Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022

Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022
di Sergio Cerutti
(pubblicato su scuolagervasutti.it il 6 settembre 2022)

Anche quest’anno la scuola Gervasutti ha partecipato attivamente al meeting di Valli di Lanzo in Verticale tenutosi il 3-4 settembre 2022 a Forno Alpi Graie.

Il meeting è arrivato ormai al suo sesto anno con crescente successo di partecipazione da parte di tutti gli amanti della montagna. Di pari passo la Scuola G. Gervasutti continua a proporre ogni anno in concomitanza con il meeting il corso monotematico di arrampicata “trad” sulle grandi pareti di granito che incombono sul Vallone di Sea, e da quest’anno su quelle che sovrastano dall’alto la Val Grande come il Bec di Roci-Ruta.

Al corso ci siamo posti l’obiettivo di insegnare in sicurezza i primi rudimenti dell’arrampicata “trad”, attività bellissima ma che comporta rischi notevoli se non svolta con le necessarie competenze tecniche sul posizionamento corretto delle protezioni mobili.

Il primo dei due giorni, dedicato alla didattica pratica insegniamo la costruzione delle soste con chiodi da roccia e relativo uso del martello e la costruzione delle soste con protezioni mobili, quali nut e friend.

Il secondo giorno ci dedichiamo alle salite sulle grandi pareti di granito della valle.

Lì in piena parete, gli allievi comprendono che contrariamente a ciò che molti pensano, arrampicare “trad” non significa solo saper scalare in fessura, ma anche di avere “occhio” per capire dove poter mettere delle protezioni sicure su fessurine o diedrini, ecc. non proprio evidenti o un po’ fuori dalla nostra linea di scalata.

Il corso è senza alcun dubbio molto innovativo e peculiare della nostra Scuola, lo dimostrano i numerosi allievi o candidati al corso, che ogni anno vengono a frequentarlo anche da altre regioni di Italia.

Non abbiamo certo la pretesa di insegnare tutto in due giorni, l’arrampicata “trad” necessità di tempo e dedizione per essere svolta in piena sicurezza, ma crediamo che chi viene da noi abbia il desiderio di cominciare a capire come iniziare a scalare “clean”.

A fine corso molti allievi/e ci chiedono indicazioni su dove possano cominciare a scalare mettendo le loro protezioni. Noi istruttori della Scuola li indirizziamo sempre su vie di fessura non difficili e già protette, totalmente o parzialmente a spit, dove potersi esercitare a posizionare nut e friend e proteggendosi anche con gli spit dove non si sentano particolarmente sicuri, in modo da evitare incidenti potenzialmente molto pericolosi.

Il gradimento del corso è sempre molto alto e siamo orgogliosi di aver avviato un percorso, anche all’interno del CAI, che speriamo venga ripreso dalle altre scuole del nostro sodalizio.

Il commento
di Carlo Crovella

Grandi complimenti alla Scuola di alpinismo Giusto Gervasutti di Torino perché, nell’ambito della sua attività davvero variegata e completa, procede ormai da qualche anno anche all’organizzazione di un Corso Trad.

Ma cosa diavolo è un “corso trad”? Si tratta di un corso dove si insegna a piazzare le protezioni che un tempo chiamavamo “naturali” e che oggi si definiscono “mobili” (nut, friend, ecc) sia nella progressione che per le soste. Quindi è l’altra faccia dell’arrampicata che sfrutta esclusivamente le protezioni artificiali già in loco, tendenzialmente spit e fittoni.

Speriamo che il pregevole esempio della Scuola torinese non sia isolato e, anzi, che anche altre Scuole di alpinismo (teoricamente tutte…) organizzino corsi o quanto meno delle uscite con analoga finalità.

Però da alpinista stagionato mi pongo alcune riflessioni sull’orientamento generale dell’arrampicata attuale. Sono un po’ stupito che la organizzazione di un Corso Trad sia addirittura un evento degno di nota.

Un Corso Trad è il recupero, in termini didattici, dell’impostazione arrampicatoria alla veja manera (ogni riferimento “fonetico” è puramente casuale…). Saper mettere nel modo corretto nut, friend, ma anche fettucce/cordoni attorno alle clessidre è la base dell’arrampicata in montagna.

Di conseguenza in ogni scuola di alpinismo il corso di arrampicata dovrebbe trattare questo approccio e non la percorrenza di vie spittate, esasperando la performance tecnica. Quest’ultima attività dovrebbe riguardare i corsi di “arrampicata libera”, non quelli generici di arrampicata.

So bene che questa differenziazione così netta è appannaggio quasi esclusivo delle grandi Scuole, che spesso agiscono avendo alle spalle un ampio bacino metropolitano. Le scuole più piccole però possono ovviare mixando i due approcci nello stesso corso. È invece incompleta (per una Scuola di alpinismo) la didattica che punti esclusivamente all’arrampicata su strutture spittate.

Aggiungo una riflessione finale: al grande tema dell’insegnamento sul corretto uso delle protezioni “mobili” si dovrebbero sistematicamente aggiungere, come fa la Scuola Gervasutti nel Corso Trad, altri due concetti a mio avviso fondamentali, purtroppo un po’ negletti da lungo tempo: saper chiodare correttamente e, udite udite, saper verificare i chiodi in loco. Parlo di chiodi tradizionali, non di spit.

Troppo spesso vedo in giro giovani virgulti, capaci di volteggiare sul 9z, ma che non sanno riconoscere “a vista” un chiodo marcio. Non parliamo poi del saper capire a vista che chiodo sia adatto da inserire nella fessura sprotetta che hai davanti al naso… In giro si osservano chiodi messi contro ogni logica, sia di corrispondenza con la roccia che li contorna sia con riferimento al più corretto scorrimento della corda.

Infine si dovrebbe tornar a a comprendere al volo quando un chiodo “canta” come Dio comanda mentre lo stai martellando…

Tutte piccole cose, a-b-c di spicciola quotidianità, ma rilevantissime per portare a casa la pelle.

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Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022 ultima modifica: 2022-12-27T05:48:00+01:00 da GognaBlog

118 pensieri su “Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022”

  1. Riva. Sei spietato. Visto il cognome pensavo fossi comasco come Davide Van de Fross (che vuol dire contrabbandiere). A proposito delle illusioni suggerisco la sua ballata del Genesio, un contrabbandiere della vita (ovviamente con sottotitoli in italiano). Le illusioni servono per campare e poi se togli le illusioni crolla l’editoria di montagna, con grave danno per chi ci lavora. Un lavoro onesto, impegnativo,  anche se non faticoso come la fabbrica. Scrivere un libro all’anno non è niente, il peggio sono le serate promo e l’assalto dei caiani e soprattutto delle caiane di una certa eta’. 😀 Buon 2003. 

  2. @ Pasini al 115. “Me ne frego!”. Detesto i ciarlatani e quelli che menano il can per l’aia. Essendo io di estradizione tennnica sostengo che fino alle 11:30 si può chiacchierare, ma a mezzogiorno (12:00) la polenta deve essere sul tavolo.

  3. Riva. Il tuo accostamento tra andare in fabbrica e andare per monti farà rizzare i capelli a qualcuno. Non certo a chi lo considera un obiettivo educativo della formazione alpinistica 😀 “La fine di un’illusione”. Tu vuoi uccidere la speranza.  Come dicono in Sabaudia : a l’e’ ben dur (se non ricordo male e’ anche il nome di una via).

  4. Prima di andare in palestra o in montagna ad arrampicare, alcuni vanno in fabbrica a lavorare, dove anche lì ci sono delle categorie e livelli che ci distinguono, per fortuna. Quindi di cosa ci meravigliamo se quella impostazione viene estesa giustamente ad altri campi?

  5. Pellegrini. Il fenomeno non mi meraviglia affatto. Anzi è una conferma. Accade in tutti i gruppi umani più o meno da sempre. Se questo comportamento individuale e colletttivo è stato selezionato e conservato dall’evoluzione ci saranno valide ragioni. Chi siamo noi per giudicare? E io me ne guardo bene dall’esprimere giudizi. Osservo e cerco di capire. 

  6. Placido. Eh si il bisogno di differenziarsi ad ogni costo e di misurarsi è una forza possente in noi umani. Chi fa la pipì più lontano nel mio gruppo?  Chi è il Capo o i capi e dove mi colloco io? E non basta: io sono diverso, appartengo al gruppo di quelli che la fanno con due mani, una mano, senza mani (il top) dal basso, dall’alto …..Membri di un gruppo e caporali, o sergenti, generali, pedoni….così funziona come aveva visto bene il principe De Curtis. 

  7. Cominetti: l’attinenza al trad è legata al fatto, come ho sottolineato, che trad non significa necessariamente alta difficoltà. Quindi si può salire trad anche la Gervasutti in Sbarua (VI-) costruendosi tutte le soste, e rinviando solamente i propri friend, ed evitando che questi escano al primo volo. Che poi il termine trad possa essere declinato come si vuole, non è cosa che mi riguarda nè mi interessa, ci mancherebbe.In Germania scalano a piedi nudi incastrando fettucce, figurati.
    Per tua informazione, il 9a (scala francese) in stile trad è stato proposto da Iacopo Larcher a Cadarese, e confermato da Pearson. Esiste anche un 9a+ trad, in America, sul lago Tahoe, in fessura, al momento non confermato.Tuttavia, come sai ancora meglio di me, la scala di difficoltà trad è completamente differente, e Tribe, a Cadarese, è una fessura ben proteggibile. Temo dunque che se gradata “trad” (e infatti non è stata gradata trad), Tribe scompaia al confronto di Black Bean, per dirne una. E questa è un’altra questione che spesso viene confusa: le fessure ben proteggibili, più consone allo stile europeo e americano, piuttosto che UK, per quanto difficili dal punto di vista tecnico, non lo saranno mai dal punto di vista emotivo, vista la facilità con cui, nelle fessure, si posiziona il materiale mobile. Fare una fessura di 8a (grado francese) proteggendola a friend è molto più facile che fare Gaia, solamente E8-6c scala trad.
     
    Pasini: come dicevano bene Regattin e Mastronzo, le regole ci sono ovunque, le classifiche anche, ed hanno soprattutto senso dove si possono quantificare e verificare (e, ovviamente, rispettare). Se ti pare strano un E9-7a, immagino che effetto possa farti il cronometro al centesimo sui 100 metri. Se per caso, Pasini, tu dovessi andare a vivere in Inghilterra, e continuare a scalare all’aperto, sono sicuro che questa “scala folkloristica ed autoreferenziale” la impareresti veloce, più che altro per sopravvivere. Io che in Inghilterra a vivere non andrò mai,  non mi interessa, ma apprezzo questo tratto (forse l’unico) della loro pragmaticità.Mi chiedo tuttavia come mai non hai chiesto, Pasini, a Gogna quale è il senso di ricordare a tutti noi, coi suoi bei racconti, dopo 40 anni, il numero e la tipologia di chiodi utilizzati per una salita, se è stata la prima, la seconda o la terza ripetizione, solitaria o no, in quante ore e minuti,  quando a controllare c’era solo lo spirito santo.
    Ed è qui, il grande Bardo direbbe, che c’è l’intoppo [cit].
     
    Grazie a dio, da anni mi occupo, per la mia personale felicità interiore, solo di arrampicata sportiva e su plastica, dove le chiacchiere stanno a zero, le regole ci sono, e vince chi arriva primo. Se la vuoi chiamare, in tal caso, auto-referenzialità, non te lo impedisco io, ma comunemente si chiama sport.

  8. Intervengo in punta di piedi solo per precisare che nel mondo CAI, in particolare nell’organizzazione didattica, le sigle rispondono a precise esigenze burocratico-amministrative. Non potrebbe essere diversamente, date le enormi dimensioni “umane” e l’estensione (teorica) dell’attività didattica CAI all’intero territorio nazionale. Tutti, iniziando dagli allievi “iscrivendi”, devono “sapere” di che tipo di corso si sta parlando. Esiste quindi una tabella dove a ogni sigla corrisponde un contenuto (del corso) e viceversa.  Allo stato attuale l’intero modello didattico è pianificato centralmente dalla CNSASA (Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo), anche attraverso la Scuola Centrale, che ne è l’organo tecnico e vanta oggi una quarantina di componenti, tutti titolati e molto esperti.
     
    Al momento, mio non “mastico” a menadito il linguaggio burocratico specifico dei corsi di alpinismo (del CAI), poiché è da un po’ che non faccio più parte dell’organico di una scuola di alpinismo (troppi interessi, qualche sacrificio lo devo fare, ho tenuto lo scialpinismo perché più profondamente affezionato) e quando facevo il Direttore dei Corsi di alpinismo della SUCAI Torino, la propensione alla burocrazia del CAI era ben lontana dagli attuali livelli.
     
    Per farmi capire, utilizzo quindi un esempio prettamente scialpinistico, sempre in termini di corsi CAI e relative sigle. I corsi codificati SA1 (scialpinismo introduzione) NON sono autorizzati a metter piede su ghiacciaio. Per andare su ghiacciaio occorre aver codificato il corso come SA2 (a maggior ragione se è un SA3, che ha standard tecnici ancora superiori). Di conseguenza se una Scuola ha chiesto a priori il nullaosta per un Corso SA1 e poi con tale corso va su ghiacciaio, esce dal seminato. La cosa non è da sottostimare, anzi: per esempio in caso di incidente, potrebbe non scattare la copertura assicurativa… Inoltre l’offerta didattica deve essere omogenea sull’intero territorio nazionale: un Corso SA1 ha lo stesso “contenuto” sia a Bressanone che a Trapani. Idem con patate per il resto.
     
    Ho la sensazione (per non dire la “certezza”…) che il valore “burocrtatico-organizzativo” le sigle valga anche per i Corsi organizzati dalla Scuole di alpinismo del CAI. Non potrebbe essere altrimenti, la ratio è omogena per l’intero modello didattico del CAI. Penso quindi che la sigla “trad” all’interno dell’universo burocratico del CAI NON ha nulla a che fare con il “trad” franco-britannico cui alcuni lettori hanno fatto riferimento. Una via di III grado NON attrezzata con protezioni fisse (spit, per capirci) è considerata terreno “trad”, nell’attuale burocratichese del CAI. Se ci sono in linea lettori che sono istruttori di alpinismo del CAI in essere (meglio se titolati), portino il loro contributo, ma credo proprio che sia così. Pertanto se proprio di “errore” si deve parlare nell’utilizzo della sigla “trad” (e lo contesto, perché la libertà organizzativa del CAI  prescinde dai trend arrampicatori), tale errore va ascritto alle autorità centrali della didattica CAI, non certo alla Scuola Gervasutti.
     
    Discorso diverso se sia piacevole o addirittura ributtante questo andazzo eccessivamente burocratico del CAI. Neppure a me piace da impazzire, è uno dei tanti risvolti che non amo particolarmente, ma sono convinto che esso derivi dal modello generale della società sicuritaria più che dalla volontà specifica del CAI. L’accenno che ho fatto, nelle righe soprastanti, alla delicatezza delle tematiche assicurative è rilevantissimo sul punto.
     
    In ogni caso vale il principio che se il CAI, nel suo complesso, non piace (per questo come per mille altri difetti), si può benissimo andare in montagna in modo autonomo, ovvero appoggiarsi ad altre strutture o, meglio ancora, alle GA. Non è il CAI che “deve” cambiare per piacere a chi lo detesta, sono questi soggetti che devono sapersi muovere per conto loro, senza preoccuparsi se il CAI sia perfetto o perfettibile. Ciao!

  9. Pasini (108): certo che sì!
    Si tratta di definizioni per “addetti ai lavori”.
    Ma questo, come ha già scritto Regattin, vale per qualunque altro ambito, compresi quelli “free” come le arti (vedi ad es. le differenze -più o meno chiare per chi non ne mastica- fra i generi musicali, o fra le correnti delle arti figurative o letterarie).

  10. Placido. Le differenze che tu indichi sono totalmente interne al gruppo dei praticanti. Differenziazioni “autoreferenziali” che viste dall’esterno appaiono incomprensibili e anche un po’ pedanti. La famosa scissione dell’atomo umano.  Così funziona. Si potrebbero fare altri esempi, in politica ad esempio. Soprattutto nei gruppi di “sinistra” 😀 

  11. Dice bene Umberto Pellegrini al commento 98 (non che Pellegrini abbia bisogno del mio endorsement): la differenza fondamentale fra arrampicata trad e “alpinismo come si è sempre fatto” è che nel trad le ascensioni “valide” sono solo quelle in arrampicata libera (secondo la definizione “sportiva” di quest’ultima, cioè l’arrampicata in cui le protezioni NON vengono usate per progredire o riposarsi).
    Un’altra differenza con “l’alpinismo come si è sempre fatto” è che nel trad è “valida” non solo la pulizia preventiva del tiro, ma sono anche permessi dei tentativi protetti con la corda dall’alto (orrore!) prima della  salita definitiva da primo di cordata.
    Il fatto che da noi in Italia il trad venga praticato prevalentemente in fessura è solo una questione di disponibilità del terreno di gioco.

  12. Regattin. Sono d’accordo. Il mondo della montagna non fa eccezione rispetto ad altri gruppi, anche se a volte ne viene rivendicata la “diversità” dai suoi membri, ogni tanto con qualche esagerazione, ma lo fanno anche altri, ad esempio quelli che vanno per mare e dunque non siamo i soli. Ti seguo su questa strada e provo a proporre un’ipotesi alla discussione. Nei gruppi umani è forte la tendenza a differenziarsi dagli altri e a stabilire una gerarchia interna basata su una qualche forma di graduatoria. In passato il gruppo dei montagnardi era più compatto e bastava un’unica “maglietta” per tutti, più o meno. Anche la “gerarchia” si basava su una scala più semplice. Oggi il “gruppone” si è segmentato in sottogruppi e la prestazione è diventata più specifica, assumendo forme diverse, alcune praticate a volte modo esclusivo, anche se ci sono delle pratiche trasversali. Di qui la spinta dei sottogruppi a etichette diverse per differenziarsi rispetto agli altri e a sistemi specifici di “gradazione” che definiscono una “gerarchia” interna. Poi sopra queste tendenze tipiche dei gruppi si aggiungono le mode e gli interessi di business. Per assurdo, penso che si diffondesse su vasta scala il free solo sono abbastanza convinto che dopo un po’ si segmenterebbe in sottogruppi ognuno con la sua maglietta: chi lo fa a vista, chi preparandolo prima, chi con una mano legata…..e probabilmente ciascuno con una sua forma di “gerarchia” interna.

  13. Nulla da eccepire su quanto dice Pellegrini sul trad britannico ma non credo che ci sia attinenza con gli intenti di cui all’articolo in questione.
    Il trad nostrano, da quel che vedo, risiede più nel saper mettere un nut che non venga via in caso di caduta, che nelle prestazioni di un pugno di super atleti che il più delle volte provano in top rope la via che poi saliranno da primi e dove le protezioni sono quasi sempre già state posizionate. Prima di chiudere con l’aspetto tecnico d’oltremanica mi sembra che nessuno abbia salito clean un grado 9 (scala francese) mettendosi le protezioni. I britannici a casa loro hanno un terreno verticale estremamente limitato ed è normale (e saggio) che lo tengano come l’oro codificando prestazioni, anche assolute ed eticamente estreme, in maniera così fine a se stessa. Salvo poi affollare Arco e Finale per divertirsi con meno stress, come tutti i mortali e in gran quantità. 
    Alla falesia di Cadarese, tempio del trad nostrano, a quanto ne so, si usa la scala francese, così come in valle dell’Orco dove le vie sono multipitch.
    In valle dell’Adige e al Renon, in provincia di Bolzano, ci sono alte pareti e falesie di porfido splendide, totalmente spittate dove ognuno è libero di salire le vie in stile trad, ovvero senza usare gli spit o fare un minestrone misto a seconda degli stimoli anali.
    Da qui si vede che i sudtirolesi sono, nonostante tutto, italiani. 
    Insomma, torno a ripetere che mi sembra che nella pratica l’arrampicata trad in Italia non sia stata inventata da quando questo termine è in uso e che in un era di consumisti estremi un po’ insicuri come questa che stiamo vivendo, comprarsi un sacco di attrezzatura costosa per fare vie che spesso ne richiedono molto poca, sia un bel modo per soddisfarsi a buon mercato. E che il Cai e molti miei colleghi lo insegnino pure, mi sembra decisamente al passo coi tempi.
    La felicità, però,  è un’altra cosa.

  14. 102. Non capisco perché l’ambiente dell’arrampicata, nel caso specifico del trad (qualsiasi cosa voglia dire questo termine), dovrebbe differenziarsi in questo ambito da altre attività umane, sportive e non. Questa pseudo motivazione del trovarla un’attività “free” non regge, rispetto al bisogno dell’essere umano di stilare classifiche su tutto quanto esista al mondo, dal panettone ai 100 metri piani. Di conseguenza per me il problema non si pone (a proposito di classifiche, scopro oggi che la cucina italiana è la migliore del mondo, e allora, di cosa ci lamentiamo! 🙂 )
     

  15. Mi riferivo a Bertoncelli non a Benassi, che propone un’ipotesi “aggrapparsi a qualcosa” e le contese tra “religioni”. È un indizio da approfondire. 

  16. 100. Bingo. La tua è una valutazione più che una riflessione. Se è così pervasiva questa spinta a classificare, gradare, misurare, denominare, confrontare, stabilre graduatorie anche in un ambiente che sulla carta dovrebbe essere più “free” vuol dire qualcosa e ci sono probabilmente delle spinte di vario genere sotto. Mi pare se ne fosse parlato in passato ma il tema è riaffiorato con questa contesa un po’ teologica sul trad. 

  17. Fabio hai riflettuto bene. Purtroppo tutte queste regole e sigle sono avvilenti. Del resto l’uomo ha inventato le religioni. Deve pur aggrapparsi a qualcosa. 

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