Meno bivacchi tecnologici, più esperienze

A seguito delle preoccupazioni espresse nel nostro post del 29 dicembre 2013, in questa primavera 2015 alcuni fatti ci sottolineano che la (da molti temuta) colonizzazione di Alpi e Appennini attraversa un momento ben “florido”.
Lo confermano una notizia d’attualità (la ricollocazione del bivacco Fratelli Fanton) e il contiguo dispendio di forze dell’informazione.

La storia del bivacco Fanton è assai particolare: negli anni Settanta un bivacco modulo Apollonio veniva approntato per la collocazione a Forcella Marmarole 2661 m. Causa meteo avverso durante l’elitrasporto, venne temporaneamente appoggiato in alta Val Baion in posizione tutt’altro che strategica (1750 m) e mai più ricollocato nel posto stabilito alla Forcella.

Costatate le pessime condizioni in cui versava il manufatto, il 22 ottobre 2014 il CAI Auronzo, in qualità di ente banditore, pubblicava un concorso per la costruzione di un nuovo bivacco a Forcella Marmarole. Nel bando (qui in versione integrale), pur andando meticolosamente a cercare nelle pieghe del suo noioso linguaggio burocratico, non è neppure un cenno allo smantellamento della vecchia struttura.

La zona dell’alta Val Baion (gruppo delle Marmarole)
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A marzo 2015 è la comunicazione ufficiale dell’esito del bando. Si viene a sapere che, tra i ben 273 gruppi partecipanti, ha prevalso il trevigiano Studio DEMOGO (Davide De Marchi, Alberto Mottola, Simone Gobbo) con il progetto di un “volume parallelepipedo scatolare sollevato su soli tre appoggi (dunque facilmente reversibile) che asseconda il declivio inquadrando a cannocchiale la Val da Rin e Auronzo; l’organizzazione interna è in funzione della pendenza, con i posti letto sfalsati a salire rispetto al filtro d’entrata, mentre lo spazio giorno gode del panorama attraverso una grande vetrata”. Si parla 10-12 posti.

La motivazione: La Commissione Giudicatrice valuta positivamente la soluzione progettuale proposta per la grande capacità di inserirsi nel contesto attraverso una corretta lettura dell’orografia e per interpretare questo rapporto anche all’interno (sia nella distribuzione, sia nella ricerca di una vista privilegiata a cannocchiale sullo splendido scenario delle Marmarole, sia nell’organizzazione e divisione spaziale tra ingresso, zona giorno e zona notte), garantendo adeguati spazi e riservatezza ai fruitori della struttura. Inoltre rispecchia pienamente i requisiti richiesti dal Bando di Concorso, per dimensioni, impegno, sostenibilità, reversibilità, limitato attacco a terra in soli tre punti, volume compatto. Ribadendo la validità del progetto, la Commissione raccomanda particolare attenzione nella scelta del materiale di rivestimento esterno in rapporto al contesto, approfondendo l’aspetto della sostenibilità e suggerisce un maggior affinamento della soluzione della scala di accesso.

Ai primi di aprile la rivista ufficiale del CAI, Montagne360, pubblica ben undici pagine sull’argomento bivacchi fissi, con il titolo Novant’anni di emozioni in scatola. Ad una breve storia dei bivacchi (firmata da Luca Gibello), seguono un saggio sull’attuale sperimentazione e un ventaglio di schede delle ultime realizzazioni.

Già l’incipit è chiarificatorio della posizione positivista assunta dall’intero servizio. La volontà colonizzatrice è rivestita da un manto di curiosità sulle possibilità tecnologiche odierne e le viene apposto il cappello del “nessuna alternativa”: Ignoti ai più, e spesso snobbati rispetto alle strutture custodite, i bivacchi incarnano la quintessenza del progetto dei ripari nelle più remote e inospitali Terre alte. Non solo perché debbono bastare a se stessi ma anche perché rappresentano la sfida modernista e razionalista dell’Existenzminimum, ovvero la definizione di uno standard spaziale minimo per l’abitare. Inoltre, sono un prodigio di prefabbricazione reversibile (leggasi: smontabili senza lasciare quasi traccia), mentre a livello formale sono quanto di più astratto si possa pensare per la montagna: nessun tentativo di mimesi con l’ambiente o di ripresa pittoresca dello chalet”.

Inventati dagli accademici del CAI, i bivacchi sono sentinelle dell’abitare estremo”. Chi oserebbe mai dubitare dell’utilità, che dico, della necessità delle sentinelle? Ma di quale battaglia o guerra stiamo parlando, se si evocano le sentinelle? A cosa queste devono fare la guardia? L’impressione è che ci si riempia la bocca di paroloni nella tronfia sicurezza che nessuno possa contraddire. Perché a nessuno sano di mente può passare per la testa che noi andiamo in montagna come alla guerra. Questa usata è un’iperbole che tradisce l’irrazionalità di chi ha un grosso scopo, un obiettivo preciso: edificare. Perché l’uomo non è tale se non edifica, se non colonizza, se non marca il territorio.

Disegno dell’interno del futuro bivacco fratelli Fanton
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Se si isola il contenuto della parte storica dell’articolo (cioè se si ammette e non si concede che costruire bivacchi sia ancora oggi una bella cosa, che l’uomo debba fare assolutamente), allora occorre dire che è ben fatto. Si era partiti dal CAAI, i fratelli Ravelli si erano presi l’incarico di studiare delle strutture fisse da porre in luoghi alti “laddove la limitata frequentazione delle montagne non richieda o l’orografia non consenta di erigere veri e propri rifugi”. Nel gruppo del Monte Bianco, il 27 e il 30 agosto 1925, s’inaugurano il bivacco al Col d”Estellette (dedicato ad Adolfo Hess) e quello al Frébouze.

La realizzazione delle successive strutture è stata perfezionata dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’ingegner Giulio Apollonio (all’epoca presidente della SAT) mise a punto il tipo a 8/9 posti che, pur nell’economia di spazio, migliora l’abitabilità e il comfort aumentando le dimensioni (2,29 metri di altezza interna al centro, 2,10 di larghezza interna e 2,63 di profondità, per un volume esterno totale di 15,15 metri cubi). Abbandonando perciò la semibotte Ravelli a favore di un parallelepipedo culminante con una copertura sempre archivoltata e dotato di un sistema di ventilazione. Il modulo Apollonio fu brevettato e diffuso dai tecnici della Fondazione Berti con alcune variazioni, come l’inserimento di uno strato isolante di lana di roccia tra la lamiera e il pedinato interno. E con queste varianti il bivacco Apollonio ha goduto di una fortuna durata fin quasi a oggi.

L’articolo storico in seguito c’informa che già negli anni Trenta l’architetto francese Charlotte Perriand, assieme all’ingegner André Tournon, mette a punto il refuge bivouac, basato su una struttura a telaio in tubi di alluminio leggeri e pannelli di compensato dalle dimensioni standard. Restano invece sulla carta i piani per il refuge tonneau, anticipatori delle soluzioni «futuribili» che vedranno la luce in seguito.

Il bivacco Luca Vuerich, gruppo del Montasio, Alpi Giulie
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E’ alla fine degli anni Sessanta, e soprattutto in Svizzera, che i bivacchi paiono “la più diretta materializzazione di concetti, tecnologie e immaginario legati al mondo dell’aerospazio, che riproduce artificialmente le condizioni di vita all’interno di microcapsule o bolle-membrana”.

E’ vero che si osserva un parallelismo quasi automatico tra i bivacchi e i moduli della coeva conquista del cosmo. Esempi ne sono il bivacco Grassen a St-Niklaus, come quello del Mont Dolent, con scocca sperimentale in poliestere, o il bivacco dello Stockhorn e il Ferrario in cima alla Grignetta.

La panoramica storica si conclude con il famosissimo bivacco Gervasutti, addirittura replicato e moltiplicato alle falde dell’Elbrus.

Nel secondo articoletto, Un concentrato di sperimentazione (di Roberto Dini e Stefano Girodo), viene ribadito che oggi “l’attenzione si focalizza soprattutto sulle tematiche ambientali, e in particolare su questioni come la reversibilità, il rapporto con il suolo e il paesaggio circostante, l’elevata prestazione tecnologica e la sperimentazione sui materiali innovativi”.

Si citano le realizzazioni dell’architetto sloveno Miha Kajzelj: mentre al Grintovec (nei pressi di Lubiana) è un monolite a sviluppo verticale “con il chiaro intento di spiccare nel paesaggio”, il grigio prisma metallico al Kotovo Sedlo “si presenta invece mimetico rispetto al paesaggio roccioso circostante e infilato a cuneo sotto un masso strapiombante”.

Solo a questo punto vi è un accenno al fatto che magari non tutti possono essere d’accordo: “Nonostante una storia fatta di pura sperimentazione fin dal principio, spesso però il connubio tra bivacco e tecnologia viene aspramente criticato dai presunti «puristi» che non vedono di buon occhio l’accrescimento di comfort che si accompagna a quello della tecnica: come però sussiste la necessaria evoluzione della giacca, della corda e dello scarpone che chiunque accetta e utilizza senza porsi particolari questioni vetero-romantiche, al pari esiste la necessaria innovazione nei ricoveri per gli alpinisti”.

Seguono le schede del Luca Vuerich 2531 m (gruppo del Montasio), dell’Arrigo Giannantonj 3167 m (Adamello, installazione prevista nell’estate 2015), del bivacco Col Clapier 2477 m (Alpi Cozie), del Giambatta Giacomelli 2030 m (Vigolana) e del Città di Cantù 3536 (Ortles, installazione prevista nell’estate 2015).

Chi ha spinto per la realizzazione di questo lungo servizio su Montagne360 e lo ha poi realizzato è l’Associazione Cantieri d’Alta Quota, cui è dedicato anche un piccolo box.
Tutto ha avuto origine dal libro di Luca Gibello (Cantieri d’alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi, Biella 2011, tradotto in francese e tedesco nel 2014 a cura del Club Alpino Svizzero), considerato il primo studio sistematico sul tema. Poi è nata nel maggio 2012 l’associazione culturale, che ha un sito web (http://www.cantieridaltaquota.eu) e la sua pagina facebook.
Con sede a Biella, “ha per scopo la ricerca, divulgazione e condivisione delle informazioni storiche, edilizie, progettuali, geografiche, sociali ed economiche sulla realtà dei punti d’appoggio in alta montagna, luoghi ambientalmente “estremi” per eccellenza. L’associazione intende porsi come osservatorio, piattaforma d’interscambio per tutti coloro che operano in montagna, così come per coloro che la frequentano”.

In conclusione:
L’attuale tsunami continuo di parole che c’inonda da mattina a sera permette che le idee vengano ribaltate per i più diversi usi e consumi.

A chi ritiene che un bivacco fisso trasandato, sozzo e cadente debba essere smantellato senza alcuna sostituzione non è concessa neppure l’esistenza. Come se chi predica (o anche solo pensa) questo fosse di una razza inferiore, un boscimane errante, uno svitato fuori dalla realtà. Neppure citato.

Neppure un accenno alla filosofia della riduzione delle strutture, di un recupero della wilderness, per non parlare di deep-ecology alla Arne Naess (Carneade, chi era costui?).

Quando capiremo che non c’è più alcun bisogno di bivacchi fissi? Mi viene voglia di organizzare una gita al bivacco Perugini (solo per citarne uno), per far toccare con mano come questo sia nel tempo diventato un mini-alcova per coppiette. Mi viene in mente che potrei scrivere un articolo su tutte quelle vicende tristissime accadute perché i malcapitati confidavano nel bivacco fisso e sono partiti a dispetto di meteo infide. Potrei dilungarmi sull’antistoricità di questo fenomeno.

Senza neppure cercare di confutare l’affermazione di Dini e Girodo che taccia di vetero-romanticismo chi vorrebbe strutture spartane e più tradizionali. Sì, perché personalmente sono dell’opinione che dobbiamo smetterla di progettare nuove strutture, spartane o meno, belle o brutte che siano. Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.

Tramite la rinuncia ai manufatti, proviamo così a costruire la nostra esperienza.

Il nuovo bivacco Arrigo Giannantonj esposto a Berzo Demo, in attesa della collocazione al Passo di Salarno
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Meno bivacchi tecnologici, più esperienze ultima modifica: 2015-06-26T07:00:38+02:00 da GognaBlog

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32 pensieri su “Meno bivacchi tecnologici, più esperienze”

  1. GIANGI4

    se serva o meno non te lo so dire, ho sentito dire che dalla forcella partono diverse vie per le quali sarebbe un comodo appoggio ma di più non so…
    Molto probabilmente hai ragione da vendere, se fosse stato un bivacco per emergenze o a “mero scopo alpinistico” avrebbero fatto come quelli di Dolo sulla Schiara, che hanno RIMOSSO il vecchio semibotte rimpiazzandolo con uno simile, questo invece sa anche a me di attrazione turistica… col rischio di vedere attrezzature superflue spuntare come mosche come va di moda oggi: io, come ben sa chi legge, non sono contrario tout-court agli attrezzati, SE SONO FATTI CUM GRANO SALIS, mentre odio le cagate inutili degli ultimi anni…

    Per il punto parco avventura, la mia opinione (che ovviamente vale quanto vale visto che sono un ICS qualsiasi) è NO, non ha senso trasformare quella zona delle Marmarole in parco avventura, e dal punto di vista puramente economico, la in zona ci sarebbero migliaia di altre cose da fare prima di mettersi a inventare queste cagate…

    Per il discorso se servirà a diminuire o invece aumentare le emergenze, penso nessuna delle due: diminuire le emergenze non credo, visto che chi bazzica quelle zone non è uno sprovveduto, semmai potrebbe aumentare la frequentazione da parte di alpinisti che si troverebbero la possibilità di attaccare le vie da riposati e non dopo essersi scammellati oltre 1500 disl… aumentare le emergenze idem, non credo, per quanto lo si possa attrezzare il dislivello non cambia, e i moderni “cacciatori di ferrate” non vanno a farsi tutto quel dislivello

    GIORGIO

    Beato te! io non so perché ma ogni volta che dormo in bivacco, pur essendoci bel tempo, becco temperature prossime allo zero… avrò il freddo che mi rincorre!!!!

  2. @Giangi4
    quel bivacco, secondo me, serve a portare su scialpinisti per fare traversate 😉

    @Blitz
    ma sono d’accordo con te,
    sia sulla questione dell’economia delle valli, su cui mi fermo perchè forse andremmo fuori tema.
    .
    sia sul valore “propedeutico” dei quei bivacchi (in quella zona delle Dolomiti).
    Ci ho dormito in molti bivacchi delle Marmarole, durante l’estate, e con bel tempo, e devo dire che a ripensarci non sono mai stati davvero necessari, nè per soccorso, nè per dormire; avrei potuto dormire con un sacco a pelo, anzi senza niente! subito fuori, spesso quasi-prato, godendomi il cielo stellato invece di rigirarmi in mutande nella branda dentro il bivacco, infastidito dal troppo caldo per la presenza di umani, infastiditi al loro volta per il mio rivoltarmi.
    .
    Va detto d’altronde che quei bivacchi a quote sopra i 2000 metri, ma con partenze da paesi sotto i 1000, sono una meta di riferimento, un punto-tappa, più che una vera necessità alpinistica, ed infatti è facile incontrarci grandi appassionati dell’ambiente. A pensarci…, al posto del Musatti, del Voltolina, del Tiziano, etc. e ci potrebbe mettere in sotituzione nient’altro che un cartello con su scritto “DORMI QUI! …” scherzo… 🙂 ok, il gioco potrebbe cambiare in ambiente invernale innevato…

    Per la mia poca esperienza, la situazione è ben diversa sui bivacchi di alta quota (sopra i 3000), ho in mente quelli nelle Occidentali, per non parlare dei rifugi custoditi, dove si vedono replicate tutti gli egoismi e la violenza dei comportamenti di città. Follia cafona, internazionale pure. Quasi tutte le salite ai 4000 che ho fatto sono sempre state un pò rovinate da episodi incresciosi avvenuti nei rifugi (furti di materiale, di vestiario, di scarponi!, il passare “avanti” a tutti i costi, etc.etc.) e nei bivacchi anche; per esempio mi capitò di venire a parole (nell’incomprensione tra lingue dell’est ed italo-inglese) con degli stranieri dell’est che non volevano farci un pò di posto per accovacciarci e “dormire” al bivacco Rossi-Volante, quota 3750… ore 21…); questi avevano preso possesso del bivacco considerandolo loro campo base…
    .
    Bivacchi per sola emergenza ? Ma avete presente il bivacco Andreotti sul Monviso ? Che io sappia ci si potrebbe dormire solo in casi di vera emergenza… ma lo ho visto pieno di gente che ci andava apposta col bel tempo, giusto per partire già in alto e davanti alla plebe che parte dal bivacco delle forciolline o dal rifugio Sella.
    .
    Quindi capisco Alessandro Gogna quando, credo nel libro “La Parete” (quel libro non sono riuscito a leggerlo… ma ne ho letto una recensione che quotava suo pensiero), parlava del dover affrancarci dalla “montagna ad ogni costo”, parlava di raggiungere, per esempio, il Monte Rosa, partendo a piedi dal canavese 🙂
    .
    Una provocazione ? Forse No! penso che quello sarebbe il modo che mi renderebbe felice, quello di salire così in alto partendo dalla pianura, ma confesso, non ho mai ancora avuto i coglioni di farlo…

  3. Domanda: ma serve quel bivacco?
    Un bivacco dovrebbe nascere come risposta a possibili condizioni di emergenza in luoghi isolati e frequentati.
    In questo caso abbiamo un ambiente quasi integro, uomo dei pochi rimasti in dolomiti, poco frequentato che di per se stesso non ha bisogno di bivacchi di emergenza.
    A me sembra che quello che si vuole costruire non è un bivacco per emergenze ma un luogo di attrazione per portar su gente.
    Dopo questo sarà necessario sistemare sentieri ma siccome il luogo è quello che è più che altro ci sarà da attrezzare, altrimenti quel bivacco con 12 posti che assomiglia più ad un rifugio, rimarrà vuoto e inutilizzato.
    E a questo punto la domanda è: ha senso modificare e sostanzialmente distruggere uno dei pochi ambienti dolomitici per trasformarlo nel solito parco avventura?
    E questo bivacco e queste attrezzature, visto che dovrebbero aumentare la frequentazione, serviranno a migliorare le emergenze o finiranno solo per moltiplicarle?
    Boh , qui non si tratta di fare gli integralisti, ma di cominciare a guardare la realtà.

  4. Lusa,
    adesso che parli da utente e non da “troll” ti rispondo: quanto dici è condivisibile, ma converrai con me che anche l’ assenza del manufatto è un condizionamento, prova a pensarci: non c’ è manufatto, non c’è riparo, non c’è niente: un neofita non potrà mai avvicinarsi da zero, se ne resterà a casa come auspicate tu e Paola… bello, bellissimo… però con i fondovalle trasformati in zona industriale come la mettiamo? quelli vanno bene? adesso non ditemi che volete eliminare anche quelli, perché allora mi trovate un’ alternativa all’ emigrazione o alla morte per fame di qualche decina di migliaia di persone…
    .
    .
    Giorgio,
    sulla questione del bivacco in oggetto penso siamo tutti d’ accordo: una sostituzione magari ci poteva stare, un abominio del genere con una spesa del genere assolutamente no; come dici tu il bivacco, oltre a utile punto di appoggio, può essere veramente un qualcosa di iniziatico, un “trampolino di lancio”, perché non ci si trova più ad essere in un rifugio, magari più albergo che rifugio, con cena, colazione, bibite, dolci, & co, sei in un buco di 3 x 2, magari da condividere con più gente di quella che potrebbe contenere, o magari in solitudine.
    Poi eventualmente da là puó capitare che qualcuno decida di fare il grande passo e rinunci anche a quello, ma se non si va per gradi, mi pare come mettere il tetto senza le fondamenta…
    .
    Economia cadorina… il fallimento turistico e di valorizzazione ambientale non è un mistero, ma uno dei peggiori effetti collaterali del disastro del Vajont, con la pioggia di finanziamenti post-disastro per trasformare boscaioli, malgari e agricoltori in operai, aggiungi il fatto che in quel periodo l’ occhiale tirava come un treno e patatrac: si è trasformata un’ enorme vallata alpina (da Longarone ad Auronzo) in un distretto industriale alla stregua della bassa padovana, con la differenza che nella bassa padovana non hai le montagne piuù belle del mondo…
    Da qua a disinteressarsi del turismo il passo è stato breve, anzi, sono passati direttamente a vedere il turismo come un intralcio, un fastidio, DEVO CONSEGNARE GLI OCCHIALI ZIOTREN, CHECCOIONI STI TURISTI PA LE STRADE CHE NO IE BONI DE GUIDAR!
    Il passo successivo è stato l’ abbandono della montagna, con molte aree un tempo pascolive (o più in basso agricole, come nel feltrino) trasformate in zone completamente wild ma che non lo erano mai state dalla notte dei tempi… quindi giungiamo al paradosso che in certe aree dolomitiche la “wilderness di ritorno” è dovuta alla pesante industrializzazione: trasformiamo le montagne in paradisi wild e trasformiamo i fondovalle in camere a gas: questo ha fatto gran parte del bellunese fino a pochi anni fa.
    .
    Adesso che l’ occhialeria è andata in malora, si è tirata dietro tutto il resto (cosa assurda, inconcepibile che un’ area teoricamente turistica dipenda quasi esclusivamente dalle fabbriche), i valligiani stanno iniziando a svegliarsi e vogliono recuperare il tempo perduto, cercando di rilanciare, talvolta con buoni risultati, talvolta “maldestramente” con quella boiata del sentiero attrezzato dietro la Croda dei Tòni.
    Si trovano nella situazione in cui si trovavano le altre vallate dolomitiche 50 anni fa, e bisogna “indirizzarli” cercando di sfruttare i disastri delle altre vallate per trovare il giusto compromesso (es. non fare ferrate a nastro e cabinovie ogni pisciata di cane, ma fare invece manutenzione a tutti i sentieri, e dare qualche servizio in piú nei paesi)
    .
    Discorso cultura ambientale, ovvio che ci deve essere, ma non serve farla dall’ asilo, ci sono tanti modi per fare cultura alla gente “lavorando nel subconscio”… La però ci vorrebbe uno sforzo congiunto da parte di tutti gli attori: aziende di soggiorno, Guide, CAI,…

  5. Affermare con forza, sostenere un’idea non è assolutamente paragonabile ad uno starnazzare.
    Condividere un’opinione di Alessandro Gogna quando dice nell’articolo: “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.”, farne una parola d’ordine non è starnazzare, ma indirizzare e focalizzare il proprio pensiero in difesa dell’ambiente montano, al “recupero” (dove è ancora possibile recuperare) della wilderness che è un inestimabile patrimonio comune da preservare, dove ciascuno possa immergersi per “creare” delle sue personali e genuine esperienze vissute, lontane e non condizionate da alcun manufatto. Perchè il manufatto condiziona. Inconciamente l’individuo è condizionato dal manufatto. Non è totalmente libero. Assoluta e totale libertà nella wilderness, questa è l’imprescindibile condizione per “costruire” un’autentica libera e non condizionata esperienza.

  6. PS
    Lusa, “troll” non è un nomignolo che si affibbia al prossimo: nel linguaggio di forum / blog / ecc. un troll è un utente che scrive esclusivamente per provocare e seminare zizzania 😉 e scrivere che la gente se ne deve restare a casa e deve star lontana dalle montagne, mi sembra una provocazione bella e buona 🙂

  7. L’ho colto il tuo spunto, Blitz, infatti ti do ho dato un “assist”.
    .
    Spiace che Lusa si fermi nel ripetere a caratteri cubitali il concetto, perchè tu lo hai esteso (= compreso ed ampliato) in un modo che mi pare di condividere, quando parli di “occhialerie”; dunque non credo tu abbia la “vista corta” (scherzoso gioco di parole 🙂 ).
    .
    Sono d’accordo sul fatto che questo equilibrio tra ambiente montano e società dabbasso vada trovato alpiù presto. E sulla questione del bivacco in oggetto (cosa di poco conto secondo me rispetto alla devastazione della valli, credo tutti d’accordo qui), ho subito detto di essere combattuto, perchè da un lato posso intuire i forse biechi propositi che hanno portato a realizzarlo (notavi anche te che 50.000 euro di spesa per na roba così, per una “piccola” sezione CAI… fanno una certa impressione), ma ho anche conosciuto e condiviso l’amore sincero della gente (del posto) per quelle pur stupide “sentinelle” abitative di cui forse si potrebbe fare pure a meno in molti casi. Ma i bivacchi di montagna (penso a quelli del Cadore in cui mi vergogno… ci ho dormito 🙂 ) sono di solito un punto di riferimento iniziale (ed iniziatico per i neofiti), quindi semmai sentinelle di un rispetto per l’ambiente 😉
    .
    Da molti anni mi arrovello proprio in particolare sulle tragicomiche vicende dell’economia del Cadore dove il fallimento turistico e di valorizzazione ambientale pare un mistero assurdo, per me che vivo in una lontana inquinata città di mare, rispetto alle potenzialità di un ambiente montano così bello… forse il più bello delle Dolomiti. Sacro.
    .
    La “quadra” a mio avviso è in una azione di cultura ambientale, necessaria “fin dall’asilo” (dico spesso un pò scherzosamente, un pò seriamente). Ci vorrà tempo. Generazioni di umani. Fin’ora la mia inutile azione è stata quella di incoraggiare ed essere amico di chi ha cercato di muoversi (lavorativamente) nell’ambito di un turismo focalizzato sul rispetto e valorizzazione dell’ambiente. E’ anche vero,lo ammetto, che c’è un pò di “rancore”, da parte di taluni qui, ambientalisti, e mi ci metto dentro, nel vedere sempre “tradite” le lotte, anche da persone in organizzazioni sociali che si penserebbe fare l’interesse delle comunità locali: gli amministratori comunali, le Guide Alpine, le sezioni del CAI…(vedi vicenda eliski, proprio nell’ampezzano).
    .
    P.S. In generale inviterei i commentatori a moderare i toni e non farci prendere da stalli-alla-messicana insultosi. Non sprechiamo questo prezioso spazio di comunicazione. Con rispetto

  8. guarda Giorgio non so che pensare, so solo che ho lanciato uno spunto di riflessione/discussione e nessuno pare interessato a discutere su come trovare un equilibrio, perchè un equilibrio VA trovato, mentre in giro vedo solo gente estremista o da una parte o dall’ altra, perché dire “LA GENTE SE NE DEVE RESTARE A CASA, VIA DALLE MONTAGNE” oppure dire “CEMENTIFICHIAMO E MECCANIZZIAMO TUTTO” fa molto più figo che sedersi attorno a un tavolo e discutere da persone equilibrate.
    Bisogna trovare un equilibrio, una sorta di quadratura del cerchio, e non è certo starnazzando a favore di una parte o dell’ altra che lo si raggiunge.
    Ne va del nostro ambiente e del nostro futuro (e anche dell’ economia di intere regioni)

  9. “DOBBIAMO SEMPLICEMENTE FARE IN MODO CHE LA NATURA, ALMENO IN MONTAGNA, SI RI-APPROPRI DELLO SPAZIO CHE LE ABBIAMO RUBATO.”
    ECCO LA PAROLA D’ORDINE!
    SCRITTA A GRANDI CARATTERI (PER COLORO CHE HANNO LA “VISTA CORTA”).

  10. Si legge in un commento da parte di uno spavaldo sacciutello: “Scusa Giorgio ma i troll come Lusa e Paola (che sispetto essere lo stesso utente) vanno eliminati o fanculati :)”.
    Ma chi si crede di essere lei da affibbiare nomignoli al prossimo sosteneno che vadano eliminati e f…….i?
    Faccia il piacere di togliersi di torno ed andare a sputare e vomitare banalità altrove.
    Di gente del suo stampo non vi è assolutamente bisogno, sopratutto che venga a imbrattare e a contaminare questo blog.
    Ma sopratutto smetta di andare in qualsiasi posto, non solo in montagna, ma anche al mare. Ovunque lei si si presenti “inquina”.
    L’aria sottile delle vette e l’acqua cristallina del mare.
    Chi potrebbe mai pernottare in un bivacco dopo il suo passaggio? Solo dopo un’accurata disinfestazione e il ricambio di tutte le suppellettili ciò sarebbe possibile.

  11. altro bivacco che ricordo con nostalgia. Il vecchio Gervasutti. Le sue vecchie pareti di legno traboccavano di storia.

    Adesso ci hanno messo un tubo che sembra la macchina per farsi la TAC.

    ma come si fa a pensare, autorizzare, installare certe brutture!!

  12. Scusa Giorgio ma i troll come Lusa e Paola (che sispetto essere lo stesso utente) vanno eliminati o fanculati 🙂

  13. Leggo in un commento: “Non ti mando dove meriteresti per educazione”.
    Sig. Bliz le consiglio di fare molta attenzione quando sputa su qualcuno: “guardati dallo sputare contro il vento!”
    Lasci perdere la montagna, mi creda non fa per lei, piuttosto vada a cianciare in spiaggia a fare il fenomeno di turno sotto un’ombrellone.

  14. Guarda Lusa, che il pensiero di Blitz estende la tua sentenza: “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.” esprimendo il concetto che TUTTO il territorio (anche le zone industriali dei fondo valle e della vita citatdina, e non solo l’ “almeno in montagna”) deve essere “bonificato” in un una nuova visione di compromesso tra ambientalismo e turismo. Conoscendo un pochino la “questione cadorina”…(ma è un concetto che vale per tutta Italia) credo di capire cosa intende e gli darei ragione. Cioè io credo che gli abominii si eludano attraverso una riscostruzione culturale e sociale “dal basso” (in tutti i sensi). Però, Blitz non fanculiamoci che qui non siamo su facebook! 🙂

  15. “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.”
    Ecco la parola d’ordine!
    La montagna non ha bisogno di turisti!
    Inoltre più gente resta a casa meglio è per la montagna, per la sua tranquillità e per la wilderness.
    Bliz, non hai mai pensato (educato come ti proclami) di autospedirti dove ti meriteresti di andare?

  16. Prendo spunto da quanto dice Luca Visentini per una riflessione: da una parte abbiamo chi eliminerebbe tutto ciò che è stato fatto in montagna in millenni di storia: dai sentieri di pastori e cacciatori risalenti alla notte dei tempi fino a cose più recenti, quali bivacchi, rifugi, sentieri attrezzati, ecc; dall’ altra abbiamo chi metterebbe ferri, funivie, e rifugi-albergo ovunque in nome del turismo.
    Ora, è vero che non si può più continuare a spremere la montagna come è stato fatto in certe zone nell’ ultimo mezzo secolo, è anche vero però che i montanari devono vivere di qualcosa, l’ agricoltura/pastorizia non hanno posto per tutti e soprattutto non potrebbero permettere a tutti un tenore di vita decente, e una montagna senza sentieri e punti d’ appoggio non attira turisti.
    L’ alternativa è, come già fatto pesantemente in Cadore in nome dell’ occhiale, trasformare le vallate alpine in enormi zone industriali alla stregua della pianura, oppure deportare tutti i montanari. IO NON CI STO.
    A questo punto, perché invece di arroccarsi su posizioni estreme che non portano a nulla, non cerchiamo di discutere tutti quanti assieme per trovare una soluzione “via di mezzo” che permetta ai montanari di campare senza emigrare o senza costruire fabbriche, ai turisti di godere della bellezza delle montagne senza dover essere per forza dei campioni di alpinismo e portarsi dietro zaini da Special Forces, e all’ ambiente di non venire devastato come è già stato fatto in certe zone?
    Penso che sarebbe molto più costruttivo che non cianciare al vento “SE NE RESTINO A CASA” tanto per fare i fenomeni di turno

  17. Paola dobbiamo restare a casa perché l’ hai deciso tu?
    Manco stessimo parlando di certe porcate di hotel 5* ad alta quota…

    EVVIVA

    Non ti mando dove meriteresti per educazione

  18. Fermare la proliferazione dei bivacchi è giusto e sensato. Sono d’accordo con LUSA “dobbiamo restituire lo spazio che abbiamo rubato alla natura”.

    Però devo anche ammettere che in alcuni bivacchi ho passato delle ore indimenticabili che ricordo con nostalgia. Ad esempio al Bivacco Carnielli sotto lo Spiz di Mezzodì. Ci sono stato 2 volte la prima a fare lo Spigolo Gianneselli . Ricordo come fosse adesso la nottata che abbiamo passato sotto un furioso temporale. Il bivacco tremava. Penso ci abbia salvato la pelle.
    La seconda volta a fare la Miotto-Bee sulla nord. Il luogo è bellissimo e il bivacco un nido d’aquila che non sfigura con l’ambiente circostante.
    Ma forse sono i ricordi che mi legano a queste vecchie lamiere che mi fanno pensare così.

  19. Leggo in un commento: “non tutti hanno voglia di portarsi al seguito tende, sacchi a pelo & co”:

    Se non ne hanno voglia perchè non rimangono a casa?

    “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.”

  20. PS sempre per Lusa,
    visto che dici
    “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.”
    Ecco la parola d’ordine!
    cominciamo a demolire le zone industriali (in particolare quelle abbandonate o semiabbandonate che appestano le vallate alpine, e convertiamo l’ economia di quelle zone in economia turistica visto che non riesco a concepire come amici miei che vivono nelle Dolomiti facciano lo stesso lavoro mio che vivo a Padova, e intanto il turismo nelle loro zone… dorme

  21. Lusa cortesemente ci diresti in base a quali dati stabilisci che il 50% dei bivacchi non ha alcuna utilità?
    Forse in base al tuo personale modo di vedere?
    No perché oltre a conoscere gente che li bazzica, io stesso ho trovato, trovo adesso e troverò nei miei giri futuri una loro utilità…
    (compreso il tanto criticato Perugini in cui ho dormito 2 volte nell’ ambito di itinerari lunghi, e che ho sempre trovato in condizioni perfette)

  22. Il 50% dei bivacchi non hanno più alcuna utilità alpinistica, quindi potrebbero essere eliminati e potrebbe essere recuperata una parte di wilderness.

  23. Un bel guadagno per chi lo ha realizzato, parole di gloria dei fans per chi h dato via la progetto…. inutilizzo della struttura come condimento finale…!
    Ma quanta gente passa e dorme in forcella Marmarole??? E’ uno dei punti meno freuqentati delle Dolomiti… il vecchio bivacco soffriva già quello di nostalgia…
    Scusate il francesismo:
    L’ennesima puttanata targata C.A.I.!

  24. Ho saputo tardi di quest’ennesima trovata, cioè del nuovo bivacco progettato sulla Forcella Marmarole.
    Non che avessi avuto maggiori possibilità di bloccarlo, sapendolo prima. Dato che come uno parte con queste iniziative in Dolomiti, dai primi anni 80 del secolo scorso sa che quasi nulla potrà più fermarlo. Basti pensare a quell’istruttore di nordic walking, ben ammanicato in Val di Fiemme, che è riuscito a fare quel che ha fatto – e prima o poi bisognerà parlarne anche in questo blog – sulla cima del Castellazz vicino al Passo Rolle.
    C’è chi ancora non riesce a pensare alla montagna senza il bisogno di modificarla. Trentacinque anni di cultura dell’ambiente buttati di via? No, perché anche se intanto non li fermi, è giusto criticarli, contrastarli e smascherarli, questi speculatori travestiti da valorizzatori. Chissà mai che un giorno…
    Una volta informato, comunque, della genialata, ho visionato l’accattivante filmato che propaganda il progetto del bivacco. Comincia scontatamente con un sopralluogo al vecchio manufatto giù nella Val Baion e, sì, è proprio storto. Mai manutentato dopo le slavine. Poi si passa a intervistare il buon Valentino Pais, guida emerita di Auronzo, che ha un linguaggio che davvero t’imprigiona (e non scherzo: sono suo amico e lo adoro): gli fanno ricordare, strumentalmente, i vani tentativi dell’elicottero che 50 anni fa cercò di posare il prefabbricato sulla forcella e dovette ripiegare in fondovalle per via del maltempo. Mi sa che lo hanno ben intortato, l’amico mio. Speriamo che dopo la sbornia dell’inaugurazione, quando la frequentazione calerà perché fin lassù occorre camminare parecchio e la voglia viene meno, quando insomma ci sarà da valorizzare a sua volta lo stesso bivacco, non lo prendano a pretesto per dedicargli una nuova via ferrata sul Cimon del Froppa.
    Dopo il furbo filmato, ecco l’immagine del progetto vincente in cui due giovani ragazze ammirano dalla vetrata le evoluzioni in cielo dei parapendii: manco fossimo in Val di Fassa, tra Campitello e la funivia che monta al Col Rodella! Montagna uguale sport, campo giochi, punto e basta.
    Sempre in Dolomiti, per esempio, ci stanno tanti studi di progettazione che spulciano quotidianamente i vari bandi di finanziamento. Appena colgono un’opportunità vanno a stimolare il sindaco di turno e lo convincono facilmente – siamo in Italia – ad approfittare. L’inutile bivacco che volevano secondo questa prassi erigere sull’Altopiano delle Pale di San Martino, all’Antermarùcol, è stato cassato non certo dalle nostre 800 e rotte firme contrarie di alpinisti. Di noi se ne fregano, anzi, Mountain Wilderness mi ha confidato che gli operatori sono diventati aggressivissimi e da “padroni a casa nostra” non vogliono, elegantemente, “rotture di coglioni” (turisti pecoroni a parte). No, l’altopiano si è salvato, per fortuna, grazie al parere contrario anche della Sezione Agordina del Club Alpino Italiano.
    Qui in Marmarole, invece, fa tutto quanto il CAI: l’ambizioso neopresidente della Sezione di Auronzo, non per niente architetto desideroso di mettersi in luce; un’ex dirigente nazionale che siede in consiglio comunale e da il suo benestare persino all’uso dell’eliski; un presidente regionale che avalla; un pastpresident nazionale che promuove il misfatto al Filmfestival di Trento.
    Alla faccia delle Tavole e dei Bidecaloghi! Più gli sponsor privati…
    La collocazione del bivacco sulla Forcella Marmarole, e non ne faccio una questione di look tradizionale o moderno, è in ogni modo fuori tempo massimo. È un enorme errore. Gli ultimi lembi di territorio ancora selvaggio in alta quota andrebbero lasciati così come sono, incontaminati.
    Ma è un parlare al vento, adesso. Sull’altro lato della Val d’Ansiéi idealizzano una “Sellaronda delle ferrate” perché hanno montato uno spettacolare ponte tibetano lungo un tratto di sentiero franato e risolvibile altrimenti. Chi si procura un pennello vernicia dappertutto, non rinunciando a lasciare un segno il più pesante possibile del suo passaggio. C’è sempre un soccorso vero o presunto da usare come falso alibi, c’è sempre un morto dietro cui nascondersi.
    Si rivendica il diritto a promuovere il turismo. Scopiazzando da chi è avanti (o indietro?) ormai di troppi decenni. Sotto Ortisei, in Val Gardena, c’è oggigiorno un’altra inimmaginabile città. E in Marmarole io ci andavo proprio perché erano diverse.

  25. nella parte di testo andato perso/troncato nel mio commento iniziale (chiedo venia), accennavo anch’io, come Blitz, al fatto che parecchie decine di migliaia di euro per un bivacco (mi pare di capire 50.000) siano una cifra altissima che il CAI di Auronzo potrebbe invece dedicare a mille altre operazioni a tutela del territorio montano; per esempio per l’educazione al rispetto e la conoscenza della montagna.
    .
    Nemmeno mi piace che ci sia stata la sponsorship di una azienda privata, la AKU, perchè, con tutto il bene che possiamo volere alla nostrana casa produttrice di splendidi scarponi, il finanziamento di privati in opere di questo genere può portare a derive (è un concetto generale, astratto dal caso specifico).
    .
    Sulla assurdità dell’architettura:
    Nei punti “contro”: mesi addietro avevo visto le ricostruzioni tridimensionali al computer della struttura che ha vinto la gara (non riesco più a trovarle in rete) e l’ “estetica” non mi era piaciuta mica, perchè seguiva un “gusto” architettonico postmoderno. Questi bivacchi sembrano navicelle spaziali, con strutture geometriche costituite da linee aliene in completo contrasto con l’ambiente montano e spesso in posizioni di inutile sfida alla gravità (ma non è il caso del bivacco in oggetto, ad onor del vero).
    .
    In generale (chiedo scusa per l’off-topic), ci sarebbe da fare un discorso sulla bruttezza delle opere architettoniche edili, anche quelle urbane, anche quelle “monumentali” (avete presente cosa siamo riusciti a fare all’EXPO di Milano?), e che abbiamo in qualsiasi città italiana e che riteniamo spesso patrimonio dell’umanità… L’architettura ha quasi sempre progettato strutture che sono simbolo dello sfarzo di un “potere” umano, con motivazioni ben lontane dalla funzionalità e dalla bellezza. Esempi di bruttezza urbana? Per me, che sono un primitivista ?! è *tutto* non-bello quello che si può vedere in queste due immagini:
    http://static.turistipercaso.it/image/c/cultura/cultura_ufk8n.T0.jpg
    http://www.fayeandsteve.com/Milan/piazza-du-Duomo-3.jpg
    .
    Invece tra i punti “pro” o perlomeno a giustificazione/mitigazione della costruzione del bivacco in oggetto, va fatta una considerazione storica e geografica su quello specifico territorio Veneto, in cui c’è una antica tradizione delle “baite” e delle casere. Queste casette nate per esigenze contadine, per gli alpeggi, o per la caccia (in passato…ed anche ora purtroppo), sono oggigiorno anche luogo di ritrovo sociale/familiare e di contemplazione rispettosa della natura…, e non lo dico per sentito dire, ma per averle frequentate insieme ad amici ed amiche del posto, amanto della natura e delle “loro” montagne.
    E quindi i bivacchi alpini, a differenza delle baite che sono quasi sempre “proprietà privata” e sono manutenute ed usufuite da singole famiglie o gruppi di famiglie, i bivacchi sono considerati come delle “baite pubbliche” cioè per tutti (una visione socialista?) e sono spesso meta “alpinistica” degli escursionisti abitanti dei fondovalle, intendo proprio dalla popolazione locale Cadorina (mi riferisco al Gruppo delle Marmarole), più che da escuriosnisti/alpinisti forestieri, che più raramente frequentano queste montagne selvaggie.
    .
    Infine: sono contro l’edificazione di nuovi bivacchi, ma in quel territorio, per il radicamento di un sentimento generalmente positivo nella “cultura popolare” locale, vedo ardua una operazione di sensibilizzazione contro.

  26. Sono daccordo con la critica ai bivacchi high tech (oltre che assurdi, per quanto dureranno visto che c’e` sempre piu` gente incivile che frequenta l’alta montagna…) ma non sulla eliminazione dei bivacchi in quota. Il bivacco non e` un presidio o un segno di conquista e non e` una violenza sull’ambiente o la wilderness, e` solo un riparo per la notte come anche i pastori hanno sempre costruito. Alcuni si potrebbero sicuramente eliminare, ma e` ridicolo pensare di recuperare la wilderness delle nostre Alpi partendo dall’eliminazione dei bivacchi. Le Alpi non sono piu` selvaggie da tempo e il modo di frequentarle e` cambiato di conseguenza, antistorico sarebbe ipotizzare un ritorno ad un passato alpino pre-Whymper. Parla uno che trenta anni fa circa convinse il compagno riluttante a provare a salire lo Sperone della Brenva partendo da Entrèves, via bivacco dell Brenva come i primi salitori (senza poi riuscirci e prendendo poi al volo l’ultima funivia per il Torino). Di quei tempi ho bellissimi ricordi di tante notti in bivacco.

  27. io sono dell’ idea che una sostituzione con riposizionamento sul luogo originariamente previsto (e ovviamente rimozione della vecchia struttura semidistrutta) ci possa stare, non tutti hanno voglia di portarsi al seguito tende, sacchi a pelo & co, in particolare chi va in montagna per scappare dalle rotture di balle della città e magari da un lavoro pesante, ciò che mi sconcerta è questa gara a chi lo fa più assurdo… 40.000 EUR, 50.000 EUR… per un bivacco??? ma scherziamo????
    Bene ha fatto il CAI di Dolo che ha sostituito il vecchio malandato bivacco a Forc. Marmol (Schiara) con un “Apollonio aggiornato”…

    Per quanto riguarda il Perugini, ci ho dormito ad agosto 2013 (con 3 ragazzi Cechi che facevano l’ Alta Via dei Silenzi) e a settembre 2014 con un compare di ravanate: sempre trovato pulito perfetto e nessuna traccia di “alcova per coppiette”….

  28. Basterebbe rispettare le Tavole e i Bidecalochi sistematicamente disattesi.
    E parrebbe una battaglia persa, ma è giusto continuare a combattere quanti ormai dai primi anni ’80 spacciano le più svariate speculazioni in montagna per valorizzazioni.

  29. arghhh per qualche motivo tecnico o di cut&opaste di inserimento presumo, il mio commento è tagliato in larga parte 🙁 sul’abominio di certa architettura, nei punto PRO dove parlavo sulla cultura popolare dei bivacchi in Veneto. pace.

  30. Sono combattuto.
    Alcune riflessioni:
    .
    1. Contro:
    Sono d’accordo sulla necessità di iniziare una cultura contro l’edificazione dei bivacchi (in alta quota). Per esempio, rimanendo nelle Marmarole, non ho mai capito il senso del bivacco sotto la vetta dell’Antelao: http://www.nuovocadore.it/wp-content/uploads/2014/10/bivacco-piero-cosi.jpg E va detto che molti bivacchi a quote medie (1000md, no acqua, terreno di avvicinamento impervio). Ora non mi è chiaro/non ricordo esattamente come raggiungere la Forcella Marmarole, ma essendo quasi a 2800m di altitudine, direi che non dovrebbe essere alcova di coppiette, semmai meta intermedia di traversate scialpinistiche, questo si. Grupponi CAI in estate e scialpinisti in inverno, questo si.
    .
    Va detto che la posizione è molto bella in teoria (anche se forse non furbissimo il posizionare un bivacco in una forcella):
    http://cdn1.montagna.tv/cms/wp-content/uploads/2014/10/Immagine3.jpg
    .
    E se confrontiamo questo bivacco, con quanto viene costruito nelle Alpi Occidentali in alta quota… per esempio in questi giorni è stata benedetta dal Matteo Renzi (o lo deve ancora fare?) la Superfunivia al Monte Bianco: http://video.repubblica.it/edizione/torino/tre-anni-di-lavoro-ad-alta-quota-in-40-secondi-cosi-nasce-la-superfunivia-del-monte-bianco/204524?ref=HRESS-16
    .
    Bhe! allora nel confronto, il bivacco in forcella Marmarole pare una opera quasi rispettosa della tradizione… quasi “pura”. E non lo dico per ironia.

    P.S. nel bando effettivamente non mi pare si menzioni lo smantellamento della vecchia struttura; solo nella premessa si legge una frase che parla di “trsferimento… il che può essere interpretato come “smantellamento”: “L’intervento mira a ricostruire il bivacco alpino Fratelli Fanton trasferendolo dalla sua posizione attuale in Alta val Baion (m 1750) alla posizione inizialmente prevista in Forcella Marmarole (m 2661).”

  31. “Dobbiamo semplicemente fare in modo che la natura, almeno in montagna, si ri-appropri dello spazio che le abbiamo rubato.”
    Ecco la parola d’ordine!

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