meteorologiche del momento.
Da caiano convintissimo quale sono, nel mio ruolo storico di istruttore titolato, lo sto dicendo da tempo. Mi sto battendo e, dopo aver sollevato sfottò per anni, ora inizio a percepire che la mentalità sta cambiando. Era ora!
Non sono solo le Scuole del CAI l’unico contesto per una formazione adeguata. Ottimo che si impegnino anche le Guide Alpine, che sicuramente in montagna “ci sanno andare”, ma che negli ultimi tempi spesso corrono il rischio di essere risucchiate nel business delle salite a nastro, senza neppure guardare in faccia i clienti. Ovviamente la maggior parte delle Guide ha un approccio completamente diverso e numerose sono quelle attente a far crescere i clienti da un punto di vista spirituale e di conoscenza della montagna.
Che operino le guide o le Scuole CAI, il punto cardine è che la formazione alla montagna non è cosa che si esaurisce in tre “uscitelle”, piazzate lì fra una performance individuale e l’altra. Ci vuole pazienza, è arte che si incamera lentamente, gita dopo gita, nasata dopo nasata.
Nella Scuola di scialpinismo torinese di cui faccio parte (la celebre SUCAI), il ciclo didattico che porta a maturazione un allievo è di tre anni. A volte anche di quattro per i più testoni (oltre i cinque anni non accettiamo più istruzioni). Solo in casi eccezionalmente positivi riconosciamo il distintivo (che raffigura concretamente l’avvenuta maturità) in due anni.
Ora il punto è che nell’attuale società (liquida, interconnessa e volubile) una formazione di due-tre anni è considerata una perdita di tempo o peggio una gabbia che imprigiona: molti degli alpinisti “mordi e fuggi” fra tre anni saranno già passati ad altri interessi sportivi. Per loro quindi la salsa non vale il pesce, se devono investire così tanto tempo nella formazione. E sbandierano il diritto alla libertà individuale di andare in montagna come e quando si vuole.
Non è questione giuridica, ma di natura. La Montagna (come tutta la Natura) ha le sue leggi implicite, che valgono dalla notte dei tempi. La formazione all’alpinismo deve quindi vertere sull’apprendimento di tali leggi della Natura.
Fra queste, al primo posto, gli orari: spesso, durante le gite di scialpinismo, mi capita di incontrare persone che iniziano a salire proprio quando noi stiamo tornando all’auto. Poveretti, non hanno capito niente. Se inizi a salire nel primo pomeriggio ti troverai a percorrere gli eventuali pendii critici con la neve “molle”. Gli stessi tratti se affrontati nel pieno pomeriggio hanno un grado di rischio di molto diverso rispetto a quando li affronti di primo mattino.
E’ solo un esempio, se ne possono confezionare milioni. Il concetto di base è che conoscere la montagna non ha nulla a che fare con il talento individuale nel superare difficoltà tecniche. Sono due trend che devono crescere in parallelo. Se una delle due gambe non è lunga quanto l’altra, l’approccio alla montagna è “zoppo”. E’ lì che si annida il pericolo.
Purtroppo fare appello agli italiani sul senso di responsabilità è cosa vana. Non mi dilungo sulle cause storiche e sociologiche, discorso interessantissimo ma che ci porterebbe fuori via. E’ così. L’italiano si crede furbo, fa del destreggiarsi il suo principale motivo di autoesaltazione. Non possiamo quindi ipotizzare di limitarci a sensibilizzare gli alpinisti sull’opportunità della formazione. Per il meccanismo che ho descritto sopra, quasi nessuno (fra quelli che più ne avrebbero bisogno) si adeguerà di sua iniziativa. Occorre renderla obbligatoria, con tanto di attestato finale che comprovi la frequenza con profitto della formazione. Ecco perché sono convinto che, prima o poi, si arriverà alla famosa “patente”. Non è un elemento che mi fa gioire, ma non vedo altra possibile evoluzione: sarà la stessa società securitaria che la introdurrà.
Come la pensano le guide
a cura della Redazione
Guido Azzalea: «Cosa sarebbe utile per chi fa fuoripista e fargli comprendere le difficoltà? Affrontare la discesa con l’attrezzatura di vent’anni fa».
Hervé Barmasse: «Mancano le conoscenze, la cultura della montagna. Non c’è più il radicamento fin da bambini. Le guide si sono impoverite, per loro è diventato soltanto un lavoro arrampicare o sciare. Siamo diventati molto bravi dal punto di vista tecnico, ma la sensibilità del territorio è sfuggita a molti. Da istruttore delle guide posso metterle in difficoltà proprio su questo terreno».
Un esempio? «Quando ci sono le condizioni la Nord del Cervino, parete di grande difficoltà, è quasi una palestra per alpinisti. Voglio dire che molti possono affrontarla e raggiungere la vetta, ma poi diventa quasi un incubo la discesa sulla via normale svizzera, la cresta dell’Hörnli che Whymper affrontò nel 1865. Molti sono presi dal panico perché ha tratti aerei e bisogna saper camminare con la corda in mano. Ci vuole l’esperienza di un montanaro».
Cesare Cesa Bianchi: «Non sappiamo più camminare. Qui sta il punto. Si passa dalla palestra alla montagna. Occorre fare una riflessione di grande profondità anche nell’ambito dell’Unione internazionale delle guide. È un passo urgente da fare. Capita che la guida si faccia condizionare dai clienti, che non sappia rinunciare. Dobbiamo quindi pensare a una formazione che riavvicini alla conoscenza ambientale e indichi la strada per diventare leader autorevole di un gruppo che arrampica o che fa fuoripista». E ancora: «In Francia ci sono stati parecchi incidenti in cui erano coinvolte anche guide alpine. Hanno cambiato la formazione. Adesso dobbiamo inserire a livello mondiale uno spazio di praticantato nei corsi guida, per poter affiancare i più esperti ai giovani. Vorrei anche cambiare la legge sulle guide, fare due livelli, uno per le escursioni, per chi cammina, l’altro per chi arrampica. E trovare il modo di avviare una formazione insieme con il CAI per raggiungere più appassionati possibili».
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Dio li fa e poi li accoppia.
Alberto! Gli amici sabaudi del Crovella! Si, alla faccia del Crovella stesso…
A me le vecchie e doloranti tavole del vecchio Gervasutti hanno fatto respirare storie d’altri tempi che avevo letto sui libri. Ma i libri ormai si bruciano…
Nostalgia? Può darsi. Ma, nostalgia a parte, quelle vecchie tavole e lamiere, erano un tutt’uno con quello che c’è intorno. Adesso c’è una specie di asettico tubo per la tac, di sicuro il top della tecnologia e di certo a NORMA… ma è anche un bel cazzotto nello stomaco.
Mi domando dovè ce l’hanno il senso del bello chi l’ha voluto, pensato e realizzato.
Io da buon genovese ho fatto il Telepass perché’ fa consumare molto molto meno carburante che stare in coda. La tradizionale parsimonia genovese non si chiude a nuovi metodi di risparmio.
Quanto al Gervasutti, non sarei così certo che i giovani d’oggi non vi si rechino…. In ogni caso rispetto al passato ora hanno il vantaggio del nuovo sentiero che parte oltrepassato il parcheggio del Bonatti. Anni fa, quando si scendeva magari tardi al buio dal Gervasutti, attraversare il torrente per tornare verso Freboudze si che era un divertimento….come del resto accadeva lo stesso al ritorno dal Boccalatte e anche dal Monzino fino a quando non hanno messo le passerelle…
In quanto alla cultura della montagna, che ciascuno pensi e faccia ciò che vuole, in nome di una presunta libertà.
Io vado per la mia strada, in compagnia dei miei pensieri o con cari amici: “We few, we happy few, we band of brothers”.
Cominetti. Il telepass non serve per evitare la morte, ma per arrivare prima al giudizio finale. Si sa che Minosse è più severo con gli ultimi perché ha fretta di andare a fare la famosa merenda sinoira. Meglio arrivare tra i primi, magari finisci solo nel secondo cerchio dei lussuriosi, dove in fondo c’è una bella compagnia, soprattutto femminile. Questa si che è cultura della montagna o meglio del ritorno dalla montagna. Me la insegnarono alla Parravicini il primo giorno e non me lo sono dimenticato in tutta la vita. Meglio diventar rossi dalla vergogna che patire, dicevano i longobardi. Buona settimana e viva il telepass codino e contro-rivoluzionario.
Roberto, nel mio precedente intervento (162) non alludevo alla società umana nel suo complesso né a giudizi sulle nuove generazioni.
Mi riferivo invece al singolo individuo. Ebbene, un essere umano – non importa che sia faraone della XVI dinastia o alpinista del XXI secolo – quando il cammino della sua vita è ormai avanzato può provare nostalgia: nostalgia di quando era giovane e forte.
Perché nostalgia? Perché la vita ha una fine.
Ecco a che cosa mi riferivo.
Pasini, da milanese, pur vivendo in Liguria, non ti è sparita la cultura-spauracchio della coda. Pensi, forse, che il Telepass serva per evitarla o per alleviare una morte che comunque arriverà.
Le code si possono evitare, quasi sempre. Se uno ci si ritrova, quasi sempre, è per colpa sua.
Ma certo… Patente per andare in montagna, per sciare, skivelox, militarizzazione delle piste con carabinieri, poliziotti, boyscout e giovani marmotte pronte a dare le multe. Come durante il covid con i forestali che scorazzavano per le valle deserta di Cheneil per poi rompere gli zebedei all”unico vecchietto di 90 anni, dico 90, che era in giro per le piste Fra un po’ vorranno la patente anche per andare in bagno. Il Signor. Istruttore del CAI dell`Avvenir noi delle montagne gradiremmo stesse nella sua città, e scorazzasse sempre se munito di ulteriore permesso, nelle sue adorate ZTL.
“Indietro? Neanche per prendere la rincorsa!”.
Il vero rivoluzionario si riconosce al casello, soprattutto il rivoluzionario ligure che affronta la coda con tenacia e spirito di sacrificio e soprattutto parsimonia 😀
Questa cosa delle generazioni anziane che criticano usi e costumi di quelle più giovani è una novità assoluta: bisognerebbe darle un nome…
E invece, magari, te li ritrovi (i giovani), e tanti, con una pala in mano nel momento del bisogno.
E persino in giro per le montagne.
Anche se, signora mia, purtroppo per loro non potranno mai gustare quel sapore dell’avventura vera (TM) che ti poteva dare il tetto gocciolante del (vecchio) Gervasutti. Un pò spiace.
Comunque sul telepass sono d’accordo: maledetto simbolo del turboglobalismo, non mi avrai mai!
Che Guevara spostate! 🙂
Quincinetto, dove piove quando in Valle c’è il sole! Però ho trovato un posto dove si mangia bene (e una palestra di roccia carina a Settimo Vittuone)…
Vegetti. Chissà….magari ce li portano sottraendoli ai loro divertenti e gratificanti giochi sulla plastica. Non trascurare l’influenza nefasta di nonni e genitori, caiani e No CAI, convinti del valore educativo dell’andare per monti 😀 e al ritorno code mostruose per rifiuto rivoluzionario del telepass, come ai bei tempi del casello di Quincinetto, per temprare il carattere e la capacità di resistenza 😀 buon quel resta della domenica. Okkio alle code di rientro.
Fabio e Roberto. Mi sa che, a prescindere, siano proprio pochini i “giovani” che vanno fino (!!!) al Gervasutti… 3.30 h su un itinerario semi-alpinistico e che ti devi trovare, sperando di non avere nessuno sopra la testa nel canale e di ricordarsi che i segni gialli sono vaghe indicazioni su dove andare , non i punti dove passare necessariamente…
Bertoncelli. Appunto. Nostalgia. Un sentimento comune ad ogni generazione. Pensa le mummie che nostalgia devono provare per le loro piramidi. Le hanno viste costruire dai loro schiavetti e oggi le vedono invase da orde di cannibali, molti eredi di quegli schiavi, con pantaloncini corti e smartphone.
Sí, Roberto, me ne rendo conto. Mi sforzo di capire i tempi moderni e dico sempre a me stesso che, rispetto ai miei vent’anni, ci sono sí cose brutte ma anche cose belle, e queste ultime sono forse la maggioranza. Forse.
Ma una parte non piccola del mio cuore è fatta di nostalgia di quando ero giovane e forte. E sognatore.
P.S. Però non devi credere di star parlando con una mummia! 😂😂😂
Bertoncelli. Quanto contano le costruzioni umane e quanto contano i cicli di vita degli uomini? Cosa provera’ tra 60 anni, verso la fine del secolo, un ragazzo che andra’ quest’estate al nuovo Gervasutti? Ah saperlo…..io scommetto sulla carta sempre buona della nostalgia, a prescindere.
Nell’agosto 1979 passai tre notti con due amici alla Capanna Gervasutti.
Il primo giorno fu dedicato alla salita alla capanna, il secondo al riposo, nel terzo tentammo la via normale dell’Aiguille de Leschaux, e nell’ultimo scendemmo a valle. La capanna era rivestita di lamiera e dal tetto gocciolava la pioggia sui letti a castello, per cui ci sistemammo nelle cuccette inferiori. Non vedemmo anima viva, se non il secondo giorno in cui arrivò una cordata dal fondovalle e che poi scese dopo breve sosta.
Il posto era eccezionalmente selvaggio, fuori dal mondo. Per procurarsi l’acqua bisognava risalire l’isolotto roccioso fino a un rivolo sovrastante. Ricordo ancora la battuta scherzosa di uno dei miei due amici: “Passaggio di quarto grado con secchio d’acqua in mano…”.
In alto svettava a incredibile altezza la parete est delle Grandes Jorasses. Sognando a occhi aperti, mi figuravo quasi che, presto o tardi, sarebbe sopraggiunta la cordata del Fortissimo, di ritorno da un tentativo alla est.
A quei tempi esisteva ancora in loco il vecchio Bivacco di Fréboudze, costruito negli anni Venti (https://it.wikipedia.org/wiki/Bivacco_di_Fr%C3%A9boudze), che oltrepassammo nel corso della salita il primo giorno. Trasudava storia!
Il tentativo all’Aguille de Leschaux non andò a buon fine. Dopo aver rimontato interamente il ghiacciaio, ci imbattemmo in una cordata di due giovani francesi in discesa, reduci da qualche difficile via sul versante opposto (Petites Jorasses?). Ci avvisarono che la prosecuzione era impegnativa, ma noi tentammo ugualmente; ci bloccò la crepaccia terminale con un muro altissimo e cosí, forse anche intimoriti dall’ambiente severo, decidemmo di rinunciare.
Poi in due ce ne partimmo per la traversata del Monte Bianco, dal Col du Midi al Refuge de Goûter, e lí tutto andò a meraviglia. Dal Tacul in poi e anche in vetta fummo in splendida solitudine. Che giorni!
Come confessò con tanta nostalgia il filosofo Gianni Vattimo (l’ho già riportato in un altro commento): “Potessi ritornare a quei tempi – poche storie! – darei via tutto il Pensiero debole”.
… … …
Mi domando: nel nuovo avveniristico Bivacco Gervasutti, avrei provato le stesse emozioni che seppe regalarmi la vecchia e sgangherata capanna di lamiera?
Ovviamente il Cai nazionale. Il Cai sabaudo, no, quello fa il bivacco Gervasutti, che l’alpinista friulano si rivolta ancora nella bara, ma il vero caiano sabaudo pensa (crede) diversamente.
Bontà sua.
Dal Messaggero Veneto di oggi: ” Il sentiero sul Pleros sarà messo in sicurezza”
“…diversi tratti esposti rappresentano un pericolo per l’escursionista.
I comuni di Rigolato e Prato Carnico con il contributo parziale della Regione hanno deciso dunque di mettere in sicurezza l’intero tracciato, tra l’altro con la fornitura e posa di cavi ed elementi per la progressione.”
Eccola la “vera” cultura della montagna: rendere accessibile a tutti qualsiasi itinerario di salita; il Cai è sotto osservazione per il bidecalogo? No problem, si delega ai comuni. Sono curioso di vedere se ci sarà una qualche minima reazione da parte delle sezioni Cai, che dovrebbero aver nel loro Dna, tra le altre peculiarità, la conservazione dell’ambiente naturale e l’insegnamento di come ci si muove al di fuori dei sentieri turistici, ma nutro molti dubbi in proposito, l’inportante è che sull’itinerario ci vada più gente possibile, che il ferrro sia bello, robusto e luccicante e che poi il ferratista si fermi a mangiare, dell’ambiente addomesticato non importa nulla, soprattutto ai montanari. La cultura che manca in montagna è quella del limite, averne la consapevolezza porterebbe già un miglioramento a tutti i livelli.
Crovella: ” . La montagna, attraverso la sua severità, ci può educare ad essere cittadini consapevoli, lavoratori indefessi, coniugi attenti e genitori premurosi.”
Lavoratori indefessi? Coniugi attenti? Genitori premurosi?
Questa mi mancava!
Crovella, non è che vivete in una “separate reality” (citazione colta…)? 4000 soci il CAI Torino, più o meno 25oo UGET: diciamo 7000 su 300.000 del CAI nazionale. Di cosa stai parlando? Di una minimissima parte della Associazione. La sola Sezione di Milano ne ha circa 8000… Quindi, suvvia, mettete via corona e scettro. Per altro, ti avevo già scritto che nemmeno nella tua zona di “pertinenza” ti ascoltano, visto ampliamenti e ristrutturazioni dei rifugi che hanno fatto invece di dismetterli, alla faccia dei tuoi proclami…
@153 Probabilmente la spiegazione sta nel fatto che, in area torinese, il CAI è MOLTO diverso da come agisce e si propone nel resto d’Italia. Tu conosci questo “altro” CAI (quello “nazionale”), io agisco da sempre solo nel CAI di area torinese: non mi trovo a disagio né il CAI torinese è minimamente spiazzato rispetto a me, anzi. La spiegazione sta nella comune natura “sabauda”, di cui siamo immersi – fin dalla nascita – sia il CAI torinese (nei suoi mille meandri, a cominciare dall’UGET ) sia, ovviamente, il sottoscritto. Io sono un caiano di ferro, ma sono un caiano del CAI torinese… Il marchio di fabbrica della natura sabauda te lo senti dire fin dalla culla: “Prima il dovere e poi il piacere”. Il CAI di area torinese (non solo il CAI Sezione di Torino, ma tutti i meandri), essendo stato creato e plasmato da sabuadi è… “sabaudo”. per cui essere caiano a Torino è molto diverso dall’esser caiano nel resto d’Italia. Questa è la mia spiegazione, ritengo che sia fondata, ma è irrilevante. ciò che rileva è che io mi trovo benissimo nel CAI torinese (dal 1969!) e i vari meandri torinesi del CAI si trovano benissimo con me. forse molte incomprensioni fra me e te (e altri) sul tema CAI dipendono proprio da questa differenza fra il CAI di area torinese e quello nazionale.
Carlo, io sono assolutamente d’accordo con te sui seguenti punti:
1) Riduzione naturale e consapevole della popolazione mondiale, ma in modo estremamente prudenziale, cioè nell’arco di diverse generazioni.
2) Non è necessario che gli oceani siano pieni di decine di migliaia di navi cargo che trasportano incessantemente susine, biciclette e cianfrusaglie varie dalla Cina all’Italia, et similia. È demenziale. Possiamo coltivare susine e produrre biciclette pure in Italia. In altre parole, la globalizzazione ha molti effetti perversi, che bisogna eliminare.
3) Non è necessario andare sempre a scalare dall’altra parte del mondo. Ogni tanto ci si può fermare sulle Alpi. Ogni tanto posso andare sul mio Appennino: ti assicuro che lí esistono magnifiche valli in cui non si incontra anima viva e che raggiungo in un’ora o poco piú.
4) Meno rifugi, meno strade in alta quota, meno impianti di risalita, e meno fighetti.
Tutto ciò lo penso non tanto per salvare il pianeta Terra (quello si salva da solo), ma perché cosí facendo l’umanità vivrebbe meglio (punti 1 e 2) e io vivo meglio (punti 3 e 4).
Il problema però è il seguente: che si fa con chi non è d’accordo, cioè il 95٪ della popolazione? Per esempio, dovrei forse piazzare una bomba sulla Skyway Monte Bianco per salvare il Monte Bianco? No, eh? E allora che si fa?
… … …
In ogni caso, dice il saggio: “Prima di pretendere di cambiare il mondo, incominciamo a cambiare noi stessi”.
Bene!
Ma il tuo cazzo di Cai, Crovella, fa proseliti come se non ci fosse un domani. Non trovi che le tue teorie scontrino una contro l’altra?
Io lo trovo e credo di non essere il solo ma TU caiano estremo che pontifichi su tutto, non credi di contraddirti?
Giusto per non tirare per le lunghe questa cosa (che oltretutto è quasi tutta fuori tema rispetto all’articolo principale). Sintetizzo al massimo. Mi prometti però di non iniziare con la solita sfilza di domande e obiezioni, di richieste e di spiegazioni, approfondimenti, e varie altre scocciature del genere. La teoria è così: o si prende in blocco o, se non piace, è inutile farci dei ghirigori intorno. Questa è la mia idea e molto probabilmente non piace né a te né a moltissimi dei lettori. Non piace perché richiede immensi sacrifici, sia di vita operativa che sul piano ideologico, ma potrebbe essere risolutiva proprio perché cambierebbe completamente il paradigma generale. Pertanto lo scopo di questa mia esposizione NON è convincerti/vi, ma informare, chi è interessato, circa l’esistenza di idee alternative a quelle complessivamente dominanti. Chiaro che, fra i tanti ostacoli, occorrerà anche fare i conti con i Paesi emergenti, ma intanto iniziamo a cambiare noi, poi tratteremo anche con gli altri: un passo per volta.
L’estratto della filosofia è: cambiare radicalmente il PARADIGMA esistenziale. Non si può obbligare nessuno a farlo, ma occorre agire affinché tutti maturino la convinzione della necessità di virare nella direzione indicata. Abbiamo pochissimo tempo per invertire il trend. Al massimo una ventina di anni, forse meno, poi tutto è davvero perduto e non resta che il destino del Titanic.
La formula è semplicissima: MENO, PIU’, PIU’.
Ovvero:
– MENO INDIVIDUI (A livello di intero pianeta: tramite la denatalizzaizone quindi in modo incruento. Sulle morti lasciamo fare alla natura, noi concentriamoci nel limitare le nascite (un figlio per coppia): il saldo negativo nati-morti piegherà la dinamica demografica. In montagna: farla tornare “scomoda, scabra, spartana”, togliendo le strutture che ci sono ora. I cannibali e i consumisti alla Briatore, che amano le comodità, la jacuzzi e lo chef stellano, si defileranno in automatico. Li vedremo in alti contesti e produrranno cmq danni, ma nell’immediato accontentiamoci di alleggerire le montagne).
– PIU’ POVERI rispetto a come siamo adesso: abiura della ricerca del profitto come principale parametro dello sviluppo esistenziale ed economico. Lo sviluppo tradizionale, incentrato su crescita industriale e del turismo – che sono fra i principali motori della crescita tradizionale – “consumano” l’ambiente. La produzione sbanca letteralmente il suolo – alla ricerca vuoi di metalli vuoi di aumento delle produzioni agricole o degli allevamenti intensivi – il turismo consumistico cementifica l’ambiente. Non possiamo più permettercelo: dobbiamo smettere di farlo. Quindi meno consumi – per cui meno produzione – e soprattutto meno turismo. Per arrampicare si può farlo dietro casa senza andare all’latro capo del mondo, per rilassarsi basta leggere un bel libro sul divano…. ovvio che spariranno un sacco di opportunità di lavoro e/o si contrarranno tutti i redditi. ma è un prezzo che dobbiamo capire che è inevitabile…
– PIU’ FELICI rispetto a come siamo adesso: esistenza più semplice, meno laboriosa, torniamo a mangiare “pan e siula” (piemontesismo per “pane e cipolla”), rinunciamo a tutto il superfluo, dal SUV ultraprestazionale alle vacanze alla Briatore a chissà quanti altri status symbol…
In pratica: DECRESCITA FELICE. Complicata da governare, complicatissima da far accettare. Certo. Ma occorre che tutti capiscano che, ora come ora, siamo come un malato terminale: o asportiamo le negatività del nostro attuale modo di vivere o esse ci uccideranno.
@ 149
Carlo, io ho tentato ma, se digito “Crovella” nella casella di ricerca, escono diciassettemilacentoquarantatré tuoi commenti.
Ti fa tanta fatica spiegarmelo di nuovo – magari sintetizzando – e arrivare cosí a diciassettemilacentoquarantaquattro?
https://www.amicodelpopolo.it/2023/05/25/la-tessera-cai-in-cima-alle-scale-mobili/
A Belluno si diventa socio Cai prima di prendere il bus per le Dolomiti.
Non è che il Cai, a cui associarsi prima era molto più complesso e si passava una selezione che valutata la qualità del nuovo socio, è alla canna del gas?
Che ne pensa Gargamella?
Giacchè di cultura della montagna si tratta…
No, è agli atti, lo trovi in bibliografia.
@ 147
Carlo, tu mi scuserai, ma durante la lettura dei tuoi commenti, che spesso mi occupano tre o quattro schermate (con schermo da 27″), a volte cado in stato soporifero. Cosí me lo sono perso.
Non me lo puoi mica rispiegare?
@145 Mannaggia… l’ho spiegato milioni di volte!
@137 e altri. Innanzi tutto mi permetto ricordo ancora una volta a tutti che io NON sono un sostenitore a spada tratta della patente alpinistica. È una delle tante ipotesi sul tavolo. Piuttosto che subire una miriade di divieti erga omnes, cioe’ che colpiscono tutti indiscriminatamente, io personalmente preferisco una scrematura qualitativa alla fonte, come più volte spiegato. Ma la mia preferenza in assoluto va al far tornare la montagna “scomoda, scabra e spartana”. I cannibali e i consumisti amano la comodità, mentre rifuggono la scomodità, per cui la selezione avverrebbe in automatico e senza alcuna imposizione.
Per quanto riguarda Gervasutti & C., primo si tratta di 90 anni fa (non esisteva il problema dell’eccessivo peso antropico), per cui non è una realtà storica confrontabile con l’oggi; secondo si vede proprio che non masticate la storia alpinistica. Allora non esisteva la patente “alpinistica”, è vero, ma in compenso esistevano molti altri documenti politici e chiunque doveva averli con se e tenerli sempre in regola, sennò non ti lasciavano avvicinare ai confini, meno che mai espatriare. Senza i documenti in regola, altro che vie sul Bianco o addirittura in Francia (es Nord Jorasses). Per cui, magari contorto collo, tutti i principlali nomi di quella generazione avevano la “carta” in tasca, state tranquilli. Non si rintracciano lamentele su tale risvolto, semmai appunti di non dimenticarsi di avere sempre tutto in regola. Ma erano altri tempi e fare dei confronti non ha proprio senso.
Carlo, come si fa a convincere i montanari ad accettare la riduzione dei turisti da trenta milioni a cinque o sei e la conseguente demolizione di alberghi e impianti di risalita?
O si usa la forza?
@136 Invece ti ho risposto e anche molto chiaramente. I 30 mlm di turisti sull’arco alpino NON ci devo proprio essere, a prescindere dal meccanismo che ti preferirà adottare. Nel giro di max 10 anni, quei 30 mln annui devono essere ridotti a circa 5-6 mln. Non esiste il problema di come sottoporli all’esame dell’ipotetico patentino. Se si torna a una montagna “scomoda”, smontando le infrastrutture in essere, in automatico gran parte dei turisti non si indirizzerà più verso le montagne. Mi pare autoesplicativa, no?
Che le nutrie e tutto il resto ce la faccia senza uomo non ha bisogno di dimostrazioni….ce la faceva prima che arrivassimo noi. Dovremo iniziare a capire che noi siamo il problema, non la soluzione
E quando il figlio unico lo applicavano i cinesi, tutti addosso contro i comunisti, riempiendosi la bocca di democrazia e libertà… Arrivate trent’anni in ritardo!
Figlio unico per contrastare l’aumento degli uomini…..bene, ma in occidente dove uno pesa ambientalmente come 10 del terzo mondo…..temo non ridurrà la popolazione, meglio puntare su pandemie incontrollate e uso di armi atomiche.
Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti. Inoltre, se tu fossi un frequentatore storico del Blog, nel tempo avresti potuto verificare di persona che le mie tesi sono state esposte ben più di una volta. Ribadisco , e a questo punto con maggior convinzione, che la situazione non è “sana”: è un Circo Barnum, il blog di Gogna. Anche io, incredibile dictu, ho vissuto una (piccola) fase in cui ero trascinato dal blog di Gogna. Ma questo blog sembra diventato il muro del pianto dei free climber (come ci chiamavamo una volta). Se non conosci nulla del mio lungo “attivismo” ideologico sul tema della montagna “per pochi”, ti informo che si tratta di prese di posizione che “sono agli atti” e tocca a chi è interessato andarsele a rileggere a ritroso: non è possibile che ogni volta io debba riprendere i concetti da Adamo ed Eva in poi. Mi pare che continuino ad emergere individui, come te, che non focalizzano un concetto chiave: io sono sabaudo e sono un profondo conoscitore sia di Pavese che di Fenoglio (perché ovviamente Torino non si riduce al solo confronto agnelliani-debenettiani). Non hai ancora capito che sono io quello che gira abitualmente con il kalashnikov? Sta tranquillo che lo so usare. E contro i bersagli giusti. E se non è kalashnikov, ho mille altri modi, altrettanto efficaci. Roulotte.
E Cassin? Ahahahahah
Riuscite a immaginare Giusto Gervasutti e Paolo Bollini della Predosa che, in partenza per i piloni del Frêney, mostrano l’apposita Patente Alpinistica di classe A alle guardie alpine di stanza in Val Veny?
La cementificazione e il facilitare a bomba il turismo è una cosa. Il turismo è un’attività economica che distrugge l’anima dei lughi, trasformandoli tutti in vetrine.
Il patentino per fare alpinismo è un’altra.
Crovella te che ammiri Gervasutti, l’avrebbe voluto lui il patentino? Non credo. Sono sicuro che se glielo avvessero imposto si sarebbe ribellato.
119. Come al solito e come ero sicuro che avresti fatto, hai ripetuto la tua pappardella evitando accuratamente di rispondere a domanda precisa. Che ti avevo già posto tempo fa. Per quanto riguarda il patentino, sono sicuro che starai rompendo i coglioni a tutti i politici della tua risma, affinché spingano per cominciare a scrivere una proposta di legge in merito. Dì la verità, è il sogno della tua vita.
Carlo, pure io ritengo che la sovrappopolazione mondiale sia all’origine di innumerevoli problemi dell’umanità.
Ho detto dell’umanità – e non del pianeta – perché l’essere umano per me è al primo posto; dopo vengono le nutrie e tutto il resto.
Pertanto sono da sempre favorevole a ridurre la popolazione mondiale, specialmente nei Paesi sovraffollati come il nostro. Ciò si deve ottenere non con metodi hitleriani, ma con una denatalità consapevole ed estremamente diluita nel tempo, allo scopo di non innescare cataclismi sociali. Per intenderci meglio, un solo figlio per coppia scatenerebbe un disastro epocale.
Si tratta di un obiettivo da raggiungere nell’arco di diverse generazioni, per evitare rischi di collasso. Purtroppo noi viviamo in un Paese assai sovrappopolato ma con una natalità bassissima, la quale minaccia disastri.
Sono disastri che non colpiranno noi ma i nostri figli e nipoti.
P.S. Vedo che stai “crovellizzando” Genoria.
Bertoncelli (132):
1) Non ho scritto da nessuna parte “eliminiamo i bacini di espansione (esistenti)” – ho scritto che si tratta di una soluzione pratica, intendendo dire che è una soluzione che funziona, ma che l’argomento viene usato come assoluzione della politica di consumo del suolo, che in questo modo non viene mai messa in discussione. Ha ragione Crovella dove scrive: prima di tutto, basta costruire.
2) Scrivere che “Crovella se vuole la cementificazione deve trasferirsi nei boschi” è puro e semplice qualunquismo.
Comunque siamo fuori tema, quindi basta, altrimenti è flood porn e non va bene.
E concludo “crovellovizzandomi”: ciao a tutti!
Ho già spiegato milioni di volte che lo scenario, in cui si muovevano comitive anche di duecento persone tutte insieme, è completamente obsoleto, come se fosse una cosa della preistoria. Non era sbagliato, ma va contestualizzato in quel particolare frangente storico, che difatti si chiama “scialpinismo aggregativo”. Ora è diametralmente cambiato il contesto generale, addirittura a livello planetario e, a cascata, fin nei risvolti marginali come la consistenza numerica delle comitive in montagna. E’ comprensibile che, in un quadro tutto nuovo, valgano parametri completamente diversi rispetto al passato.
Sull’eccesso di cementificazione dell’Emilia-Romagna (problema cmq che non riguarda solo quelle terre, ma che ora risalta per i recenti fatti), le domande le devi porre a Tozzi, perché lui è uno dei rappresentanti scientifici che si intesta tale tesi (se non l’hai ancora fatto, guarda il video: le sue parole sono chiarissime). Le soluzioni non sono semplici nel breve, ma nel medio-lungo andranno trovate (in modo incruento) attraverso la denatalità: meno esseri umani, più spazio a disposizione. Nel breve bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma questo riguarda le pianure. In montagna invece si può e di deve spingere per un più repentino cambio di paradigma, con la riconversione verso modelli turistici completamente diversi da quello imperante.
Io abito a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Una volta il fiume Panaro (ultimo affluente di destra del Po) tracimava con regolarità dopo le piogge d’autunno, allagando anche la via Emilia. Ricordo che noi studenti – beata gioventú incosciente! – speravamo nello straripamento, perché cosí non si andava a scuola a Modena.
Poi, negli anni Settanta, furono realizzati i bacini di espansione: da allora il Panaro NON ha straripato una sola volta e gli studenti sono rimasti fregati.
… … …
Che facciamo? Eliminiamo i bacini di espansione lungo il corso del Panaro? Torniamo alla natura selvaggia in Pianura Padana?
Invitiamo il Crovella a contribuire alla “decementificazione”? In tal caso dovrebbe trasferirsi a vivere in tenda tra i boschi della Val di Susa e abbandonare la sua casa di mattoni e cemento nel centro di Torino.
Carlo, ci vuoi dare l’esempio?
Dopo aver portato comitive di duecento scialpinisti in gita sui monti, ora propugni piú montagna per pochi. Dopo aver comprato una bella casa a Torino, ora propugni meno case per molti?
E chi rimane fuori che fa? Campeggia nel bosco con te?
@126 in lenea teorica esiste il rischio di un alpinismo solo più per cicchi. Ma all’atto pratico non è realistico. Se di decementifica la montagna, la si fa tornare alla sua naturale scomodità: no hotel stellati, no jacuzzi, no apericena, ho happy hour ecc ecc ecc. I ricchi di oggi, i Briatore-Santanché ecc, non amano la scomodità, corrono dietro invece alle comodità, che, però (in una montagna decementificata come l’ho descritta io) non troverebbe più spazio…
Più o meno lo stesso per il mio omonimo Carlo. Se intendi spazi iperaffollati di montagna, nell’ipotesi ottimale dovrebbero sparire del tutto. La montagna parimenti “scomoda” è tutta scomoda. Se invece intendi che i Briatore’s boy, scappando dalla montagna, affolleranno ulteriormente altri luoghi (dalla Costa Smeralda ai Caraibi), portando lì l’eccesso antropico, beh sì hai ragione. Ed è un problema generale da non sottovalutare, ma qui stiamo ragionando sulla montagna.
I problemi planetari hanno una radice molte semplice: l’eccesso antropico generale. Ho già scritto anche sul Blog che da tempo sono sostenitore di una politica, assolutamente incruente, che pieghi la dinamica demografica: un solo figlio per coppia, in tutto il mondo, in modo tale da denatalizzare il pianeta e, grazie al fisiologico saldo nati-morti, far tornare la specie umana intorno ai 5 miliardi di individui (oggi siamo 8 mld con proiezioni a 10 fra pochissimo). Ma questi sono problemi generali che sfuggono alle riflessioni sul futuro immediato della montagna. Nel breve io mi accontenterei di alleggerire le montagne. Sono un appassionato di montagne e mi viene naturale pensare per prime a loro. Se fossi un appassionato di Caraibi, probabilmente penserei di salvare per primi i Caraibi, cosa che va cmq messa in agenda. Un passo per volta.
Ciao a tutti!
Bertoncelli (125), altra sciocchezza: oggi sei in forma!
Ha ragione Crovella dove ti risponde (127) che, a parte il “problema cardine” (cioè il cambiamento climatico), “alla tragedia contribuisce anche la scriteriata azione umana, perché si è costruito l’inconstruibile”.
Bertoncelli, la soluzione che tu enfatizzi, col tuo intervento, è “come se un medico, invece di prescrivere un certo regime alimentare all’ipercolesterolemico, gli dicesse di continuare a mangiare sempre di più e nel contempo gli aumentasse progressivamente le dosi giornaliere di statine” (da un commento apparso altrove). Cioè: è una soluzione pratica, ma non va alla radice del problema (che forse tu preferisci non vedere).
Ha ragione Crovella >> https://gliasinirivista.org/non-costruite-piu-nulla/
Caro Crovella, alle solite: quello che dici e conosci tu è Verità Assoluta. Va bene, sembra che ti si gonfi il petto…
Cascate in Val Masino. Parto da primo, dopo di me parte un Istruttore Nazionale d’Alpinismo di una seria scuola non solo tecnica ma di pensiero. Mi taglia la strada e arriva in sosta 20 metri più su. Senza mai mettere una vite da ghiaccio, ma arrampicando sopra la mia testa. Dietro di lui subito sale il suo compagno, altro INA della stessa seria scuola. L’anno prima sulla rampa della stessa cascata ha perso un rampone allacciato male e si è fratturato una caviglia. Stessa scuola, , sentita con le mie orecchie: INA che dice agli allievi sul ghiacciaio ci si lega con il barcaiolo. Chiusura del corso di scialpinismo in sede. La mattina dopo, bottiglie di birra e whisky per terra ovunque, puzza di fumo e mozziconi spenti per terra e sui muri. Forse tu conosci solo quello che ti dicono…
Una sola perplessità sui “tagli” enunciati dal Sign Crovella: non è che allontanando la folla da un posto questa poi non vada ad affollare posti ora tranquilli e da qui a qualche anno saremo punto a capo?????? Non converrebbe iper affollare posti già affollati e compromessi e rendere ancor più difficoltoso l’accesso a zone ora tranquille????????
Insomma, per chi conosce i posti, più gente al passo sella e meno al passo cereda
I mancati bacini sono uno dei tanti risvoltu del problema, ma non l’unico. Come l’inserimento nel generale problema dei cambiamenti climatici, che ovviamente è “il” problema cardine da cui deriva tutto il resto.
Ma oltre all’aggravante delle mancate opere e della mancata manutenzione, c’è un orientamento scientifico (Tozzi in particolare, vedi sotto il video) che ormai dice apertamente che alla tragedia contribuisce anche la scriteriata azione umana, perché si è “costruito l’inconstruibile“, la cui colpa è sia di chi ha cementificato là dove non lo si doveva fare, sia soprattutto degli amministratori che, alla radice, hanno concesso i relative permessi. ANCHE IN PIANURA BISOGNA CAMBIARE PARADIGMA
A maggior ragione tale cambiamento radicale cale per la montagna. Le parole di Tozzi, traslate alla montagna, sono profetiche. Troppo turismo e troppa relativa “cementificazione”. Per questo occorre opporsi anche al più piccolo sbancamento col ruspino che hanno in programma al Sestriere. Non è quel piccolo sbancamento che provocherà la catastrofe, ma esso si inserisce in un paradigma ideologico, che invece deve mutare completamente. Quello che io chiamo il Circo Barnum della montagna dovrebbe sparire completamente. Più tardi ci attiveremo e più vicini saremo alla catastrofe.
Video Mario Tozzi su Emilia ecc
https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/maltempo-mario-tozzi-fermare-cambiamenti-climatici-e-emissioni-co2/AEpSsEVD
“più montagna per pochi” questo slogan crovelliano non mi piace, lo trovo dittatoriale, esclusivista, un pò fascitoide. Non vorrei che diventasse una porta aperta per una montagna per i soli ricchi. La montagna per me è un luogo di libertà, di espressione individuale, anche di emancipazione personale come lo è stata un tempo per gli alpinisti tedeschi o per gli iatliani usciti dalla guerra. Ci dovrebbero essere regole (non scritte, quindi non imposte) di autolimitazione, autoregolazione, che non è difficile vedere e comprendere, basta un pò di visione, rispetto e buon senso. Alpinisti, arrampicatori, escursinisti, sci-alpinisti dovrebbbero essere i primi a rispettare, proteggere e difendere i luoghi dove possono soddisfare il proprio gioco. Certamente non dovrebbero assimilarsi a dei consumatori.
Non condivido l’atteggiamento consumistico della fruibilità costruita a suon di infrastrutture, di facilitazioni che tendono a portare in quota e in luoghi naturali le comodità cittadine, snaturando la natura dei luoghi, snaturando il senso della scoperta, dell’incertezza, dell’avventura, cancellando il rischio. Insomma il parco giochi e la messa in sicurezza va bene in città, non nell’ambiente naturale che ci da già tutto.
ERRATA
“Oggi è ormai assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la precedente e scriteriata azione dell’uomo e le tragedie drammatiche, come (a puro titolo di esempio) quella attuale in Emilia.”
CORRIGE
Oggi è assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la mancata realizzazione dei bacini di espansione e le tragedie come quella attuale in Emilia-Romagna.
… … …
Per amor di verità.
Mi sembri un po’ fuori. Su tutta la linea.
Due sole precisazioni. 1) Le Scuole, di rilievo esistono eccome,: a Torino, a Milano, a Tento, Trieste, Bologna, Firenze, Roma… e sicuramente ne ho dimenticata qualcuna per la fretta (chiedo venia agli interessati). Se vai ad analizzarle, queste Scuole sono “di rilievo” perché sono innanzi tutto “scuole di pensiero”, cioè non mere distributrici di nozioni tecniche. L’essere una scuola di pensiero significa avere un’impostazione incentrata sulla diffusione della “cultura di montagna”, che verrà poi applicata (a seconda del tipo di scuola) all’alpinismo, allo scialpinismo, all’arrampicata, ma la matrice concettuale è sempre la stessa. Cito sovente la Scuola in cui opero (che è oggettivamente fra le più prestigiose nel settore dello scialpinismo) principalmente perché la conosco fin nei minimi dettagli e quindi “so” di cosa parlo. Ma potrei parlare con cognizione di causa di molte altre Scuole, pur non facendone parte: ho molte conoscenze umane all’interno di tali Istituzioni, ho letto quanto scritto dai loro esponenti nel corso dei decenni, ho preso atto di quanto fatto da queste scuole nei decenni, insomma conosco l’humus ideologico che le anima.
2) Il taglio dell’accesso antropico alla montagna non può che essere drastico, sennò non comporta il cambiamento di paradigma. Tale taglio dovrebbe avvenire sia alle “alte” quote (alte nel senso di dove si praticano alpinismo, scialpinismo, arrampicata, escursionismo impegnativo…) sia ancor di più alle “basse” quote, dove io auspico che il taglio sia addirittura radicale.
Sulla Natura e la sua capacità o meno di reazione, ti lascio alla tua idea, che però è completamente sbagliata, quanto meno non è coerente con la linea scientifica oggi maggiormente accreditata. Oggi è ormai assodato che ci sia un preciso rapporto di causa-effetto fra la precedente e scriteriata azione dell’uomo e le tragedie drammatiche, come (a puro titolo di esempio) quella attuale in Emilia.
Terza e ultima:
La Natura si ribella al peso degli umani in montagna? Non dire stupidaggini. La Natura se ne frega e non si ribella: non segue regole umane, segue regole naturali. Il ghiaccio si è sempre sciolto al sole. La Grigna è in decomposizione da almeno 150 anni: la dolomia si scioglie pian piano sotto la pioggia. La Konkordia Hutte è stata costruita a filo dell’Alletschgletcher nel 1877 e già dopo pochi anni, senza riscaldamento climatico, non lo era più. Ma anche Tozzi e Mercalli si riferiscono al cambiamento climatico, non alla antropizzazione eccessiva come invece succede in pianura (vedi Emilia Romagna oggi. Mix tra riscaldamento climatico e cementificazione, con l’aggiunta dell’incuria umana). A parte il fatto che cementificazione delle montagne e della Pianura Padana mi paiono ben diverse…
Come sempre, i “cittadini” si arrogano il diritto di decidere per chi non lo è. Dal momento che i cosiddetti valligiani non sono poi così pochi se calcolati su Alpi e Appennini, ci vorranno poche parole e molti soldi. Dove? Come? Quando? Vediamo di essere realisti, non utopisti…
Passi dall’autoritarismo più bieco e selettivo (patentino) all’ambientalismo estremo del rimuovere tutto. E non ti accorgi che, ahimè, quando dici “paradigma generale” stai parlando di un sistema economico agli sgoccioli, lo stesso sistema che avete sostenuto e rimpinzato per secoli. Quando già 150 anni fa dicevano che avrebbe portato alla rovina, li tacciavate di comunisti.
Seconda parte
Le “vere” scuole? Ovvero? Quelle che sono come tu le vuoi? Solo la tua. Ne conosco due di altre Scuole (importanti, sull’efficacia avrei dei dubbi almeno su una). Beh, ti assicuro che quella che conosco meglio se davvero fosse una “scuola di pensiero” avrei orrore a farne parte…
Una Associazione che tu prendi come unico referente. A parte il fatto che chi propone un libro di 950 pagine (immagino “Montagna da vivere”) o è un editore pazzo o è Stephen King, non vedo come possa essere presa la posizione di una Associazione come una Bibbia, quando nella stessa Associazione se ne fottono allegramente .
Allora, decidi una volta per tutte dove deve avvenire il taglio drastico: in alta quota o in bassa quota? Perché in alta quota toccherebbe solo una minima percentuale di persone, in bassa molta di più. Lo dico perché continui a buttare tutto insieme nel calderone, “alpiisti”, “cannibali”, “turisti”. Se de cementifichi, tocca tutte e tre le categorie, ma a farne le spese sono soprattutto gli “alpinisti”. Il “cannibale” o il “turista” cambierebbero meta, mari o colline, come già e spesso avviene. La selezione di quel “gran parte delle strutture…” chi decide quale sia, cosa salvare e cosa eliminare? La tua Scuola?
Prima parte
Basta incensarti troppo. Io io io. Anche io ho scritto su varie testate cartacee e informatiche, e allora? In compenso, l’unica volta che ho proposto un libro (la mia visione dell’alpinismo e delle sua storia) mi è stato gentilmente detto dal redattore che non potevano pubblicare cose così critiche, dirette e puntuali(editore di montagna, per intenderci, redattore famoso e conosciuto).
Basta questo sarcasmo da puzza sotto il naso: stai dicendo a chi ti “contesta” che ha il cervello di un bambino (questa volta). La tua altezzosità non ha limiti, visto che, alla fine, i tuoi interventi sono tutti autoreferenziali. In più, non hai la minima idea di chi siano coloro che consideri decerebrati.
La “vostra” scuola non rappresenta nulla al di fuori del Torinese e a me personalmente agghiaccia che immerga in una certa mentalità. E’, di fatto, la creazione di un “pensiero unico” che esclude ogni variazione individuale. Di fatto, è una cultura “istituzionalizzata” che esiste solo in quanto appendice di una Associazione. Quindi, di parte: esiste un enorme mondo, che si voglia o no, che pratica ad ogni livello la montagna ben lontano da quella Associazione, privata, che neppure al suo interno è coesa, al quale dunque sarà ben difficile applicare le “regole” di quella Istituzione (sempre che sia il “meglio” in quanto a “cultura”).
@117 Benassi:
Buon per te.
Se è così, il tuo punto di vista sulla questione è esattamente il mio.
Ma se ci si sottomette di buon grado a divieti di arrampicata come quello per l’aquila, non capisco perchè una limitazione o regolamentazione degli accessi alla montagna in generale resti del tutto inconcepibile e inaccettabile. Se il problema è l’imposizione da parte dell’autorità parliamo pure di AUTOregolamentazione o autolimitazione. Cosa che molti (tipo te) in realtà già fanno andando in posti desueti dalla frequentazione al più confidenziale, anche a prezzo di rinunciare a qualcosa in termini (nel caso dell’arrampicata) di qualità della roccia oltre che comodità di accesso e ritorno.In definitiva credo che il problema del “crovellismo”, ciò che inquieta e infastidisce di più, non sia il concetto di fondo del “più montagna per pochi”, con il quale chiunque non sia in malafede e non abbia interessi personali non dovrebbe che essere d’accordo, quanto il voler attribuire ad una “istituzione” quale il CAI con le sue scuole il ruolo di stabilire chi abbia diritto. Che poi non è questo che dice Crovella ma è quanto i più sembrano ritenere del suo messaggio.
Mamma mia che fatica! Le cose che incuriosiscono alcuni di voi sono contenute nelle decine di articoli che ho pubblicato sulle più varie testate (cartacee e informatiche) nonché in alcuni dei miei libri. Solo qui sul GognaBlog pubblico con sistematicità almeno dal 2015. Stimo, a naso, che siano ben oltre 100 gli articoli che ho pubblicato sul Blog in questi anni: c’è quindi ampia bibliografia a portata di mano. E’ facile trovare gli articoli in archivio sul Blog: basta andare nella funzione “cerca” (in alto a destra) e mettere “crovella” come parola chiave. Il sistema porta in automatico a video tutti gli articoli che mi coinvolgono, occorre poi fare la cernita per limitarsi a quelli sul tema specifico, ma il titolo degli articoli è quasi sempre utile a tal fine. La “fatica” della ricerca non può che essere a carico di chi è “curioso”: pretendere che io rispieghi ogni volta è diventato troppo fastidioso per me e rischia di innescare le reazioni di altri lettori. Reazioni della serie “commenti lunghi e sempre uguali, che palle!”.
In ogni caso, giusto per puntualizzare un’ultima volta, ho riguardato l’articolo soprastante e l’ho trovato di una semplicità concettuale tale da esser capito anche da un bambino. Chi non “comprende” i suoi contenuti è perché non vuole comprenderli, per i più disparati motivi (o perché toccano il divertimento personale o nel risvolto dell’interesse economico).
Due precisazioni conclusive:
1) Cultura: è illuminante sul tema il paragrafo scritto da Bramasse, va riletto con attenzione. Però, mi pare di averlo già detto, il concetto di cultura della montagna è molto complesso e molto articolato: infatti nella nostra Scuola si ritiene (da sempre) che, per acquisire una congrua cultura di montagna, occorrano in media tre anni esplicitamente dedicati, con uscite pratiche dei vari corsi, uscite che aumentano, di impegno e difficoltà, dalla più semplici alle più toste, relative esercitazioni sul terreno (almeno una, se non due, ogni gita), numerose lezioni teoriche (su tutti gli argomenti che compongono il concetto di cultura di montagna), tavole rotonde, approfondito studio individuale da parte degli allievi e, per chi desidera accedere al 2 corso, anche un test scritto (oltre che una costante dimostrazione sul terreno, uscita dopo uscita, di sapersi muovere con la testa sul collo). Tutte queste cose compongono un’offerta formativa molto complessa, ma la cosa più rilevante è “essere immersi” in una certa mentalità e poi applicarla costantemente. Per questo le “vere” Scuole (cioè quelle importanti ed efficaci), più che esser scuole in termini di mero insegnamento di nozioni, sono fondamentalmente delle “scuole di pensiero”. A starci immerso per almeno tre anni, acquisisci per osmosi un certo modus operandi, che poi ti resta per tutta la vita. A parte ciò, il concetto di “cultura della montagna” è talmente complesso e articolato che, per esempio, il libro che vi ha dedicato il CAI nel 2013 copre 950 pagine (diconsi novecentocinquanta pagine!). E’ evidente che chi “pretende” che gli venga sintetizzato, in una definizione lapidaria, un concetto di 950 pagina, non si rende neppure conto di cosa si stia parlando.
2) 30 milioni di turisti. Qui viene commesso un duplice errore. Il primo è non capire che l’articolo soprastante sta parlando di eventuale ed ipotetico patentino applicato solo all’alpinismo e alle discipline strettamente collegate (scialpinismo, arrampicata, escursionismo in quota e su terreni complessi, ma non i due passi per andare a mangiare polenta e capriolo). Infatti il resto della gazzarra che si registra montagna, tanto nella versione innevata (comprensori sciistici ecc) quanto in quella estiva è escluso dalle riflessioni dell’articolo, in quanto NON dovrebbe neppure esistere. Il secondo (grave) errore è considerare, quanto meno fra le righe, tali numeri umani un “valore positivo”, mentre essi sono un elemento estremamente NEGATIVO che va corretto/ridimensionato. La montagna non ne può più del peso antropico e occorre cambiare completamente registro strutturale. Occorre DECEMENTIFICARE la montagna, intendendo con ciò “eradicare” gran parte delle strutture turistiche che la stanno soffocando (che poi tali strutture siano in cemento o in acciaio o in altri materiali poco rileva: l’importante è toglierle, ecco il concetto di “decementificare la montagna”)). Il numero di turisti andrebbe governato al ribasso, e ci conviene farlo rapidamente, prima che la Natura si ribelli. La corda è tesa, prima o poi si spezza. Non so dire se si spezzerà domani o fra cinque anni o fra dieci anni. Ma di sicuro siamo prossimi a eventi catastrofici: accreditati esponenti del mondo scientifico (Mario Tozzi e Luca Mercalli, tanto per fare i primi due nomi che mi vengono in mente) lo sostengano apertamente da tempo. Ovviamente il cambio del modello inciderà anche sulla vita dei valligiani, nelle loro opportunità di lavoro e nei profili reddituali. Sono prezzi che vanno messi in conto. Se non si cambia rotta, il destino è già scritto, come per il Titanic.
Quando la Natura si ribella, non fa sconta ed è devastante. Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini del recente disastro in Emilia-Romagna: il mondo scientifico lo imputa all’eccesso di cementificazione e di antropizzazione. Basta guardare quelle immagini ed è semplice capire cosa potrebbe succedere in montagna, amplificato all’ennesima potenza proprio per le caratteristiche morfologiche della montagna. Invece, neppure guardando le immagini della Romagna, sapete fare “due più due”. Cosa ancora debba accadere per farvi capire che occorre cambiare alla base il PARADIGMA generale???
114 Luciano. Beh, per i turisti direi corsi presso le ambasciate e i consolati. Invece dell’addetto militare o dell’addetto culturale (generico), si formeranno alla Farnesina gli addetti culturali della montagna. Non troppo giovani (troppo svagati), non troppo vecchi (conoscenze stantie). Stage gratuiti, ovviamente (Meloni: per le alluvioni raschieremo il fondo del barile per trovare dei soldi, figurati per gli addetti culturali della montagna). Stipendio medio 500 euro, vitto e alloggio. Lingua straniera facoltativa, tanto siamo italiani, no?
Caro SAVONAROLA non fare il Savonarola con chi non conosci bene . Ho fatto solo un esempio per dire che certa politica si fa grande e grossa con deboli e debole con i forti, se non addirittura complice.
Sono il primo ad avere rispetto degli animali tutti e dell’ambiente naturale in genere. Lo so benissimo che bisogna stare lontano dall’aquila e dal suo nido. La parte del Solco d’Equi è veramente bella, direi verdoniana, ma non mi cambia la vita se non ci vado a scalare. Mentre all’aquila si, quindi giusto rispettarla!!
Ma se le montagne le distruggi a suon di mine che fanno saltare per aria la roccia, voglio vedere dove andrà a nidificare l’aquila. Sui ravaneti??
Vado alle Torri di Monzone ma anche, e soprattutto, in posti apuani molto, ma molto!! meno alla moda.
@114 ma la domanda che più mi attanaglia , e torniamo sempre li, in questo discorso che necessiterà di una seduta di ipnosi per essere rimossa è:
gent.mo Crovella, risponda cortesemente:
chi tiene le lezioni, e che cosa si insegna?
si., la cultura della montagna 😤, e sti grandissimi cazzi non ce li vogliamo mettere?
COS’È CHE INSEGNI?!? Ecologia? Etologia? Chimica? Geomorfologia? Idrogeologia? Oppure userai come libro di testo il manuale delle giovani marmotte e insegnerai come riempire una borraccia senza bagnarsi e a distinguere una stella alpina da un genepì.
O l’étiquette da tenere in rifugio…
@Benassi #91:
La chiusura delle falesie è questione delicata che andrebbe valutata caso per caso, tuttavia SÍ è possibile che le volate in cava a una certa distanza disturbino l’aquila meno di uno che va ad arrampicare vicino al nido. Pensavo che lo sapessero anche i sassi che l’aquila abbandona definitivamente il nido e la probabile unica covata dell’anno alla minima minaccia a distanza ravvicinata (mentre uno sparo di mina a 1km magari non la disturberá più che un tuono) invece a quanto pare no.
Forse la cultura della montagna non esiste ma di sicuro esiste un minimo di cultura ecologica e di rispetto dell’ambiente che evidentemente latita. E temo anche che andiamo verso tempi bui in cui questo tipo di sapere sarà sempre più trascurato nell’acuirsi dei contrasti sociali e generazionali, e lo vediamo già ora con i vari imbrattatori, scioperanti e le disgraziate decisioni europee vissute come imposizioni (perché lo sono).
Tornando a Equi non è che le strutture in zona manchino, e non mi sembra che non poter scalare nel Solco sia un dramma. Vai alle Torri…
Dai Crovella, ci provo un’ultima volta, rispondi a questa domanda (tra le centinaia che potrei farti) a seguito di questa tua affermazione:
Questa verifica non può che avvenire in un test/esame, al seguito di un lungo periodo di apprendimento ufficiale.
Come si svolgerà il lungo periodo per i circa 30 milioni di turisti, molti dei quali stranieri, che trascorrono le loro vacanze sulle Alpi e desiderano chi farsi il capriolo con polenta, chi andare in funivia a vedere il Bianco, chi a farsi la ferrata delle Bocchette, chi i cazzi suoi, me tutti quanti sempre a rischio chiamata soccorso?
107. Crovella.
Simone Moro?
Quel Simone Moro che ha condotto con la Balivo il reality Monte Bianco?
E si mette a discettare di cultura della montagna?
Manca Hannibal Lecter che prepara ricette vegane poi siamo al completo.
Suma bin ciapà! 🙂 😀
Crovella: ci dai la definizione di cultura della montagna?
attendo (da quasi 100 commenti)
ps mentre qualcuno friggeva abbondanti padellate d’aria, oggi ho chiodato 4 tiri nuovi in una falesia. Due proprio belli, uno bellino e uno facile che non passerà alla storia.
Non m’importa nulla del loro impatto mediatico, se il pubblico abbocca all’amo peggio per loro.
Quanto al temere, non ti preoccupare, non mi spavento tanto facilmente. In montagna continuerò ad andarci come mi pare e piace. Se riterrò giusto darmi delle limitazioni lo farò, altrimenti no.
Di certo non perchè lo dice Moro, Barmasse, Messner. Loro hanno bisogno di pubblicità, io NO!!
Braco Crovella, come sempre: sono conoscenti tuoi, decine, che leggono e non commentano mai. Sai cosa? Degli invisibili a me personalmente non frega un caxxo. Sono degli invisibili da maggioranza silenziosa (Torino docet). Rimangono semplicemente affermazioni tue, incontrollabili. Anche io ho decine e decine di amici che leggono il blog (anche famosi) e non commentano ma in privato ,i chiedono chi è ‘sto piemontese “so tutto io”…
Cit. Chi tace acconsente, ma chi non parla non dice niente
Vi suggerisco di rileggere l’articolo (intervista a Moro) del settembre 2022:
https://gognablog.sherpa-gate.com/simone-moro-inutile-chiudere-o-vietare-la-montagna/
E’ utile rileggerlo, compreso il contributo finale di Crovella e quello della Redazione, che già allora era su posizioni non allineate a quelle di Crovella (sul punto specifico della patente), ma che, ciò nonostante, non ha avuto esitazioni a riproporre l’articolo di questi giorni, in virtù delle scelte editoriali di base rintracciabili nel capitoletto “Chi Siamo”.
Ciao!
Moro è quel tale che raggiunge i campibase in elicottero?
http://www.mountainblog.it/video-post/video-viaggio-in-elicottero-con-simone-moro-al-cb-delleverest-primavera-2022/
Simone Moro (riproposto sul Blog – su mia segnalazione – nel settembre 2022):
“L’alpinista bergamasco sull’emergenza climatica in quota: «Le norme ci sono già, manca la cultura. La natura è da preservare, non uno svago. Altro che bandiere rosse come in spiaggia: per limitare i rischi bisogna cambiare approccio alla montagna».”
Moro concludere schierandosi per la tesi di NON vietare le montagne, ma chiede ai frequentatori un profondo cambiamento di mentalità e una virata verso la “cultura” (ops!, anche lui utilizza questo strano termine… chissà mai cosa intende???). Anche a me piacerebbe terminare come fa Moro, cioè con un semplice appello al senso individuale di responsabilità. Invece sono propenso a concludere che il modello giuridico generale (altro concetto molto poco noto ai più) impedirà di potersi limitarsi a tale richiesta, poiché spingerà le varie autorità a prendere sempre più diffuse decisioni in termini di divieti/restrizioni.
Dal mio punto di cista, piuttosto che arrivare a una gabbia di divieti validi erga omnes, io preferirei un’altra ipotesi, costituita dalla verifica preventiva sulla congruità di ciascuno nell’affrontare le montagne. Questa verifica non può che avvenire in un test/esame, al seguito di un lungo periodo di apprendimento ufficiale. Il superamento del test/esame genera un attestato, per semplicità chiamato patente, che consente la pratica dell’attività, da quel momento in avanti in libertà e autonomia.
Se non piace questa ipotesi (quella della patente), non resta che l’altra, quella dei divieti imposti a tutti dall’alto. Viceversa una montagna totalmente libera come in passato sarà sempre più un’utopia, non perché così vuole Crovella, ma perché la combinazione fra la maggior pericolosità al seguito del cambiamento climatico, l’esplosione numerica assoluta e quella relativa di gente che va “senza cognizione”, metteranno sempre più sotto pressione le autorità. Le quali non hanno altro mezzo se non… “vietare” (erga omnes).
Ho riportato le tesi di Moro non perché un frequentatore degli 8000 sia più “accreditato” di un qualsuasi alpinista sconosciuto, ma perché l’impatto mediatico che hanno questi personaggi (e altri, come Barmasse e le altre guide) è molto più rilevante delle prese di posizione del sottoscritto. Se davvero temete che le autorità possano prendere decisioni sulla base di prese di posizioni pubbliche, dovete temere molto di più quelle dei personaggi con elevato impatto mediatico.
“@101 Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti.”
Regattin, benvenuto nel club.
… … …
Carlo sta guidando in autostrada, tranquillo; poi accende la radio per passare il tempo. A un certo punto la musica si interrompe bruscamente e si sente una voce:
– ATTENZIONE! ATTENZIONE! C’È UN MATTO CHE GUIDA CONTROMANO IN AUTOSTRADA!
Perplesso, Carlo guarda la strada ed esclama:
– UN MATTO? MA QUI SONO MATTI TUTTI!
@100 Conosco di persona moltissime persone (direi parecchie decine) che hanno mentalità simile alla mia, perché facciamo parte dello stesso gruppo. Tutti costoro leggono quotidianamente il blog, con passione. Non lasciano mai commenti per scelta, né quando approvano né quando sono in disaccordo con ciò che leggono, ma a titolo di conversazioni private ci confrontiamo assiduamente. In alcuni casi hanno posizioni anche più radicali delle mie.
@101 Temo sia anche tu fra quelli che non sanno “cogliere” i contenuti. Non solo in questa occasione, continui a richiedere “risposte nei contenuti”, quando è sufficiente leggere l’articolo originario. Le tesi sono già lì e sono esposte in modo semplicissimo. Che bisogno ci sarebbe di ri-descriverle? Non farei altro che fare un “copia e incolla” dall’articolo. Ma allora leggete con attenzione gli articoli, fin dalla prima volta.
Buona giornata a tutti!
Regattin. Scelte del Direttore. Lui pubblica. I lettori commentano. Non solo i contenuti ma anche le scelte editoriali. Così funziona il gioco. Poi se uno si stufa o gli girano, può cambiare magari un po’ le sue letture. Io lo faccio spesso con i quotidiani. A volte mi arrabbio così tanto che cancello l’abbonamento, poi per fedeltà e abitudine magari ci ricasco e lo riattivo. Lessi un libro anni fa con un titolo stupendo “Anatomia della dipendenza”. Era sulla “cultura” giapponese. Forse siamo tutti un po’ giapponesi, anche se loro sono a un livello superiore da questo punto di vista.
@ 100
“Come fai a presumere che sono moltissimi quelli che apprezzano ma magari non scrivono neanche un commento? Li conosci uno per uno? vedi dati che sono protetti dalla privacy e li contatti personalmente? O magari, semplicemente, te li inventi di sana pianta? Risposte dirette e chiare, non elucubrazioni, grazie.”
Trattasi di facoltà divinatorie.
99. Pasini, sai qual è il problema? Che un tema interessante e degno di maggiore approfondimento non doveva essere affidato a Crovella, che non è in grado di affrontarlo se non nella misura in cui tutto va a finire in vacca (cioè nella SUA e solo sua teoria, che tanto gli è cara e sono sicuro che sia il suo sogno, del patentino).
97. Come ampiamente dimostrato (fino allo sfinimento) non rispondi MAI nel merito delle domande che ti vengono poste. E sottoscrivo parola x parola quanto detto da Riky nei commenti precedenti.