Più montagna per pochi – 2 (2-2)
di Carlo Crovella, 8 settembre 2019
b) Il ruolo delle Guide
Nella prima parte della trattazione ho condotto l’analisi sui danni che produce l’eccesso di affollamento delle montagne, sottolineando che l’affollamento è un fenomeno quantitativo, ma anche qualitativo. Ci sono troppi “cannibali” in giro per i monti. Non mi dilungo a spiegare l’utilizzo del termine cannibale (rinvio alla prima parte) e affronto invece l’esposizione del modello che ho ipotizzato.
Partirei innanzi tutto dal ruolo delle Guide. Fatto salvo il principio che, purtroppo, esistono anche delle Guide cannibali (pochissime, ma le ho viste), in genere le Guide sono depositarie di un approccio rispettoso alla montagna e alle sue leggi. Spesso poi sono dei valligiani e quindi aggiungono anche l’affetto verso la propria terra. Ecco, ho pensato che le Guide dovrebbero avere uno spazio d’azione estremamente più ampio di quello attuale, funzionando implicitamente sia come vigili (cioè controllori dei propri clienti) che come educatori di chi vuol essere introdotto alla montagna.
Mi spiego, ma devo partire un po’ da lontano. Qualche anni fa, in un affollatissimo rifugio del Rosa (3 turni per cenare!), capitammo in modo casuale allo stesso tavolo di una Guida. Chiacchierando del più e del meno, venne fuori che io ero un istruttore di scialpinismo. La Guida si lanciò in un’accesa invettiva contro le Scuole del CAI, in particolare quelle di scialpinismo (ma non solo), accusandole di fare concorrenza sleale alle Guide: in parole povere sosteneva che le Scuole “accompagnano” gente a costi inferiori di quelli delle Guide, perché gli istruttori sono volontarie quindi non remunerati. Lì per lì mi irritai moltissimo, ribattendo che si tratta di due segmenti completamente diversi: le Scuole – pensavo allora – sono frequentate da allievi che intendono imparare ad andare in montagna, non semplicemente essere accompagnati in sicurezza (attività legittimamente riconosciuta in esclusiva alle Guide). Ne nacque un acceso parapiglia verbale a tal punto che il rifugista, per separarci, ci spostò di tavolo.
Ebbene a distanza di qualche anno devo riconoscere che quella Guida aveva ragione nei contenuti (non nei toni). Le Scuole, in particolare di scialpinismo ma non solo (quindi anche di alpinismo, di arrampicata, di escursionismo, di canyoning, di MTB, ecc.) sono diventate il coacervo di chi vuol farsi accompagnare “in sicurezza” (locuzione chiave della nostra epoca, un vero tarlo dei nostri tempi) e cerca accompagnatori a costi inferiori di quelli delle Guide.
In parole povere sono rari i “veri” allievi, cioè coloro che si iscrivono per assimilare una forma mentis adatta a realizzare future gite private in sicurezza. La stragrande maggioranza degli attuali allievi sono “falsi” allievi, cioè cercano due obiettivi molto precisi: farsi accompagnare in sicurezza e trascorrere piacevoli giornate in compagnia di tante persone. La controprova è che la quasi totalità degli allievi realizza esclusivamente le gite ufficiali del corso: cioè pochissimi fanno gite private, magari inizialmente con persone più esperte, ma con l’obiettivo di crescere sia mentalmente sia come esperienza pratica. In soldoni: i falsi allievi partecipano a gite “organizzate” finché hanno la “cissa” (locuzione piemontese per “mania”, NdR) della montagna e quando tale cissa passa (perché hanno conosciuto altra gente, perché si sono innamorati, perché vengono spostati come sede di lavoro, ecc.) smettono completamente di fare montagna.
Ecco tutti questi falsi allievi dovrebbero rivolgersi obbligatoriamente alle Guide che, o a titolo diretto o organizzando dei corsi (ma, attenzione!, differenti dai corsi e dalle Scuole del CAI, vedremo poi perché) gestiscono chi, incuriosito, vuol provare cosa significa far gite in montagna. Non sto dicendo che tutte le Guide obbligatoriamente devono mettersi a organizzare corsi: le Guide che preferiscono, per attitudine personale, mantenere clientela diretta, saranno liberissime di farlo. Sto dicendo che la fase di iniziazione alla montagna non dovrebbe più essere appannaggio delle Scuole del CAI, ma dell’attività delle Guide. Ė un concetto semplicissimo, ma prevede una rivoluzione radicale rispetto all’attuale impostazione.
Le Guide potrebbero così vigilare sull’attività dei neofiti, impostandoli verso la giusta fruizione della montagna. In pratica si verrebbe a creare una selezione alla fonte o quanto meno nella fase iniziale: chi, fra i neofiti, si sentirà stretto e non si troverà a suo agio, abbandonerà le montagne e si dedicherà subito ad un altro sport. Le Guide avrebbero un bacino ancor maggiore per la loro attività.
Nelle Scuole è più complicato ipotizzare un meccanismo analogo per la selezione iniziale, perché le attuali Scuole vivono sulla convivialità, sulla (sbandierata) amicizia, sul vogliamoci tutti bene e più siamo e più ci divertiamo.
c) La finalità delle Scuole
Già, le Scuole del CAI: che potranno fare, allora? Semplice: devono tornare alla loro funzione originaria: dovranno dedicarsi solo ai “veri” allievi, cioè a persone che sono, per loro conto, motivate ad apprendere come si va in montagna senza Guide. Via tutti quelli che cercano “sicurezza”, compagnia, amicizia. Per carità: tutti concetti che devono esser presenti nell’attività delle Scuole, ma non come fine principale, bensì come corollari di ciò che si fa. L’obiettivo fondamentale è: da fratello maggiore, facendo gite insieme, ti insegno come vestirti, cosa mangiare, quando riposarti, come preparare lo zaino, cosa portarti, come dormire, e così via.
Come si evince immediatamente, le cose importanti non sono le manovre iper-perfette: vedremo invece che, da una ventina d’anni circa, il mondo delle Scuole ha preso una strada che lo sta chiudendo in una gabbia ideologica, prigioniero della maniacale ricerca delle perfezione nelle manovre.
Cercando dei riferimenti ideologico-concettuali per focalizzare la rinnovata finalità delle Scuole, mi sono tornati in mente i due punti cardini della mia esperienza personale.
Il primo è costituito dall’impostazione di Massimo Mila (accademico torinese ed anche appassionato scialpinista), secondo il quale l’alpinismo è una delle poche attività umane in cui si fondono insieme pensiero e azione. Mi piace molto questo principio. Io interpreto il riferimento di Mila all’alpinismo come andare in montagna in tutte le sue accezioni (con o senza sci, su roccia, ghiaccio, sentieri…) e lo declino (didatticamente) in questo modo: a casa leggo, mi istruisco, conosco le montagne in ogni loro versante, consulto cartine e memorizzo dati, nomi, percorsi, punti critici; poi vado sul terreno e realizzo la gita, l’ascensione, la traversata o quel che è; camminando mi guardo intorno, scorgo una cresta, un vallone, una parete e ciò suscita la mia curiosità; tornato a casa, consulto libri, guide, cartine per capire di che si tratta e così facendo innesco in me un nuovo desiderio che alimenterà una successiva azione. Questo approccio, che con un “dai e vai” continuo dura per tutta la vita, è l’esatto opposto dell’approccio sportivo e cannibalesco.
Il secondo riferimento ideologico per la finalità delle Scuole è costituito da un concetto di Primo Levi (scrittore torinese con discreta frequentazione dei monti): la “carne dell’orso”. Non mi dilungo ora nel descrivere tale concetto (rimando all’articolo uscito su questo Blog il 31 luglio 2019: https://gognablog.sherpa-gate.com/levi-le-alpi-e-la-liberta-di-sbagliare/).
Levi dipinge un approccio che è l’opposto di quanto oggi ricercato dai fautori della società sicuritaria e deresponsabilizzante. Riferendosi alla carne dell’orso, Levi scrive: «Ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino».
Capite che c’è un fortissimo contrasto fra questo approccio e chi desidera il bivacco in vetta per ripararsi in caso di vento gelido o l’app che ti ritrova ovunque tu sia finito. Il concetto di Levi non ha nulla a che fare con la difficoltà, cioè non si assaggia la carne dell’orso solo sulla Nord delle Jorasses. Anche una normalissima scialpinistica di medio impegno può essere terreno per vivere la montagna in modo più naturale e assolutamente non “sportivo” (nell’accezione che io do a questo termine).
Temo che nessuna Scuola al giorno d’oggi insegni queste due cose, cioè le eredità concettuali di Mila e di Levi. Spero di sbagliarmi, ma, ammesso che esistano delle eccezioni, saranno davvero limitatissime. Purtroppo le Scuole, oggi come oggi, si sono ridotte a svolgere il ruolo di contenitori social-ricreativi per offrire “compagnia” (non necessariamente in senso pruriginoso) e accompagnare a far gite in sicurezza.
Occorre quindi che le Scuole cambino radicalmente. Oltre che nella mentalità e nella finalità, sono necessarie anche altre mutazioni. Innanzi tutto nelle dimensioni. Le Scuole si devono ridurre a numeri piuttosto contenuti. L’organico istruttori non dovrebbe eccedere mai i 20-25 nomi, con una presenza media di 15. Gli allievi dovrebbero essere limitati al numero che deriva dal moltiplicatore previsto (3 allievi per ogni istruttore nelle gite scialpinistiche, 2 allievi per ogni istruttore nelle gite alpinistiche o scialpinistiche su ghiacciaio e con difficoltà alpinistiche). Di conseguenza: 15 istruttori presenti convivono con un massimo di 45 allievi nelle uscite scialpinistiche ed un massimo di 30 allievi nelle uscite su terreni alpinistici.
In altri termini il gruppo complessivo di una scuola non dovrebbe eccedere le 50-60 unità totali. Può far ridere che io ora mi sia dilungato su questo risvolto, ma spiego il perché. Io sono nato e cresciuto (fino a dirigerla) nella Scuola di scialpinismo della SUCAI Torino proprio nel periodo del suo massimo storico dimensionale: 4 pullman da 50 più alcune auto (per una media di 215-220 persone) nelle gite invernali e circa 150 partecipanti nelle gite primaverili in rifugio e su ghiacciaio. Non rinnego affatto quei periodi (ne sono letteralmente figlio, prima ancora che padre), ma sottolineo che allora era diverso, la frequentazione della montagna in generale era molto meno intensa. Oggi già un gruppo di 100 persone è un fattore inquinante, sia in senso diretto che metaforico (cioè a carico degli altri individui contemporaneamente presenti in gita). Occorre limitare moltissimo il numero dei partecipanti, contenendoli, come ho spiegato, entro le 50 unità. Se poi esistono già scuole più piccole per loro natura, ben vengano: l’importante è non eccedere i limiti descritti.
Un altro cambiamento viscerale che le Scuole dovrebbero affrontare è quello inerente al contenuto dell’insegnamento. Per rispondere ai due riferimenti ideologici che ho citato poco sopra (Mila e Levi) bisogna che il mondo delle Scuole abbandoni in modo significativo l’attuale tendenza alla ricerca parossistica della perfezione nelle manovre. Un po’ di manovre di base sono certamente necessarie, ma la piega che si è presa da qualche tempo (all’incirca una ventina di anni) sta snaturando la finalità didattica. Innanzi tutto le manovre cambiano ogni anno e spesso si torna alla versione di qualche anno fa: tutto ciò crea disorientamento didattico, non miglioramento. Inoltre le manovre sono diventate talmente “perfette” che sono oramai complicatissime e inapplicabili all’atto pratico, pena tempistiche che non sono coerenti con i tempi della montagna. Qualche mese fa ho partecipato a un aggiornamento istruttori dove ho appreso che per legarsi in cordata, secondo le ultime direttive, occorre una smisurata quantità di materiale (cordini, cordinetti, moschettoni, moschettoncini…) da utilizzare in una procedura talmente astrusa che, se immagino di doverlo fare fuori dal rifugio al buio con due allievi che non sono avvezzi (e quindi li devo legare io), impiego più di un’ora per l’operazione. Metteteci in più che magari abbiamo i ramponi ai piedi e che, nell’angusto spazio fuori dal rifugi, ci sono altre cordate impegnate nella stessa operazione: un’ora scappa con facilità. Ebbene quell’ora è persa, la montagna non te la restituisce nella sua evoluzione diurna (rialzo della temperatura, ecc.): per cui o ti alzi un’ora prima, perdendo un’ora di sonno, o parti dal rifugio che sei già in ritardo rispetto ai tempi fisiologici della montagna. Il rispetto dei tempi è uno degli assiomi fondamentali di un altro mio pensatore di riferimento, Gaston Rébuffat, colui che, guarda caso, coniò il concetto dell’ “apprenti montagnard” cui è stato dedicato un articolo su questo Blog (https://gognablog.sherpa-gate.com/lapprendi-montagnard-di-rebuffat/).
A scrivere queste cose sulle Scuole non faccio altro che scoprire l’acqua calda, cioè mi imbatto in concetti che alpinisti e istruttori molto più importanti di me hanno elaborato moltissimo tempo fa. Giusto Gervasutti (che, oltre ad essere un alpinista di punta, fondò e diresse la Suola di alpinismo Boccalatte del CAI Torino), perfezionò la sintesi dell’attività didattica in montagna: “La Scuola si prefigge lo scopo di fornire ai giovani le basi di un sicuro indirizzo tecnico e spirituale ed educarne la naturale inclinazione, affinché possano praticare, preparati e coscienti, l’alpinismo accademico in ogni sua forma”.
Non c’è nulla da aggiungere.
Queste parole, scritte verso la fine degli anni ’30 del ‘900, sono quanto di più attuale possa esistere ancor oggi come faro di riferimento per il riordino ideologico del mondo delle Scuole.
Ė evidente che le “nuove” Scuole, come ho cercato di descriverle nelle righe soprastanti, non possono generare cannibali, anche volendolo, perché una loro impostazione del genere educherebbe a un approccio maturo, consapevole e sicuramente “non sportivo”. Guardate invece gli spazi web di molte Scuole attuali: dopo ogni uscita vengono scaricate valanghe di foto. In genere si tratta di foto che immortalano i partecipanti: in gruppo, da soli, con facce strane, smorfie, dita a V per vittoria, quello che fa le corna sulla testa del vicino, la bella ragazza con la tutina attillata. Mai una foto di montagne, di creste, di pareti, di valloni, percorsi o da percorrere la prossima volta. Solo foto di persone: potrebbero essere in un agriturismo, in una discoteca, in una bocciofila. Tutti sempre che ridono, allegri, schiamazzanti: insomma sono prossimi cannibali, non prossimi alpinisti maturi e consapevoli. Queste scuole incentrate sulla convivialità, sulla ricreazione, sull’importanza di essere tanti e sempre felici, io le chiamo le “Scuole Club Med”. E’ una definizione un filo caustica, ma rende bene l’idea. Gli istruttori sono come gli animatori del Club Med: non vedete che contrasto con le parole di Gervasutti? Infatti se le Scuole sono piene di “falsi” allievi, significa che gran parte degli istruttori sono dei “falsi” istruttori: non ricoprono il ruolo coerente con la finalità didattica espressa da Gervasutti, ma sono delle macchinette che, oltre a garantire l’intrattenimento, ripetono manovre e procedure decise da altri. L’istruttore attuale, quello che piace tanto all’establishment della didattica ufficiale, può essere visto come un’alternativa a un tutorial su You Tube. Viceversa la vera essenza dell’andare in montagna non è (per fortuna!) ingabbiabile in un video.
Per tutti questi motivi, al momento mi sono completamente defilato dall’impegno attivo nella didattica: non mi interessa contribuire alla produzione di altri cannibali. Conduco la mia personale attività didattica come fosse un’attività politica che si esprime attraverso scritti, conferenze, prese di posizioni.
So che con queste mie idee susciterò molto clamore, ma sono convinto che il mondo della montagna vada risistemato e assottigliato nei numeri e nella tipologia dei frequentatori. L’obiettivo non è far piacere a me, ma invertire la rotta che sta provocando danni all’ambiente montano e ai “veri appassionati” di montagna.
Riassumendo, in conclusione
C’è troppa gente in montagna, sia quantitativamente che qualitativamente.
Ci sono troppi “cannibali” e questo crea danni all’ambiente e danni ai “non cannibali”.
Nella scelta di meccanismi di selezione vanno scartati meccanismi economico-organizzativi, oppure di capacità tecnica o strumenti come le patenti sovietiche.
Il ruolo delle Guide dovrebbe assume maggior rilievo: chi vuole farsi accompagnare, dovrebbe obbligatoriamente appoggiarsi alle Guide che potranno così svolgere un’implicita funzione di vigili e di educatori dei loro clienti.
Le Scuole del CAI (o comunque tutte quelle incentrate su istruttori volontari) dovrebbero cambiare radicalmente. La finalità tornerebbe quella di insegnare come si va in montagna rivolgendosi solo ai “veri” allievi, cioè a chi è interessato a far gite private con cognizione di causa. Le linee guida delle Scuole dovrebbero avere due riferimenti base: il concetto di Mila (l’alpinismo è una delle poche attività umane in cui si fondono insieme pensiero e azione) e quello di Levi (liberi di sbagliare e padroni del proprio destino). Occorre snellire sensibilmente le dimensioni delle scuole e liberarle dall’attuale e soffocante gabbia ideologica delle manovre maniacalmente particolareggiate.
Il tutto inquadrato in un assioma di fondo: andare in montagna è una attività e non uno sport. Ė un’attività bellissima che, se correttamente impostata e alimentata, dura per tutta la vita, ma è un’attività che si svolge su terreni pericolosi, con frequenti disagi e possibili rischi anche mortali. Per cui è impossibile ingabbiare tale attività nei parametri soffocanti della società sicuritaria.
Se riusciamo a far prevalere questo principio, vedrete che tutti coloro che hanno un approccio “sportivo” si dissolveranno come neve al sole e si otterrà così l’obiettivo citato ad inizio articolo: “Più montagna per pochi”.
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DinoM, grazie x lo spunto….
tra l’elenco che hai scritto maca solo ciò che più mi spaventa.
Il patentino per andare in montagna! patente A vie di max 4°, patente B vie max 6°…e così via
La butto sul ridere ma se non sarà “l’alpinista” ad auto-regolarsi lo farà il “politico” per lui.. e li non ci sarà proprio un bel niente da ridere!
Sinceramente mi sembra che si stia montando un problema che esiste solo su poche montagne facendo credere che se non lo si risolve come l’autore dell’articolo si auspica, questo porterà al divieto per tutti di salita. Quindi l’autore cerca deliberatamente di spaventare i lettori per poi propinargli la sua soluzione. A parte il fatto che dividere chi vuole andare in montagna in categorie, vietandone l’accesso a una in particolare, non è solo incostituzionale ma credo che sia contro i diritti base che ogni essere umano dovrebbe avere. Se poi le autorità competenti, dovessero valutare che in certe giornate sul Cervino ci sono troppe persone e non si può garantire la sicurezza o si compromette la conservazione dell’ambiente, si limiterà il flusso con delle prenotazioni che possono essere fatte da chiunque sia adeguatamente equipaggiato e preparato.Sulle alpi ci sono più di 600 cime sopra i 3000 metri vuoi vedere che non riusciamo a trovarne un’altra che ci va bene?
E se il nostro sogno è quello di fare il Cervino ci si organizza e si prenota la salita per tempo.
per Dino M: non sono d’accordo che l’attuale modello didattico delle Scuole sia utile in tal senso. l’ho argomentato e quindi non mi ripeto, se non in estrema sintesi: correre dietro a manovre e manovrine, cordini e cordinetti, procedure schematizzate, manuali, test scritti a crocette ecc non serve proprio a creare la mentalità che sarebbe necessaria nel contesto di eccessiva pressione antropica sulla montagna. Buon week end!
Andiamo con ordine;
Togliere tutti i rifugi, strade, funivie etc . etc . etc.: Impossibile
Togliere tutti i supporti tecnologici: Impossibile
Limitare il numero di allievi/istruttori? già è così
Far fare i corsi solo alle Guide: non cambierebbe nulla
Impedire agli “atleti” di andare? impossibile
Questa ( a mio avviso) la sintesi di ca. 14o post di cui circa 40 dell’autore
Non resta che rimboccarsi le maniche e agire su educazione e prevenzione come da anni fanno le Scuole del CAI.
Dino Marini
Leggendo bene quanto scritto nei post, con una seria disponibilità a farsi criticare (in senso buono) dagli stessi, non ho potuto non rintracciare in me entrambe le anime: cannibale e non.Nonostante tutte le argomentazioni presenti nei post, non me la sono sentita di condannare del tutto i miei lati “cannibaleschi”. Io mi sono appassionato alla montagna principalmente per la bellezza che vi ho trovato, e le varie attività che poi ho intrapreso sono sempre state un tentativo di partecipare sempre di più di questa bellezza.Per come sono fatto, anche per il livello mediocre di alpinismo/arrampicata/sci/scialpinismo che sono in grado di esprimere parto sempre da questo presupposto: le montagne in sé sono un regalo/dono/una presenza non scontata sulla faccia della terra e per tanto non sono mie e sono assolutamente grato a quanti vi ci sono cimentati prima di me perché mi hanno reso fruibili itinerari e quindi esperienze, che non sarei in grado di fare se fossi io il primo a mettere piede su quella montagna.Pertanto, come tanti, scelgo accuratamente le vie da affrontare e, anche se ce ne sono alcune che magari, avessero caratteristiche diverse, sarei contento di fare, non pretendo assolutamente che queste mi vengano rese accessibili.Un esempio su tutti: mi piacerebbe da matti fare delle vie in Wenden, ma per la “testa” che ho in questo momento le probabilità di farmi male non sono così basse.Sarebbe assolutamente sbagliato pretendere che, siccome sono bellissime pareti e, in alcuni punti, con dei gradi che posso fare, mi vengano rese accessibili ad esempio aumentando le protezioni.Allo stesso modo mi sembra intelligente e giusto, che vi siano pareti con vie che permettano di cimentarsi su quel tipo di arrampicata, in maniera meno psicologica: ritengo che sarebbe errato dire: le vie devono essere per forza di un tipo, o dell’altro.Così come ritengo sbagliata la schiodatura sistematica delle falesie coi tiri in fessura (non l’esistenza di falesie trad, sia ben chiaro, ma la schiodatura di falesie già esistenti – specialmente se esiste già la possibilità di avere tiri trad non lontano) perché penso sia giusto il volersi cimentare con questo tipo di arrampicata senza avere con sé una serie con misure triple per proteggere bene, ed essere disposto a caderci sopra a ripetizione. Penso che questo tipo di varietà di posti vada salvaguardato, in un senso e nell’altro.Tornando a quello che si dice nell’articolo, io penso che nessun “cannibale” dovrebbe pretendere di avere una montagna su misura delle sue esigenze, ma al tempo stesso, una volta che queste strutture sono presenti, mi sembra sbagliato impedire sistematicamente che vengano frequentate, o sistematicamente rimosse per ridurre la frequentazione. Una qualche azione comunque penso vada intrapresa per la salvaguardia di alcuni posti, ma non condivido la radicalità delle posizioni.Come accennavo all’inizio, rintraccio in me:1) Un certo apprezzamento del gesto sportivo: dal piacere del freeride, al gusto per fare delle vie per godersi l’arrampicata magari un attimo al limite ma ben protetta, in posti stupendi. Sono piaceri diversi rispetto all’alpinismo, ma non direi che sono “sbagliati” perché sono più sportivi. Posso capire che il primo sia in qualche maniera più rispettoso dell’ambiente, ma non direi che il secondo è sempre una dissacrazione del luogo.Così come fare itinerari con le pelli che utilizzano impianti in alcune parti; anche con tutta l’autocritica del mondo, non me la sento di dire che sono sbagliati. Diverso è pretendere che tutti i posti diventino così.2) La condivisione della montagna coi propri amici. Ritengo profondamente umano che uno voglia condividere un aspetto della vita che gli è molto caro con gli amici: mi sono ritrovato recentemente a portare un mio collega a fare delle viette. Sinceramente il punto della mia giornata non era fare (o meglio rifare) quelle vie, ma condividere con lui una roba bella. E anche questo non posso dire che lo sento “sbagliato”.Capisco che, nonostante io ripeta che sia giusto preservare un certo tipo di diversità, non tutte le montagne sono uguali: sicuramente fa tristezza vedere il Cervino in queste condizioni.
Non ho soluzioni programmatiche rispetto ai problemi evidenziati nei post, ma volevo un attimo mettere in luce dei punti che, rispetto alla mia esperienza, sono comunque umani e non condannabili di un certo modo di andare in montagna, anche se questi vanno a intaccare le proprie montagne e il proprio modo di andarci (naturalmente vale da entrambi i lati).
Alessandro, rispondo a te e dissento (non male, è la prima volta).
La critica di “narcisismo” l’ho rivolta io. A Crovella, perché non ne potevo più, continuava a rispondere con pedanteria colpo su colpo, come se fossimo in una chat e non in un blog, esternando ripetutamente le sue credenziali. Oh, mica siamo scemi! E l’ho rivolta in passato anche a dei commentatori, in particolare due, che straripano sapendo tutto loro o che indossano ancora i pantaloni alla zuava. Non si capisce? E’ il web, baby!. Esplicitamente: Cominetti e Bertoncelli.
E il web, peraltro, da mo’ sostiene tanto gli interventi rapidi e non analitici, quanto i nickname e non propriamente i nomi e i cognomi. Non è superficialità, non è vigliaccheria.
A me è piaciuto il tuo blog, Alessandro, per certi spunti mi piacerebbe tuttora, ma l’andazzo della discussione lo sta trasformando in una parrocchia, anzi, vista l’invadenza di alcuni, in una parrocchietta.
Nel merito del post, al di là dei cannibali e del Cervino, il mio contributo ho cercato di darlo, sottolineando che coloro ai quali l’autore intendeva delegare una rinascita culturale e ambientale sono proprio quelli che sistematicamente addomesticano la montagna e la mettono “in sicurezza”. E a proposito dei montanari: non giurerei affatto sulla loro saggezza.
Concludo e mi accomiato, scusandomi se qualcuno si è sentito insultato. Cari saluti.
Bellissimo il commento di Simone Di Natale, soprattutto quando richiama l’episodio di Corona. Proprio leggendo quel libro, mi sono reso conto che anche uno come Corona un tempo poteva essere considerato un cannibale dato quello che racconta nel suo libro, e quale è stata la nostra fortuna? Non che qualcuno gli impedisse di frequentare la montagna o gli facesse la ramanzina, ma semplicemente che in silenzio e senza giudicare gli desse l’esempio. Non serve a niente togliere questo impianto o quell’altro, tanto si troverebbe sempre una nuova meta da sovraffollare, serve semplicemente il giusto modo di educare e di risvegliare la coscienza. Preferite che tante persone godano nel giusto modo la montagna o che tante persone si infilino in un centro commerciale. Dobbiamo ricordarci che tutto è collegato se preserviamo le montagne ma distruggiamo le pianure e le valli non resterà nessuno per apprezzare i nostri amati monti e a quel punto avremmo risolto anche il problema del sovraffollamento.
Crovella al finale ha cercato di indicare la sostanza, tentando di farci dimenticare la forma. Ma ha detto che non cambia idea ed in effetti pochi se lo aspetterebbero viste le premesse.
Personalmente, all’inizio pensavo che non bisognasse prenderlo sul serio, poi ho provato a cercare di capire se dietro c’era qualcosa di più’ profondo. Ma mi pare di no, la sua analisi si conferma fondata su idiosincrasie personali e sostanzialmente, come già’ detto, da una notevole ansia da primo della classe.
LA cosa curiosa, che rivela l’auto-referenzialita’ del suo articolo, e’ che espone un suo problema ( i cannibali ) come se fosse il vero guaio per tutti, per poi risolverselo da solo ( riformando il suo CAI, che e’ evidentemente la porta per cui tutti i cannibali passano ).
Ha avuto fortuna a trovare in questo blog qualcuno che glielo pubblicasse, altrove non credo sarebbe stata considerato presentabile.
D’altro canto la questione dell’affollamento in montagna merita seria considerazione, e alcuni commenti hanno cercato di indicare le aree giuste. Ma per me la discussione va impostata su tutt’altre premesse.
Un piccolo contributo costruttivo:
– per le singole cime sotto stress ( Monte Bianco, Cervino eccetera ) per me ci va una regolamentazione forzata ( anche qui dissentiamo ). Al limite si sovra’ studiare un sistema di permessi.
– nelle zone di grandi affluenza ( es. Dolomiti ) si deve realisticamente cercare di limitare i danni. Per nulla credibile sopprimere alcunche’ ( chi e in nome di cosa?) – i rifugi, le segnalazioni, gli impianti e tutti gli aiuti esistenti – semmai bloccarne la creazione di nuovi.
GIUSTO !!
invece quale soluzione è stata trovata?
Prenotazione obbligatoria della Carrel. Non sarebbe stato meglio smantellarla la Carrel…?
Mi sembra di capire che vi siano regole anche su come scrivere i commenti. Vedro’ di seguirle, per il possibile. Facendo riferimento all’articolo iniziale ed al richiamo all’ordine di Alessandro Gogna, trovo che il tema non sia stato posto nel modo giusto (a mio modesto avviso certo) dall’autore poiche’ e’ vagamente intriso di “rifiuto” verso i frequentatori della montagna che lui definisce cannibali e, testuali parole, dice che ve ne sono troppi in montagna. Non stupiamoci quindi se poi segue un po’ di aggressivita’ (molto modesta comunque). Perche’ tutto nasce dal voler giudicare gli altri, il loro modo di andare in montagna quando ognuno di noi dovrebbe limitarsi al rispetto della montagna e degli altri. Punto. E questo spirito di rispetto e di apertura mentale verso gli altri, tutti gli altri, a mio avviso nell’articolo manca almeno un po’.
detto questo per diminuire il flusso in montagna, perlomeno su alcune montagne, e’ necessario restituirle al loro stato iniziale, via corde, taxi fuoristrada, rifugi inutili e via dicendo. Per il resto se saremo in trecento ad andare sulla normale al gran paradiso ci metteremo silenziosamente in fila e va bene lo stesso, sempre rispettando ambiente e gli altri. O Preferiamo che ci sia qualcuno che ci dica tu vai e tu no? Pensare a limitare un flusso nel 2020 e’ illusorio. Il solo fatto che cia sia la rete, questo blog ed altre migliaia di blog, e’ un moltoplicatore di potenziali frequentatori di montagne. Pensiamo di poterlo fermare? Per far si che il Cervino non sia piu’ un gabinetto a cielo aperto basta togliere la corda della cheminee. Se vogliamo farci il Breithorn in silenzio basta togliere la funivia del Plateau. Se vuoi farti il Gran Paradiso con pochi commensali, via il rifugio Vittorio Emanuele.
a me va bene.
a voi? Alle guide? Agli abitanti delle valli?
il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente in generale, come delle montagne, richiede sforzi e sacrifici, richiede di tornare a stili di vita di anni fa per progredire verso il futuro.
Richiede di limitare il proprio spazio di azione e non so se siamo tutti disposti a farlo.
In tutti, anzi no, in molti, dei bellissimi racconti di questo blog che narrano di scalate, arrampicate o avventure varie, si parte da un viaggio in macchina che porta alla partenza del tragitto. Spesso ci sarà stato anche un tratto in funivia (o andate tutti al Torino a piedi partendo da Courmayer o dalla Val Ferret)?
Quindi la cancellazione dell’antropizzazione da dove deve partire? Da dove reggono le gambe ed il fiato di chi? Qual’è il non cannibale le cui capacità vanno prese a modello?
Perchè il Cervino va tutelato e le Valli no?
Io sono daccordo con chi dice che manca una cultura e quindi una educazione di base, in tutti i campi ed in tutti i settori. Ed è su quello che si dovrebbe lavorare.
Limitarsi a dire che si debbano schiodare le vie, togliere la segnaletica in motagna e via discorrendo secondo me non è corretto. Guarda solo al proprio specifico interesse. Almeno che a dirlo non sia qualcuno che si muove solo a piedi o in bicicletta, mangia solo determinati cibi, veste solo determinati abiti e via discorrendo…..e penso che persone così ce ne siano veramente poche ed abbiano deciso e capito da tempo che l’unica cosa che possano fare è vivere coerentemente la loro scelta senza però cercare di imporla ad altri.
L’esempio, quello si, conta molto.
Mi è piaciuto leggere in un libro di Corona che imparò a non gettare rifiuti a giro per i monti, non perchè redarguito da qualcuno, ma perchè un signore più anziano di lui, dopo aver faticato per raggiungere una cima, senza proferire verbo si alzò per andare a raccogliere una lattina (o qualcosa del genere) che Corona stesso aveva gettato in terra….la mise nel proprio zaino e la riportò a valle.
Un Saluto!
Scusate, una precisazione doverosa: nel mio commento 88 mi riferisco a Penotti (87). Ri-cordiali saluti. C
Prendo spunto dall’ultimo contributo di Piunatti e vi segnalo come sia facile leggere con superficialita’ gli altri commenti. Nei giorni scorsi le accuse di pedanteria sono state rivolte a me, non erano caratteristiche dei commenti altrui. Inoltre non ho mai detto che il termine “cannibali” sia forte o eccessivo, ho invece detto che, pur essendo un semplice tocco di costume stlistico (nella redazione del testo), rischia purtroppo di spostare l’attenzione del lettore rispetto al tema principale di riflessione. È irrilevante capire davvero con precisione chi siano quelli che io definisco cannibali. Invece l’importante è confezionare meccanismi naturali di scrematura dell’accesso antropico ai monti. Cordiali saluti a tutti. Carlo
In punta di piedi.
Del post di Crovella ho già scritto che, se il punto iniziale della riflessione “troppa gente in montagna” ha un suo iniziale, seppur parziale fondamento, lo sviluppo della tesi ha mostrato, IMHO, in più punti manchevolezze, contraddizioni ed errori concettuali.
Raccolgo la provocazione e mi riservo di sviluppare un post in antitesi.
Detto questo, i commenti li ho letti tutti. A parte qualche caso isolato che, dato il tono del topic ci si sarebbe anche potuti aspettare, io non ho notato pedanteria o aggressività ma solo dissenso, in toni generalmete cortesi. Aggiungo che qualche intervento contrario era di notevole intelligenza e arguzia.
Sarò sincero. Dopo aver letto tutti i post e le relative risposte di Crovella io questo cannibale non ho ancora capito chi sia. Insomma non saprei riconoscerlo e lo stesso Crovella ha poi ammesso che forse il sostantivo era un po’ forte.
Abbiamo appresso, nel dipanare il ragionamento, che non è necessariamente forte o scarso, nemmeno educato o maleducato, può esere giovane ma anche vecchio. Può voler salire il Cervino, il Gran Paradiso per le normali ma anche la Walker alle Jorasses. Abbiamo appreso, poi puntualizzato da Crovella, che è quello che ha un comportamento e atteggiamento “sportivo” e che non ha capacità culturali e di contemplazione.
Questo lo contesto e sono in disaccordo e ne scriverò. Il titolo proposto però per le mie modeste capacità culturali è troppo ridondante e creerebbe false aspettative. Preferisco un: “più montagna per molti”. Preparo già fin d’ora il giubbotto antiproiettile e darò una chance in più a Gesù e Barabba mettendomi in mezzo a loro.
Leggendo attentamente la sequenza dei commenti a questo post, e tralasciando quelli che dimostrano totale condivisione, ci sono da notare alcuni spunti che possono indurre all’irritazione. L’autore si è messo pazientemente a disposizione per rispondere a tutte le domande e la cosa ha infastidito qualcuno. Inoltre, dopo una risposta, è capitato di leggere un’altra domanda del tutto simile alla prima. Con pazienza l’autore ha risposto per la seconda volta le stesse cose, solo però per essere in seguito accusato di pedanteria e pesantezza. Ancora ieri c’era qualcuno che dichiarava di non aver ”capito” la sua definizione di cannibale, chiedendogli quindi di rispiegarla. Altra pazienza, altra risposta: e a quel punto c’è stata una specie d’insurrezione.
Si può comprendere che la fretta, o il poco tempo a disposizione, facciano “saltare” la lettura di tutti commenti: però allora ci si dovrebbe comportare di conseguenza ed essere meno aggressivi. E’ stato esplicitamente chiesto a Crovella come gestiva la Scuola: lui ha risposto sul tema ed è stato interpretato come manifestazione di narcisismo. In alcune situazioni (specie del primo giorno) gli autori dei commenti hanno fatto capire di non conoscere per nulla l’autore: e questi si è sentito in dovere di esporre le sue credenziali per sottolineare che sono 30 anni circa che si occupa di analisi dei fenomeni che si collegano all’andare in montagna. Cioè non si è inventato l’altro ieri. Convinzioni opposte a parte, credo lo abbia fatto sempre con acutezza di analisi, come più volte riconosciutogli in passato. Apriti cielo!
Bene, tagliamo la testa al toro: prendetevi la briga di scrivere un articolo a favore delle tesi antitetiche a quelle di Crovella. Titolo: “Analisi socio-culturale dell’accesso antropico alle montagne, in un’ottica alpinistica e scialpinistica, dal 2000 a oggi”. Questo avrebbe dovuto essere il titolo serio dell’articolo di Crovella. Che ha preferito però, per brevità, sintetizzare nello slogan politico della sua posizione ideologica: ”Più montagna per pochi”. Siete sostenitori di tesi opposte alle sue? Sacrosanto che le esprimiate. Allora però scrivete un articolo ben fatto, ben argomentato, con ragionamenti che si collegano in modo consequenziale, con uno stile sciolto e corretto. Prendetevi il vostro tempo: un mese, due, sei. Un articolo che non sia un rapido commento che spesso non si comprende esattamente cosa voglia dire. Quando avrete terminato e limato per bene il vostro scritto, speditelo alla redazione di GognaBlog. Sarà letto e valutato con serietà. Soprattutto si guarderà a quanto anelito alla verità esso si ispiri, indipendentemente dalle convinzioni. La redazione non avrà alcuna difficoltà a metterlo in programmazione.
Anche l’autore di questo post sarà curioso di leggerlo. Anche lui vuole capire come riuscirete a far convivere due spinte che sono conflittuali: da un lato il diritto “a tappeto” di andare in montagna e dall’altro il diritto delle montagne di non essere ridotte, a fine stagione, come dei gabinetti a cielo aperto (vedi definizione di Messner circa il Cervino). Saremo tutti curiosi di leggere tesi diverse da questa, perché nel frattempo dilaga la convinzione che questo conflitto sia ormai insanabile. Tra l’altro Crovella ha avanzato delle proposte operative (montagna più spartana per una selezione naturale dei frequentatori), ma ad alcuni sembrano non piacere, con il risultato che questi stessi sostengono che Crovella non ha affatto avanzato proposte. In effetti può darsi che ne esistano altre, migliori e più efficaci: però se non si trovano in breve dei meccanismi per scremare gli accessi, ad un certo punto si arriverà alla diffusione dei divieti espliciti e inattaccabili (vedi Monte Bianco francese).
Giusto Gervasutti dixit: “La Scuola si prefigge lo scopo di fornire ai giovani le basi di un sicuro indirizzo tecnico e spirituale ed educarne la naturale inclinazione, affinché possano praticare, preparati e coscienti, l’alpinismo accademico in ogni sua forma”
Carlo Crovella dixit: “per legarsi in cordata […] in una procedura talmente astrusa che, se immagino di doverlo fare fuori dal rifugio al buio con due allievi che non sono avvezzi (e quindi li devo legare io) […]”
Primo Levi dixit: “liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino”
Carlo Crovella dixit: “liberi di sbagliare e padroni del mondo”
Caro Carlo Crovella,
Scusi se la prendo un po’ in giro, ma questi scivoloni possono far dubitare delle intenzioni e della consapevolezza di chi scrive un pezzo che “susciterà molto clamore” (e lo dico pur avendo condiviso alcuni dei problemi sollevati). Sarebbe carino, un giorno, superare anche la retorica della “bella ragazza con la tutina attillata”: o forse c’è il rischio che davanti a simili visioni il vero montanaro – preda di irrefrenabili pensieri che poco hanno a che vedere con la purezza delle montagne – perda la bussola e si trasformi in un vile cannibale?
Buone cose, e mi scusi se non firmo su internet: non è per Lei o per il GognaBlog, è una mia convinzione.
B.K.
Per Panzeri: “Il senso della vita” dei Monty Python
Ora finalmente lo so, ho scoperto di essere un cannibale… Devono essere deliziosi i puri alpinisti bolliti.
E quest’idea di Crovella è geniale, stupenda, magnifica! Spero anch’io che si riducano ulteriormente gli accessi, anzi ancora più di lui, perchè così io – cannibale sportivo – potrò salire in cima al Bianco in giornata dal fondovalle senza la noia di dover passare sui piedi dei vecchi borbottoni. Chapeau!
Faccio due esempi di quelli che per me sono dei veri cannibali, ma essendo uomini lo siamo un poco tutti, magari senza ammetterlo o accorgersi.
-chi percorre sentieri nei prati e cerca agitandosi i bolli rossi e bianchi e ha paura di perdersi e allora mette il casco, perché gli hanno insegnato ed è convinto che il casco sia fondamentale per la sicurezza.
-chi non riesce a salire un 6b e passa la giornata su un 7a usando il “furbo” per moschettonare spit vicini, perché ha studiato e visto film e si allena a secco ed è convinto che per migliorarsi bisogna affrontare difficoltà più alte di quelle che si “possiedono in modo solido”
Ma i più cannibali sono quelli che devono avere il telefonone o il tabellone per chiarirsi dove pensano di andare, per comunicare al loro gruppo dove sembra loro di andare e per farsi venire a prendere, perché non hanno capito dove sono andati e si sono persi. E questi sono sia escursionisti che arrampicatori, di alpinisti se ne vedono più pochi.
Sì, con gente così molti guadagnano bene, quindi la coltivano e la istruiscono, intasando tutto il possibile: sono le moderne professioni e non solo della montagna.
Ora mi sembra che Crovella voglia trovare il sistema per tenere un poco libero, o meglio per “sturare” l’ambiente montano, ma secondo me è ancora presto e si dovrebbe sturare il mondo.
Nel grande pranzo siamo alla prima portata…. avevo visto un film di un “mangione” che esplodeva alla fine di un ricchissimo pranzo quando gli davano una ciliegina digestiva.
E chi decide chi è cannibale o meno?
Può sempre arrivare qualcuno che, credendosi più “puro” di lei, con le sue stesse argomentazioni, mette in discussione la sua libertà di vivere la montagna.
Sono discorsi da “popolo eletto” (o “razza superiore” così non si fa torto a nessuno) che nel 2019 non si possono più sentire…
non credo che il problema dell’affollamento sia risolvibile, ne che si possano creare categorie tra i frequentatori della montagna del resto, si fa di tutto per promuovere la sua frequentazione commerciale (eliski, circuito per quad, MB, concerti e raduni, piste da sci e collegamenti) e mo’ ci si accorge che tutto questo attira un po’ di tutto ??.. ma non credo siano i numeri in se il problema, il problema è l’estensione del territorio che è veramente limitato.. mentre sulle nostre alpi l’eliski deve essere vietato per problemi ambientali, etici.. questo problema è molto meno sentito nell’immensità dell’Alaska dove un elicottero si perde.. se ne faccia una ragione Crovella, la categoria eletta (ma forse sarebbe meglio dire; generazione) in cui si arrocca è quella che in questi ultimi quarant’anni ha permesso (o non ha voluto vedere) la cementificazione delle Alpi, i caroselli sciistici, l’addomesticamento di cime e creste, la nascita di una cultura sicuritaria e di consumo…. della serie: abbiamo fatto di tutto per portare la gente ai monti, ebbene.. eccola qua!
Caro Crovella, scusa se ti tiro ancora in ballo ma il tema di questa animata discussione si sviluppa sulle tue categorie “cannibalesche” , parte prima, e sulle tue soluzioni al problema, scuole del CAI e Guide Alpine. Bene, hai espresso le tue opinioni ed hai indicato le tue soluzioni. Il dibattito è stato ampio e variegato , con prese di posizione diverse ma alla fine ciò che emerge in maniera maggioritaria è il disagio che reca a noi vecchi romantici l’attuale consumismo generalizzato che è arrivato in luoghi un tempo considerati sacri e questo è comprensibile, ma i rimedi proposti per correggere la rotta indicando compiti specifici per Scuole CAI e Guide Alpine e/o quant’altro possibile, lasciano interdetti, le ricette non servono e non incidono, per le future generazioni serve solo l’esempio degli uomini di montagna di buona volontà.
Io credo che in montagna ci possa andare chiunque, nel rispetto della natura e degli altri. Se siamo in tanti facciamocene una ragione. Le montagne andrebbero lasciate come sono, senza corde ne’ aiuti, in modo che salga solo chi e’ all’altezza di farlo. e in questo senso, molto spesso, coloro che qui in modo arrogante ed invidioso sono stati definiti cannibali, sono proprio quelli che cercano di migliorarsi nel fisico e nella testa per salire vie piu’ ardue, che a mio avviso e’ un modo ineccepibile per andare in montagna, certo non l’unico. Quindi prima di ergersi a giudici non solo del modo di andare in montagna altrui ma perfino delle intenzioni altrui consiglierei di fermarsi ed astenersi. Migliorarsi, anche nel vituperato modo sportivo, permette di poter salire piu’ vie, vedere piu’ posti e spesso essere su montagne piu’ difficili e per questo piu’ solitarie. Non e’ che ci si lamenta della troppa gente in montagna solo perche’ non si e’ in grado di salire cime dove la troppa gente non arriva? Il dubbio rimane. Un saluto a tutti.
Mia opinione personale e quindi oggettiva [“anni e anni”, e persino Icio e Bonatti a casa mia (Jovanotti e Messner no, però)]: qualcuno esca dal narcisista che è in lui.
Basta ribadire.
Gogna, contienili.
Ah, dimenticavo. Per commento 73: ho scritto il commento 71 per rispondere alla richiesta del commento 69. Che ci siano dei commenti in dissenso e’ fisiologico, ma non comprendo cosa pretendiate da me. Io esprimo le mie idee (tra l’altro frutto di profonde riflessioni), mica espongo le idee degli altri. Ciao!
Boh, probabilmente con il senno di poi è stato fuorviante utilizzare il termine “cannibale”, perché sposta l’epicentro dei vostri ragionamenti sulla fondatezza o meno del termine stesso. Il punto nodale del ragionamento è un altro, ovvero che ci sono troppe persone in montagna e che occorre individuare un meccanismo fisiologico di scrematura per alleggerire la pressione antropica sull’ambiente montano. Bisogna convincersi di questo non per far piacere a Crovella, ma per il bene delle montagne. A titolo personale io vado a cercarmi i miei spazi in montagna e non ho problemi di affollamento. Invece mi spiace molto che alcune montagne (iil Cervino – a titolo di esempio) debbano sopportare un così pesante assalto umano. Io ho capito benissimo le vostre posizioni, ma non le condivido minimamente e continuo a essere convinto della fondatezza della mia analisi. Non è una questione di numero di commenti, per cui se sono numerosi i vostri commenti allora devo cambiare idea io. lr mie idee sono frutto di analisi molto ponderate e non cambiano mica in funzione dei pareri altrui. Ah poi l’autore di un intervento dice che si sente offeso. Ma da che cosa? Io esprimo delle opinioni oggettive, frutto di analisi, non di antipatie personali. Che c’è da offendersi? E come se, nella vita di tutti i giorni, uno si offendesse per quello che il tal giornalista ha scritto nel suo editoriale. Fatto salvo il rispetto delle norme di legge, c’è libertà di opinioni. Buona serata a tutti!
Crovella, francamente io continuo a trovare la sua definizione di “cannibale” totalmente pretestuosa. Mi viene difficile pensare che nonostante gli anni di Cai, Sucai, le sue esperienze non l’hanno portata a guardare negli occhi come ha evoluto negli anni – per altro neanche troppo recenti – il mondo dell’alpinismo. O altrimenti finge di ignorare la realtà’ in quanto non le piace.
La verita’ e’ che non e’ da ieri che le performance tecnica e atletica siano un aspetto integrante dell’alpinismo. Che un frequentatore ne faccia un punto nodale del suo interesse per la montagna non e’ solo normale, ma direi che e’ ampiamente diffuso e riguarda personalità’ che hanno passione e che non cambierebbero la loro attività’ per un altro sport per tutto l’oro del mondo.
Facciamo degli esempi? I giovani sciatori, ormai in grande numero, che vanno a cercarsi il canale ripido da scendere in sci, non lo fanno come lei sembra sostenere per un puro astratto status symbol, lo fanno perché’ ne traggono piacere e soddisfazione. Come tutti sanno, una delle grandi spinte motivazionali e’ il mettersi alla prova, al massimo delle proprie capacita’. Che siano le difficoltà tecniche, il dislivello, il tempo o altro poco importa. E lo stesso vale per gli arrampicatori, che scelgono le vie ANCHE sulla base del loro grado, e non necessariamente per motivi ‘consumistici’, ma anche e soprattutto come chiave di sfida personale. Sono aspetti talmente ovvi e noti a tutti che a me pare assurdo ignorarli.
Voglio sperare che questi approcci non vengono considerati come propri dei cannibali tout court. E allora come li si identifica ? Nella mia esperienza, nel mondo reale che va in montagna – in cui non c’e’ il solo CAI -una grande fetta dell’aumento dei frequentatori sono tipologie di questo tipo. Spesso e’ gente dotata di profonda conoscenza dell’ambiente e del rispetto che gli si deve.
Forse infastidisce che ‘usino’ la montagna come terreno di prova delle proprie capacita’?
Infine, e’ probabilmente vero che sulle destinazioni più’ blasonate ( il già’ citato Cervino eccetera ) la varietà’ dei frequentatori includa molti “una tantum” più’ o meno trascinati dalle guide. E Lei ora vuole perfino aumentargliene la quota!
Crovella e tu perchè non leggi con maggiore attenzione e senso critico chi argomenta il suo dissenso? Eppure di voci critiche se ne sono levate non poche.
Mi spiace per il termine che sono costretto ad usare, ma non ne trovo altri adatti.
A me, oltre a sentirmi personalmente offeso, l’ultima analisi/riassunto pare un delirio totale. Speriamo che non ci dia anche la misura del cranio che deve avere il vero alpinista.
Dovete leggere con maggior attenzione gli articoli sennò si crea solo confusione inutile e fuorviante.
Nella prima parte (30/9) ho fornito una descrizione molto precisa di quelli che io, per convenzione soggettiva, amo chiamare “cannibali”. Sono quelli che hanno una mentalità sportiva, ovvero che concepiscono l’andare in montagna come un qualsiasi sport, con tutto ciò che ne consegue. Possono essere professionisti o dilettanti, possono essere fortissimi o imbranstissimi. Possono essere educati o maleducati. Sono sllo dei sottogruppi dell’insieme dei cannibali. Possono essere interessati alla performance tecnica (7b, 8c) oppure possono essere interessati alla performance atletica (cercano di fare tanto dislivello in poco tempo) oppure a tutti e due. Possono fare gare, anche da amatori, oppure fanno sport per conto loro, ma sempre “sportivi” sono. Insomma approcciano l’andare in montagna come se, concettualmente, facessero una maratona o una partita di tennis. Sono abbagliati da status symbol ideologico-consumistici, per cui per loro conta “fare” il Cervino (citato a puro titolo di esempio, cercate di capirmi), per cui si ammassano sul Cervino (o sul Monte Bianco o sul Monte Rosa). In genere sono talmente abbagliati dalla mentalità sportiva che non si interessano a nessun altro risvolto dell’andar in montagna, anzi li respingono come roba da vecchi.
Visto che alcuni commenti (non capisco perché) insinuano che io sia vittima di invidia e frustrazioni verso i forti sportivi, chiarisco che ne sono del tutto immune. Parlo di queste cose da osservatore, con animo sereno. Come mia abitudine consolidata (acclarata per es da Gobetti fin dai tempi di ROC, 25-30 anni fa), sono un osservatore dei fenomeni socio-culturali. Anche per deformazione professionale, visto che mi occupo di analisi e previsioni economiche e dei relativi fenomeni collegati.
Insomma ho guardato per anni come si è evoluta la composizione dei frequentatori della montagna. Probabilmente un po’ di cannibali (cioè sportivi) esistevano anche 40-50 anni fa, ma erano ininfluenti perché percentualmente ridottissimi. Viceversa negli ultimi 20 anni circa, nel generale trend di aumento dei frequentatori della montagna, è fortemente aumentato il sottoinsieme degli “sportivi” (cannibali).
Poiché giudico insostenibile l’accesso antropico alle montagne (in assoluto), ritengo che si debbano creare dei meccanismi di scrematura. Preciso che il fenomeno assoluto sarebbe un problema oggettivo anche se fossero tutti dei cloni di Crovella. Troppi esseri umani=danno alle montagne. Un qualche modo per scremare bisogna identificarlo.
Dal mio punto di vista, giudico più opportuno che si disincentivino i cannibali-sportivi che, tanto, essendo interessati principalmente al risvolto “sportivo”, possono benissimo riciclarsi un altri sport, dal kite surf al base jumping, dalla maratona al triathlon, etc.
È una proposta operativa. Si può anche non intervenire e lasciate che le cose vadano per conto loro. Però si arriverà a un punto in cui i divieti oggettivi ed espliciti li mettera’ qualcuno che ricopre cariche ufficiali e quindi ha il potere giuridico per imporre tali restrizioni (vedi Monte Bianco francese). Prima che capiti questo a macchia d’olio, da vero appassionato delle montagne, io giudico più congruo che creiamo un meccanismo naturale di scrematura (semplicemente riportando la montagna al suo stato più severo e spartano: già questo disincentiva moltissimi “sportivi”).
Spero di esser stato esauriente: pero’ segnalo che tutto questo è gia’ compreso nell’articolo.
Accidenti mi avete fatto riscrivere l’articolo!!! Perché non leggete più attentamente il testo originaro?
Assodato che i “cannibali” siano coloro che hanno una mentalità sportiva credo che per quanto si possa fare a livello di Guide e di CAI ci si scontreà sempre e comunque con delle logiche che prescindono dalle Guide e dal CAI.
Ci sono almeno due aspetti che non vanno dimenticati, oltre a quello dell’aumento della popolazione che ha ovviamente un suo impatto in qualsiasi ambito:
1) l’aspetto commerciale;
2) l’aspetto emulatorio.
Sul primo credo ci sia poco da dire e quindi dobbiamo aspettarci un incremento delle strutture, delle attività e dei servizi connessi, a meno che il businness non si trasferisca altrove.
Per quanto concerne il secondo aspetto non è che molti alpinisti di punta abbiano dato un grande contributo. Pensiamo a un Christophe Profit quando nell’ormai lontanissimo 1986/87 (non ricordo bene) si sparò le tre invernali (Cervino, Grand Jorass e Eiger) in 42 ore filate, facendo largo uso dell’elicottero.
Per quale motivo un giovane, aldilà del lavoro che possono svolgere le Guide alpine e il CAI (fra l’altro Profit è una Guida alpina) non dovrebbe subire il fascino di simile imprese che sono smaccatamente sportive ed impattanti? Forse perchè qualcuno gli insegna la retta via?
Il miglior insegnante è colui che dà l’esempio ma se molti alpinisti di punta sono i primi a non darlo e poi magari si beccano pure la piolet d’or mi spiegate dove vogliamo andare?
E’ tutto il sistema che andrebbe rivisto, qualora lo si volesse rivedere, ma questo dovrebbe passare anche da un approccio alla montagna e all’ambiente in generale che bandisca nel modo più assoluto la competizione, anche quella tenuta nascosta sotto il tappeto.
Ci si può lavorare? Perbacco, certo che sì ma bisogna volerlo a tutti i livelli.
Crovella, la sua visione del cannibale da “tutti quelli diversi da me” dell’inizio della discussione si va via via piu’ definendo. Togliendo ancora i maleducati se ho capito bene restano solo gli sportivi. Puo’ fare degli esempi di mentalita’ sportiva? Quali sono le caratteristiche? E per favore non sia generico, magari finalmente la comprenderemo.
chi ha il compito, professionale (guide) o dilettantesco (istruttore CAI) , di insegnare agli altri, non lo deve fare solo con il fine della prevenzione degli incidenti.
Cioè limitarsi al solo aspetto tecnico.
Se vogliamo che la montagna venga frequentata con un maggiore rispetto, quindi più vissuta che solamente consumata, bisogna andare oltre gli aspetti tecnici.
Commento 63 (e altri che fanno riferimento all’educazione): con i ragionamenti esposti non c’entra niente l’educazione (scusi, per favore, buongiorno, prima lei….). E’ una questione di mentalità “sportiva”: ho conosciuto cannibali molto educati, ma sempre cannibali come mentalità. Dovendo scegliere come scremare l’accesso alle montagne, io credo che sia bene per le montagne e per i veri appassionati che il meccanismo porti a disincentivare chi ha la mentalità sportiva. Possiamo anche essere 10 mld in totale sul pianeta, ma contemporaneamente aver meno gente in montagna, se la montagna torna ad essere severa e spartana.
Commento 65: sono stato un efficientissimo organizzatore (e non solo in SUCAI) proprio perché non ho la mentalità da cannibale, ma da vero appassionato di montagna. Ancora di recente mi capita di incontrare delle persone che mi vengono espressamente a salutare dicendomi “a suo tempo sono stato un tuo allievo e ti ringrazio per avermi fatto capire cosa significa davvero la passione per la montagna, perché da allora tale passione non mi ha più abbandonato” (Nota: in realtà non è solo merito mio, ma dell’intero organico istruttori allora in azione. In alcuni anni io ho ricoperto ruoli dirigenziali e quindi costituivo la punta dell’icerbeg).
Per la mia personale esperienza pluriennale sia di istruttore CAI che di tecnico CNSAS, credo che il vero problema non sia se i corsi debbano essere fatti e gestiti dal CAI o dalle GA ma di fare in modo che il fai da te e l’improvvisazione di chi decide di andare in montagna si riduca, con conseguente calo di incidenti, ecc. ecc.Oggi più di ieri è auspicabile che i frequentatori della montagna si affidino a qualcuno che possa trasmettergli nel miglior modo possibile la passione, l’educazione, la conoscenza e quel minimo di sicurezza indispensabile per divertirsi e tornare a casa la sera.Per quanto riguarda la annosa e “patetica” diatriba tra GA e CAI e su questa ipotetica concorrenza che a mio parere non esiste ed è sentita solo in alcune zone delle alpi o dell’appenino, vorrei far presente che in moltissimi casi chi oggi fa il mestiere di GA ha iniziato il proprio percorso nelle scuole CAI come allievo e/o istruttore.Inoltre e concludo, se ipoteticamente le scuole CAI domattina chiudessero le GA non sarebbero in numero sufficiente per dare risposte a tutti coloro che oggi comunque frequentano la montagna, i corsi o che vogliono farsi accompagnare.
Scusi la domanda, ma lei dirigeva al SUCAI in stato di incoscenza?
caro Massimo Ginesi
al Procinto ho visto gente arrampicare sulle sue rocce come se fossero su dei pannelli di vetroresina.
Fregandosene altamente di tutta la storia che queste rocce hanno da raccontare. Con un modo di fare come se questo luogo fosse inanimato.
Il problema forse sono troppi umani ovunque. Quando Gervasutti andava in montagna la popolazione mondiale era un po’ meno di due miliardi. Oggi sono (anzi siamo, in verità). quasi otto. Se si fa un conto semplice semplice ad andare in montagna dovrebbero essere almeno il quadruplo delle persone. Poi ci sono altri fattori moltiplicativi, dal goretex alle scarpe comode alle seggiovie ai quad, che aumentano ulteriormente il numero. Non sono così sicuro che la percentuale di “cannibali” (termine che non mi piace molto ma vabbè) sia cambiata. Semplicemente si incontrano più persone che sui sentieri non salutano e si comportano un po’ come se fossero sotto i portici di via Roma perché siamo in di più.
Il problema sono troppi umani ovunque in montagna, si titta l’estensione dell’arco alpino, in particolare su alcune specifiche montagne. Il riferimento al Cervino è puramente esemplificativo e serve per controbattere a chi mi dice che esistono ancora valloni solitari. L’intero sistema “montuoso”, anzi tutto l’ambiente in generale (vedi articolo di ieri su spiagge della Sardegna) sta soffrendo per un eccesso di sovraffollamento antropico e alcune specifiche vette soffrono in modo particolare. Quanto ai divieti impliciti, basta rendere la montagna più spartana e gran parte dei cannibali se ne andranno. Qualcuno resisterà, come teme Massimo? Puo’ darsi, ma magari l’80-90% degli “sportivi” se ne sara’ andato. “Più montagna per pochi”. Guardate che se non ci inventiamo, in tempi abbastanza brevi, un meccanismo fisiologico di scrematura, arriveremo ad una situazione che farà scattare divieti espliciti e inattaccabili perché imposti da soggetti giuridicamente autorizzati a farlo (vedi Monte Bianco francese ecc).
Pregherei cortesemente l’estensore dell’articolo di modificare il titolo in “via i cannibali dal Cervino, 1 e 2”.
Altrimenti siamo qui a perdere tempo per nulla, dato che si insiste sul fatto che il problema dell’affollamento sembri essere solo quello, trascurando tutti gli input pervenuti da svariati commenti e che evidentemente Crovella ha ignorato in quanto non inerenti alla sua sfera di interesse e intervento.
E non le motoslitte in inverno a decine sulla neve, dove non potrebbero transitare; e non il CAI che benedice le ferrate nuove (richiamando un sacco di vecchi e nuovi adepti) alla faccia del bidecalogo; e non i merenderos che affollano le rive dei laghi con le loro musiche a manetta, e lasciando i ricordi che tanto passa il rifugista a pulire; e non gli elicotteri che trasportano guida e clienti sulle nevi patinate; e non le feste in rifugio con aperitivo che richiamano (quelli sì) un sacco di gente che della montagna non gliene può fottere meno; e non i megaconcerti in quota con migliaia di persone interessate al selfie con il cantante di turno; no, niente di tutto ciò.
Il problema sono gli sportivi. Sul Cervino.
Saluti e buone riflessioni.
Caro Carlo
ho letto con attenzione e, in linea teorica, condivido le tue riflessioni sulla troppa presenza.
Sono andato un pò oltre solo per dire che, alla fine, anche il “divieto non esplicito” rappresenta una categorizzazione che presuppone qualcuno che valuti e imponga, se non altro cosa si può spittare e cosa no, cosa si può tracciare con quel delirio di segni bianchi e rosssi e cosa deve essere escluso… e così via.
Dico solo, con molta pacatezza, che non credo che il sistema porti grande giovamento. Per quanto mi riguarda sradicherei le migliaia di cartelli caiani, proibirei le tonnellate di spit ovunque, anche a stravolgere vie e settori storici (sbarua e procinto, per dirne due a caso), bandirei le uscite domenicali delle scuole (di qualunque razza e colore) ma credi davvero che i cannibali dotati di gps, e di strumenti che ti portano ovunque, scomparirebbero?
la maleducazione, oggi, prescinde dalla capacità come hai rilevato anche tu e, alla fine qualche cannibale superdotato e più forte di te fra i piedi te lo troverai comunque.
Fra i divieti anche non espliciti e l’educazione ad una diversa frequentazione preferisco decisamente la seconda (Forse dalla scuola inferiore…), anche se non saprei da dove partire e – per quanto posso – mi batto anche io, almeno cercando di diffondere idee.
buona serata
Inteessantr l’idea di R. Bianco. Ci riflettero’ sopra. Interessanti anche le gite citate: ovvio che esistono ancora mille spazi solitari e selvaggi (per fortuna!). Ma il problema che ho posto io (fin dall’inizio) è un altro: in henerale, ma in particolare su certe montagne c’è un accesso antropico insostenibile. Ho citato l’esempio del Cervino o del Montr Rosa non perché io abbia in programma tali gite. Ma sono un problema in assoluto. Sul Cervino in certe giornate di punta ci saranno almeno 200 persone contemporaneamente. Troppe sia per la montagna in sé sia per chi ana veramente la montagna. Come effettuare ls scrematura? Questo è il tema di riflessione in un quadro oggettivo. Che poi io a titolo personale rinunci al Cervino (per non spupazzarmi l’affollamento) e vada a fare la traversata della Sengla (Valpelline), non cambia nulla in termini di analisi giornalistica del problema. Detto wuesto, ora mi metto a rifettere sull’idea di Roberto. Buonanotte a tutti!
Cark Massimo,
Ma nessuno vuole imporre divieti! Se scrivi questo non hai letto con atenzione. Ripeto che su certe montagne ormai c’è troppa gente e questo danneggia l’ambinte stesso (ho riportato che Messner stesso – gia’ diversi anni fa – che a fine stagione il Cervino “puzza”). Fra le tante soluzioni possibili per scremare l’accesso antropico alle montagne, io penso che la piu’ indicata ed efficacie sia far tornare severa, molto severa la montzgna stessa (esempi: meno impianti, meno strade, no cartelli, no indicazioni, no tacche per sentieri, no copertura cellulare- che significa no funzionamento delle app etc. etc.etc). In tal modo chi ha un approccio “sportivo” alla montagna (individui che io, per convenzione, chiamo “cannibali”) inevitabilmente si disincentiva da solo e si ricicla in un altro sport. In tal modo, senza nessun “divieto” esplicito, otterrenmo due piccioni con una fava: ci sarebbe meno pressione antropica sull’ambiente montano e inoltre quelli che sono disposti ad affrontare una montagna più severa non si troverebbero gli “sportivi” sulle montagne. Questa è una delle tante ipotesi operative, ve ne sono mille altre, dalle prenotazioni obbligatorie alle capacità tecnica individuale, alld patdnti sovietiche, etc. Io credo che sia sensato procedere come ho illustrato. Invece non fare nulla significa assistere impotenti al degrado delle montagne. Mi batto contro questo possibile trend. Spero anche tu! Buona serata!
Caro Carlo Crovella , non ti arrabbiare . Hai il merito di aver aperto una discussione interessante su di un argomento molto attuale e sentito. Mi pare che la maggioranza degli interventi sia a favore di una maggiore attenzione al rispetto dell’ambiente , alla conoscenza delle montagne, alla cultura alpinistica , ai comportamenti educati oltre alle già citate limitazione di impianti di risalita, strade in quota, rifugi alberghi , elicotteri facili ( qui bisognerebbe tirare le orecchie a Simone Moro con la sua serie televisiva sul Bianco ), manovre e tecnicismi vari, segnaletica eccessiva. Per concludere : cercare di salvare l’avventura !
Ora vorrei esprimere una mia discutibile e modesta idea . E’ una semplice opinione personale .Per favore non aggreditemi.
La parte di educazione , sensibilizzazione ed insegnamento ovviamente tocca alle scuole del Cai . Tutta la parte teorica di alpinismo o sci alpinismo condita da molte divagazioni sulla cultura della montagna. Ci vogliono bravi insegnanti appassionati che sappiano coinvolgere gli allievi. Non solo nodi e tecnica ,ma anche avvincenti storie di montagne e alpinisti. Cercare insomma di educare la mente e lo spirito .
E poi abolire formalmente le uscite pratiche . Abolire il rapporto istruttore -allievo. Supponiamo che dopo la lezione gli allievi stimolati dalla lezione si organizzino fra di loro per combinare in gruppetti separati x il fine settimana.Magari qualche ex- istruttore può trovarsi anche lui un compagno od offrirsi come accompagnatore ( per esempio : ” Io andrei a fare la tal gita .Qualcuno vuole venire con me ? “) per due o tre al massimo senza alcun impegno formale. Le lezioni teoriche termineranno con le previsioni meteo e le condizioni dei vari versanti per il fine settimana.Gli allievi si ritroverebbero insieme ad altri con gli stessi interessi , supportati teoricamente e tecnicamente. Starebbe solo a loro a darsi da fare per organizzarsi . Chi ha la vera passione lo farà . E chi invece voleva farsi portare in giro a basso costo cambierà direzione. Gli ex-istruttori potranno buttare vie le patacche ed oltre a tenere le lezioni teoriche potranno combinare gite tra di loro o con qualche allievo ( non formalmente come scuola ).
Forse potrebbe funzionare….
Vorrei infine suggerire agli interessati alcune gite di sci alpinismo fatte recentemente , dove non ho incontrato anima viva e l’avventura è garantita :
colle di Budden , traversata del mont Nery, pointe des Loises Noires dalla valle di Viù , la Téte du Fillon nella conca di By, Punta Francesetti dal vallone di Sea, traversata Niblé – Ambin, colle delle Locce dalla Valsesia.
Sono un amante della montagna anche se ci vado poco per problemi fisici, le mie ginocchia reclamano il divano la testa invece i panorami, i silenzi e la pace di un’escursione……non so come classificarmi, di sicuro non atleta, so solo che quanto me la sento e vado faccio del tutto per non lasciare traccia del mio passaggio e cerco di rubare il più che posso della pace che mi circonda! non frequento posti super gettonati perciò non avverto tutto questo caos che leggo nei vari blog ma se è così una soluzione bisogna trovarla, di sicuro non aiutano le super strutture con ristoranti e camere a 4-5 stelle in alta quota, capisco che danno lavoro ma attirano soltanto gente a cui della montagna frega relativamente poco, sarebbe bene tornare al modesto e caldo rifugio con le panche di legno dove rifocillarsi un po, scambiare due chiacchiere e niente altro, secondo me può funzionare, ci sarebbe una naturale cernita, ma cozzerebbe con le aspettative di chi in montagna ci vive e vorrebbe guadagnare, alla fine è sempre questione di vile denaro…
Caro Crovella
in maniera un pò semiseria potremmo dire che la tua riflessione è decisamente singolare: tu ti alzi una mattina e decidi di dividere il mondo in due categorie, da una parte gli eletti e dall’altra i cannibali, ti poni ovviamente fra i primi e cerchi un modo per impedire ai secondi di andare per monti e rovinarti lo spazio da eletto.
Singolare, non trovi?
Io emetto sentenze per professione, ma – giuste o sbagliate che siano – si fondano su norme che la collettività si è data e impegnata a rispettare.
Invece da nessuna parte sta scritto che gli eletti abbiano diritto ad essere tali e che i cannibali debbano scomparire (pur condividendo, egoisticamente, il tuo assunto di fondo che ci siano un sacco di maleducati nel mondo).
Allo stesso modo però dovresti interrogarti su come far secchi quelli che guidano guardando il telefono e rischiando di arrotare pedoni, ciclisti e far fuori altri utenti della strada, quelli che sorpassano a destra zigzagando, quelli che fumano, quelli che urlano, quelli che puzzano, quelli che ascoltano musica insopportabile, quelli che cacciano tigri ed elefanti per diletto, quelli che avvelenano le falde acquifere, quelli che sbriciolano le “mie” apuane, etc.
Il problema è che già negli ordinamenti giuridici il giusto e lo sbagliato sono una convenzione, figuriamoci in un terreno così scivoloso come l’affollamento dei ghiacciai.
Allora, forse, invece di affannarti a cercare di creare barriere e filtri, dovresti semplicemente prendere atto che il problema della sovrapopolazione e della maleducazione è connesso al mondo verticale ed orizzontale ed è irrisolvibile con metodi incruenti.
E visto il progressivo degrado socio culturale che i social e internet inducono è probabilmente destinato a peggiorare, e noi vecchi caproni saremo ancor meno in grado di tollerarlo.
Ma ci sarà sempre una parete dove salire una via “solo per vecchi caproni”.
Se può consolare un grande alpinista (nel senso di grande persona), salitore di ottomila, mi raccontava una quindicina di anni fa che, piuttosto che dormire nella bolgia del gonnella, dormiva fuori.
Mi è sembrato un’ottimo viatico, piuttosto che pensare a steccati e barriere.
si fa per discutere dialetticamente eh, poi ognuno la pensi un pò come creda, basta che non cerchi di impedirmi di andare dove voglio e quando voglio su per i monti in nome di un’etica imposta.
buona serata
MG
.
Il problema generale è che sono aumentati in valore assoluto i frequentatori della montagna, di tutte le categorie e genie. Il sottoproblema è che all’interno di tale trend generale, sono proporzionalmente molto aumentati quelli con l’approccio “sportivo” (andare in montagne=praticare un qualsiasi sport). Questi ultimi (che, come ho gia’ ripetuto infinite volte, sono sia fortissimi sia scalzacani) a me piace definirli, del tutto soggettivamente, “cannibali”. K cannibali quindi so o sia fortissimi che imbranatisdimi (e con ciò smonto le insinuazioni che rosico contro chi.mi supera). Ma il problema è l’aumento antropico in generale . Per quanto riguarda le “soluzioni” di tale problema, s titolo personale io me le sono trovate da anni: frequento vallate e montagne fuori dai giri. Ma, da “giornalista” ho affrontato il fenomeno oggettivo, non per le eventuali ripercussioni sulla mia persona. In assoluto io sostengo che sia opportuno scremare gli accessi alla montagna, alla montagna nel suo insieme (a prescindere se ci siano ancora vallate isolate). Per quanto riguarda la sviolinata, ho ritenuto opportuno rispondere in tal modo a chi mi “chiede”, specie con toni aggressivi (vedi soprattutto i commenti alla prima parte dell’articolo) con quale titolo prendo posizioni pubbliche. Lo faccio perché non vado in montagna da ieri ma da 50 anni e da circa 40 scrivo articoli r libri. Voi tutti potete esprimere le vostre opinioni, ma lo stesso vale anche per me. Fa molti vostri interventi emerge invece che siccome le mura idee sono “fastidiose” per buona
partedella platea, allora ho commesso un crimine anche solo a esprimerle. Se tutti abbiamo il diritto di parola, ce l’ho anche io. Ciao!sulla montagna mordi e fuggi, quindi più usata che vissuta mi trovi pienamente concorde con te.
sulla sviolinata che si è fatto Crovella penso anche io che se la poteva risparmiare.
sul fatto di evitarsi può essere un sistema ma non la soluzione che invece dovrebbe andare verso una crescita culturale del rispetto dell’ambiente in cui ci si muove. E qui le scuole cai dovrebbero metterci del suo.
@albertobenassi concordo con te, ho solo un pò estremizzato e schematizzato per inquadrare il concetto astratto poi il mondo dell’arrampicata, come qualunque altro, non è mai bianco o nero.
Resta il fatto che la mia esperienza assai lunga nell’ambiente cai, specie negli ultimi anni, mi ha lasciato un ricordo mi mordi e fuggi (o di usa e getta, se preferisci) che mi ha veramente disamorato.
Oggi vado per monti da solo o unicamente con quelle poche persone con cui sto bene, altrimenti sto a casa a leggere (per dire quanto io ami cannibali e non).
Invece, se Crovella voleva mantenere un minimo di credibilità alla discussione aperta, poteva evitarsi l’ultima sortita che getta definitivamente nel cesso ogni confronto: “scrivo libri da trentanni e di me ha detto bene gobetti”.
e allora?
io ho un sacco di patacche caiane nei cassetti, ho scritto un sacco di cose (non di montagna ma spero vadano bene lo stesso) e una volta – ad una raduno dei delegati caiani a bergamo – mi hanno sorriso Fosco Maraini e Spiro dalla porta Xidias e un’altra Kurt Diemberger mi ha dato una pacca sulla spalla mentre FAusto de Stefani (persona straordinaria) sorrideva.
Le mie idee valgono di più? e dai…
il problema vero è che la disputa fra ganzi e cannibali nasce storta in partenza e sa di stantio e caiano retorico, perchè non esiste un metro per musrare il cannibalismo nè un giudice che possa discernere l’appartentenza ai due generi.
Ergo, l’unica è evitarsi.
I divieti e le classificazioni hanno sempre fatto male, specie sui monti.
se so che sulla pania è diventato di moda andare a vedere l’alba e mi trovo fra quaranta persone bercianti che rompono le palle russano, ruttano, al mattino iniziano a rufolare e a prepararsi il the tre ore prima , andrò sul sumbra o sul cavallo, dove di dormienti ne capita uno al millennio.
Discussione che nasce sbagliata, in quanto tagliata sulle spigolosita’ del punto di vista di Crovella. Proviamo a riportare un po’ di razionalità’, e stemperare il delirio collettivo.
Fatto indiscutibile e’ (1) che i frequentatori della montagna sono aumentati, aumentano e presumibilmente aumenteranno. Che questo fatto sia un ‘problema’ per gli appassionati, in quanto l’affollamento impedisce l’esperienza di solitudine e di contemplazione, e causa di converso un impatto concreto all’ambiente, e’ indubbio. Come puo’ pure starci che l’aumentare dei frequentatori porti infrastrutture e cambiamenti che, al fine di facilitare la vita di taluni, tendono a diminuire l’esperienza di avventura per altri.
Tutt’altra cosa e’ la “qualità’” (2) dei frequentatori della montagna. Qui siamo in un campo totalmente soggettivo, in cui le inclinazioni culturali, sociali e soprattutto caratteriali delle persone hanno un ruolo preminente. Mi pare che Crovella attribuisca l’aumento dei frequentatori totalmente ai cannibali. Non e’ chiaro se sarebbe più’ contento di ritrovarsi nelle sue gite attorniato da decine di tipi-Crovella.
Per il problema 1) alcuni lucidi commentatori hanno indicato la via: basta stare lontani dalle destinazioni più’ di moda, e voila’ la solitudine e l’avventura e’ spesso ampiamente garantita.
Per il problema 2) e’ più’ difficile perché’ anzitutto bisogna entrare nell’ottica di Crovella.
Si potrebbe tentare uno sforzo di comprendere le fobie che ci sono dietro ( comuni a tanti come si legge ), e cercare di guardare cosa c’e’ dietro i cannibali. Senza tentare di psicanalizzare nessuno, sicuramente chi e’ percepito “più forte” ma senza il suo imprimatur ha una grande probabilità di diventare cannibale. Per esempio chi ci supera in salita, o fa il 7c, o scia i 55 gradi. Tra essi non sara’ difficile trovare -che scambiano il Monviso col Cervino -che a vista non fanno il 6a -che usano la peggio tecnologia per affrontare la montagna -e che, inesorabilmente, avranno prima o poi un incidente. La realtà’ e’ ovviamente ben diversa. E piaccia o no, l’approccio all’alpinismo dell’attualita’ e’ diverso da quello con cui Crovella ha trascorso la sua vita. Ci si allena decisamente di più’ ( lo dicono anche le guide, i clienti arrivano abbastanza in forma ), ci sono le palestre, c’e’ più’ circolazione e veicolazione delle informazioni ( relazioni delle vie, tracciati di scialpinismo, condizioni neve, meteo ). Ripeto, piaccia o no, il mondo ora fa così’. Gli alpinisti di punta di adesso sono persone cosi, sono cannibali. A Crovella piace pensare di essere più’ bravo, di sapere meglio affrontare con le sue conoscenze le insidie della montagna, beh lo pensi pure ma si deve rendere conto che dire che gli altri dovrebbero restare a casa a giocare a bocce ne fa solo una macchietta un po’ insopportabile.
Non commento sulla proposta che riguarda CAI e guide, per me irrilevante, probabilmente e’ il solo mondo che conoscete.
Infine, sui maleducati c’e’ poco da dire. Sono trasversali a tutte le categorie, c’e’ in abbondanza tra le guide e negli altri ambiti, bocce comprese. Vanno affrontati con intransigenza ma allo stesso tempo con savoir vivre
Caro Crovella,
La ringrazio del bellissimo articolo. Concordo in pieno.
Alessio Ciardi
è evidente che non tutti diventeranno degli appassionati e si perderenno, ma molto dipende da come gli istruttori impostano il corso, da cosa trasmettono agli allievi. Se ci si limita ai soli aspetti tecnici è chiaro che si trasmette poco e non si crea una possibilità di crescita culturale.
quanto agli ego distorti non ce ne sono solo tra gli istruttori…anche “certe” guide non scherzano.
Bhe, uno che ha avuto le lodi di Gobetti non può dire scemenze. Ovvio.
Quindi la si chiuda qui. Come sia possibile che a qualcuno sia venuto in mente di poter esprimere un pensiero diverso da quello di uno che ha persino pubblicato libri di montagna è inspiegabile.
il tema è interessante, ammiro la voglia di Crovella di attirarsi inutili strali, il termine cannibali mi ricorda mio padre che lo usava già quarantanni fa indirizzato a quelli che si arrabbattavano su per i monti rompendo le palle nei modi più disparati, in apuane su usa anche il termine mambrucchi…
ma, alla fine, non condivido nè il tono nè le soluzioni dei due articoli.
ho fatto l’istruttore caiano per vent’anni e poi mi sono rotto le palle di scarrozzare gente in giro, perchè non ho mai amato le carovane variopinete ed i corsi erano sempre di più solo quello, gente che voleva essere tirata su per qualche via.
sulla polemica scuole cai /guide, la mia visione personale è chiudete le prime (luogo spesso di sviluppo inutile di ego distorti) e fate fare alle seconde, che sono professionisti (lo stesso dicasi per il soccorso) e nel 98,5 % dei casi – a mio avviso – amano profondamente il territorio in cui operano e quindi già pongono in essere tutto quanto è opportuno per educare ed avviare il cliente (ho conosciuto assai pochi commerciali puri in quell’ambiente).
quanto al sovraffollamento atropofago, aimè, temo non vi sia altra soluzione che cambiare strada ripetto a certe mete; anche in gruppi piccoli come le apuane, volendo, si passano giorni interi senza incontrare nessuno. certo che se uno vuole certe vie o certe cime la domenica, gli tocca la coda; ma è un problema che non ha rimedio se non nelle scelte individuali, l’uomo è l’animale peggiore del pianeta, sempre più refrattario alle regole e sempre più cialtrone… telefonico.
una giornata nel traffico di una qualunque città italiana o in coda in qualche ufficio pubblico vi convincerà che le montagne (e l’ambiente in genere) sono solo destinate a peggiorare, aldilà di qualunque proclama.
l’unica via è quella degli stambecchi :o)
Leggo con tristezza che un ragazzo di 24 anni è morto a 1800 metri mentre correva per allenarsi sulla bella mulattiera panoramica che va al rifugio Curò, rotolando per 100 metri sul ripido pendio erboso sottostante.
Leggo anche, ma con stupore, che sono intervenute 40 persone fra Soccorso alpino e speleologico, Carabinieri, Vigili del fuoco, Protezione civile, i cani molecolari e 3 elicotteri della Regione Lombardia e dei Vigili del fuoco.
Non capisco se sia accanimento, o voglia di giustificare la propria esistenza come singola organizzazione, o solo la nostra solita disorganizzazione ben calcolata per coltivare i soliti e numerosi interessi di parte.
La ritengo una assurda e costosissima ridondanza che non riesco a giustificare e che rovina la “mente” delle persone curiose della montagna.
Caro Panzeri, ti ringrazio dell’accostamento con Rebuffat che è stato sicuramente uno dei miei modelli. Quanto al fondamentalismo posso concordare fino a un certo punto. Non mi offendo, ma si può passare per esserlo quando si hanno idee chiare su quello di cui si tratta. Cosa che spesso sa di rigidità, ma nessuno è perfetto.
Con Crovella concordo al 99% e ammiro la sua profondità d’analisi.
Non entro nel merito delle proposte di Marco le quali, peraltro, possono anche avere un senso. Entro piuttosto nel merito di ciò che si vuole fare in montagna.
Molto spesso si sovrappongono termini che individuano persone e modalità molto diverse fra loro.
Andare in montagna è una cosa, fare dell’alpinismo un’altra. Siccome secondo i consueti parametri non posso definirmi un alpinista, ancorché in vita mia abbia anche percorso delle vie alpinistiche, posso dire che dove vado io di gente ne incontro solitamente poca. A volte non è solo questione di itinerari ma anche di giornate e di stagioni (chiaro che se uno può solo il fine settimana..).
Se uno cerca l’avventura non è necessario fare chissà cosa, almeno per una persona normale (ovvio che il mostro sacro avrà dei parametri diversi).
Capisco che stia sui coglioni vedere certe cime ridotte a un immondenzaio, che stia sui coglioni fare la fila e rischiare la buccia per colpa di qualche incompetente però, anche con tutta la buona volontà, è risaputo che vi sono luoghi i quali saranno sempre più affollati di altri.
Quindi, aldilà delle ragioni e dei torti, sta’ poi anche a noi utilizzare il buon senso. Se vogliamo andare in luoghi poco frequentati le possibilità le abbiamo, sia a livello escursionistico sia a livello alpinistico, basta che non ce ne freghi nulla di annoverare nel nostro curriculum il Cervino, il Monte Biano, l’Everest, ecc..
Carino l’aneddoto di Gabarrou sugli alpinisti infelici (commento 35), però, se era un modo per insinuare che io sono infelice, l’obiettivo è completamente mancato. Io sono felicissimo della vita che conduco, del lavoro che svolgo, dei rapporti in famiglia e anche del tipo di montagna che pratico e/o che ho praticato in altre stagioni della vita. Però di mestiere sono un “polemista”, perché, in quanto commentatore e analista economico, devo andare a scovare il pelo nell’uovo di ciò che non va. Svolgo questo lavoro da 35 anni abbondanti e nessuno saprà mai se è la deformazione professionale ad aver corroborato la mia vis polemica oppure se faccio quel lavoro proprio perché ho una vis polemica innata. Probabilmente entrambe le cose (cane che si morde la coda). Certo è che, da decenni, osservo i fenomeni e li descrivo sminuzzandoli e questo spesso mi fa pestare i piedi a molte persone. Ma ovviamente dopo 40 anni ininterrotti di scritti di montagna (ho iniziato nei primi anni ’80) mi sono fatto anche una certa pelle da rinoceronte e non patisco più niente. D’altra parte Andrea Gobetti (ben noto ai lettori di questo blog e per molti anni redattore di ROC, l’annuario di arrampicata della Rivista della Montagna) ha scritto nella prefazione di un mio libro: “Nel manipolo dei ROC autori (che dovevano saper scrivere, ma anche cavarsela in montagna) Carlo Crovella si dimostrò uno spiritoso e attento testimone del mutar dei tempi“. Se ad uno come Gobetti, che non è certo di manica larga per quanto riguarda lo scriver di montagna, avevo dato questa idea già decenni fa, significa che non rigurgito scemenze a vanvera, come insinuato da qualche commento (specie nella prima parte dell’articolo). I temi che pongo sul tavolo sono sempre di attualità e costringono i lettori a profonde riflessioni: forse è questo che disturba nella attuale società superficiale. Sono riconoscente ad Alessandro Gogna per lo spazio che mi offre, ma occorre anche chiarire che se Alessandro non trovasse congrui i mie scritti, non li pubblicherebbe. Il dibattito che è scaturito nei giorni scorsi conferma la vivacità di questo blog, ma anche che è di evidente attualità il tema del sovraffollamento in montagna e di come si potrebbe fare per ridurlo o almeno attenuarlo. Io ho avanzato le mie personali proposte. Ringrazio tutti per i contributi. Cordiali saluti. Buona giornata. CC
Siamo sicuri che la generazione di Comici & co. non vedesse come “cannibali” la generazione di nuovi alpinisti?
O più semplicemente, non è che ogni generazione vede come “cannibale” la nuove generazioni?
Anche loro, i Comici, videro un aumento massiccio dei praticanti che sicuramente non furono tutti coscienziosi ed alcuni, sicuramente, avevano un approccio “sportivo” (vedi le gare tra nazioni x salire questa o quella montagna)…
Ps. io sono dell’idea che se si vuole diminuire il numero di persone su una montagna basta aumentare il dislivello e la lunghezza della strada per raggiungerle….nel massiccio dell’ Adamello ci sono vie stupende ma hanno il piccolo probema delle 4 ore di avvicinamento…li la massa non la trovi sicuramente!
Cominetti, ogni tanto mi sembri respirare la vita semplice e il suo senso romantico, mi ricordi nei ragionamenti persino Gastone, il Re buffo.
Ma ogni tanto! 🙂
Talvolta, più spesso, mi sembri un “fondamentalista” 🙂
adesso i guanti sono vivamente consigliati anche per fare sicura al compagno…altrimenti se ti vola rischi di farti la “bua”…alle manine…
voi vedè che i DPI del D.Lgs 81 diventeranno obbligatori anche in arrampicata…?!?!
Un diffuso inasprimento tecnico non è assolutamente indice di aumento della sicurezza ma semmai del contrario. Infatti in montagna si vedono sempre più insicuri ,che persone effettivamente consapevoli di quello che stanno facendo. E se ci penso, anche nella vita di tutti i giorni. Decisi di smettere di fare l’istruttore ai corsi per diventare guida quando, apparsa sul mercato la dasy chain, venne tecnicamente adottata anche dalle “moderne” guide alpine. Restai e resto antico (ma assolutamente efficace e romantico) e propongo sanzioni per le guide che usano i guanti sulle vie ferrate….
La domanda che tutti noi ci dovremo fare è cosa andiamo a cercare in montagna?
Sport?
Avventura?
Protagonismo?
Passa tempo?
In base alla risposta che daremo ci sarà un comportamento diverso che condizionerà noi, gli altri e l’ambiente che ci circonda.
Per me andare in montagna praticando l’alpinismo è soprattutto AVVENTURA, per questo la dimensione avventurosa dell’ambiente e dell’attività bisognerebbe cercare di preservarla il più possibile.
Tanti bei ragionamenti, a volte condivisibili, a volte no, su un problema reale. Temo però che però alla fine il discorso non giunga ad un dunque. Chiudere le Scuole CAI e demandare alle guide certe attività otterrà al massimo una selezione per censo col rischio di favorire proprio il cannibalismo.
Credo che l’unico modo per riportare la montagna in un ambito vivibile sia smantellare tutte le strutture che ne facilitano l’accesso. Meno rifugi, meno corde fisse, meno strade. La montagna deve riacquisire la dimensione avventurosa con le difficoltà tecniche, atletiche e ambientali che da sempre la contraddisguono.
Per Dino M: credo che ci siz un equivoco perché la definizione ords snimsldsca e riferita all’indistinto insieme dei cannibali, non alle Scuole. Altro discorso è la mia convinzione che le Scuole debbano cambiare finalita’ e soprattutto dimensioni rispetto all modalità tradizionali. Cordiali saluti.
Condivido in pieno. Purtroppo l’esigenza stessa di porre dei limiti, è figlia dei comportamenti dei due tipi di cannibali che sempre di più troviamo in montagna.
Visto che è stato citato Gabarrou mi torna a mente una conversazione fra lui e una signora (cannibale? Merendera?) che era semplicemente salita al Remondino.
La signora si diceva felice ma un po’ invidiosa di chi vedeva scalare sulla parete della Cima di Nasta. Gabarrou rispose di non esserlo perché gli alpinisti, mai soddisfatti nella loro continua ricerca, non sarebbero mai stati felici quanto lei nel frequentare i monti.
Ecco mi sembra di leggere sempre più articoli di infelici…
Io credo che definire “orda animalesca senza controllo ” le scuole CAI sia arrogante ed offensivo e soprattutto ingiusto. Invito l’autore a scusarsi.
Dino Marini
Condivido in pieno il pensiero di Roberto Bianco. Solo una precisazione, anche io sono convinto che i giovani incontrati non fossero cannibali. Tant’è che ho provato tenerezza nei loro confronti, rivedendo me stesso oltre 30 anni fa.
Caro Roby Bianco, innanzi tutto sono onorato di un tuo commento, è un piacere dialogare con “veri” alpinisti, dopo essermi dovuto confrontare con altre valutazioni sprezzanti e sconclusionate (vedi soprattutto i commenti al post di ieri). Per quanto riguarda la tua (fondata) osservazioni sulla SUCAI, la risposta è già fra le righe del testo di ieri. Allora (anni 70-80) il contesto generale era diverso: c’era molta meno gente in generale. Tuttavia concordo, col senno di poi, che gruppi di quel tipo fossero già allora un fattore “inquinante”, anche se costituiti (quasi per la totalita’) da veri alpinisti e non da cannibali. Ma certo era gia’ allora un Club Med, almeno in parte. La SUCAI come altre scuole di grandi dimensioni, tipo la Righini di Milano, ecc., per cui le mie valutazioni sono avanzate in assoluto e non con riferimento alla SUCAI. Inoltre sul piano personale, allora avevo fra i 20 e i 30 anni e probabilmente ero un po’ più sensibile alla socializzazione, chiamiamola così. Oggi come oggi, sara’ che sono invecchiato (cmq ho “solo” 58 anni, non sono decrepito), io sono più interessato alle esigenze individuali dell’andare in montagna e il contesto attuale, di grande affollamento, rende le cose ancor più pesanti per chi la pensa come me. In ogni caso ieri ho argomentato che i gruppi (che siano Scuole o Gite Sociali o comitive di varia natura) oggi devono avere numeri decisamente più ridotti. La SUCAI dei tempi storici (oltre 200 persone) sarebbe un fattore ultra-inquinante, sotto ogni punto di vista. Ma le mie considerazioni non devono essere interpretate come una polemica nei confronti delle Scuole e della SUCAI in particolare, ci mancherebbe. Oggi ci confrontiamo con un contesto generale che non ha nulla in comune con quello passato. Pertanto anche la natura e le dimensioni delle Scuold dovrebbero essere strutturalmente diversi. Buona serata!
Una domanda mi viene spontanea , caro Crovella : come hai potuto per tanti anni praticare sci alpinismo nel fine settimana con gruppi di 150 – 200 persone ? Per uno che ama “veramente”la montagna con i suoi silenzi , l’avventura e la neve vergine , non ti sembra una contraddizione di termini ? Ti prego di non risentirti in alcun modo poiché condivido molte delle tue considerazioni. Avendo qualche amico tra gli istruttori SUCAI, spesso mi informavo sulla gita in programma per evitare accuratamente la zona . Non é bello occupare e tritare un intero versante. E purtroppo la SUCAI non era l’unica scuola….
Trovo giusta e coraggiosa la tua analisi del fenomeno e conseguente presa di posizione. Se non erro P.Gabarrou diceva :”Quelque fois il faut s’emmerder”. Azzeccato il parallelo rievocato da Foresti sul fumo nei cinema e le considerazioni di F.Bertoncelli sul conformismo del gregge che teme solitudine e silenzio ( a mio parere insicurezza e paura favoriscono il raggruppamento ).
Non sono però d’accordo sul ruolo che proponi alle Guide .I costi sarebbero discriminatori e ne uscirebbero persone con mentalità da cliente o eterno secondo. Le Guide sono professionisti che accompagnano in montagna con buon margine di sicurezza chi non se la sente di andarci da solo. Niente di male, anzi ! Piuttosto la Guida può essere molto utile come vigile protettore delle proprie vallate e come educatore al rispetto dell’ambiente. Direi che la maggioranza di loro fa egregiamente questo lavoro.
Meno strade in quota, meno impianti di risalita, rifugi spartani, meno tecnicismi e manovre, più cultura della montagna. Elicottero di soccorso a pagamento, con sanzione se recidivi, qualora sia accertata l’inadeguatezza della richiesta d’intervento, dell’equipaggiamento, della preparazione . Tutto bene . Mi pare sensato e proponibile , ma ho paura che non basti.
La montagna è di tutti ed è il regno della libertà e tale deve restare. Meglio qualche giovane cannibale in più sulle montagne che le stragi post-discoteca del sabato. Per inciso , non considero assolutamente cannibali i giovani cui si riferisce G.Penotti. Tutti noi siamo passati attraverso quelle esperienze , che ci hanno migliorato e fatto crescere. E poi diciamoci la verità , con un po’ di sforzo di fantasia possiamo ancora trovare gite dove vivere in pieno l’avventura.
Bellissimo articolo, ha ragione da vendere.
Ormai tutti sono convinti che sia giusto fare tutto, invece io penso come lui, che la montagna va rispettata, che occorre elevare lo spirito, prima che il corpo, per raggiungere le vette e apprezzarle per quello che sono, non per una mera sfida verso se stessi o verso qualcuno che c’è stato prima di noi.
Il mondo è di tutti e chi decide chi è cannibale e chi no? Anche chi corre al parco è infastidito dai cannibali, forse invece di guardare questi maleducati valutando chi cadrà magari invece di sfogare la rabbia con un post si potrebbe cercare di insegnare questi valori a chi non li ha, tolleranza, sempre.
Condivido pienamente e mi complimento,non tanto per la lucida ed efficace analisi, ma per la voglia di esporre pensieri e filosofia scomoda e certamente impopolare. Chi sa comprendere comprenda. Chi vuol comprendere comprenda. Gli altri si offendano pure. Questi concetti li potremmo applicare a innumerevoli altri contesti pieni di “cannibali” e che necessiterebbero delle stesse riflessioni e auspicabili rimedi.
Forse educare è la soluzione, più montagna per pochi è proibizionismo che ha sapore di censura. Censurare la libertà invece di educare alla libertà.
L’ho già scritto qui altre volte. Per favore, se parlate delle guide alpine, fatelo con cognizione, perché i commenti che ci riguardano sono per lo più soltanto offensivi e infondati. Se non sapete cosa fanno e come, le guide alpine, evitate di esprimere giudizi ignoranti. Grazie.
I due post partono da un principio di base assolutamente corretto e svolgono un’analisi in larga parte condivisibile.
Le soluzioni invece sono a mio vedere piuttosto irrealistiche.
Chi decide chi si merita di andare in montagna? Le guide come regolatori degli accessi?
Limitare gli interventi o i mezzi di soccorso è qualcosa di insostenibile dal punto di vista legale.
Forse si potrebbero limitare le “comodità”. Ma i primi ad opporsi sarebbero proprio i piccoli operatori economici della montagna.
L’unica strada che mi sembra praticabile è quella più lunga, difficile e incerta: la progressiva educazione di chi va in montagna. È insomma un’operazione culturale.
PS. complimenti per l’interessantissimo blog.
Barbari piuttosto che cannibali, di cui una buona fetta anche ubriaconi, con tutto quello che ne consegue. Le loro attrezzature di punta sono lo smortfon in una mano e la bottiglia di birra nell’altra, come giù in città perchè la montagna è la continuazione della pianura.
Mi spiace leggere dei commenti in cui veniamo paragonati a dei mercenari della montagna. La guida quando accompagna / insegna cerca di farlo rispettando prima di tutto la montagna e l’ambiente, osservando il meteo e consigliando l’itinerario giusto in funzione delle capacità del cliente. Non lo si fa solo per soldi, non ho mai visto colleghi arricchirsi, ho visto piuttosto guide che fanno di tutto per aiutare i loro clienti a realizzare i propri obiettivi senza mancare di rispetto alla montagna.
Divertirsi?
Anche schiodare può essere un divertimento, cioè è divertente vedere quelli che si fermano o si perdono se i chiodi non ci sono o non sono vicini e chiedere loro perché scalano.
Le risposte che si ricevono sono le più varie e spesso inimmaginabili per chi scala per passione.
Sì, penso che schiodare (togliere spit) sia la “cura” migliore per la anchilosata cultura dello scalare in montagna…. magari si può lasciare qualche spit messo alle soste balorde….. 🙂 in falesia va benissimo se ci sono…. qui la sicurezza è un dogma !
Per le ferrate solo un poco di distruzione, qualche pezzo, non tutto, così si può tornare indietro.
Ma anche cancellare i troppi bolli sui sentieri e pure togliere i cartelli.
Bomboletta verdina e chiave inglese: il futuro !!!!!!!!!!
perfettamente condivisibile questo che ha scritto al commemto n. 17 Riky Felderer.
I luoghi colonnizzati che possono garantire il divertimento in sicurezza non mancano. Ce ne sno d’avanzo. Quindi lasciamo vivi d0’avventura gli ormai rari luoghi non ancora cannabilizzati.
Invece i cannibali pretendono di colonizzare anche questi…perchè è come i ragazzi con un giocattolo…dopo un pò gli viene a noia e per continuare a divertirsi lo devono smontare con il risultato che lo distruggono.
“Quello di divertirsi in montagna ci è rimasto come un chiodo fisso, ancor oggi, se m’incontro con un mio vecchio compare parlando d’arrampicatori, alpinisti, ci è chiaro che non facciamo un problema morale se sia meglio questo modo di fare o quell’altro, ma veniamo al sodo. Si divertono? Sì. Che bravi. No. Son degli stronzi. L’allegria è uno stato di leggerezza e più sei libero, più lei si lascia tentare” (Andrea Gobetti).
Comunque…delle volte…basta andare di lunedì…
la mia personalissima soluzione è quella dell’istituzione di una zona fisico/culturale chiamata “terreno d’avventura”, che tale deve essere, incluse le fastidiose conseguenze, tipo che puoi morire e nessuno è obbligato a venirti a salvare. Vorrei tanto mantenere la mia “libertà” di osare, e credo che questo faccia parte integrante della cultura dell’inutile (è una provocazione, ma ci sta) andare in montagna. E vorrei farlo senza gravare sulla società. Questa zona va distinta dagli ambiti “utili” (e potremmo aprire un lungo dibattito, ma non qui) cioè quelli degli ambiti della civiltà e del lavoro in cui dobbiamo vivere. Ho detto “dobbiamo”, verbo che non vale per il Cervino o la falesia di Scarenna! L’andare per monti… deve essere a tuo rischio e pericolo. E di pari passo andrebbe formato il concetto di “responsabilità verso sé stessi e assunzione del rischio implicito”. Ovvero, io non ti nego di andare con le infradito sul Bianco. Perché dovrei? per sentirmi più intelligente? Solo che se stai male, sto affari tuoi. Sei maggiorenne e vaccinato, hai una cosa chiamata cervello che non serve solo a tenere separati i padiglioni auricolari! Concludendo, una causa di tutto ciò (di cui stiamo parlando) è stata anche l’abuso fatto in tempi recenti e oggi ancora dell’andare in montagna “in sicurezza”, che fa il pari con “gioca responsabilmente” e “bevi con moderazione”…
La normale al Cervino richiede già oggi la prenotazione in Capanna, vedi articolo di agosto su questo blog. Non parliamo di quella del Bianco (dal Gouter).
Appunto: troppa gente. Con un affollamento del genere il “sogno” si sgretola.
E’ interesse di tutti che ci sia meno gente in montagna.
La domanda è: come procedere?
Io avanzo una proposta operativa: far tornare le montagne meno “sportive”, meno comode, con meno servizi, con meno assistenza, con meno sicurezza… in modo tale che gli “sportivi” (che io chiamo confidenzialmente “cannibali”) siano disincentivati e si rivolgano a qualche altro sport.
Altrimenti il fenomeno si aggraverà sempre più.
Il tema che più mi sta a cuore è quello dell’affollamento, più che quello della competizione cai-guide. E un punto nodale della questione è l’aspetto social. Ovvero il tornare in ufficio il lunedì dopo aver postato la foto di vetta del Cervino mentre sono in coda in tangenziale. In un mondo fatto a slogan e frasi di al massimo 8 parole, il cervino parla da solo. Per spiegare il Bandolero ci vuole troppo tempo… Quindi, inevitabilmente, le montagne più iconiche attirano di più, e certi itinerari, vie, sentieri vedono un affollamento impressionante, mentre altri molto meno. Tornare in ufficio e dire “ho fatto la breitloibgrat al Fletschorn” pur essendo fantastica, non ha lo stesso appeal… La guida (o il Cai) lo sa, e fa fatica a uscire dal seminato. Soprattutto, perdonatemi la banalità, i clienti sono spesso in gran forma, i materiali ormai ottimi, quindi potenzialmente quasi chiunque può, da secondo, fare “imprese” importanti. Saltando la noiosa trafila di apprendimento dell’andare in montagna e vivere la montagna. Ovviamente da primo non troverebbe neanche il parcheggio, ma chi se ne frega. Pagato auto, pagato ristorante, pagato albergo, pagato guida… Tutto perfetto! Come se ne esce? Per adesso non se ne esce! Abbiamo (noi “vecchi”) creato un mostro, perché regalando e facendo vedere i nostri sogni (in maniera innocente inizialmente, poi in ottica professionale, ma non c’è niente di male, intendiamoci), abbiamo creato il desiderio. Che è diventato più grande di quello che potevamo pensare! Tutti vogliono essere Alex Honnold, e ci sono i mezzi pratici e di informazione per esserlo. Ma mancano gli aspetti culturali. E per questi non c’è speranza. Quantomeno a breve termine. Adesso come facciamo a dire “sul capitain siete in troppi”? O sul Bianco? O in val di Mello? Andate al Moregallo. E come facciamo a dire “la qualità della gita non si misura coi servizi ad essa legati”, quando tutti sono li a inventarsi l’auchan della montagna, e riuscendoci? Abbiamo, hanno, poco conta. Si è molto addomesticata la montagna per renderla simile alla città. La gente di città ci si trova bene. “I servizi sono ottimi e professionali”. Forse però sono troppi. Adesso che già siamo in coda fra di noi, dovremmo riflettere se è opportuno far venire altra gente. Perché poi rischiamo di dover prenotare un posto per andare a fare Luna Nascente e la normale al Cervino. E già ci siamo troppo vicini, se non oltre!
La mia (personale) definizione di cannibale si trova nella prima parte, pubblicata ieri.
Secondo la mia definizione, cannibale è chi ha un approccio “sportivo”, cioè vede l’andare in montagna come un qualsiasi altro sport, con tutto ciò che ne consegue.
Di conseguenza ci sono cannibali fortissimi (che fanno l’8c oppure che corrono per 3000 m di dislivello) e cannibali di medio-basso livello tecnico-atletico.
Sempre cannibali sono, perché non è la performance che definisce il cannibale, ma la sua forma mentis.
Dovendo scremare l’accesso alla montagna (in quanto ora ci sono troppe persone), molto meglio che vengano disincentivati i cannibali piuttosto che i “veri” appassionati di montagne.
Non ho ancora compreso bene chi sono questi “cannibali”. Quello che scala sull 8a, quello che macina mille metri di dislivello all’ora con le pelli? O il ravanatore che sbuffa sul 5c appena uscito da una scuola CAI o il ragazzo che stufo delle solite discese in fresca a bordo pista si avvicina allo sci alpinismo?
O forse il “cannibale” di Crovella è quello che cerca di migliorare il proprio grado o la sua preparazione fisica? Ma dai su….. possibile che non si comprenda l’enorme contraddizione?
Non so. Un Cala Cimienti che macina dislivelli impressionanti sulle montagne del mondo, che sui pendii a 55° scende quasi fischiettando e dopo aver sceso il GVII bivacca all’aperto a 6000 metri due notti per salvare la vita al suo compagno è un cannibale?
Probabilmente è il termine “cannibale” che non mi piace.
L’unico spunto corretto nelle riflessioni di Crovella è l’aumento incontestabile della frequentazione in montagna. Le conclusioni invece per me non condivisibili e la chiosa “sulle nostre montagne” abbastanza irrritante.
Montagna è libertà. La montagna appartiene a tutti e nessuno può arrogarsi una patente di “migliore” rispetto a qualcun altro e se vediamo comportamenti non corretti dovremmo alla nostra età essere più bonari e comprensivi.
Sabato al Sergent in valle dell’Orco su una via facile ma molto lunga abbiamo raggiunto una cordata di tre ragazzi molto giovani, molto lenta e abbastanza impacciata sia nella scalata che nelle manovre. Dei tre componenti, uno era alla sua prima via lunga, un altro alla seconda o terza. “Cannibali” senza alcuna preparazione soprattutto concettuale da andarsi a mettere su una via di 450 metri?. Io ho provato tenerezza e ho rivisto in loro me stesso 30 anni fa. Ci hanno chiesto se volevamo passare davanti. Ho preferito rimanere in coda, sacrificando almeno un’ora in più per essere sicuro della loro riuscita senza incidenti.
Il “cannibale” non esiste. Esistono motivazioni diverse, ideali e approcci diversi. Siamo di più questo è vero, ma io ad esempio vedo nel passaggio dallo sci in pista allo sci alpinismo un miglioramento culturale, non un peggioramento e tanto meno cannibalismo.
Anche la ricetta invocata da Crovella in merito alle scuole CAI e alle Guide non è per me condivisibile. A parte il fatto che già ora il numero dei partecipanti alle scuole CAI di arrampicata e alpinismo è quello auspicata da Crovella cosa vogliamo fare? Ritornare al modello di scuola stile Dionisi degli anni 50? Ma dai….
Sarebbe il caso che Alessandro Gogna andasse a ripescare un paio di raccontini presenti in rete su alcune esperienze in scuole CAI negli anni 80 come contraltare a queste (strambe) riflessioni.
Su cinquanta persone iscritte a un corso CAI di arrampicata, probabilmente venti erano indecisi fra questo e un corso di pilates che faranno l’anno dopo, altri 20 andranno avanti due o tre anni e poi scopriranno altro. Dei dieci rimanenti, cinque probabilmente troveranno motivazioni necessarie per andare oltre l’aspetto sportivo. Io questo lo trovo bellissimo, non deleterio.
Sull’iper tecnicismo delle scuole CAI sulle manovre concordo, ma questo con il “cannibalismo” invocato c’entra poco o nulla.
Il mondo delle Guide è di natura professionistica. Accompagnano il “pacco postale” o l’alpinista esperto e bravo con le idee ben chiare sui suoi obbiettivi e sogni . Più di tanto non possono scegliere perché a fine mese hanno le bollette e il mutuo da pagare. Imporgli anche la patente da educatore mi sembra francamente utopico.
Non sono d’accordo sulle Guide che ritengo tra i maggiori “cannibali” e responsabili della mercificazione della montagna. Lo dico per esperienza diretta. Ma basta girare su Facebook e vedere gli spottoni con cui questi “professionisti della montagna” propagandano le loro attività. L’aspetto economico ci dovrebbe mettere in guardia su possibili distorsioni del ruolo della Guida Alpina: tiro su tutto pur di fare cassa…se non lo faccio io lo fa il mio collega…ho una famiglia da mandare avanti…
Quindi occhio a demonizzare le scuole CAI dove il lavoro lo fanno dei volontari, e sappiamo tutti quanto sia difficile organizzare un corso e farlo rispettando tutti i requisiti di sicurezza e di competenza che oggi sono richiesti agli istruttori (con carichi di responsabilità che sconfinano tranquillamente nel penale).
Interessante analisi, con molti spunti azzeccati, ad esempio quello della deriva “manovristica” delle scuole. Non concordo però sulla proposta di fare passare tutti i neofiti da eventuali corsi organizzati dalle guide, che dovrebbero essere investiti da un ruolo di “educatori” e fungere da filtro.
Oltre a motivi etici ed ideologici per i quali non sono d’accordo con questo approccio, come si può pensare che figure private, che dipendono economicamente da coloro che dovrebbero essere esclusi possano assumere questi ruoli? Già nel campo della scuola e dell’università abbiamo assistito a minori filtri quando il successo di tali istituzioni è cominciato a dipendere in parte dal numero di allievi e dalle percentuali di successo, come possiamo pensare che non avvenga anche per figure assolutamente private come le guide?
Rispetto con convinzione chi decide di vivere della montagna e sceglie di fare la guida, ma appunto deve viverci e quindi deve guadagnare denaro.
Deve entrare in maniera obbligatoria nel “gioco” del consumismo capitalista.
Deve quasi sempre sfruttare i “cannibali” o “pecoroni” che gli si presentano.
Nel suo lavoro per me è difficile trovarci dell’idealismo.
Deve diventare un fautore-pilota-allevatore professionista di ciò che accade.
Mi spiace, devo dire che preferivo i “Rè-buffi” e li consiglio ai giovani.
Ma il tema è la montagna in generale o quelle 4 cime che interessano a Crovella dove lui vorrebbe andarci da solo?
Perché, non che io abbia una soluzione, ma se questa è la proposta per togliere l’affollamento dal lago Sorapíss (x esempio) con gli schiamazzi in stile riviera romagnola o dall’ambita passeggiata rif. Auronzo-Locatelli siamo fuori strada e di parecchio. Significa essere completamente avulsi dalla realtà dei fatti. Mai sentito parlare di social? Altro che CAI e guide alpine, le escursioni da anni si organizzano e si postano su facebook, wa e diverse altre app create per questo scopo.
@ Luca Visentini: nessuno spot per le guide. Dico che, piuttosto che assistere all’orda animalesca senza controllo, meglio che chi proprio vuole andare in montagna “in sicurezza” lo faccia aderendo a scuole gestite dalla guide. Lasciamo invece le scuola di istruttori volontari solo per corsi di perfezionamento “ideologico” con numeri piccolissimi (No scuole Club Med che sono il prologo di successivi cannibali individuali). Cordiali saluti a tutti!
Precisazione per Marcello Cominetti per evitare un qui pro quo.
Quando dico che ci si deve “obbligatoriamente” rivolgere alle Guide, intendo dire che, se viene meno l’attuale concorrenza “sleale” delle Scuole, per chi vuole essere portato in montagna in sicurezza non resta altra scelta che aderire ai programmi delle Guide (oppure dedicarsi ad altri sport, ipotesi da me caldeggiata).
Concordo sul fatto che in montagna NON esista democrazia: la montagna, la Natura in generale, è regolata da leggi ataviche che dominano sulle volontà umane.
E’ vero: ho una visione elitaria, non nel senso economico (anzi, combatto il consumismo e tutti i suoi status symbol, come per esempio lo sfoggio di materiali ipercostosi), ma nel senso che la montagna è un a cosa così bella e (oggi) così fragile che dovrebbe essere riservata solo a chi se la merita, ideologicamente parlando.
L’orda di cannibali che la assale è invece un attentato alla montagna e alla serenità dei non cannibali.
Non parlo per un tornaconto strettamente personale: da decenni io ho uno spirito esplorativo e vado a cercarmi angoli ancora poco frequentati. mi capita anche di fare gite in cui non vedo anima viva (umana) per tutto il giorno.
Sto facendo un discorso “politico”: quanto è ideologicamente giusto e fondato che la montagna sia presa d’assalto dall’orda dei cannibali?
A titolo personale io posso reagire andando a cercarmi un itinerario poco battuto (conosco le valli come le mie tasche, scrivo di montagna dai primi anni ’80), ma quanto è giusto che il mio eventuale desiderio di salire il Cervino sia frustrato dalla presenza di un’orda animalesca (che, avendo una mentalità sportiva, non è interessata più di tanto al Cervino con tutto quello che, invece, questa vetta significa per un alpinista “vero”)?
E’ un discorso scomodo e farlo apertamente comporta dei prezzi in termini di consenso. Sono disposto a pagare questi prezzi (cioè a risultare antipatico), perché sono giunto alla conclusione che, oggi come oggi, occorra prendere una posizione netta e agire di conseguenza verso un ritorno ad una montagna “più severa”: rifugi più spartani (o addirittura, dove possibile, uso della tenda), nessun cartello, niente tacche colorate, pochi impianti o strade né altre facilities, riduzione o addirittura abrogazione del segnale telefonico (il che non permetterebbe il funzionamento delle app!), assistenza di soccorso meno pronta ed efficace, etc etc etc.
Di fronte ad una montagna tornata alle originali condizioni di severità, quelli che io chiamo i “cannibali” si dissolverebbero come neve al sole, dedicandosi ad altri “sport”.
Ci guadagnano loro, i cannibali, (perché così praticano gli sport coerenti con la loro mentalità), ci guadagnamo noi (cioè i non cannibali), ci guadagna la montagna (alleggerita dall’attuale pressione consumistica e inquinante).
Non avevo ancora capito che fosse uno spot per le guide.
Articolo che rispecchia fedelmente la situazione attuale che sicuramente andrà ad intaccare la suscettibilità di molti “praticoni”. Il primo deterrente per arginare e scoraggiare il fenomeno è: IL SOCCORSO A PAGAMENTO CON EVENTUALI CONSEGUENZE PENALI una volta accertata la negligenza e superficialità dell’interessato/i. Ormai chiamano l’elicottero per un semplice crampo muscolare!!
Senza togliere nulla alla proposta di cercare e adottare nuove regole per arginare i danni dell’affollamento in montagna, la riflessione qui esposta è destinata a restare confinata nel libro dei bei ragionamenti. L’affollamento della montagna è effetto diretto della mercificazione della stessa da parte del sistema, che è capitalistico e che ha come unico scopo il massimo profitto. È un processo inarrestabile. Tutto deve essere asservito a tale scopo e tutto viene travolto: la montagna come la città d’arte, l’atollo nell’oceano indiano come la (fu) etno-cultura alpina. Lo scempio della montagna, trasformata in “lunapark” (Disneyalp è la geniale quanto deprimente definizione che ne ha dato B Cretaz) e l’abbandono da parte delle sue genti e delle sue ancestrali pratiche agro pastorali, trova riscontro nell’abbandono dei centri storici da parte dei loro abitanti; la loro unicità socioeconomica, la ricchezza antropologica, storica e culturale lasciano il campo alle vetrine dei brand. La mercificazione della montagna coinvolge attivamente e inevitabilmente Guide, Cai, Alpinisti, Associazioni, Volontariato, ecc. Il turismo predatorio è effetto di questi processi e vede e vive l’ambiente come un bene da consumare a volontà, desiderando la rimozione di ogni e qualsiasi limite alla cosiddetta “libertà” personale. Gli sport alpini si rivelano alfine un formidabile motore di distruzione.
PS
L’invasione dei boschi da parte di orde vandaliche a “caccia” di funghi è l’ennesima emergenza che si aggiunge alle infinite precedenti.
Mi trovo d’accordo con Crovella tranne sul fatto che alla Guida ci si debba rivolgere “obbligatoriamente”. La libertà del potersi avvalere della guida alpina o meno, deve restare! Invece il Cai dovrebbe tornare un vero Club. Elitario al massimo, come quello britannico o americano, perché di parrocchie dove cercare sostegno e compagnia è già pieno. Le guide alpine non fanno distinzione tra i loro utenti perché sono dei professionisti, ma se ne hanno le capacità e le caratteristiche, possono procurarsi clienti con cui passare nelle giornate perché si condividono ideali e gusti. Non è facile, ma vi si può tendere se lo si vuole. Il limite dell’istruttore Cai lo vedo nel dilettantismo e nell’occasionalità. Se chi ti istruisce/accompagna vede nella montagna la cosiddetta “valvola di sfogo” non ci siamo proprio. Come l’uomo che vuole imparare a volare guarda agli uccelli, a nuotare ai pesci, ad andare in montagna guardi al montanaro e non al cittadino che la domenica si traveste da alpinista. In alpinismo la democrazia non esiste.
Personalmente posso condividere questa tesi ma è inattuabile: i corsi delle guide non verranno scelti dai cannibali perché molto più costosi e le sezioni CAI non vorranno perdere allievi e nuovi tesserati. È l’economia che governa il mondo.
Ho atteso questa seconda parte.
Condivido tutte le preoccupazioni e la percezione di una realtà profondamente diversa da quella che caratterizzava l’andare in montagna di qualche decennio fa.
Alla fine credo sia solo la progressiva eliminazione di tutte le “macro” comodità, che possa influire sul problema. Ci vogliono esperienza, passione e adattamento per affrontare un ambiente naturale “al crudo” (mi si passi il termine).
Semplicemente temo non avverrà. Le economie che sono cresciute nell’adattarsi ai “cannibali” (non è un termine adeguato secondo me), hanno plasmato territori e mentalità. Difficile tornare al rifugio di trenta o quarant’anni fa, spartano, dal buon cibo, ma semplice e senza fronzoli da gourmet, per fare un esempio banale.
Un altro esempio, che io personalmente giudico significativo (perdonate, è un mio tarlo…) è che quasi nessuno accenna mai a un bivacco in tendina. Io, anzi, vado alla ricerca di questo genere di esperienza, la do per scontata (condizioni permettendo… Ma a volte anche se non lo permetterebbero). Viaggio con zaino carico, pronto a fermarmi la notte o anche solo per evitarmi guai.
Il cannibale certo non lo fa, né apprezzerebbe eccessivo disagio.
Insomma se ci fossero meno comodità si avrebbe una sostanziale riduzione di numeri. E una parziale selezione di “teste”.