Il caso austriaco di Dobratsch fa scuola: cambiamenti climatici e costi esorbitanti dell’innevamento artificiale impongono un ripensamento del turismo invernale. Molte “nuove” discipline attirano proseliti.
Ciaspole, trekking e freeride
Turismo bianco, futuro nero – 14 (14-17)
di Emanuele Isonio
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)
Il confine italiano, attraverso il valico di Coccau che unisce il Friuli Venezia Giulia con la Carinzia austriaca è a una manciata di chilometri. Non lontano dalla città di Villach, sorge il Parco Naturale di Dobratsch. Per chi ama la montagna libera dal giogo del tradizionale sci alpino, un punto di riferimento. Per chi vuole dimostrare che il turismo invernale si può fare anche senza opere ad alto impatto e ingenti investimenti pubblici, anche.

Dalle miniere allo sci alle ciaspole
L’area del Dobratsch infatti è stata per decenni sfruttata dall’industria mineraria. A partire dagli anni ’80 del XX secolo, si è fatta avanti l’esigenza di trovare un nuovo modo di utilizzarla. Per qualche anno, c’era in funzione un comprensorio sciistico, ma di dimensioni ridotte e con troppo pochi impianti per attirare gli appetiti degli sciatori più esigenti. Inoltre, l’innevamento artificiale, anche prima che gli impatti dei cambiamenti climatici si facessero più forti, non era permesso: nell’area infatti sono presenti numerose fonti che vanno poi a fornire acqua potabile alla regione e acque termali ai centri vicini. Erano quindi necessarie idee alternative. Nel 2002, il governo locale approvò quindi il progetto di Parco naturale, il primo della Carinzia.

Una scelta coraggiosa che ha riscosso consensi inimmaginabili. Da quel momento, non solo d’estate, ma anche d’inverno, il Parco del Monte Dobratsch si è trasformato in un centro nevralgico per gli sport invernali a impatto zero. Sci alpinismo, freeride, trekking, ciaspole (che, un po’ sfrontatamente, spesso calcano i tracciati delle vecchie piste sciistiche). La “via alpina” Alpenstrasse di Villach è così diventata il punto di partenza strategica per escursioni di ogni tipo (e un viatico per un buon indotto economico). Per Dobratsch e le sue strutture ricettive, una seconda opportunità, ben più florida della prima e decisamente più attenta alle esigenze ambientali e di biodiversità.

La linea è tracciata
Ma quello di Dobratsch, per quanto paradigmatico, non è un esempio singolo. Le discipline diverse dallo sci alpino stanno infatti prendendo sempre più piede, anno dopo anno. Trovare una sola causa è fatica di Sisifo: nel cambio, incidono senz’altro i costi sempre più alti di attrezzatura e ski pass, la maggiore attenzione ambientale dei turisti, l’accresciuta esigenza di costruirsi vacanze che permettano davvero di andare via dalla pazza folla e riconnettersi alla natura (cosa che le piste da sci, spesso affollatissime, non consentono).
Il trend è segnato. Lo confermano anche i produttori di materiali sportivi: «La quota dello scialpinismo sul totale di quanti vanno in montagna rappresenta oggi circa il 15% su scala mondiale, con oltre 3,1 milioni di paia di sci da alpinismo venduti ogni anno. Ma il dato più interessante è che si prevede, entro 5/7 anni, un incremento che porterà lo scialpinismo a superare il 50% del totale del mercato della neve» prevede Reiner Gerstner, per oltre dodici anni direttore marketing del gruppo Oberalp (che produce tra gli altri i marchi Salewa e Dynafit).

Lo scialpinismo, che consiste nel salire percorsi innevati con le “pelli di foca” (strisce di materiale sintetico peloso che si applicano sotto la soletta degli sci e consentono di procedere in salita con gli attrezzi ai piedi senza scivolare all’indietro), senza l’ausilio di impianti di risalita, lontano dal caos delle piste, “annusando” le atmosfere più autentiche dell’ambiente montano anche attraverso la fatica del gesto fisico, sta crescendo. Le gite più classiche e comode sono frequentate da molte decine di persone ogni weekend.
Le “altre” discipline coinvolgono un turista su 4
Ovviamente il cambio di passo (e di sport) non avviene da un momento all’altro. Ma che il vento stia cambiando è nei numeri. «Lo sci da discesa continua a essere lo sport invernale più praticato» spiega il tradizionale rapporto Skipass Panorama Turismo. Incide, tuttora, per il 59% dell’interno sistema sportivo sulla neve italiano, cui si aggiunge il 13% di snowboarder. Ma è interessante che chi usa le ciaspole sia pari all’11% del totale. Freestyle, scialpinismo, sci di fondo insieme, incidono per quasi il 13%.

Peraltro, spiegano gli analisti dell’Osservatorio Italiano Turismo Montano, i dati sui fan delle “nuove” discipline potrebbero essere sottostimati. Ad esempio, «riguardo all’escursionismo con le ciaspole, i dati sono più difficili da censire proprio perché è un’attività che piace soprattutto a famiglie e adulti che spesso non hanno esperienza con gli sci. Per praticarla non servono impianti ma un’attrezzatura semplice e soprattutto la voglia di passare qualche ora sulla neve naturale in sicurezza».
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La strada corretta, come sempre, è quella del buon senso e della giusta misura…
Credo che le nuove discipline rappresentino un’elemento positivo ma occorre comunque vigilare sulla loro pratica e sopratutto agire nella direzione di sensibilizzare adeguatamente chi vi si dedica.
Di pari passo non bisogna demonizzare a prescindere lo sci alpino che dovrebbe continuare ad essere praticato con una logica però non più espansiva. Quindi basta inutili ampliamenti dei comprensori ai danni del paesaggio e dell’ambiente ma piuttosto conversione degli stessi in luoghi dove potersi magari avvicinare alle nuove discipline e praticarle con maggior comodità e sicurezza… Se pensiamo al successo di quelle località che propongono lo sci su piste non battute…si potrebbe viceversa arrivare addirittura a concepire località dove impianti per salire non ce ne sono (si sale con le pelli) ma si scende su piste battute… La nuova realtà apre per fortuna a mille soluzioni possibili, occorre solo avere l’intelligenza e la lungimiranza per saperle cogliere e indirizzare!!
Mi aspettavo un Crovella diverso
Non lo dice nessuno? Allora lo dico io
Un +200% dei praticanti scialpinismo in 10 anni mi sembra drammatico, una catastrofe. Crovella, pensi quanti di questi potrebbero essere cannibali.In ogni caso, una pressione antropica insostenibile, già ora su moltissime classiche è praticamente impossibile fare non dico una prima traccia, ma anche solo trovare angolini di polvere, anche andando in settimana, lo sapete tutti. Habitat naturali rifugio di specie rare e la cui sopravvivenza è già in pericolo non possono sopportare il costante passaggio di scialpinisti. In francia recintano scampoli di bosco per il gallo forcello, la gente sembra rispettarli, ma è ridicolo, un’ipocrisia. Per non parlare delle problematiche legate al soccorso. Uno sport gravato da rischi imponderabili come le valanghe non può diventare di massa senza ripensare il soccorso almeno in italia e avvicinarsi al modello di altri paesi. Temo che la pressione antropica esercitata da un singolo scialpinista che gira ovunque tutti i weekend in un posto diverso sia maggiore rispetto a uno sciatore classico che rimane su pista o al limite fa freeride senza allontanarsi troppo dagli impianti. Il rischio poi è che chi ha i capitali da muovere si accorga che anche cambiando le mode e le attività e abbandonando gli impianti permangono immutate le possibilità di lucrare nel settore che veramente ha trainato lo sviluppo delle grandi stazioni sciistiche a partire dagli anni ’70 e portato i veri guadagni per gli investitori, l’immobiliare. I 20-30enni che iniziano a fare scialpinismo ora magari fra 10 o 20 anni potranno volersi comprare la casetta in montagna, e non vorranno certo farlo in un centro dello ski total con palazzoni dormitorio. Vogliamo veder spuntare giungle di villette tutte uguali nelle poche valli alpine ancora relativamente preservate?Una conversione totale alle “nuove” discipline invernali NON è auspicabile. Gli impianti devono continuare a esistere e a costituire una gabbia dove la grande maggioranza possa sfogarsi senza fare troppi danni, magari con l’illusione di fare qualcosa di slow, alternativo ed a contatto con la natura con la ciaspolata sotto la seggiovia o la pellata (con la guida…) nella valle accanto agli impianti. Eventualmente alzando la quota progressivamente per sfuggire al riscaldamento. Le nuove location e le nuove infrastrutture NON devono sorgere. Le stazioni sciistiche fallite andrebbero lasciate al loro abbandono e mi spiace per la gente che ci viveva.
Dimenticavo: freestyle e freeride si fanno utilizzando gli impianti e, nel caso del freeride, le pelli per brevi tratti, visto il peso dell’attrezzatura.
L’articolo sembra scritto da chi sa maneggiare dati e tabelle ma ha poca dimestichezza con l’argomento. Almeno questa è l’impressione che ho avuto.
Ciaspe e scialpinismo si possono fare partendo da qualsiasi stazione sciistica. La stessa stazione cercherà di proporre quelle attività che rendono maggiormente, come lo sci alpino, appunto.Non che sia d’accordo, ma se mi guardo intorno, dalle mie parti (sellaronda) eventuali guadagni provenienti da scialpinismo e ciaspe (chiamarle ciaspole mi fa ricordare le caccole del naso) sono ridicoli se paragonati agli introiti dello sci sulle piste nonostante gli alti costi di gestione degli impianti e di tutta la baracca. Indietro non si torna, a meno che non ci siano 20 gradi a Gennaio che, per quanto le temperature si alzino sempre più, fin’ora non ci sono.
Nell’articolo si parla di “ciaspole in sicurezza”: è una cazzata.
Pratico da anni lo sci alpino, non vedo ultimamente il pienone anni 90. Sciatori esasperati e costi sempre in aumento. Minori uscite. In alternativa mi piace molto ciaspolare. Ambiente tranquillo, silenzioso, vero contatto con la natura anche a due passi da casa
Tabelle interessanti però vorrei che contenessero anche una valutazione economica dei trend. Ad esempio: a fronte di un aumento lento ma costante dei praticanti di sci e snownboard, corrisponde anche un aumento di spesa o invece, ad esempio, diminuiscono le giornate di sci pro capite per cui comunque vi è una contrazione del business ?
Ad esempio, nella mia cerchia di conoscenti, assisto ad una progressiva riduzione delle giornate sci alpino ed ad un incremento di quelle dedicate allo sci alpinismo. Io stesso quest’anno per la prima volta non farò lo stagionale e mi limiterò ad acquistare ogni tanto gli ski pass giornalieri, e così faranno molti amici.
Sono (purtroppo!) totalmente d’accordo con Carlo. La tabella di Skipass Panorama evidenzia infatti che gli sciatori da stazione (sci alpino + snowboard) in Italia continuano ad aumentare (+ 12,48 % negli ultimi 10 anni), segno che il sistema, malgrado gli aumenti dei prezzi, la penuria di neve, ecc…, tiene. I forti aumenti dello scialpinismo ci sono (+180% negli ultimi 10 anni) ma bisogna tener conto che si parte da numeri molto bassi. In Italia poi mi sembra manchi del tutto, sia da parte dell’offerta che della domanda, la mentalità adatta per far cambiare qualcosa. In meglio ovviamente, non in peggio come mi sembra stia avvenendo. Purtroppo non solo con riferimento al turismo invernale. Scusate i troppi “purtroppo” ma per me è così.
Il tema del turismo alpino “nuovo” (sia innevato che estivo) mi è molto caro. Che poi si tratti di cose del tutto “nuove” è perfino discutibile: spesso è la riscoperta (o, meglio, la scoperta da parte del grande pubblico) di attività tradizionali (esempio eclatante: ciaspole). Però, a differenza dell’Europa a Nord delle Alpi, il grande pubblico italiano non è ancora pronto, purtroppo. Siamo in una fase di acculturamento. Fase che procede, ma con i tipici tempi italiani, praticamente biblici. Nel momento in cui la domanda dei turisti “chiederà” a gran voce location per il turismo “sweet”, allora tutto cambierà radicalmente. Il punto chiave è che tali location non si creano dalla sera alla mattina, neppure mutuandole da “vecchie” stazioni sciistiche. Una classe politica illuminata dovrebbe già iniziare a cambiare le infrastrutture per farle trovare pronte quando evolverà in tale direzione la domanda turistica. Pensate forse che accadrà mai in Italia? Io penso di no. Ma non dò la colpa ai politici, locali o nazionali. E’ colpa della mentalità italiana nel suo complesso. I politici sono quelli che votiamo noi e quindi sono l’espressione degli interessi prevalenti nell’elettorato. Forse fra qualche decennio l’opinione pubblica italiana sarà sensibile al turismo sweet invernale e lo esprimerà, oltre che con una domanda “commerciale” in tale direzione, votando per candidati che si impegneranno in tal senso. Arriveremo in tempo? Speriamo. Quello che possiamo fare è battere e ribattere i concetti, auspicando che piano piano si concretizzino in una adeguata opinione pubblica.