Maurizio Oviglia mi domandava
(intervista del 2002 ad Alessandro Gogna)
Leggendo le ultime imprese alpinistiche ho provato un po’ di amaro in bocca per quell’alpinismo che era un tempo e che sembra oggi irrimediabilmente perduto. Ho pensato che occorrerebbe parlare di più di quel che sta succedendo, mentre invece nessuno lo fa, se non in termini adulatori verso i protagonisti. Io penso che in Italia ci siano poche persone in grado di commentare seriamente l’alpinismo. Tu sei naturalmente una di queste. Ho letto in una tua recente intervista su Lo Scarpone, l’invito ai lettori dei tuoi libri a valutare criticamente il tuo operato e a parlarne. Forse la stessa cosa si dovrebbe fare verso l’alpinismo di oggi. Alessandro, tu sei uno dei più grandi alpinisti italiani, e soprattutto uno di quelli che non ha perso di vista le nuove tendenze, valutandole spesso con la giusta dose di critica. Chi meglio di te può esprimere un parere sull’alpinismo attuale? Comincerei con il chiederti come valuti questo apparente ritorno all’alpinismo tradizionale (Maurizio Oviglia).
Hai ragione, Maurizio, a dire apparente. Nessuno e niente torna mai veramente indietro. Parlerei di un’evoluzione a onde, con dei picchi in alto e in basso. Per certi versi l’attività alpinistica di oggi, a livello estremo, assomiglia per alcune regole autoimposte all’alpinismo tradizionale, per altre all’arrampicata sportiva. Si è trasferito un nuovo codice su un vecchio mazzo di carte… Una volta veramente si credeva che il limite fosse in qualche punto, ci si poteva andare vicino oppure annullarlo con i mezzi artificiali. Oggi abbiamo compreso che questo limite non è oggettivo, possiamo spostarlo noi stessi. In parte variando alcune regole, in parte con un’effettiva evoluzione.
Questo tipo di alpinismo, alti gradi in montagna, come se fossimo in falesia, potrebbe dirsi «alpinismo sportivo» o è una definizione impropria, adatta piuttosto per un alpinismo nato con i concatenamenti di Profit?
La stessa domanda se la facevano negli anni ’30 dopo le grandi conquiste dell’alpinismo dolomitico. Si può chiamare alpinismo sportivo, figlio cioè di arrampicata sportiva e alpinismo tradizionale. Del resto nella tradizione ci sono sempre stati pochi elementi, e solo quelli: esplorazione, conquista, eroismo, spettacolo, sport, diporto domenicale.
C’è ancora, secondo te, chi porta avanti un alpinismo tradizionale in Dolomiti che possa dirsi evolutivo?
Per tradizionale intendi l’escludere le aperture in artificiale e le successive ripetizioni in libera? In questo caso le prestazioni saranno davvero limitate nel numero, anche perché oggi pochi, nell’attuale confusione, sono davvero in grado di capire cosa significhi aprire a vista e in libera, anche solo parziale. Sulla parete nord-ovest del Civetta è stato recentemente aperto un itinerario secondo le vecchie regole che aspetta solo di essere ripetuto…
Maurizio «Bubu» Bole è venuto alla ribalta sull’onda del dry-tooling più spettacolare, poi però è stato capace di una salita in stile tradizionale in Pakistan, al riguardo della quale tutti si sono soffermati piuttosto sul grado della nuova via che sullo stile con cui è stata aperta (on sight su protezioni tradizionali). Come valuti questo tipo di tendenza?
Forse il dry-tooling avrà portato alla ribalta Bole presso il grosso pubblico, ma lui era già Bole ben prima. Il dry-tooling è una parola di cui ci si riempie la bocca né più né meno di quanto lo si faceva con la parola free climbing, come se si fosse scoperto chissà che di nuovo, quando tutti dovrebbero sapere che il dry-tooling l’avevano già inventato i disegnatori di barzellette della Settimana Enigmistica, con l’omino che si tirava su per le rocce con la piccozza. In seguito Bole ha portato avanti il discorso in maniera meno spettacolare ma più concreta, appunto in Perù, in Pakistan, ecc. La libera in Himalaya è la necessaria conseguenza dello stile alpino prima, poi del capsula-style.
Secondo te, l’odierno ritorno al bouldering, oltre a portare i giovani ad un maggiore rispetto verso la roccia (appigli scavati) è in grado di ridare un senso di libertà all’arrampicata?
Non lo so, ma non penso che il dedicarsi allo studio dei microrganismi sia più rispettoso della natura che l’interessarsi di macrorganismi o di astronomia. Ci può essere anche bouldering irrispettoso. E John Gill era certamente uno spirito libero.
C’è, secondo il tuo modo di vedere, uno scollamento tra il pubblico e gli alpinisti di punta? E se sì, ti sembra che questo sia maggiore rispetto ai tempi in cui hai scritto Un alpinismo di ricerca?
Lo scollamento c’è sempre stato, neanche il pubblico minimamente informato ha mai avuto l’idea reale di cosa fosse l’alpinismo di punta. Ma prima c’era l’ammirazione incondizionata per gli eroi, oggi c’è l’indifferenza generata da saturazione. Basta saper aspettare e vedrai che tornerà l’ammirazione, assieme ai suoi pregi e difetti. Quando ho scritto Un alpinismo di ricerca eravamo già alla fine di un’epoca, iniziava il Nuovo Mattino.
A proposito di questo tuo celebre titolo, ho notato che è diventata una definizione abusata: molti alpinisti si fregiano infatti di fare «un alpinismo di ricerca». Secondo te è ancora possibile (ed ha ancora un senso) un alpinismo di tipo esplorativo?
Alpinismo di ricerca non significava soltanto «esplorazione», come di certo non ti è sfuggito. Significava anche ricerca dentro se stessi. Ma per rispondere alla tua domanda, l’alpinismo esplorativo è possibile nella misura in cui, dopo averle studiate e ristudiate, ci si dimentica delle esplorazioni altrui. Non voglio dire perciò che occorra fare un falò delle biblioteche o abbandonarsi ad un’iconoclastica furia distruttiva dei nomi e dei tracciati delle vecchie vie. Voglio dire esattamente il contrario: prima studiare, poi dimenticare agendo. Oggi invece si agisce dimenticando di studiare.
Infine una domanda personale: che fine ha fatto il Gogna alpinista? Ho sentito che hai ricominciato ad esplorare con discrezione i graniti della Gallura, in Sardegna. Che tipo di emozioni ti dà ancora il contatto con la roccia vergine?
Ho avuto più emozioni a vedere, poi a capire se erano già state salite e come, e infine a ripetere alcune vie che non arrampicare su qualcosa di sicuramente vergine. Oggi m’interessano di più il mistero e la magia, di qualunque natura, umana, storica e geografica, che non l’alzare i veli su una via presumibilmente difficile. Quanto al Gogna alpinista, non sta a me giudicare il mio attuale operato, scarso o meno. Le recenti salite fatte in Sardegna mi hanno dato molto. Ho avuto più soddisfazione a fare queste ultime che tante altre, magari nella stessa grande isola. Di certo non voglio essere il tipo di alpinista che andrà a ripetere il Naso di Zmutt a 80 anni, solo per provare a se stesso d’essere ancora in gamba (e un po’ agli altri). A 80 anni mi piacerebbe trovare sempre emozioni belle, scoprendo di giorno in giorno che il mio sentiero non è ancora finito, che dietro l’angolo c’è sempre il mio amore, la montagna, pronta a darmi un bacio anche se mi vede con il bastone. E a 60 come a 80 continuerò quella via che ho incominciato tanti anni fa, l’unica veramente a vista che ci sia dato di compiere.
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Gallese. Si potrebbe aprire un nuovo filone nel blog, di tipo meno valutativo e più di informazione/giornalismo partecipato coinvolgendo i lettori. Esempio: potrebbe esserci un pezzo di stimolo base sulle palestre indoor o sullo scialpinismo etc…. con un inquadramento generale poi i lettori postano le informazioni/storie/esperirnze/osservazioni di cui dispongono o attraverso l’esperienza diretta o quello che trovano in giro. Si lascia aperto il tema per un po’, poi alla fine qualcuno tenta una sintesi mettendo insieme quello che emerge. La regola per questa sezione dovrebbe però essere che gli interventi siano di tipo informativo e contributivo. Per esempio potrebbe esserci un fondale di colore diverso per segnalare la differenza. Io credo sarebbe interessante per condividere le informazioni che ognuno di noi ha e per spostare anche un po’ di energia dalla discussione (che a volte si avvita su se stessa) al contributo. Non avendo noi in Italia istituzioni con le risore di cui dispongono in USA (esempio postato) potremmo conpensare con la cooperazione tra appassionati. Vediamo cosa dice Alessandro. Provo a propoglierlo. Ciao
Io non sono in grado di farlo, Roberto. Però sarebbe davvero interessante!
Sarebbe interessante fare un quadro della situazione oggi nei vari segmenti nei quali si è frammentato ormai il mondo dell’alpinismo/arrampicata formulando magari anche qualche ipotesi sull’evoluzione futura di ogni segmento. Faccio una proposta: chi è in grado e conosce bene un settore potrebbe cimentarsi e fare un quadro del settore con un taglio documentativo. In generale potremmo mandare a Gogna quello che troviamo in giro. Sarà poi lui, se ne ha voglia e lo ritiene interessante, a selezionare e mettere insieme i diversi materiali, magari legandoli tra loro come un’evoluzione a puntate o capitoli. Sarebbe bello disporre alla fine di un rapporto simile ma più completo e anche meno “freddo” di quello che mi è capitato di trovare in rete sugli USA. Cosa ne dite?
https://americanalpineclub.org/state-of-climbing-report
In questi grami tempi di muri e di vaccini …tutti altrove i post .
Mi associo al dispiacere di Paolo Gallese…
Che peccato non siano venuti in diversi a commentare questo post. Sarebbe stato interessante.
Oltre che sulla Settimana Enigmistica vi erano forti segnali della direzione che l alpinismo avrebbe preso già 40 anni fa e piu..sia in un senso ,profondo verso l’ignoto che è in noi e le strade intricate della mente che nell altro, su Topolino.
Vari sono i racconti dei paperi che incontrano guru e santoni su monti molto analoghi con doni dell’aquila incorporati.
Poi vi sono le storie piene di concretezza tecnologico-analogica con strumenti spara chiodi inventati nel laboratorio di Archimede.
A noi la scelta.
Paolo, perchè? Perchè non dire la tua?!?
E’ evidente ch esiste una certa “ammirazione” per l’alpinismo/alpinisti di punta. E’ anche “condivisibile”, rifarsi/ immedesimarsi in persone che lanciano una direzione e lasciano un forte segno. Persone che danno tutto. Che sembrano irraggiungibili. Ma è anche vero che ognuno di noi vive le proprie esperienze, le proprie avventure, che sono degne di considerazione proprie perchè sono umanamente personali. Non è detto che è importante solo quello che è estremo. Che poi cosa è estremo? Ognuno di noi ha il proprio “estremo” .
Quello che per te puo apparire banale per altri può essere estremamente emozionale. L’importante è non banalizzare, non rendere tutto fattibile, lasciare il gusto della ricerca e della scoperta.
Quando frequentavo il mondo dell’alpinismo, inteso nel senso più ampio e meno prestigioso (anche se mi è capitato di conoscere informalmente alpinisti di punta), la maggior parte delle volte tacevo, anzi quasi sempre. Non ho mai avuto i numeri per dire la mia e lo riconosco. Ma mi ha sempre affascinato questo genere di dibattito, sotto il profilo umano. Mi ha aiutato a non provare soggezione e ad essere consapevole dei miei limiti, tecnici e culturali.
Il mio personale modello di approccio alla montagna non avrebbe alcun valore qui. Ma attendo con interesse gli interventi che spero numerosi.
Cesare Maestri e Bepi de Francesch venivano spesso fotografati appesi a scalette come funamboli , quindi erano considerati solo artificialisti dal grande pubblico, invece pure in arrampicata classica erano fortissimi.Pero’ per l”immagine pubblica”andava di piu’ l’altra versione.Importante e’ 1-invecchiare 2-con interessi e nuove visioni.3-avere provato il metodo classico( comprese attrezzature ) e le innovazioni ( compresi abbigliamento scarpette ed aggeggi)