Nemico, nemico, nemico: non sapete dire altro?
di Lea Melandri
(pubblicato su ilriformista.it il 6 marzo 2022)
La guerra coglie sempre di sorpresa, perché è ciò “a cui non si vuol credere” (Freud). Ma, superato l’iniziale effetto di annichilimento, si fanno immediatamente chiari i legami con la società che la prepara, si vedono le ragioni contingenti che la fanno apparire ogni volta “necessaria”, ma anche i tratti che la contraddistinguono, al di là di ogni tempo e luogo, e che hanno indotto a pensarla come parte immutabile della “natura umana”. In questo connubio paradossale di “permanenze” e di modificazioni storiche, la guerra assomiglia, non casualmente, al dominio maschile. Ciò che la rende anche solo pensabile è l’eclissarsi, nel giudizio e nella percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri, dell’individuo visto nella sua singolarità di corpo vivente e senziente. Oggi, uccidere in guerra grandi quantità di civili non ha più l’effetto sconcertante che poteva avere all’inizio del ‘900 per Freud, nonostante che la potenza delle armi sia aumentata e così pure le crisi umanitarie e l’esodo dei profughi, che ne sono le inevitabili conseguenze.
“È anche vero che si poteva constatare che all’interno di queste nazioni civili erano qua e là frammischiate minoranze etniche quasi sempre non gradite (…) Ma gli stessi grandi popoli, si pensava, dovevano aver acquistata tanta comprensione per ciò che fra loro vi è di comune, e tanta tolleranza per quanto vi è di diverso, da non dover più, come ancora avveniva nell’antichità classica, confondere in un unico concetto lo straniero e il nemico”. (Freud, La delusione della guerra, 1915). L’indifferenza ai massacri sembra essere andata paradossalmente di pari passo con la crescente promiscuità di etnie, lingue e religioni, effetto della globalizzazione economica e dei mezzi di comunicazione, una realtà che oggi interessa l’intero pianeta. Non potendo più affidare la propria unità, identità e appartenenza al confronto col “diverso”, né misurare la propria superiorità su “nature inferiori”, le nazioni umane conoscono per la prima volta l’insicurezza e i pericoli di una progressiva indistinzione. Perciò, se c’è un “nemico”, non può che annidarsi nelle maglie del sistema dominante, da cui esce imprevedibile e subdolo, come sono stati in tempi recenti il Covid e la pandemia.
È per questo che il riarmo dell’Europa, salutato con grande enfasi di applausi e standing ovation anche dal nostro parlamento, ha dovuto far ricorso, per ottenere il necessario compattamento tra Stati e partiti in perenne conflitto e competizione, a un accorpamento fondato sulla logica più arcaica del patriarcato, quella che contrappone l’“amico” al “nemico”, il “civile” e il “barbaro”? Come mai si è passati con tanta rapidità da “Più Europa” – che avrebbe significato riconoscere che anche la Russia ne fa parte come l’Ucraina -, alla “russofobia” della guerra fredda, che oggi rischia di incendiare un mondo già segnato da crisi di vario genere? Imperituro, al di là dei mutevoli contesti storici e politici, sembra essere ancora una volta l’ideale di “virilità guerriera” sulla cui costruzione mancano ancora consapevolezze e conoscenze adeguate, nonostante un secolo e oltre di femminismo; rassicurante, al di là dei massacri di civili e delle devastazioni, il fatto che la guerra riporta un ordine sempre più minacciato: quello dei ruoli, considerati ancora “naturali” del maschio e della femmina, l’uomo in armi, le donne alla cura dei figli e della quotidianità minacciata.
“Noi, forse, non ci siamo mai amati – scrive Franco Matacotta, il giovane amante di Sibilla Aleramo, della nostra lunga storia si salvano soltanto due stagioni, una mia una tua (…) la mia, quando tornai tra la mia gente che combatteva contro i tedeschi, mi unii loro, fui uno di loro (…) la tua, quando nell’inverno di Roma occupata, sei rimasta finalmente senza di me, dotata solo della tua forza e della sofferenza di migliaia e migliaia di altre donne intorno a te, uguali a te. Gli uomini in lotta, le donne e le madri che si angustiavano per i due chilogrammi di pane da dare ai loro figli nelle case romane…” (Sibilla Aleramo e il suo tempo, a cura di Alba Morino e Bruna Conti, Feltrinelli 1981). La facilità con cui i conflitti tra i popoli – ma oggi dovremmo dire anche nei rapporti più intimi tra uomini e donne – precipitano in aggressioni armate, fa pensare alla “ripetizione cieca” di un passato intramontabile della storia umana, anziché a quella che Elvio Fachinelli, nel suo saggio Il paradosso della ripetizione (1974), chiamava “ripresa”: un ricominciamento aperto verso l’avanti. Il passato che torna e che spinge per essere rivissuto, si trova ogni volta costretto a cercare la sua conferma in una realtà che nel frattempo è mutata e che potrebbe perciò portarlo a “riaprire il gioco”.
Mi sono chiesta, nei giorni in cui le città del mondo, comprese quelle della Russia, sono state invase da masse di manifestanti contrari all’uso delle armi, tappezzate di appelli per un “No alla guerra senza se e senza ma”, se poteva essere il segnale di una modificazione possibile rispetto a quel residuo duraturo di barbarie che ha visto, all’origine, un sesso imporre il proprio dominio all’altro: la donna vista come “l’estraneo”, il “diverso”, il nemico potenziale. Forse non è un caso che la parola “autodeterminazione” venga usata sia quando si tratta del diritto dei popoli, sia quando si fa riferimento alla libertà delle donne di decidere dei loro corpi, della loro vite. Se si vuole che la scelta più radicale dei movimenti pacifisti – “Fuori la guerra dalla storia” – abbia una qualche possibilità di radicarsi nelle coscienze e nelle pratiche politiche, è necessario riattraversare con la consapevolezza di oggi ciò che resta “inattuale” dentro a un contesto che muta rapidamente, ricostruire legami tra forme diverse di dominio, accomunate dall’idea della superiorità del “principio paterno”, del maschile come “naturalmente” destinato alla “mobilità”, all’ “attacco”, alla “competizione”, alla “gioia della conquista” (Erik H. Erikson, Infanzia e società, Armando Editore, 1966).
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Intervista udita ieri da rappresentante in DUMA russa:”abbiamo materie prime ed energia , armamenti ma…non una fabbrica di water closet e sanitari, li importiamo in cambio di gas e petrolio…e paghiamo con quelche resta dalle spese in armamenti… ufficiali, generali…(la carenza di”lusso”per la comune popolazione,cui viene propinato che son usanze deteriori dei molli viziati occidentali, MA cessi e bagni piastrellati e con dorature e specchi e pure idromassaggi e saune, profumi, adette fotomodelle alla manutenzione PER GLI OLIGARCHI E RAIS )
Attualmente mi viene un retro pensiero politicamente scorretto : se i civili , donne e uomini, ammazzati per strada o in scantinato con colpo a freddo alla nuca, avessero avuto il loro mitra individuale con scorta munizioni , avrebbero almeno potuto vender cara la pelle se sopravvissuti a razzi e bombe, invece di essere macellati a freddo da alcoolizzati-drogati-sadici anche se inermi a mani alzate o in bicicletta?Politicamente scorretto lo so, ma il retropensiero viene: in molti stati ..invece c’e’sovrabbondanza di proprieta’ privata di armi e munizioni..il “contro sono le stragi di pazzoidi, il “pro “e’ che si puo’eliminare un tiranno quando si sente al sicuro e un invasore quando mette gli stivali sul terreno.
Un pro e’un esercito di volontari ben addestrati e professionalizzati,a fronte di un’armata brancaleonica di massa, ma un esercito di riservisti che almeno sanno qualcosa ( escluso inutile coreografico addestramento da parata con fanfare)..non sarebbe da scartare. Anche non armati ma informatici, autisti soccorritori, tecnici riparatori ecc. boni pure per protezione civile .altrimenti unica strategia difensiva diffusa tramite spot e fin dalla scuola materna al motto”chinati giunco che passa la piena , anche se la piena dura decenni.
Luigi Meneghello.libro-I piccoli maestri..–da meditare…specie quando prima -8 settembre 42-spaccano i robusti fucili ’91 e col senno di poi, li rimpiangono e invocano i lanci di contenitori paracadutati…contenenti Sten, viveri, munizioni, radioricetrasmittenti..
https://privatebanking.bnpparibas.it/content/bnlpb/it/it/youmanist/magazine/tech-innovazione/primo-computer-nato-grazie-donne.html
eniac primo computer, sviluppato non certo per i social o per diffondere ricette di cucina
“Le quattro scienziate raccontarono a Kleiman di quando, durante la Seconda guerra mondiale, erano state reclutate dalla Moore School of Electrical Engineering dell’Università della Pennsylvania per le loro abilità matematiche, con lo scopo di calcolare le traiettorie balistiche usando equazioni differenziali; lì furono poi ingaggiate dall’esercito, insieme a due colleghe non presenti all’anniversario del 1986: Ruth Lichterman Teitelbaum, morta proprio quell’anno, e Frances Bilas Spence, che si era iscritta all’università con sogno di diventare insegnante di matematica. Proprio all’università Spence e McNulty hanno stretto un’amicizia durata per tutta la vita.”
Se non vennero esposte ai media, non e’detto che mancassero. Ancora dubbia la faccenda dei coniugi Rosemberg..ma sembra che nello spionaggio vi siano agenti femmina perfettamente a loro agio. Chi si ricorda dell”affaire Profumo”?
Quando hai un tarlo che ti rode vedi quello che vuoi vedere dove ti conviene vederlo. Se poi trovi un editore ed un pubblico il tarlo si fa social ma rimane un tarlo…
https://it.wikipedia.org/wiki/Benjamin_Ferencz
oggi intervista interessantissima:https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/30914259/benjamin-ferencz-ex-pm-norimberga-uccidere-vladimir-putin.html
Purtroppo nello”strucare el botòn” , “tirare un grileto”, “prendere la mira giusta” , inventare nuove armi ,la parità di genere e’attuabile senza difficolta’. Quel che appare “quello dei ruoli, considerati ancora “naturali” del maschio e della femmina, l’uomo in armi, le donne alla cura dei figli e della quotidianità minacciata.” è quel che ci fanno vedere, poi dietro le quinte e pure sul campo…meno sotto telecamere.., c’è da ipotizzare intervento femminile, oppure nella logistica o nelle fabbriche di ordigni.”
“Anziana signora offre agli occupanti torta avvelenata e ne elimina 8″… sarà vero?
Mi fossi accuorto.
Mi avrei aggiustate.
Invece di scrivere insuperabile, bastava che dicessi “Scusa, ho sbagliato a scrivere”… Sei davvero insuperabile, dal mmento che neppure sei capace di ammettere i tuoi errori. PS – Femminino avrei saputo capirlo…
Femminino è il principio dell’ascolto, dell’amore, dell’unione così come il mascolino lo è dell’affermazione, della sopraffazione della separazione.
Madre e marzialità. Entrambi in noi con preponderanze differenti, con oscillazioni di dominio.
Possiamo vedere gli effetti del femminino come del mascolino in tutte le relazioni ordinarie.
Motivazione permettendo possiamo coltivare una o l’altra, così come possiamo metterle a tacere o sorprenderci a vederle emergere nei momenti in cui il controllo svanisce.
Riconoscere il femminino in sé e nel prossimo, così come il mascolino comporta comunque ascolto e tende al alzare la qualità della relazione come la conoscenza di sé.
Che nel mondo manchi il femminio è cosa evidente, anche nel femminismo.
E cosa sarebbe un femmino? Illuminami, perché io sono ignorante
Insuperabile.
E la tanto caruccia Aung San Suu Kyi, pure premio Nobel per la pace?
E che è un femmino?
Donne come femmino non come femmine.
Ci risiamo.
E chi lo può affermare con certezza? Indira Gandhi, Golda Meir o Margaret Tatcher, donne, non sono state certo esempi positivi…
Donne al governo unica salvezza