Profumo proibito

Metadiario – 218 – Profumo proibito – AG (1998-004)

Il massiccio degli Écrins è di gran lunga il più selvaggiamente alpinistico delle Alpi, con dislivelli sempre imponenti e lunghezze d’escursione che non concedono alternative. Documentarlo fotograficamente era di certo uno dei capitoli più impegnativi del nostro programma. Riuscii a decurtare un po’ di spese facendo un accordo con Alp per un reportage nella zona della Barre des Écrins. La mattina del 1° giugno 1998 partii da Milano accompagnato dai giovani amici Gabriele Casarico ed Eugenio Dall’Omo. Ad Ailefroide incontrammo la nostra guida Bernard Favre, gentilmente messa a nostra disposizione dall’Ufficio del Turismo. Non ne avevamo bisogno, ma andava bene così.

Glacier Blanc, in salita al refuge du Glacier Blanc, 1 giugno 1998, la guida Bernard Favre, Eugenio Dall’Omo e Gabriele Casarico
Eugenio Dall’Omo, Gabriele Casarico e Bernard Favre appena arrivati al refuge du Glacier Blanc, 1 giugno 1998.

Con i nostri sci montati sugli zaini, da Pré de Madame Carle ci avviammo ai tornanti che salgono alle Échelles 2298 m, che sono rocce montonate con magnifica visuale sulla seraccata del Glacier Blanc. In alto sulla destra si vedeva il rifugio omonimo. Quando arrivammo al luogo dell’ex rifugio Tuckett, un bellissimo altopiano con laghetti, purtroppo  le nuvole basse ci impedivano una buona visione sul Pelvoux, del Pic Sans Nom e dell’Ailefroide. Con un ultimo strappo salimmo al refuge du Glacier Blanc 2542 m dove l’ottimo custode Michel Gérard ci assicurò una gustosa cena e un buon pernottamento.

In salita alla Barre des Écrins, 2 giugno 1998
In mancanza della salita al Dôme de Neige ci accontentiamo di qualche foto tra i seracchi

Ci alzammo ancora al buio e ci avviammo verso il versante ghiacciato della Barre des Écrins. Allorché lo raggiungemmo il tempo era decisamente poco promettente, specialmente se lo scopo numero uno era quello fotografico. Eravamo a destra di una vasta zona di seracchi e avremmo dovuto salire ancora sui pendii per raggiungere l’insellatura tra la vetta della Barre des Écrins 4102 m e il nevoso Dôme de Neige 4015 m, considerato la vetta sciistica della Barre des Écrins, meta tradizionale in questa stagione perché la vera vetta richiede un’arrampicata non facile a più di 4000 metri. Ma il panorama e la bellezza sono quasi identici. La nuvolaglia e le cattive previsioni fecero sì che mi accontentassi di qualche foto fatta in mezzo ai seracchi, per poi mestamente scendere tutti al rifugio. Il mattino dopo, 3 giugno, ci riservò gli stessi ostacoli meteo, così dopo altre foto ce ne tornammo a valle.

Nel frattempo la situazione in casa era diventata insopportabile. Il ricorso ad alcune bugie era ormai evidente, come pure era chiara la volontà di non affrontare di petto la situazione per non turbare le nostre figlie che ancora volevamo credessero che l’amore tra noi genitori fosse uguale a quello che nutrivamo per loro. E questo a dispetto della mia convinzione che comunque non sia mai possibile nascondere una verità a chi è molto sensibile.

Una sera dei primi di giugno eravamo entrambi in cucina: io preparavo tavola e lei, con l’efficienza di chi è tornato dall’ufficio pochi minuti prima ma riesce comunque ad imbastire una cena, dava gli ultimi ritocchi a quello che di lì a poco avremmo mangiato. Le bambine erano a giocare nelle loro stanze, mentre tra noi il silenzio si tagliava con il coltello. Mentre disponevo le posate, mi sorpresi a uscire con la domanda più semplice di tutte: “Ma tu… hai un altro?” Bibi esitò solo due secondi, poi mi rispose di sì.

Ci fu qualche attimo di silenzio, prima che le bambine, richiamate, arrivassero. E per quella sera non riprendemmo l’argomento. Normalmente in questi casi si dice “mi è crollato il mondo addosso”. Io non me lo dissi, perché finalmente mi ero accorto che da almeno due anni il mondo mi era già caduto addosso e semplicemente mi ero sempre rifiutato di vederlo.

Massimo Mesciulam seguito da Walter Savio sulla parete nord del Pizzo d’Uccello, via Biagi-Nerli. 14 giugno 1998.

Il 14 giugno andai con amici genovesi alla Nord del Pizzo d’Uccello, questa volta per salire la via Biagi-Nerli, l’ultima grande classica delle Apuane che mi mancava. Ero legato a Massimo Mesciulam, mentre Walter Savio ci seguiva in cordata con Paola (di cui non ricordo il cognome). Facemmo in tempo a fare solo sei lunghezze prima che un temporale, per nulla inatteso, ci costringesse a scendere in corda doppia.

Il 21 giugno con gli amici Giovanni Alfieri e Roberto Corsi tornai ancora alla Diga del Truzzo, dove sapevo che tanti piccoli problemi attendevano la loro soluzione. Questa volta ci rivolgemmo alla Quota 2450 m dei Caürgh, dove avevo già salito con Ivan Guerini la via che avevamo intitolato a Mauro Curzio (sperone sud-est). Non volevamo impegnarci in qualcosa di estremo, così scegliemmo la cresta sud-ovest, di 270 m, interessante soprattutto nella sua metà inferiore caratterizzata da un’evidente torre slanciata. Una fune metallica, in loco dai tempi della costruzione della diga, era fissata alla sommità della torre e scendeva verticale fino alla base. Attaccammo tra il filo dello spigolo a sinistra e la fune a destra. Per giungere in cima alla torre ci vollero sei lunghezze di corda, tutte abbastanza sostenute, con difficoltà fino al VI+ e due brevi passi in artificiale. Proseguimmo all’intaglio e per il seguito della cresta sud-ovest: dopo un lungo tratto facile, all’ultimo percorremmo una lunghezza di corda fino al V+, decisamente evitabile, per arrivare quindi alla cima. Siccome ci eravamo impegnati abbastanza e data la presenza della caratteristica fune metallica, chiamammo la via Filo da torcere.

Alessandro Gogna sulla seconda lunghezza di Filo da torcere sulla cresta sud-ovest della Quota 2450 m dei Caürgh. Foto: Roberto Corsi.
157b=Val dal Caürghion; 157d=via Filo da Torcere (21 giugno 1998); 157c=via Mauro Curzio; 158a=Val dal Caürghiet; 158c=Sperone ovest della Torre dell’Ometto; 158b=via Salto del Lupo; 159d=via Kaleidoskope (6 luglio 1997); 159c=via della Grande Danza; 159b=Cresta sud-est della Torre dell’Aquila verde; 159g=via L’Ombra della Luce (giugno 1995); 159f=via Horror vacui (19 febbraio 1998); 159e=via L’Azzurra Lontananza (ottobre 1994-giugno 1995).

Intanto ero anche impegnato con l’operazione Proteggi il Bianco. Dopo il bivacco Ghiglione erano previsti altri 13 siti oltre a una casermetta e due alpeggi situati lungo il tracciato escursionistico del Tour del Mont Blanc. L’elenco dei siti è dato nella tabella seguente che riporta anche la quantità di rifiuti raccolta in ciascuno.

L’8 luglio, con un tempo poco promettente, andammo all’Alpe Vieille inferiore, sul lato meridionale della Val Veny. Lì erano alcune baite in pessimo stato utilizzate da coloro che percorrono a piedi il giro del Monte Bianco. Ce n’era una, in particolare, ridotta a vero letamaio. La ripulimmo, assieme a Renzino Cosson e ad André Grivel.
Il giorno dopo l’elicottero trasportò me e Renzino Cosson al solitario e sperduto bivacco della Brenva. Gli alpinisti lo hanno abbandonato da tempo, lo si vede anche dal quaderno. Ma anche lui mostrava la sua brava dose di rifiuti.

Recupero rifiuti all’Alpe Vieille inferiore (Val Veny)
Le condizioni in cui era una delle baite dell’Alpe Vieille inferiore

Il 10 luglio non ricordo più perché, ma fui elitrasportato al rifugio Monzino mentre due guide proseguivano per i bivacchi Eccles. Nelle due settimane seguenti proseguirono i lavori: anche se non ero presente, Renzino Cosson e Ivan Negro erano perfettamente in grado di svolgere i compiti che gli avevamo assegnato. Qualche volta li accompagnò Mario Pinoli. La mia ultima partecipazione fu il 23 luglio in occasione del volo al bivacco Canzio, al Col des Grandes Jorasses 3810 m assieme ad Amedeo Vergani, Mario Pinoli e alla guida Eliseo Cheney.

Renzino Cosson al bivacco della Brenva

Le operazioni di bonifica hanno consentito di raccogliere un quantitativo totale di circa 1060 kg di rifiuti, suddivisi in diverse tipologie:

Tipo di rifiutoQuantità in Kg
Carta20
Plastiche da recupero50
Vetro90
Alluminio90
Batterie40
Legname100
Metalli300
Rifiuti non recuperabili370
Recupero rifiuti al bivacco della Brenva

Le tipologie rientravano in quelle tipiche prodotte dai frequentatori delle strutture in quota. Si trattava in prevalenza di contenitori per cibi e bevande, batterie esauste, ricariche per fornelli a gas. A ciò si accostavano altri rifiuti classici, come materiali di risulta da ristrutturazioni e modifiche (lamiere, legname) nonché materassi o coperte ormai inutilizzabili.

Nella categoria rifiuti non recuperabili erano compresi 10 kg di vernici, 60 kg di materiali accoppiati, 40 kg di carta sporca e impregnata non riciclabile, 150 kg di lattine metalliche, 50 kg di materassi e 60 kg di residui vari indistinti.

Bivacco Ettore Canzio al Col des Grandes Jorasses
Recupero rifiuti al bivacco Canzio

Nel frattempo ero quotidianamente in contatto con la Pro.Ad., anche loro dovevano aggiornare il cliente. Parlando con Luca Grigolli si accennò che avremmo potuto mettere il naso sui Monts Rouges de Triolet per concederci una scalata come si deve. Lui sulla difficoltà in falesia era ben più forte di me, in compenso mancava di un po’ d’esperienza sulle salite che in seguito sarebbero state chiamate multipitch. I Monts Rouges erano diventati uno dei terreni di caccia di Manlio Motto che, quando scopriva una zona, ne declinava tutte le possibilità di apertura, confezionando in genere itinerari di alta classe, più o meno difficili ma mai banali. Il progetto con Luca si concretizzò nel weekend dell’11 e 12 luglio: lui arrivò nel primo pomeriggio da Milano e al nostro incontro ebbi la sorpresa di vedere che era accompagnato niente meno che da Kay Rush, una famosa conduttrice televisiva e radiofonica, ma anche disc jockey, attrice e scrittrice. In seguito sarebbe diventata anche blogger, ma nessuno di noi poteva immaginarlo. 

Kay Rush

Fu un attimo sentirmi attirato da quella splendida trentasettenne dagli occhi un po’ a mandorla, che in più sapevo libera da impegni sentimentali… In effetti anche io mi sentivo libero e francamente avevo proprio necessità di un bello scossone. Dopo i convenevoli, il discorso virò subito sulle difficoltà della via che stavamo andando a fare. Tra le varie proposte che l’ottimo Motto aveva reso disponibili con partenza dal rifugio Dalmazzi avevo scelto un tre o quattro vie: la presenza di Kay però escludeva le più impegnative, così decidemmo per Profumo proibito, un nome che per me era tutto un programma. La via era stata aperta da Motto con Gisa Ariu il 28 agosto 1994: le relazioni parlavano di una via attrezzata a fix a volte abbastanza lontani (in perfetto stile Motto), ma facilmente integrabile con friend medi, su un granito di ottima qualità. 270 m di dislivello, esposti a est e prevalentemente in fessura, che portano in vetta alla Seconda Punta Centrale 3289 m. Secondo le relazioni, una delle scalate più gratificanti e abbordabili della zona.

I Monts Rouges de Triolet, visti da lontano, si presentano come una lunga cresta molto frastagliata che origina diverse punte. La parete est della Seconda Punta Centrale è un possente pilastro di granito aranciato e la via segue l’andamento del suo spigolo sinistro che solo in alto si abbatte a cresta.

La via Profumo proibito alla parete est della Seconda Punta Centrale dei Monts Rouges de Triolet. Foto: sassbaloss.com.

Giunti all’Arnouva 1769 m, quasi in fondo alla Val Ferret, con calma ci preparammo gli zaini. Salendo i più di 800 m per il rifugio Dalmazzi chiacchierammo abbastanza. In questi scambi d’idee mi accorsi che Kay e Luca avevano parecchie questioni lavorative in comune, dalle quali io ero tagliato fuori in partenza. Perciò, se il discorso verteva su Proteggi il Bianco o sulla montagna in generale, io partecipavo, altrimenti non intervenivo mai in quello che mi sembrava un accordo sufficientemente esclusivo. Ciò non tolse nulla al piacere di essere lì, ma le mie emozioni iniziali subirono un certo ridimensionamento. Ogni tanto pensavo ai fatti miei, per esempio realizzai che era dal 1972 che non mettevo più piede in quel luogo, da quando c’ero salito con Miller Rava per fare la Nord-est dell’Aiguille du Leschaux. I ricordi a volte riempiono una realtà per qualche verso deludente.

Il mattino dopo non partimmo prestissimo anche perché, a dispetto dell’esposizione a est, la parete non prende il sole subito. Ci volle una bella ora e mezza per arrivare all’attacco, marcia comprensiva del superamento di un diedro di II e III grado che interrompe la traccia di sentiero. C’era anche qualche chiazza di neve che però non ci disturbò più di tanto. Individuato l’attacco senza problemi, iniziammo l’arrampicata che si rivelò subito non solo bella, ma anche adatta alle buone capacità di Kay. Con Luca ci dividemmo il compito di capocordata, io per la prima metà. Gli altri due seguivano praticamente appaiati. Spesso l’arrampicata era davvero esaltante, perché sottolineava quanto i movimenti su granito possano essere piacevolmente estetici. Kay ad ogni lunghezza prendeva sempre più confidenza.

In arrampicata sulla via Profumo proibito alla parete est della Seconda Punta Centrale dei Monts Rouges de Triolet. Foto: gulliver.it

Superate tutte e sette le lunghezze di corda (mai inferiori al 5c e mai superiori al 6a) ci ritrovammo nei pressi dell’esile vetta dalla quale scendemmo poi con una serie di rapide corde doppie.

Giunti alla macchina a fine pomeriggio, entrambi dovevano tornare a Milano presto, perciò ci salutammo con i soliti auguri di rivederci in altra occasione. Ma Kay di persona non la vidi mai più.

Terminato il lavoro nel gruppo del Monte Bianco mi concessi una breve vacanza a Levanto, durante la quale ebbi modo il 25 luglio di andare a fare in solitudine la traversata della Cresta di Sella 1739 m. Ne raggiunsi l’inizio, la Focetta dell’Acqua Fredda 1600 m, dopo aver lasciato l’auto ad Arnétola 900 m, nel pieno disastro delle cave. Da lì cominciai la facile arrampicata della cresta nord-nord-ovest dell’Alto di Sella 1723 m, che presto però divenne più impegnativa (un passo di III+ su un breve risalto un po’ strapiombante). Questo itinerario era stato percorso per la prima volta da Federico Federici ed Emilio Questa il 17 maggio 1903, ma solo il 13 maggio 1906 lo stesso Questa, con il fratello Renato e con Bartolomeo Figari, ripeté quella salita per poi continuare l’intera traversata fino al Monte Sella 1739 m. La traversata era un percorso classico delle Apuane, ma poi fu gradualmente abbandonato anche perché si preferì ripeterlo durante la stagione invernale-primaverile, in effetti con molta più soddisfazione. Notevole fu la cavalcata che vi fece il 13 marzo 1957 Giancarlo Dolfi che, da solo, traversò dalla Tambura fino al Monte Sella. Anche io raggiunsi quest’ultima elevazione (la più alta della cresta) e da lì scesi al Passo Sella e poi ancora ad Arnétola.

La cresta nord-nord-ovest dell’Alto di Sella ha origine dalla Focetta dell’Acqua Fredda. Foto: Emanuele Lotti.

A Levanto tentai più volte di riallacciare con Bibi, ricordo un pomeriggio in particolare nel quale ebbi l’impressione di riuscirci, ma fu solo un attimo. I nostri destini avevano scavato un solco molto profondo tra di noi e il dolore che provavo non serviva a nulla. Non mi rimaneva che fuggire ancora in montagna, con la scusa, peraltro ben fondata, del lavoro.

Il 30 luglio ero in vetta alla Cima di Pian Cavallo, in quel di Viozene (Alpi Liguri), raggiunta da Colla Bassa. Il tempo era buono e riuscii ad avere una bella visione d’insieme del Marguareis e del Mongioie da sud. Nel pomeriggio non feci altre escursioni a piedi, bensì portai l’auto sulle disastrate strade del rifugio Ciarlo-Bossi, della Colla dei Signori e del rifugio Barbera. Anche lui in giro per le Alpi Liguri, era Federico Raiser con il quale avevo appuntamento. Il 31 luglio salimmo assieme alla Cima Bozano. Partiti dalla Colla dei Signori salimmo al Colle dei Torinesi e poi al Colle dei Savonesi prima di raggiungere la vetta, dalla quale godemmo dei magnifici scorci sulle pareti settentrionali del Marguareis.

Panorama dalla Cima di Piano Cavallo: da sinistra a destra, Marguareis, Cima Pian Ballaur, Cima delle Saline, Rocce di Manco, Cima delle Colme/Monte Mongioie.
Federico Raiser sta salendo alla Cima Bozano. Sullo sfondo il versante orientale del Monte Marguareis. Al di sotto è il Colletto dei Savonesi. A sinistra è pure visibile il Colle di Gaina.
Dalla vetta della Cima Bozano sulla parete nord della Cima Pareto

In agosto fu la volta di un soggiorno con famiglia che avevo concordato con l’Ufficio del Turismo Svizzero, più precisamente con la persona di Angelo Brazerol, davvero gentile, efficiente e premuroso.

Dire Davos ad un appassionato di sci italiano vuol dire evocargli un sistema di piste innevate la cui fine non si può raggiungere in un’intera giornata di fanatiche discese. E gli ricorderà anche un turismo d’élite dalle presenze più blasonate. Ma d’estate? Quando la neve si è disciolta completamente, quando i prati hanno assunto una colorazione verde vivace? Cosa rimane di Davos? Chi sa cos’è il Silvretta (a parte il Piz Buin, che di solito viene confuso con la nota crema solare)?

Elena e Petra durante la vacanza di Davos dell’agosto 1998

Ebbene, Davos e Klosters, alla sommità della Prättigau, offrono all’escursionista estivo la stessa qualità e varietà che siamo abituati a riconoscere loro d’inverno. Il gruppo del Silvretta è ben noto per i bellissimi itinerari scialpinistici, che d’estate sono ugualmente frequentati. Ma la grande maggioranza si rivolge a percorsi più elementari, di cui veramente le vallate secondarie sono ricche. In ciò si è facilitati dai numerosi impianti di risalita che riescono a condurre strategicamente un po’ ovunque. A parte il comprensorio degli impianti della Weissfluh, sopra Davos, decisamente invasivo per l’ambiente, le altre funivie sono discrete. Ben presto, dopo qualche minuto di marcia, si è in luoghi appartati e intatti.

Alessandro, Elena e Maria in sosta verso il Grüenhorn. Un po’ nascosta (la foto è di Petra, 7 anni) l’insospettabile e ben curiosa guglia di roccia.

Una delle curiosità più affascinanti di Davos in agosto è l’incontro con una strana popolazione, vestita in modo assai rigoroso. Gli uomini con barbe lunghissime e cappelli neri a tuba in abiti severamente scuri, le donne in costume anch’esso scuro e perfino i bambini. Era domenica e, data la quantità di questi personaggi, di primo mattino li scambiai per abitanti del luogo in costume. E invece sono i membri di comunità ebree, normalmente abitanti di Zurigo e dintorni, che d’agosto letteralmente invadono, ormai da tanti anni, sia Davos che Arosa.

La cascata del Ducanbach nei pressi di Sertig.

L’8 agosto arrivammo in zona Davos senza Bibi. Ad aiutarmi con Petra ed Elena c’era la tata Maria Elescano. Il giorno dopo tutti e quattro partimmo dalla Wägerhus 2207 m per una bella escursione, forse un po’ monotona nella prima parte, ma poi indubbiamente meritevole. Seguimmo un sentiero che si alza obliquamente in direzione nord-est, lungo gli immensi pascoli alla base del versante ovest del Flüela Wisshorn. Circa a 2500 m facemmo una piccola deviazione a sinistra per fare sosta ad un bellissimo laghetto 2549 m. Tornati sul sentiero, puntammo allo Jöriflüelafurgga 2725 m, raggiungendo questo colletto con una finale traversata da sinistra a destra. Bella visuale sui laghi Jöriseen 2489 m e 2519 m, che si possono raggiungere con discesa nella desolata Jörital fino ad approdare sulle rive dei laghi, che sono quasi una decina, di differenti colori e dimensioni. Poi tornammo per il medesimo itinerario.

Il Piz Linard dal Vereinapass

Il 10 agosto, dalla sommità degli impianti di Gotschnagrat 2285 m seguimmo per una stradina la cresta erbosa che si dirige verso ovest. Presto ci trovammo di fronte alla sottile ed erbosa elevazione del Grüenhorn 2501 m. Salimmo in vetta a questo cono erboso seguendo un esiguo sentiero abbastanza esposto, il quale però nasconde sul suo retro un’insospettabile guglietta rocciosa. Con la sola Elena proseguii fino alla cima orientale della Casanna.

Da Jöriflüelafurgga sugli Jöriseen, Grigioni

L’11 agosto c’era anche la mamma, così quel giorno graziammo Maria che rimase a casa. In pochi minuti di comoda salita in funivia fummo in cima al Jakobshorn 2590 m. Già da lì il panorama era molto esteso. In basso si vedeva Davos mentre alzando lo sguardo si potevano osservare le varie montagne che separano Arosa da Davos. C’incamminammo scendendo per un centinaio di metri su una strada sterrata, poi imboccammo un sentiero ben marcato che si alza sulla cresta, non ripida e neppure esposta, fino a raggiungere in poco meno di mezz’ora di cammino il cartello indicatore della vetta dello Jatzhorn 2682 m.

Altra gita la facemmo il giorno dopo in cinque, con partenza dalla funivia della Weissfluh, fino al bel lago Totalpsee e alla vicina Parsennhütte.

Grialetschhuette e Piz Radont

Fino a quel momento il bel tempo non aveva dato tregua, ma il 13 con il suo grigiore concesse a tutte le donne, grandi e piccole, una gradita pausa… Facemmo solo turismo con un dislivello di soli 80 m: dai villaggi di Sertig-Dörfli e Sertig-Sand 1859 m facemmo una piacevole e breve passeggiata, giusto adatta per occupare qualche ora o in giornate di brutto tempo, fino all’incassata e rumorosa Cascata del Ducanbach. Approfittando che avevamo comunque tutti i passaggi gratuiti in funivia, quel giorno salimmo anche al Rinerhorn.

Il 14 agosto, avendo io l’assoluta necessità di fotografare il Piz Linard, dalla Vereinahaus (dove avevo lasciato le donne) salii nella lunga Süsertal e la per­corsi interamente verso est fino al Vereinapass 2585 m. Da qui ebbi la magnifica visione sulla parete ovest del Piz Linard.

Il Pischasee

Purtroppo il 15 agosto non dava grandi garanzie di cieli sereni, così misi in programma una gita più a bassa quota che poi invece si rivelò molto proficua per le luci che a un certo punto ci apparvero. La breve escursione congiungeva i villaggi di Monstein, Oberalp e Inneralp, una passeggiata assai varia, tra pascoli e boschi, adatta per conoscere la vita degli alpeggi e con panorami di media montagna. Arrivammo alla bellissima radura di Inneralp 1877 m che s’inerpica fino ai ghiaioni e alle creste rocciose della Mäschengrat.
Sapevo che la regione centrale dei Grigioni gode di alcuni benefici climatici simili a quelli dell’Engadina. Il sole spesso appare anche quando altrove non si può uscire di casa: infatti il 16 agosto si riprese a ballare. Questa volta con destinazione un bel rifugio e un dislivello di 550 m. Partiti senza Maria dal villaggio di Dürrboden 2007 m, salimmo fino al Furggasee 2510 m e fino alla Fuorcla da Grialetsch 2537 m, poi da lì in breve alla chamanna da Grialetsch 2542 m. Una bella escursione che associa ai sereni pascoli dell’alta Dischmatal le vedute grandiose sui ghiacciai e sulle alte montagne del Piz Grialetsch e del Piz Vadret.

Dal Tällispitz sul gruppo Silvretta-Piz Buin. Da sinistra, Klostertaler Egghorn, Schattenspitze, Schneeglocke, Silvrettahorn; più a destra, al culmine del Silvrettagletscher, l’ampio Silvrettapass; oltre, il Gletscherchamm, la stretta Verstanclator e il Verstanclahorn.

In tutti quei meravigliosi giorni non ero però ancora riuscito a portare a casa lo scatto vincente, quello sulle alte montagne del Silvretta. E lì purtroppo dovevo agire da solo, altrimenti avrei perso l’attimo fuggente. Il 17 agosto lasciai tutte a casa e mi avviai verso l’Alp Sardasca 1648 m partendo dal villaggio di Monbiel 1291 m. Avevo bisogno di una cima assai panoramica su tutto il gruppo del Silvretta: stranamente la Tällispitz 2843 m rispondeva a questo requisito e in più non era frequentata, anzi neppure segnalata, pur essendo facile. Però sono sempre 1200 m di dislivello…
Dall’Alp Sardasca percorsi il bel sentiero segnalato che sale, dapprima tra gli ontani nani e poi su ripidi pascoli e macereti, fino alla Silvrettahütte 2341 m. Da lì seguii un sentierino che si avvia verso il Silvrettagletscher ma, prima di inoltrarsi sui detriti morenici nei pressi del ghiacciaio, puntai decisamente a nord verso l’evidente punta rocciosa della Tällispitz. Giunto alla sua base meridionale, salii per erba e detriti, seguendo vaghe tracce di camosci, per raggiungere ad una spalla la cresta ovest della montagna. Proseguii per il filo con qualche passo di facile arrampicata fino alla vetta. Da lì fui premiato con una foto grandiosa, in spettacolari condizioni atmosferiche.

In vetta allo Jatzhorn: la mamma rinfresca la testa di Petra.
Dallo Weissfluhjoch in discesa sul Totalpsee

Dopo un’altra gitarella (19 agosto) con tutta l’armata al completo fino alla Inschlag Alp, il 20 agosto ci fu una piacevole escursione fatta proprio con Angelo Brazerol e famiglia (Paola, Jessica e Nicole). Lui era davvero felice di mostrarci i suoi posti e ci portò dove noi non eravamo ancora stati. Dall’arrivo della funivia del Pischa a 2483 m seguimmo un buon sentiero che sale ad un colletto che divide i pascoli della Flüelaberg dalla più desolata e rocciosa conca di Pischa. Dal colletto avremmo potuto salire direttamente in vetta al Pischahorn seguendone la cresta sud ovest, ma preferimmo inoltrarci nella conca di Pischa e con qualche saliscendi moderato raggiungere le sponde di un bellissimo laghetto, il Pischasee 2523 m. Quel giorno Bibi aveva fatto un veloce salto a Milano, dunque non era con noi (e neppure l’esausta Maria). Ma il giorno dopo la mamma fu ancora presente all’appello quando effettuammo l’ultima gita, quella alla Seetalhütte.

L’alpeggio di Inneralp sovrastato dal Chrachenhorn, dal cornetto del Chrummhüreli e dal Gipshorn.

In conclusione, le montagne attorno a Davos e Klosters sono bellissime e in generale ottimamente gestite da un turismo di lieve impatto. A prima vista sembra, però, che nei dintorni non esista una vetta che possa elevarsi sulle altre per bellezza o per importanza storica. E invece, se si guarda a oriente, ecco che spicca la mole scura del Piz Linard.

Siamo arrivati al rifugio. Tra poco, finalmente, si mangia!

Questa bellissima montagna è la più alta vet­ta di tutta la Bassa Engadina ed è visibile da tutte le cime della zona, come una grande isola in mezzo al mare. Ovviamente una sommità così appariscen­te non poteva passare inosservata, tanto più che la regolare piramide della parete sud domina bellamente quel tratto dell’Engadina che, rinserrato fra strette pendici boscose, porta da Zernez a Susch. Chi per primo abbia toccato questa ambita vetta, resta tuttora un mistero. È assodato che già nel 1572 il geografo Campbell scriveva di un certo Chünard (qualche lontano avo del famoso alpinista americano Yvon Chouinard?) che avrebbe raggiunto la vetta con inenarrabile difficoltà e vi avreb­be pure infisso una croce d’oro a testimo­nianza della sua impresa. Altre fonti, o forse leggende, narrano di Padre Linard (Leonard), un parroco che coraggiosamente diede la scalata al monte. Questo indomito prete trovò nel corso dell’ascensione un paio di quelle grappette che si fissavano alle calzature a mo’ di rudimentali ramponi. Anche il toponimo è di origine piuttosto incerta. Campbell lo aveva battezzato Piz Chünard, in memoria del primo supposto salitore, ma bisogna far notare che sul versante opposto, quello di Prättigau, la montagna era nota come Lavinenhorn. Un po’ di ordine fu posto solo verso la fine del secolo XVII, quando sul versante engadinese tutti furono d’accordo nel chiamare questa vetta Piz Linard, dal leggendario Padre Linard Zadrell che ne compì la prima ascensione.

Bibi ed Elena

I primi uomini che in tempi più storici portarono a termine la scalata del Piz Linard furono il professor Oswald Heer e la sua guida Johann Madutz. Era il 18 agosto 1835; i due alpinisti salirono partendo dall’abita­to di Susch, raggiunsero il Vereinapass attraverso la Val Fless e poi si portarono alla base della parete ovest del monte. Il percor­so seguito dai due non è ben chiaro e non sembra corrispondere esattamente a nessu­no di quelli presenti oggi sulla parete ovest. Anche la discesa fu effettuata lungo tale ver­sante probabilmente sfruttando il grande canalone della parete. Per dimostrare la loro impresa gli alpinisti costruirono in vetta un ometto di sassi che fosse ben visibile anche dal fondovalle coll’ausilio di un cannoc­chiale. La successiva ascensione alla vetta fu compiuta dal Consigliere di Stato Steiner e da alcuni cacciatori e fu eseguita per la stes­sa via dei primi salitori.

In coppia per la foto

La roc­cia che costituisce questa grande montagna è principalmente formata da una varietà scura di gneiss chiamata tonalite. Il colore molto scuro della roccia è dovuto al fatto che il quarzo è quasi totalmente assente mentre si trovano grosse percentuali di mica biotite, plagioclasio e orneblenda.

Il Piz Linard è molto noto anche dal punto di vista botani­co. Nelle valli laterali, alle sue pendici e persino sulla vetta si trovano numerosi tipi di fiori alpini, alcuni dei quali anche molto rari. Fra i più importanti esemplari di flora si può ricordare l’Androsace alpina, il Ra­nuncolo dei ghiacci, il Crisantemo alpino e la famosa Sassifraga.

Le mie fatiche solitarie continuarono in Francia. Il 25 agosto salivo il Pic de Mélèze, nel Dévoluy, poi di corsa al refuge des Souffles. Al mattino (non presto) salita al Pic Turbat per avere luce pomeridiana anche sulla gigantesca parete nord-ovest del Pic d’Olan. Quindi discesa a rotta di collo per andare a dormire da qualche parte nei pressi della falesia di Céüse, che è così particolare da meritare una foto nel nostro libro. Nel pomeriggio raggiunsi di fretta e furia Ailefroide e salii, sempre da solo, al refuge des Écrins che mesi prima avevo sempre e soltanto visto da sotto. Mi sentivo un po’ a disagio per il fatto che ero da solo, perciò non feci particolare attenzione a ingraziarmi il custode Laurent Vernet. Non volevo dare spiegazioni, né subire eventuali prediche.

Dévoluy: Lac de Pelleautier e Pic de Bure
Dalla vetta del Pic Turbat la visuale sulla parete nord-ovest del Pic d’Olan

Il 28 mattina, assai presto, munito comunque di picca e ramponi, scesi per le tracce della sera precedente fino al ghiacciaio. Da qui in direzione sud-ovest, sfruttando una traccia già presente nella neve, giunsi alla grande conca glaciale tra la Barre des Écrins a sud e la Roche Faurio a nord. Abbandonai dunque la traccia per il Dôme de Neige (circa a 3250 m) e salii subito a destra sul ghiacciaio che copre il versante sud-est della Roche Faurio. Con qualche andirivieni per evitare qualche crepaccio giunsi a superare la crepaccia terminale che immetteva sulla cresta sud della montagna. Seguendo quest’ultima giunsi in vetta facilmente alla Roche Faurio. La vera vetta è un po’ spostata a ovest e mi richiese qualche passo di arrampicata per essere raggiunta. Finalmente potevo fare la foto che volevo al ghiacciato versante nord della Barre des Écrins.

La falesia di Céüse
Dalla Roche Faurio verso la vetta della Barre des Écrins e del Dôme de Neige

La fine di agosto coincise con il solito rientro in ufficio e con i mille problemi che la nuova stagione lavorativa imponeva. Anche quest’anno niente sconti. Mi mossi ancora per l’ultima grande campagna fotografica soltanto il 17 settembre. Questa volta non ero da solo bensì con il fido Giovanni Alfieri. Dopo la notte a La Bérarde 1738 m, il 18 alle 6 di mattina eravamo già in cima alla Tête de la Maye 2516 m, che è “la” gita per eccellenza nel cuore degli Écrins. La vetta in se stessa è un mammellone abbastanza bonario, con alcune belle paretine d’arrampicata, che si erge proprio al centro di una cerchia formata da alcune delle montagne più rappresentative di tutto il massiccio. Il primo gigante è la Meije con la sua parete sud, al fondo del vallone di Étançons; ad est si erge il Dôme de Neiges de Écrins con la struttura gotica del versante nord-ovest, a picco sul vallone di Bonne Pierre. Il Dôme nasconde la vetta della Barre des Écrins. A sud-est è la mole dell’Ailefroide, con la sua repulsiva parete nord; più lontano, sopra al Glacier de la Pilatte, Les Bans. La Grande Aiguille de la Bérarde incombe scura ed imponente sul villaggio omonimo. A sud-ovest si erge la Tête des Fétoules. Il sentiero è segnalato, con qualche passaggio su roccia un po’ ripido ma attrezzato con catene e scalini. Sulla cima spicca una tavola d’orientamento.

Dalla vetta della Tête de la Maye verso la parete sud della Meije
Dalla vetta della Tête de la Maye verso il versante nord-ovest della Barre des Écrins (Glacier de Bonne Pierre)

Non ricordo cosa facemmo il 19, ma certamente il 20 mattina salimmo per fotografare quello spettacolo della natura che è l’Aiguille Dibona 3130 m: è una splendida guglia di granito che s’innalza verticale e slanciata da un circo roccioso che la circonda quasi interamente. Celebrata come una delle più estetiche attrattive degli Écrins, è anche meta preferita, per comodità e bellezza, di tanti arrampicatori. Da Étages 1597 m, un villaggio qualche km prima di La Bérarde, salimmo per un sentiero a tornanti che presto s’inoltra nella gola del Torrent d’Amont. Superata questa strettoia, la visuale si apre meravigliosa sulla grande guglia e sulle cime circostanti. Fatte le foto di dovere, proseguimmo per il sentiero fino alla base dell’Aiguille Dibona, dove sorge il refuge du Soreiller 2730 m.

L’Aiguille Dibona alla cui base sorge il refuge du Soreiller.
Il Pic de l’Étendard e il Lac Bramant (o Grand Lac) dai pressi del Col de la Croix de Fer.

Il 21 dal Col de la Croix de Fer 2064 m presi a piedi la rotabile (non percorribile) per il refuge de l’Étendard 2430 m. Giovanni era stanco e preferì stare a riposo. Feci una bella passeggiata con visuale sul Lac Bramant e con panorama sulle Grandes Rousses (Pic de l’Étendard 3464 m).

In serata da Le Plan Mortan 1960 m ci dirigemmo a sud per carreggiabile fino a La Motte 2179 m e da lì salimmo per traccia di sentiero al valico della Basse du Gerbier e al vicino dosso dell’Olletaz 2578 m. Avevo intuito quanto fosse magnifico il panorama ravvicinato sulle Aiguilles d’Arves, le montagne dove era morto nel 1906 uno dei miei miti, Emilio Questa.

Le stupende Aiguilles d’Arves

Il 14 ottobre mi trovai con l’amico Manrico Dell’Agnola a scalare in quel di Primolano (in Val Brenta), precisamente sul Covolo di Butistone, proprio a lato della statale: salimmo Ritorno dall’Oltretomba e la via dei Garofani, vie di sei-sette lunghezze dove Manrico era di casa. Confermo quanto scrive Francesco Gherlenda nella sua guida Valsugana e Canal del Brenta: “Lo scenario da degrado post-industriale non è il massimo… una volta però saliti di pochi metri la parete ti prende, tutto cambia di prospettiva e la bellezza della roccia e dell’arrampicata si rivela…”. Altro intermezzo arrampicatorio lo feci sul Corno Rat sopra Valmadrera con Marco Milani, il 21 novembre sulla via Concordia.

Manrico Dell’Agnola

Qualche settimana dopo approfittai di una conferenza a Nuoro per farmi qualche giorno di arrampicata in Sardegna. Il 5 dicembre 1998 ero a Masua, con l’amico Maurizio Oviglia e la moglie Cecilia. In seguito, passata la notte a Cagliari a casa loro, con ottima ospitalità, il giorno dopo guadagnammo l’Alveare di Cala Gonone dove scalai, abbastanza male, Dolce Miele. Confesso che mi disturbava la mia inferiorità nel paragone con Cecilia e con Cinzia Rozzu… Debolezze! Poi feci molto meglio su Polline e su Ape Maya.

Maurizio Oviglia su Non spezzarmi il cuore, Masua. 5 dicembre 1998.
Cecilia Marchi sull’Alveare di Cala Gonone. 6 dicembre 1998.
Alessandro Gogna su L’alchimista a Biddiriscottai, 8 dicembre 1998. Foto: Maurizio Oviglia.

Il 7 eravamo su Nirvana, sulla parete est del Monte Oddeu, con Mariano e Cinzia Rozzu: non la completammo per le ultime due lunghezze, non ricordo più per quale motivo. La via era stata aperta da Enzo Lecis nel 1997. E il giorno dopo gran finale su L’alchimista a Biddiriscottai, una splendida giornata di sole sul fantastico mare di Cala Gonone, ancora con Mariano, Maurizio e Cecilia. Da poco più di un anno Maurizio aveva terminato l’immane fatica di Sardegna, Guida dei Monti d’Italia.

Cinzia Rozzu su Nirvana, Monte Oddeu. 7 dicembre 1998.
Maurizio Oviglia assicurato da Cecilia Marchi e Mariano Rozzu sulla 1a L di L’Alchimista (Scogliera di Cala Gonone). 8 dicembre 1998.
Disegno di Petra, 30 dicembre 1998
Profumo proibito ultima modifica: 2024-06-24T05:55:00+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Profumo proibito”

  1. Terminato il lavoro nel gruppo del Monte Bianco mi concessi una breve vacanza a Levanto, durante la quale ebbi modo il 25 luglio di andare a fare in solitudine la traversata della Cresta di Sella 1739 m. Ne raggiunsi l’inizio, la Focetta dell’Acqua Fredda 1600 m, dopo aver lasciato l’auto ad Arnétola 900 m, nel pieno disastro delle cave. Da lì cominciai la facile arrampicata della cresta nord-nord-ovest dell’Alto di Sella 1723 m, che presto però divenne più impegnativa (un passo di III+ su un breve risalto un po’ strapiombante). Questo itinerario era stato percorso per la prima volta da Federico Federici ed Emilio Questa il 17 maggio 1903, ma solo il 13 maggio 1906 lo stesso Questa, con il fratello Renato e con Bartolomeo Figari, ripeté quella salita per poi continuare l’intera traversata fino al Monte Sella 1739 m. La traversata era un percorso classico delle Apuane, ma poi fu gradualmente abbandonato anche perché si preferì ripeterlo durante la stagione invernale-primaverile, in effetti con molta più soddisfazione. Notevole fu la cavalcata che vi fece il 13 marzo 1957 Giancarlo Dolfi che, da solo, traversò dalla Tambura fino al Monte Sella.

    Classica cresta apuana, assai aerea. Molto bella e  più impegnativa se fatta d’inverno. In questa stagione la si può combinare  con la via Zappelli sulla breve parete nord dell’Alto di Sella per poi prosegure lungo la cresta verso sud, oppure con la salita dell’impegnativo  Sperone Pomodoro-Pescia all’Alto di Sella. Sul versante nord-est della Cresta di Sella, quello che sovrasta la valle di Arnetola ci sono diversi itinerari invernali di misto. Il più classico è il canale Sarperi.

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