Montagne di oggi montagne di ieri

Montagne di oggi montagne di ieri
di Federico Gardoni
(pubblicato su Spazi Vuoti nel gennaio 2018

Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)

Freddo cane stamattina. Al solo pensiero di spegnere l’auto e calzare gli scarponi da sci mi viene voglia di andarmi a nascondere in un bar, farmi consegnare due brioches e un cappuccino bollente… ma so che questo mi priverebbe di una stupenda giornata in montagna. Due misere dita di neve, poi nel bosco il nulla. Tolgo gli sci e con passo rapido, cercando di evitare il ghiaccio, salgo silenzioso, mentre il sangue inizia ad irrorare per bene il corpo e a scaldare il motore.

Mauro Furini – Il fragore di un istante

Accidenti al nemico e al capitano. Guarda te se un plotone di poche unità deve, in pieno inverno, perlustrare queste valli remote per andare in avanscoperta. Saranno 15 gradi sottozero e noi prima dell’alba dobbiamo lasciare il nostro giaciglio e il fuoco. Solo tracce di lepri e volpi e poi questi scarponi di cartone che, solo a guardare la neve, diventano di marmo.

Finalmente la neve, calzo gli sci, impugno le racchette e inizio a battere traccia. Mi alzo veloce mentre il sole inizia la sua opera di diffusione di luce e calore e gli sbuffi del fiato si materializzano in una nebbia fitta dinnanzi al mio viso. Scorgo già la malga lassù, e in breve, seguendo le impronte di un qualche indefinito animale arrivo nei suoi pressi.

Tratto dalla locandina della mostra “Paolo Monelli”

Dobbiamo procedere con circospezione, le imboscate sono all’ordine del giorno e non vorrei mai finire i miei giorni in mezzo a un bosco colpito durante una perlustrazione. Sgrido i miei compagni che a ogni scivolone imprecano e gridano. Dobbiamo essere silenziosi! Già, silenziosi, ma come si fa quando il gelo ti fa battere i denti come delle nacchere argentine. Proseguiamo mentre il manto di neve inizia a diventare consistente. A una radura scorgiamo un manufatto, forse una casara. Non esce fumo dal camino, sarà stata abbandonata prima che inizi guerra. Saliamo lassù affondando nella neve fino alla cintola. Siamo fradici e infreddoliti e, appena arrivati, apriamo la porta per vedere se troviamo qualcosa di interessante. Nulla, né cibo, né alcol. Di accendere il fuoco non se ne parla nemmeno. Se il nemico lo vedesse si insospettirebbe.

Pensare di farlo cent’anni fa, senza alcuna attrezzatura…

Alzo un po’ il tacco dello sci, tolgo la giacca a vento mentre il vallone che conduce alla forcella si fa ripido. Mi è sempre piaciuto essere il primo e lasciare la mia traccia sulla neve. Mi dà una sensazione di scoperta e di gioia. E’ poi meraviglioso vedere, mentre si sale, l’orizzonte al di là della forcella che si apre e concretizza la tua curiosità mostrandoti “l’altra parte” di mondo e sentire il vento che ti sferza il viso quando la raggiungi, mentre vieni inondato dal sole che già invade il lato opposto del vallone.

Ora la situazione diventa, se possibile, ancora più difficile. Non solo il pericolo della morte bianca, la pista da battere, ora siamo anche allo scoperto. Nessun albero in vista, solo neve candida e il solito freddo che attanaglia i muscoli e le ossa. I pantaloni sembrano di cemento e le barbe dei miei amici sono candelotti di ghiaccio. Certo essere vestiti di scuro non aiuta a mimetizzarsi nell’inverno montano, certo i fucili e il mitragliatore non agevolano il procedere veloce in un metro abbondante di neve. Ma gli ordini sono questi e dobbiamo raggiungere la forcella dinnanzi a noi e la cima alla sua destra. Ha detto il capitano che è un avamposto di enorme importanza strategica e che noi siamo gli apripista. E allora avanti. Malgrado tutto, forza ragazzi avanti!

Dalla forcella ancora duecento metri di dislivello e poi tolgo gli sci. La cima si erge splendida davanti a me. Roccia e neve, una piramide, canalini ripidi alternati a brevi passaggi di secondo grado, il freddo del mattino è oramai un ricordo e prevale l’euforico stato che solo la cima riesce a generare. Pochi passi ancora e la calco. Una cima bellissima, senza croce né elementi che richiamino la presenza dell’uomo, stretta, appuntita, centrale con un panorama infinito. Un goccio di tè, un biscotto…

foto tratta dalla locandina di “Fiemme nella prima guerra mondiale”

La fatica si mescola alla paura e devo più volte rincuorare e incitare gli sparuti uomini del mio plotone. La neve da farinosa diventa crostosa e pare reggere il peso per poi farti sprofondare improvvisamente. Bestemmie e imprecazioni. Il procedere è lento, macchinoso, si contano i passi e si spera che non cadano valanghe provocate dal nostro stesso peso. Due passi avanti e uno indietro, pensando che anche questo avrà fine, anche la guerra finirà e potremo starcene al caldo… l’incedere diventa un’odissea ma la forcella si percepisce lì, a un passo da noi. Ordino ai miei compagni di fermarsi, non sapendo cosa ci aspetta lassù. La neve, ora durissima, si scalfisce appena con le piccozze di legno e cerco i sassi affioranti per poter procedere. Quassù non c’è nulla. Solo sassi e montagne a perdita d’occhio. Mi raggiungono gli uomini del plotone. Tre di loro si fermano in forcella ed erigono un piccolo riparo dal vento con le pietre e nascondono la mitragliatrice per i commilitoni ai quali abbiamo aperto la strada. Io e un altro compagno saliamo faticosamente e non senza rischi fino in cima. Siamo stremati. Alloggiamo alla buona la bandiera. Nulla da mangiare né da bere. L’acqua si è ghiacciata nelle borracce e non vediamo l’ora di scendere a valle.

Finalmente calzo gli sci in versione discesa e, curva dopo curva su una neve da sogno, torno alla malga, voltandomi a guardare i ricami lasciati nella neve. Tornare poi al sentiero e infine all’auto è pura routine. Sono soddisfatto della fantastica giornata trascorsa in montagna.

Più che una discesa la nostra è una corsa contro il buio e contro il gelo che, se ci sorprendesse fuori, nelle condizioni in cui siamo, trasformerebbe la discesa nella nostra tomba. Rotoliamo e ci lasciamo cadere sfiniti prima giù per il pendio e poi nel vallone che ci porta, tra enormi fatiche, fino al sentiero che con il buio di una notte senza luna ci permette di rientrare alle cascine. Oramai è notte, ma almeno qui riusciamo ad accenderci un fuoco, sgelare l’acqua e riscaldarci. Siamo vivi.

L’idea del racconto è nata durante i miei solitari pellegrinaggi con gli sci nei Lagorai, dove non potevo non pensare a quanto accaduto in questi luoghi cent’anni or sono, nonché dalla lettura di questo breve resoconto di  guerra in Val Campelle:
http://www.valcampelle.com/home/percorsi-della-memoria/
e di questo lungo scritto reperito nel web:
http://www.arsmilitaris.org/pubblicazioni/Una%20sentinella%20austriaca%20sui%20Lagorai.pdf

Montagne di oggi montagne di ieri ultima modifica: 2018-05-25T04:50:42+02:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “Montagne di oggi montagne di ieri”

  1. Bellissimo articolo, che da il senso del tempo. Scialpinismo che guarda al passato, vissuto pensando alle tracce dei nostri avi. Un modo di vivere lo sci  di montagna non solo come sport ma come forma di arricchimento dello spirito. Spero lo leggano in tanti.

  2. Rispetto ai soldati della Grande Guerra, oggi e qui, la salita di una cima è una nostra scelta: abbiamo la libertà anche di scegliere la fatica. E’ una libertà preziosissima! E di cui a volte non ci rendiamo conto…

    Bell’idea confrontare i due racconti!

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