Natura selvaggia

Natura selvaggia
di Edoardo Lombardi Vallauri
(pubblicato su micromega.net il 3 ottobre 2019)

Da qualche decennio nessuno mette in discussione che una delle cose più belle da fare nel tempo libero sia andare nella natura selvaggia. Quella cioè che non è opera dell’uomo, ma anzi offre all’uomo una sorta di paragone, uno stato prima-di-lui e senza-di-lui, con cui confrontarsi e da cui imparare qualcosa. Si è d’accordo, in linea di principio, che la natura (selvaggia e incontaminata) sia bellissima. Personalmente, credo sia anche un’esperienza importante per tornare a dare alle opere dell’uomo il ruolo che gli spetta sul pianeta. Troppe persone vivono come se il sistema di riferimento del nostro vivere fossero la società umana, la cultura, i tanti manufatti. E giudicano queste cose dal loro interno, senza rendersi conto che il loro vero significato si comprende solo osservando in che rapporto stanno con la realtà nel suo insieme, cioè con la natura in cui si sono inserite, il pianeta, l’universo stesso. Ad esempio, le moto da acqua sembrano piene di senso per chi le consideri nel sistema di riferimento dei veicoli creati dall’uomo e in quello del business da intrattenimento, ma appaiono schifose a chi le consideri nel sistema di riferimento del paesaggio marino, che è più importante sia perché preesiste di molti milioni di anni ai veicoli e al business, sia perché fa parte delle condizioni ecologiche senza le quali questi non avrebbero mai cominciato né potrebbero continuare a esistere.

Ebbene, ora si va tutti nella “natura”, intendendo non l’erba delle aiuole di città, ma proprio la natura selvaggia. La parola natura, in espressioni come parco naturale, percorso natura, esperienza della natura, viene intesa e capita come “natura selvaggia”, “incontaminata”. Ma questo modo di intendere la parola è spesso fuorviante, perché la natura di cui si tratta non è più davvero selvaggia. Di fatto, che cosa accade? Molte amministrazioni hanno preso l’abitudine di guidare le persone in appositi luoghi, che tipicamente sono proprio i più belli del loro territorio, mediante pubblicità, cartelli di indicazioni, sentieri attrezzati, tabelloni contenenti le mappe della zona e i profili delle montagne con relative altitudini, informative sulla fauna, la flora, il suolo. Risultato: proprio i luoghi più notevoli e selvaggi sono snaturati, perché addomesticati. Al punto che ormai alle nostre latitudini la natura selvaggia è un paesaggio in via di estinzione.

Invece di fare l’esperienza della natura selvaggia, il viandante fa l’esperienza della natura come pretesto per un intervento che ha qualcosa di culturale-istruttivo e molto di pubblicitario. Ogni esibita manifestazione di amicizia da parte di chi amministra la “risorsa naturale” è anche una piccola vanteria e un tentativo di figurare il più possibile. Insomma, per asservirla a modesti interessi anche la natura selvaggia viene ridotta a un prodotto dell’uomo.

Invece, l’esperienza della natura veramente selvaggia è significativa e insegna qualcosa – che potrebbe insegnare a tutti, se gli se ne desse la possibilità – proprio perché, fra le altre cose:

– I luoghi completamente privi della presenza dell’uomo emanano un fascino che intendere non lo può chi non vi si immerge concretamente. Ma questo fascino si sgonfia se il luogo “selvaggio” è accuratamente pavimentato, pieno di cartelli, spiegazioni, raccomandazioni, suggerimenti su quali sono le cose belle a cui rivolgere l’attenzione, e perfino su quali siano le sensazioni da provare. Il risultato è che le persone vanno nella “natura”, rischiano di provare le stesse cose che se fossero andate in un museo senza il tetto, e di restare con la sensazione che la realtà non contenga niente di veramente alternativo agli ambienti fabbricati dall’uomo.

– Muoversi nella natura selvaggia (trovare le strada, riconoscerne sulla carta topografica i segni per orientarsi) non è facile, e insegna che la natura è severa con chi non la conosce e non ne rispetta il modo di funzionare. Insegna che gli sbagli si pagano con la fatica. Invece insegna ben poco se il luogo “selvaggio” è solcato da passerelle in elegante legno di falegnameria verniciato all’anilina (perché restino visibili le venature “naturali”) o da ampi sentieri attrezzati, e se la via da seguire è continuamente indicata da cartelli con scritte. Così il paesaggio naturale si trasforma nel percorso di un gioco da tavolo; il canyon selvaggio diventa un giretto per il centro commerciale, e cambia poco che invece delle vetrine si guardino le rocce. Certo, senza le istruzioni facilitanti le cose sono più impegnative, ma avventurarsi in un ambiente intatto procura la scossa meravigliosa della scoperta, cioè di essere noi a scoprirlo; gioia che neanche immagina chi viene guidato in un luogo dove tutto gli ricorda che il suo passaggio è previsto, regolato, scontato, e dove le opzioni di movimento sono impostate in anticipo come in un esteso gioco dell’oca.

Si potrà obbiettare che in precise circostanze le facilitazioni sono dovute alla “necessità” di rendere sicuri luoghi che altrimenti sarebbero pericolosi. Esatto: sono luoghi pericolosi, la loro caratteristica è essere pericolosi. Rendendo facile percorrere un luogo che era pericoloso, lo si trasforma in un altro luogo. Quindi non si rende sicuro quel luogo, ma si abolisce quel luogo. Così nessuno può più percorrere quel luogo difficile, ma solo un nuovo luogo addomesticato. Non è questa la cosa da fare. La cosa da fare è che i luoghi difficili restino difficili, e percorribili solo da chi è bravo. Chi è meno bravo percorra i luoghi non difficili altrettanto belli – e non trasformati in un gioco dell’oca – oppure diventi bravo. E tutti i luoghi naturali restino quello che sono.

– Soggiornare, e soprattutto passare la notte, non solo le comode ore del giorno, nella natura selvaggia è arduo, e il corpo a corpo con essa fa capire quanto siamo fragili e limitati, se non ci trinceriamo dentro le costruzioni protettive che abbiamo inventato, e che però sono un’ennesima messa in scena, perché alterano il paesaggio trasformandolo in qualcosa di diverso. Quel vivido corpo a corpo non avviene se nel luogo selvaggio viene costruito il rifugio-ristorante dove l’amministrazione ti fa provare esattamente le stesse sensazioni che provi a casa in città, e con l’occasione tira su quattro soldi.

Per chi la ama, è avvilente vedere la natura selvaggia violata e sottomessa perché anche il cliente più improvvisato ci si trovi bene quasi come a casa sua. E in queste condizioni, che cosa resta da provare a chi non è improvvisato?

Non oso proporre che si torni a rispettare la natura selvaggia fino a smettere di trarne profitto vendendo piatti di polenta; anzi, credo che anche le polente dei ristoranti che si fanno chiamare “rifugi” siano una cosa buona, che fa piacere a molti; purché non colonizzino, come stanno facendo, i luoghi più notevoli e prima incontaminati. Però spero che qualche amministratore locale mi legga, e almeno tolga i cartelli, tolga i percorsi facilitati, tolga le spiegazioni su quanto è bella la natura; e la lasci essere bella per quello che è.

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Natura selvaggia ultima modifica: 2024-01-20T05:21:00+01:00 da GognaBlog

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19 pensieri su “Natura selvaggia”

  1. In base alla mia esperienza, Alpi Carniche e Alpi Giulie: hic sunt leones (o quasi).
     

  2. Matteo, ma posso essere solo felice se ne conosci di più, ma non sapendo a quali aree ti riferisci posso solo dirti che quelli dove mi “perdo” nella mia zona (Alpi e Prealpi Carniche e Giulie) trovo riduttivo definirli “meno antropizzati”, termine che presuppone la presenza e la costanza di una certa antropizzazione, pur se minore di quella alla quale ci siamo nostro malgrado abituati.

  3. Regattin, sarei quasi pronto a scommettere che ne conosco anche più di te, ma non sono comunque luoghi “selvaggi”: al massimo sono meno antropizzati!

  4. Totalmente d’accordo con l’autore e per niente con chi nella natura  ci scopre  sempre e comunque come cavarne soldi. Ci sono giornalisti e colleghi scrittori che l’hanno sputtanata e hanno quindi poi insistito a guadagnarci  sopra stracciandosi le vesti in suo nome.

  5. “La terra è bassa….” diceva mio nonno nel coltivare il suo e oggi mio orto.
    Altro che selvaggia oggi come ieri se vuoi un “contatto” bisogna piegare la schiena e faticare. Non esiste una Natura esiste Gai che se ne può fregare di noi comunque vada.

  6. “La soluzione? Il silenzio, la non divulgazione.”
    E come pensi di ottenere il risultato? Abolizione dei social? Perché per ogni individuo che ragiona in questo modo, ce ne sono altri 10 che se ne sbattono e riempiono i social di immagini di luoghi che fino a quel momento sopportavano frequentazioni sporadiche e non invasive.
    Condivido invece la speranza di Paolo, ma temo che manchino proprio le basi culturali sulle quali sviluppare progetti per entrare nelle dinamiche scolastiche.
    Quanto alla presunta scomparsa della natura selvaggia, disponibile (la prossima estate) ad accompagnare chi lo desidera in zone dove potrete verificare di persona che vi stavate sbagliando. 
     
     

  7. sono estremista, quando vedo un rifugio con i tavoli mi sento male. aspiro allo spopolamento delle montagne, alla distruzione dei cartelli, alla fauna pericolosa ecc. ma esistono posti selvaggi persino in pusteria, o tra braies e cortina, o in zoldo. e di certo non li pubblicizzo. e non dico solo fuori stagione (ma esiste un fuori stagione ormai? ce li si trova tra i piedi, ansiosi di divertirsi alla svelta con i bei vestitini da montagna consigliati nei negozi di milano, già in maggio o ancora in novembre, tutti i santi ponti), ma persino in “alta” stagione. 
    (io sono di milano, ma vivo da trent’anni in montagna, in un posto in cui grazie a dio c’è poco di attraente per le masse)
     

  8. E’un po’ che non ci torno. Vedere quella foto col cartello “canyon gorroppu” su una strada lastricata mi ha fatto male.

    Si chiama valorizzazione turistica. Un’attività umana che uccide l’anima dei luoghi.

  9. Questo articolo fa il pari con quello precedente, nel quale l’associazione ciclistica TurboLento sostiene il progetto StradeZitte. Certo è che pubblicizzando strade poco battute, con tanto di traccia gpx, le stesse da Zitte diventeranno Parlanti. E a seguire ci sarà anche lì  il casotto del comune presidiato da un lavoratore socialmente utile per pagarne l’accesso, proprio come a Gorropu.
    La soluzione? Il silenzio, la non divulgazione. Quando vedo a Pianarella le cordate che vagano incazzate alla base della parete alla ricerca degli attacchi delle vie, penso che non sanno quel che si stanno perdendo, quel minimo di avventura almeno nella ricerca dell’attacco.

  10. Comunque, senza cominciare a lavorare sui bambini di città in modo serio e capillare (su larga scala) si può star qui a filosofeggiare fino alla fine del secolo. Mancano solo grappa e fuoco nel camino. Gli adulti sono in gran parte fottuti, è inutile pensare di sensibilizzare, o vietare, o togliere. Va tutto bene.
    Ma bisognerebbe educare da piccoli, cambiare le dinamiche di alcune materie scolastiche e il senso delle indicazioni nazionali del ministero in materia ambientale e scientifica. Non mi risulta ci sia questa azione di lobby da parte di nessuno di quello che avrebbero la forza per parlare, a parte sporadiche iniziative che tendono più a valorizzare il proprio marchio che non una reale “discesa” di cultura utile.
    Cosa sia o non sia la Natura selvaggia, penso che qui dentro lo sappiamo tutti.
    Il problema è una strategia per farlo capire dove serve: secondo me a scuola.
    Lo so, sono palloso e inutile, ma insisto.

  11. L’uomo in sé è un potente e unico trasformatore,lo deve alla sua unica capacità di adattamento e pertanto di trasformazione,tolto questo,nessuno sarebbe a commentare articoli o tesi di chicchessia,sarebbe solo uno dei tanti incidenti della natura e del relativo tempo che lo avrebbe visto coinvolto,se vi sono questi commenti,e tesi,vuole dire che l uomo si attiene al compito prefissatosi,implicito nell’esserci,con quali risultati oggettivi non è dato di saperlo,neanche con il calcolo esponenziale,basta un semplice errore, extraclima e la festa è finita.Le considerazioni legate all’ attualità seppure con un loro fondamento denotano limiti d’orizzonte.

  12. Temo di essere d’accordo con Bruno: non esiste più natura selvaggia su questa terra, forse nemmeno nella Siberia centrale o in qualche piccola parte dell’Alaska.
    Parlare perciò di natura selvaggio è solo fuorviante.
     
    In Italia poi di selvaggio c’è rimasto al massimo una certa concezione della società e della cosa pubblica…purtroppo ben rappresentata nell’attuale governo!

  13. Le Amministrazioni nella cui pertinenza ricadono questi spazi naturali “selvaggi”, credo che abbiano interessi diversi da quelli che vedo enunciati dall’articolo e dai commenti. Ho disceso le Gole di Gorropu nel ’82. Nel ’83 tornai per arrampicare, alla ricerca di falesie, e in prossimità del cartello della foto ci tagliarono due gomme per ogni automobile. Faceva parte dei rischi di un ambiente “selvaggio”, non conosciuto. Oggi quei spazi, quegli ambienti sono attrazioni, che le Amministrazioni pensano come richiami per presenze turistiche nel territorio, ricchezza che non certo portavamo noi alpinisti negli anni ’80. Forse tutto nasce dalla richiesta di “avventura” che è diventata commerciale ormai da tanti anni, grazie ai mass-media e a tutti i canali su cui l’alpinismo, l’esplorazione e quanto vogliamo, odierni promuovono le imprese sempre più mirabilianti, con lo scopo di affermarsi e vivere della propria “avventura”. Quindi l’emulazione, o anche la semplice ricerca di emozioni immaginate guardando uno schermo, hanno amplificato la domanda di “selvaggio”, chi ha offerte di grande rilievo le mette sul mercato (vogliamo pensare a qualche 8000?), e i fruitori di tutto ciò essendo spesso inesperti e digiuni di avventura, desiderano “Alpitour”.
    Se qualcuno vuole veramente il selvaggio lo trova senza sforzo nei boschi del nostro Appennino, abbandonati da qualche decennio a se stessi. Ci si perde e ci si ritrova, anche con un po’ di adrenalina quando i sentieri s’interrompono e ti lasciano smarrito in un bosco sconosciuto.

  14. # PIUMONTAGNAPERPOCHI
     
    significa anche
     
    #PIUNATURAPERPOCHI
     
    Se non torniamo ad un “ambiente” meno antropizzato, non lo vedremo più “selvaggio”. Cartelli, strade, nuovi rifugi, nuovi bivacchi, impianti ecc, insomma tutto quello che vuole umanizzare l’outdoor, ne uccide l’essenza selvaggia.

  15.  
    In assoluto la natura selvaggia è un’esperienza storica che non può essere ripetuta sulla Terra. Per l’avventura ci saranno presto la Luna o Marte, ma nel frattempo conviene ridurre al minimo i danni del progresso e liberare la natura dagli ostacoli che la burocrazia pone alla libertà di movimento dei cittadini (per esempio il numero chiuso, i biglietti d’ingresso, i percorsi obbligati, le visite di gruppo). 

  16. E’un po’ che non ci torno. Vedere quella foto col cartello “canyon gorroppu” su una strada lastricata mi ha fatto male.

  17. Bè, comprendo che, essendo un articolo per MicroMega, non poteva che essere scritto in questi termini e con questa valenza divulgativa. L’articolo, in un consesso come questo invece, dove molti sono coloro che hanno esperienza diretta non solo di Natura selvaggia, ma delle dinamiche pericolose che caratterizzano un ambiente poco antropizzato, credo sia interessante se consideriamo come si rivolge ai lettori e su cosa insiste.
    Il lettore medio di MicroMega è una persona di una certa cultura, con varie velleità ambientali, tra le molte. Ma è tendenzialmente un animale di città, che vive l’urbanità come profonda dimensione sociale (di solito ha pochi problemi di sopravvivenza), in cui ama mostrare una sensibilità. Ma nella stragrande maggioranza non capisce un cazzo del mondo che sfiora, o si crogiola in una confidenza con le genti di montagna (ma potrebbero essere altri luoghi), che crede di comprendere, fondendosi più con una Natura onirica, che vissuta. Luogo ameno da seconda (o terza) casa, rifugio e fuga dalla volgarità e insensibilità cittadina.
    Perché sono arrivato a dire queste cose brutte? Non so, sono le 6.30, su MicroMega scrissi varie cose in gioventù sentendomi molto figo, per poi rifiutare quel mondo un po’ altezzoso e benestante.
    Però è una gran bella rivista. Sempre interessante.

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