No alle vie di arrampicata “a costo zero”?

Il Comune di Anversa degli Abruzzi (AQ), in data 23 agosto 2014, ha emesso un’ordinanza tanto curiosa quanto penalizzante il buon senso. L’oggetto è il divieto di utilizzo di una parete di roccia per l’arrampicata in località Le Renicce, nei pressi della Strada Regionale n.479 Sannite.

A parte le imprecisioni (il divieto è fatto per la parete “attrezzata per l’arrampicata in artificiale”, si parla di “fissaggio dei moschettoni”, della “possibilità di distacco” di questi ultimi, ecc.), l’ordinanza n. 49 del 23 agosto 2014 fonda le ragioni del provvedimento sulle seguenti argomentazioni (a ciascuna seguono le mie osservazioni):

1) il mancato dialogo con la Riserva Naturale Regionale “Gole del Sagittario” prima dell’attrezzatura della parete, il cui piano di assetto naturalistico vieta “l’asportazione, anche parziale e danneggiamento delle formazioni minerali; (…) qualunque attività che possa costituire pericolo o turbamento delle specie animali, per le uova e per i piccoli nati (…); il danneggiamento delle specie vegetali spontanee”;
La parete è posta a pochissima distanza da una strada carrozzabile classificata Strada Regionale: le specie animali, disturbate dal traffico automobilistico, di certo si sono già allontanate; quanto al danneggiamento delle specie vegetali spontanee è ridicolo pensare che anche un minuzioso gardening nella preparazione degli itinerari possa davvero sminuire la capacità riproduttiva delle essenze; nella chiodatura non v’è alcuna asportazione di materiale roccioso, al massimo possiamo discutere sul “danneggiamento”, secondo me da riclassificare come “lieve alterazione”.

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2) la parete (nel testo dell’ordinanza è al plurale!) si trova all’interno del Sito di Interesse Comunitario “Gole del Sagittario”, SIC n. IT110099;
Il regolamento delle Aree SIC non vieta esplicitamente l’attività alpinistica o arrampicatoria.

3) non è stata effettuata la Valutazione di Incidenza Ambientale prevista nell’art 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”, recepita in Italia con il D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 modificato ed integrato dal D.P.R. 12 marzo 2003 n. 120 e in base all’Art 10 del D.G.R n° 119/2002 che cosi recita: “sono assoggettati a valutazione di incidenza, qualora ricadano all’interno dei Siti di importanza comunitaria e/o delle Zone di protezione speciale i piani territoriali, urbanistici e di settore, nonché gli interventi che, pur ricadendo all’esterno di SIC (ZSC) o ZPS, possano avere un ‘incidenza significativa sugli habitat e/o sulle specie per le quali gli stessi sono stati designati“;
Non è detto che il fatto che non sia stata effettuata la VIA implichi necessariamente la chiusura al pubblico: la VIA, volendo, può essere fatta! E anche in tempi brevi, vista la semplicità e le dimensioni del sito.

4) l’arrampicata in montagna è attività socialmente pericolosa, nel senso che è caratterizzata da un grado di rischio superiore a quello che caratterizza altre attività sportive;
Questa affermazione è ridicola, specie per ciò che riguarda l’arrampicata sportiva. Al di là del fatto che sono molti gli sport assai più pericolosi (equitazione, kayak, ecc.), definire “socialmente pericoloso” l’alpinismo significa davvero voler impedire la libera determinazione dell’individuo. Significa imprigionarlo, togliergli una significativa fetta di libertà.

5) la responsabilità dell’infortunio non è dell’alpinista stesso perché non è sufficiente l’accettazione individuale del rischio, in quanto egli si affida “probabilmente” a un lavoro fatto da altri, cioè da coloro che hanno attrezzato la parete: e questi potrebbero aver fatto un lavoro malfatto o non averne curato la manutenzione;
Nell’accettazione del rischio è compreso anche l’affidarsi al lavoro fatto da altri. Certamente l’arrampicatore ha più possibilità di giudicare la qualità del lavoro compiuto dal chiodatore, non si può pretendere che un Comune, che non sa distinguere tra arrampicata sportiva e arrampicata artificiale, né tra moschettoni e spit, possa fare valutazioni. L’arrampicatore inoltre dovrebbe sapere benissimo, solo valutando a occhio, che tipo di manutenzione sia stata fatta sull’itinerario.

6) la parete è proprietà del Comune, dunque a quest’ultimo potrebbero essere addossate le responsabilità di eventuali incidenti, soprattutto potrebbero essere indirizzate al Comune le richieste risarcitorie.
Anche il Monte Bianco, o il Cervino, fanno parte di più d’un territorio comunale, ma non risulta che ai comuni interessati sia mai stata fatta alcuna richiesta risarcitoria. Questa è una preoccupazione dell’amministrazione che non ha alcun fondamento.

Nella disposizione è precisato che i trasgressori verranno segnalati all’autorità giudiziaria per l’ipotesi di reato di cui all’art. 650 C.P., secondo il quale “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila“.

La paretina in questione
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Dopo un colloquio con il sindaco Gabriele Gianni e con la direttrice dell’oasi faunistica Filomena Ricci è emerso che c’è un progetto in atto per la realizzazione di un sito di arrampicata (costo 40.000 € per 10 monotiri) che dovrebbe essere realizzato da una guida alpina. Se ne potrebbe dedurre che l’esistenza di vie di arrampicata “a costo zero” non piace a nessuno in quel comune; decadrebbe inoltre in toto la rilevanza dei sopra esposti punti 1), 2) e 3); si evincerebbe che la preoccupazione per la possibilità di incidenti è solo un paravento per il progetto “ufficiale” di attrezzatura, e questa potrebbe essere la vera motivazione dell’ordinanza!
Se così fosse, sarebbe un peccato, perché in montagna c’è e deve rimanere spazio per tutti, almeno fin quando non esistano espliciti divieti di arrampicata in toto (mi auguro mai) o albi professionali di attrezzatori. Per il momento trattasi di vera e propria limitazione di un qualcosa che nella tradizione verticale è sempre esistito (il libero accesso alle pareti, la libera possibilità di salirle/attrezzarle, la libera scelta di ripetere le vie secondo criteri di autoresponsabilità).

Nel frattempo l’ordinanza è pienamente valida, in luogo sono stati posizionati il nastro bianco/rosso e le transenne metalliche all’inizio del breve sentiero che dà accesso alla parete.

Uno degli spit usati per l’attrezzatura
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No alle vie di arrampicata “a costo zero”? ultima modifica: 2015-01-22T07:00:26+01:00 da GognaBlog

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23 pensieri su “No alle vie di arrampicata “a costo zero”?”

  1. Buona sera, mi permetto solamente una riflessione.

    La libertà di fruire della Natura è comunque soggetta al Rispetto della Natura stessa, al patrimonio storico e culturale presente nel territorio ed alla sicurezza di tutti. Questo vale sia per i fruitori sia per gli apritori di nuove palestre outdoor di arrampicata. L’arrampicata vista come “stare nel selvaggio”, che vedeva pochi Alpinisti perseguirla, adesso è stata soppiantata da massicci assembramenti di arrampicatori, spesso impreparati sia dal punto di vista psicologico, sia da quello tecnico che soprattutto etico. Sporcizia, accensione di fuochi vietati, escrementi in trincee della guerra, musica da discoteca macchine parcheggiate dappertutto anche nelle campagne coltivate … diciamo che abbiamo trasformato un certo modo di accedere alla Natura molto Rispettoso ed in punta di piedi ( vecchio Alpinismo ), con un modo molto più invasivo, fastidioso e poco rispettoso. Ora : non possiamo mescolare e mettere allo stesso livello i due modi indicati di fruire la Natura. Chiunque quindi apre nuove palestre outdoor deve tenere conto di questo e quindi deve coinvolgere anche altre figure che hanno autorità sul territorio e con le quali non vedere solamente il lato “tecnico” della realizzazione ma soprattutto l’impatto ambientale e sociale … Aggiungerei anche un “chiedere il permesso” per Rispetto alla Comunità che vive nel territorio e che forse ha molto più voce in capitolo sia degli apritori che dei fruitori.

    Danilo

  2. Un saluto a tutti. Finalmente trovo un po’ di tempo per esprimere anche il mio parere, essendo direttamente coinvolto nella vicenda. La storia è che un bel giorno di primavera un gruppo di appassionati residenti ad Anversa e dintorni, stufi di spendere tempo e denaro per raggiungere le storiche falesie più vicine e ripetere sempre le stesse vie, hanno ritenuto che con quel tempo e gasolio risparmiati avrebbero potuto attrezzare diverse interessanti cose, proprio dietro casa.
    Da precisare subito che il settore oggetto dell’ordinanza nulla ha a che fare con quello “ufficiale” poiché si trova da tutt’altra parte, nell’altro versante orografico delle gole. Il problema dunque non è di aver disturbato i lavori delle vie “autorizzate”.
    Lo spunto di riflessione del post non verte sul discorso economico.
    Il comune ha tutto il diritto di incaricare e pagare il professionista che vuole, nel rispetto delle norme, per la realizzazione di qualsivoglia progetto.
    Da appassionati di attività di montagna, noi e tutto il mondo arrampicatorio siamo anzi felicissimi che dalle Istituzioni parta l’iniziativa di realizzare itinerari, lì come in tutto il resto del mondo e se a farlo è un professionista ben venga.
    L’aspetto secondo me grave della vicenda è che questa ordinanza, come altre emesse di recente in altri ambiti nei comuni montani, ad es. dopo ogni nevicata, costituisce un attentato alla LIBERTA’ di frequentazione della montagna stessa.
    La quasi totalità dei siti di arrampicata sono nati grazie all’iniziativa volontaria dei singoli appassionati, che con autofinanziamento e buon senso (caratteristica imprescindibile dell’arrampicatore) si sono messi al lavoro individuando aree interessanti, curandone la manutenzione, ridando lustro a vecchie falesie fuori moda o realizzandone di nuove.
    È sempre stato così.
    Né mi risulta sia stata necessaria la previa autorizzazione.
    Che fine ha fatto la libertà di andarsi a divertire su un roccione lì o in altri luoghi, a proprio rischio e pericolo?
    Ma davvero per arrampicarsi per fatti propri, lasciando protezioni fisse in falesie non attrezzate, bisogna essere guida o addetto a lavori in fune, altrimenti si commette un reato sanzionabile?
    Io non lo credo proprio.
    Che impatto ambientale così devastante possono avere alcuni spit seminati qua e là, se ci sono tonnellate di cavi e reti paramassi a tutela della strada sottostante?
    Allo stesso modo che fastidio crea l’arrampicatore alla fauna locale, se ad una trentina di metri dalla falesia oggetto dell’ordinanza ogni weekend la strada si trasforma in un circuito motociclistico?
    Veniamo adesso alle responsabilità, visto che i sindaci e i chiodatori sono continuamente terrorizzati dall’ipotesi di azioni risarcitorie in caso di incidente, fino ad ora mai tentate.
    Sono anni che se ne parla, fortunatamente la giurisprudenza non ha ancora dettato legge con sentenze shock (es. in scialpinismo).
    Sono curioso di sapere che cosa succederà al sindaco di San Vito lo Capo e al chiodatore della via in conseguenza del purtroppo grave incidente di ottobre scorso.
    Mi auguro non gli venga imputata alcuna responsabilità giuridica e questo per il bene di tutti: quando uno chioda una via, su quella sosta ci si appende per ore e poi lascia che ci si appendano la moglie, i figli, gli amici… se a distanza di tempo succede quel che è successo, in cosa avrebbe sbagliato? A non mettere in conto che l’elemento naturale “roccia” è per definizione soggetto a erosione, distacco, crollo… e inesorabilmente è destinato a tornare pianura?
    Di falesie con crolli avvenuti nel tempo ne è pieno il mondo… e anche lo sfortunato ripetitore austriaco, per quanto esperto, non poteva prevedere.
    Sento continuamente dire che in montagna la causalità degli incidenti è sempre riconducibile a errore umano, mai alla sfortuna. Davvero strano, perché in città e altrove eccome se esiste la sfortuna… dentro casa, a passeggio, perdita del lavoro, con la salute.
    Siamo però nell’epoca del “Sicuri sulla neve”, ”Sicuri in montagna” e la cosa mi fa alquanto sorridere, perché mi ricorda la storiella di tre personaggi immaginari: Sicuro, Prudente e Tranquillo impegnati in attività pericolose, ma solo Prudente fa ritorno a casa. La morale è che in montagna di “Sicuro” c’è solo che la “Prudenza” non è mai abbastanza.
    Perché poi tutta questa attenzione dei media sugli incidenti per attività alpinistiche? Le statistiche dicono che in un anno muoiono mediamente 20 persone a causa di valanghe (freeride, ski-alp, escursioni…) e giù con condanne, ordinanze, divieti.
    In pista battuta i decessi sono 40.
    Per fumo ed alcool decine di migliaia.
    Allora, se in Italia è consentito uccidersi con le proprie mani, bevendo alcool e fumando tabacco, altresì pretendo che, sempre con le proprie mani, uno possa rischiare l’osso del collo andandosi ad arrampicare ovunque ritenga opportuno, secondo una propria scelta libera e consapevole.
    Avete ragione nel dire che il CAI dovrebbe prendere una posizione ufficiale.
    Il mio primo bollino risale al 1984, dagli anni ’90 un decennio di volontariato con il CNSAS, successivamente altrettanti con le Scuole… in questi trent’anni ho assistito solo ad un’involuzione, una perdita di terreno su tutti i fronti, un disinteresse alla difesa della LIBERTA’ di fruizione.
    Se il CAI non prende una posizione chiara su questa e numerose altre questioni aperte, ritengo più produttivo dare forfait, investire la mia quota associativa 2016 in piastrine, continuare a coltivare con lo stesso entusiasmo di sempre la passione per la causa comune (e non l’interesse di pochi) cioè l’arrampicata, l’alpinismo e lo scialpinismo.
    Ora scusatemi, ma c’è neve fresca, esco e vado a fare il “fuorilegge” nel comune di Scanno – limitrofo a quello di Anversa – dove da pochi giorni vige l’ordinanza, anche questa nel totale disinteresse del CAI, che vieta “qualunque attività e presenza umana su tutto il territorio innevato” tranne che sulle piste battute.
    Che amarezza…

  3. Hai ragione, domanda più che lecita . Infatti è da un pò di tempo che mi rode dentro e mi faccio tante domande . Se ha ancora senso stare dentro un’associazione con la quale si condivide più ben poco.
    Forse bisognerebbe fare come Miotti . Andarsene. Sarebbe una posizione più onesta e magari anche un segnale.

  4. Si Alberto, sai benissimo che concordo, ma perdonami se esco dal nocciolo della questione e ti pongo un quesito.
    Visto quanto scrivi sul “sodalizio”, spiegami perchè continuate a fare ancora la tessera e a partecipare all’Hendemico, che sarà anche un consesso sui generis, ma è pur sempre parte integrante del carrozzone del quagliotto.
    Permetti, non voglio romperti… ma credo sia ora di piantarla di dare consenso a una associazione che a livello centrale ormai da troppo tempo non sa niente di dove vadano alpinismo e arrampicata.

  5. si, si…..bonanotte. Poveri illusi. Al CAI dell’apinismo gli pò fregà di meno.

  6. Arrampicata “socialmente pericolosa”: da dove hanno potuto prendere questo frasario?
    Dal punto di vista tecnico sarebbe veramente fuor di luogo, ma non si può escludere che provenga dal linguaggio penalistico (art. 203 c.p.) e processual penalistico. Nel caso dell’art. 203 c.p. è proprio della legge stessa; vedi anche il caso dell’applicazione di misura cautelare, ad esempio il carcere, in attesa dell’eventuale condanna, per chi, accusato di commissione di certi reati, si possa temere che ne commetta altri.
    Una secca replica al Sindaco di Anversa degli Abruzzi può proprio originarsi da questo punto: nel linguaggio penalistico il concetto fa seguito al caso di svolgimento di un’attività (in corso di accertamento o definitivamente accertata da parte dell’Autorità giudiziaria, a seconda dei casi), quale appunto la commissione di reati, che per l’ordinamento è illecita; nel caso dell’arrampicata, invece, in sé si tratta di attività lecita, mentre, dal come la mette quel Sindaco, è considerata illecita in sé!
    Da quest’ultimo punto di vista mi paiono utili le considerazioni sulla differenza giuridica tra danno e pericolo e sulla tendenza all’espansione, sia in via di legislazione specie regionale sia da parte della pubbliche amministrazioni, della categoria del “pericolo”, in sé molto più limitativa della libertà d’esercizio per i praticanti sportivi.
    Per me, questo è uno di quei casi il cui dovrebbe essere il CAI Centrale a manifestare pubblicamente la sua (mi riferisco solo all’affermazione sull’arrampicata definita quale attività socialmente pericolosa), ad esempio con un comunicato: ma evidentemente sono distratti da altro o non sufficientemente perspicaci per cogliere la portata “politica” generale dell’inizio di diffusione di simili idee (e pratiche!) in sedi pubbliche.

  7. Scusate, un’aggiunta. Siete a conoscenza dei casi assurdi della gestione del Parco dei Sibillini? Date un’occhiata, si può prendere da esempio,anche per le amministrazioni affinchè non cadano negli “stessi errori”..

  8. Il problema che sta a monte, come sempre, è l’ignoranza in materia. Una corretta “informazione” tra chi emana un’ordinanza e chi la recepisce ridurrebbe al minimo i problemi.
    In quest’ordinanza è molto evidente che si ignora la materia arrampicata sportiva ( “leggermente” diversa dall’alpinismo ) e da come la si effettua ( dpi compresi ).
    E’ comunque vero che chi ha attrezzato la falesia ( mi sembra si tratti di monotiri, giusto? ) non si è preoccupato di informarsi circa l’area di appartenenza. Ad oggi la stragrande maggioranza dei siti di arrampicata ricadono in zone protette,private,parchi,ecc., è quindi indispensabile concertarsi con l’ente preposto gestore o chi altro prima di iniziare un tale lavoro. Le conseguenze sono obblighi e sanzioni,purtroppo. Anche per un lavoro ben fatto.
    Le amministrazioni dovrebbero conoscere le materie su cui legiferano e informare circa le loro idee progettuali; d’altro canto noi tutti dovremmo informarci, secondo i canali previsti, riguardo la situazione attuale ( albo pretorio,sito degli enti, ecc. ) in modo da non trovarci poi con le spalle al muro.
    Questa la mia opinione che credo abbastanza oggettiva.,
    Un saluto a tutti.

  9. secondo me la dizione pericolosità sociale è in contrasto con un innumerevole numero di norme in cui invece è esaltata la validità sociale di questa attività. anche la parte che riguarda le motivazioni in fatto e diritto sembrano avere un gran numero di lacune così a una lettura veloce non cononoscendo nulla del posto e non si vede i motivi di urgenza x cui un sindaco dovrebbe vietare l’uso del territorio ai cittadini per tutelare la loro incolumità. la tutela preventiva da attività sportiva non mi risulta esserci nell’ordinamento giuridico italiano. quell’ordinanza facilmente verrebbe annullata da qualsiasi ricorso di chiunque abbia un interesse legittimo a farlo.

  10. e come sempre l’italiano medio crea putiferi dal nulla e casi nazionali dall’extra- nulla…
    1) non esiste alcun tariffario che sia assolutamente obbligato. La famosa quanto discutibile legge Bersani o meglio decreto ( Decreto Legge 4.7.2006 n.223 ), ne abroga la validità, quindi riferirsi ad un tariffario non è limitativo anche se può essere ancora buona norma che evita le solite concorrenze al ribasso di cui l’Italia ha ben presente quali siano poi le conseguenze (pagare meno non sempre, anzi quasi mai determina lo stesso risultato… i cinesi insegnano)
    PERSONALMENTE (lo scrivo in maiuscolo per dare un tono proprio di titolo puramente personale) diffido dall’occasione del millennio…
    2) che l’attrezzatura di pareti possa essere demandata a chiunque, che non sia guida alpina, non necessita una conoscenza troppo specifica del settore… non essendoci normative in proposito, non esiste vincolo alcuno.
    Poi però bisogna fare i conti con tutta una serie di implicazioni, assicurative soprattutto, che ratificato il lavoro svolto ed in presenza di contestazioni di varia natura, a cui potrebbe non essere così facile dare interpretazione quando non si sia in presenza di lavori svolti da professionisti ( gli artigiani non sono professionisti) che rispondono in prima persona.
    3) un addetto ai lavori in fune o un preposto, le due figure sensibili dei lavori in fune, non risultano abilitati né alla valutazione né alla certificazione del lavoro svolto a regola d’arte in quanto non essendo figure professionali ma titoli di specializzazione, non sono ammessi in questi ruoli. Diversa la faccenda nel caso in cui queste figure dipendono da un’impresa che ne ha facoltà nel caso disponga di tecnici adeguati alla certificazione. Certificazione che può avvenire nei limiti della posa in opera a regola d’arte ma che, non esistendo una normativa in proposito, non può certificare in toto il lavoro eseguito.
    4) rivolgersi ad una guida alpina risolve svariati problemi di natura puramente assicurativa in quanto la figura professionale è abilitata (previo corso di specializzazione) ad emanare specifiche certificazioni di cui diventa diretto responsabile. Come dire, a chi dareste in mano la ristrutturazione del vostro appartamento? Ad una ditta edile specializzata o ad un sedicente (in quanto non abilitato o certificato) abile muratore? Certamente alla scelta si frappone un calcolo di opportunità alla base, ma nel caso di contestazioni possibili valutereste il costo o la qualità del lavoro e delle conseguenti certificazioni possibili???

    Il sindaco di questo paese evidentemente per ragioni di tutela ha emanato un provvedimento alquanto discutibile ed ha messo in atto una soluzione totalemente assurda che poteva essere estremamente più semplice e condivisibile. Le clausole ineretni il divieto potrebbero essere comodamente impugnabili da chiunque in quanto ( non sono un legale ma politicamente mastico qualcosina…) incostituzionali…!
    Prima di gridare “al lupo!” però, consiglierei un dialogo quantomeno formale con le parti interessate ( non solo due chiacchiere col sindaco e con qualche paesano) e nel caso non vi fosse spunto di colaborazione o si valutassero situazioni che potessero essere lesive in futuro, la segnalazione all’autorità competente.
    Spesso purtroppo le piccole amministrazioni risentono di scarsa conoscenza di normative e leggi varie (per non parlare della costituzione che dopo un ventennio di falsa informazione molti considerano un blocco piuttosto che una forma di auto difesa pubblica quindi di tutti) e promulgano decreti assolutamente impugnabili e contestabili… a volte però (non sempre purtroppo e personalmente ne ho varie riprove) la falsa concezione di essere padroni del territori e non invece amministratori crea delle siutuazioni estremamente lesive per i cittadini, allora in quel caso soltanto un ricorso legale ha facoltà di venirne a capo…!

  11. Uhm, nel suo post Giampiero omette alcuni dettagli secondo me sostanziali.

    (cito) “Riguardo al riferimento alla “guida alpina” occorre sapere che attrezzare le vie su falesie fa parte del nostro lavoro professionale e le tariffe anche per attrezzare le vie sono stabilite dal tariffario del collegio, che ha valore di legge.”

    Il fatto che faccia parte del lavoro professionale delle Guide Alpine non vuol dire che non possano farlo altri, tanti altri, tutti coloro che hanno l’abilitazione per il lavoro su funi, che sono migliaia di persone in Italia, e che non hanno nessun obbligo di rispettare il “vostro” tariffario. Una amministrazione comunale, dovendo spendere soldi pubblici, dovrebbe prima informarsi su quali sono i prezzi migliori sul mercato. Si tratta di un normale e democratico esercizio della libera (e legale) concorrenza.

    Vorrei anche aggiungere che tutte queste complicazioni esistono solo in ambito LAVORATIVO, cioè se una pubblica amministrazione affida un lavoro di chiodatura o di manutenzione. Se viceversa si attrezzano vie per uso ludico ricreativo vigono le regole di sempre, e chiunque può attrezzare percorsi sportivi (fermo restando ovviamente un margine di responsabilità per aver fatto le cose per bene, ma questo è un altro argomento).

  12. Prendo atto di quanto detto da Giampiero, ammettendo la mia ignoranza in merito a quanto previsto dal DLGS 81/2008 (peraltro non so quanti siano a conoscenza delle disposizioni riguardanti l’attrezzatura di falesie) ma se le cose stanno così allora mi domando per quale motivo il sindaco, o chi per lui, debba scrivere tutta quella sfilza di stupidate.
    Sarebbe bastato emanare un’ordinanza nella quale venivano evidenziati gli aspetti positivi derivanti da un certo tipo di opera realizzata nell’interesse di tutti, anche se ciò avrebbe limitato le libertà individuali. Così facendo invece si dà l’idea di voler fare qualcosa di losco per meri interessi economici.
    Insomma, anche volendo pensare nel migliore dei modi non si può non evidenziare una caduta di stile a livelli minimi.

  13. Sono cose da pazzi speriamo che quel comune che dimostra un’ignoranza disarmante ritiri immediatamente l’ordinanaza, ma come sempre cè di mezzo una piccola mafiata 40.000 euro per dieci tiri mi sembrano una cosa indecente non ci sara mica qualche bustarella che gira? si dice che si vuole cambiare l’Italietta ma per favore.

  14. ….”E comunque forse non è male che sia così,”…..

    Cioè in poche parole adesso per aprire una via bisogna prima chiedere il permesso?
    Per praticare il PROPRIO alpinismo o la PROPRIA arrampicata bisogna prima avere l’avallo di un ente superiore?

    Un ente superiore che decide cosa è giusto fare e cosa non è giusto. E sopratutto chi lo può fare e chi NO!!

    Che bel mondo che abbiamo creato. Tutti inquadrati e appiattiti come degli emeriti ebeti.

    Ma tutto questo non avveniva nella Russia comunista……?

  15. Io sono meno prudente di Andrea Sansoni, pur concordando per il resto con lui. Il terz’ultimo brano del post non riesco proprio a sorvolarlo. 😉

  16. Buongiorno, purtroppo questo scritto, reca alcune vistose imprecisioni. Intanto la somma totale di cui si parla, per due terzi è destinata a lavori all’interno della riserva, mentre un terzo è adibito all’apertura di 15 (quindici vie) in aree stabilite dal WWF, gestore della Riserva. Oltre alle vie, sono previste all’interno di quel 1/3 di somma, corsi di arrampicata per i giovani del paese e la mautenzione delle vie per 5 anni, Infine le aree stabilite dal WWF sono particolarmente difficili da attrezzare e ciò comporta un lavoro ulteriore rispetto ad aree più semplici. Ho visto le vie che qualcuno ha realizzato e mi sembrano ben fatte. Spero di poterle rendere poi fruibili con un certificato apposito (è burocrazia lo so!). A proposito di burocrazia questo progetto risale al 2011, quattro ani di burocrazia! Riguardo al riferimento alla “guida alpina” occorre sapere che attrezzare le vie su falesie fa parte del nostro lavoro professionale e le tariffe anche per attrezzare le vie sono stabilite dal tariffario del collegio, che ha valore di legge. L’attrezzatura di un monotiro va da un minimo di 1300 euro. Come si vede i conti tornano alla grande. E’ notorio che un professionista non può discostarsi al ribasso rispetto ad un tariffario che prevede un minimo. Infine per attrezzare una via in falesia occorre un certificato sulla sicurezza di “addetto ai lavori in quota e su fune” ai sensi del Dlgs n. 81del 2008; se non c’è, ad una ispezione (l’ispettore del lavoro e/o Asl) è previst la multa e anche il carcere. Come si vede le cose sono cambiate da quando, come ai miei tempi, si attrezzava in piena libertà. E comunque forse non è male che sia così, vedo purtroppo spittature selvagge, senza criterio fatte non solo in falesia ma anche sul Gran Sasso. Lo scopo di questa mia è solo per dare una informazione corretta. Buona montagna!

  17. anche il FUMO è socialmente molto pericoloso visto che fa venire il cancro, a chi fuma e a chi respira il fumo degli altri. Ma lo stato e i sui funzionari se ne guardano bene di vietarlo. Anzi fa scrivere sui pacchetti che fa male ma poi detiene il monopolio e incassa fior di milioni dalla vendita della sigarete. Milioni sporchi perchè macchiati dalle morte di cittadini italiani.
    A questo il Sig. Sindaco Gabriele Gianni ci ha mai pensato ?

  18. premesso che qualsiasi amministrazione trova sempre qualche ragione o cavillo per poter vietare qualche cosa che vuole vietare, e sorvolando per prudenza sui possibili interessi di qualcuno, e` particolarmente significativo in questo caso l’esplicito riferimento alla “pericolosita` sociale” e ancor piu` la motivazione chiaramente esperessa: “nel senso che è caratterizzata da un grado di rischio superiore a quello che caratterizza altre attività sportive” (vero o no non importa). Questo concetto e` stato infuso nel grande pubblico negli ultimi anni, quando si si verificano incidenti, attraverso i mezzi di comunicazione che non mancano mai di rimarcare l’incoscienza di chi pratica certe attivita’, il fatto che mettono a repentaglio la vita dei soccorritori, e soprattutto, in tempi di crisi, il costo dei soccorsi a carico della colletivita’. Ora un oscuro funzionario di una remota amministrazione lo mette nero su bianco e forse in un futuro fara` giurisprudenza chissa’.

  19. Soprattutto infastidisce l’arroganza. D’altronde chi è arrogante spesso è anche poco intelligente.

  20. e vai!! l’ignoranza ma sopratutto la furbizia e l’arroganza di certi funzionari pubblici la vince sempre!

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