Ghiacciai alpini in ritirata. Lo certificano immagini e rilievi dei glaciologi. E sul Presena, l’università di Trento sperimenta dei teli geotessili per frenare il fenomeno.
La sfida dei teloni per salvare i ghiacciai in agonia
Turismo bianco, futuro nero – 17 (17-17)
di Corrado Fontana
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)
I dati non mancano e le campagne di sensibilizzazione neppure, ma ormai si vede a occhio nudo, di anno in anno: i principali ghiacciai italiani e del mondo si stanno ritirando. Secondo Legambiente, ne sarebbero già scomparsi sulle Alpi circa 200 negli ultimi decenni. Il processo avviene a tale velocità che se ne accorge sia chi abita nelle zone in cui si sono formati sia gli habitué delle escursioni in montagna. Nonostante l’altitudine, le condizioni certificate del surriscaldamento globale sono devastanti, anche per queste preziose riserve di acqua dolce.
«Gli ultimi anni (dal 2015 al 2018) sono stati confermati come i quattro anni più caldi mai registrati sul pianeta Terra da quando si effettuano rilevazioni sistematiche» ricorda il rapporto Nevediversa 2019. Non solo: «il cambiamento climatico risulta più rapido nelle zone montuose rispetto a quelle pianeggianti: ogni grado centigrado in più registrato nelle terre emerse infatti corrisponde a un +2° sulle Alpi».
La fusione del ghiacciaio Fellaria, in Valmalenco, sulle Alpi Orobie
A descrivere il fenomeno, meglio che la terminologia scientifica sull’argomento, sono innanzitutto le immagini. Ad esempio quelle girate e montate in un timelapse dal Servizio glaciologico lombardo «che, forse per la prima volta, mostra in modo molto chiaro ed evidente cosa significhi perdere 6.45 metri di spessore di ghiaccio in una sola estate, l’altezza di una casa a due piani». Nelle riprese si vede infatti la fronte orientale del ghiacciaio di Fellaria-Palù (gruppo del Bernina), uno dei maggiori delle Alpi meridionali, e gli effetti durante la terza estate più calda nelle Alpi centrali da metà Ottocento, acuiti dal contatto con le acque del lago.
Dalle foto alle spedizioni: ghiacciai alpini dimezzati in un secolo
Il video rappresenta in modo spettacolare la vita quotidiana dei nostri ghiacciai e quello che può succedere in pochi mesi. Una prova visiva di quanto denunciano gli studi sui mutamenti di medio e lungo periodo. Come quelli che il progetto Ghiacciai di una volta, presentato nel 2013 dal MUSE – museo delle Scienze di Trento, ha documentato, a partire dal confronto tra 173 fotografie scattate da 70 autori differenti a distanza di decenni. Una rappresentazione plastica di variazioni che fa dire ai curatori che, in un secolo, l’estensione dei ghiacciai alpini si è quasi dimezzata.
Il lavoro di meteorologi e glaciologi è essenziale per documentare il dramma che la crisi climatica genera in vetta. Tanto più se parliamo di progetti di rilevazione, analisi e divulgazione di portata internazionale come Sulle tracce dei ghiacciai, diretto dal fotografo ambientalista Fabiano Ventura. Il progetto, iniziato nel 2009 con una spedizione sul massiccio del Karakorum, sull’Himalaya, e passato per diverse altre missioni e si dedica nel 2020 a verificare lo stato di salute dei ghiacciai alpini. Il viaggio mira a compiere una diagnosi complessiva e aggiornata: purtroppo, dai primi passi condotti sul Ghiacciaio di Pré de Bar, al fondo della Val Ferret, nel massiccio del Monte Bianco, in Valle d’Aosta, non si evidenziano grandi segni di guarigione.
Ghiacciaio Ciardoney: mezzo km di ampiezza perso in meno di 30 anni
In attesa della fine della spedizione di Ventura, un’altra indagine – stavolta condotta da Luca Mercalli con la Società Meteorologica Italiana, si concentra sul Ghiacciaio Ciardoney, nella catena del Gran Paradiso, in Valle d’Aosta. Anche qui il bilancio è di nuovo negativo: -1,65 metri di acqua equivalente, cioè la riduzione media di spessore. La perdita è tanto più preoccupante perché più accentuata della già sfavorevole media dei 27 anni di osservazione precedenti (-1,32 metri). Tradotto: il quadro clinico decretato per il 2019 sul 2018 è in peggioramento, confermando il trend che, in questi quasi trenta anni di rilievi, ha registrato per il Ciardoney un bilancio cumulato complessivo di ben -37,3 metri.
Ma non è tutto. Mentre il ghiacciaio si assottiglia, anche il ritiro complessivo aumenta. Con l’ultimo vistoso regresso frontale (-8 metri) rilevato, la riduzione dell’estensione dal 1971 a oggi ha raggiunto i 467 metri. Se non bastassero i numeri, ci sono le foto scattate in vetta tra il 1986 e il 2019 durante le spedizioni di Mercalli e Fulvio Fornengo a testimoniare che «la trasformazione dell’ambiente locale, in oltre trent’anni di regolari campagne glaciologiche di fine estate, è stata impressionante. In questo lasso di tempo la fronte si è ritirata di 400 metri e la superficie glaciale si è abbassata di circa 60 metri nel settore inferiore».
Presena sotto un telo
Dinamica simile per il Ghiacciaio Presena (a circa 3000 metri di altitudine). Ma qui si stanno facendo importanti investimenti economici per salvare il ghiacciaio. D’altro canto siamo nell’ambito di una nota stazione sciistica (l’area fa parte del comprensorio Pontedilegno-Tonale, 100 chilometri di piste tra Trentino e Lombardia). Tra 2014 e 2016 si sono spesi 14 milioni di euro per riqualificare e razionalizzare le strutture in funzione delle migliaia di turisti che si recano sul ghiacciaio per sciare, fin dai primi anni Settanta.
In quell’epoca, si sciava sul ghiacciaio sia d’inverno sia d’estate. Oggi, ci si ferma da giugno fino alla prima nevicata autunnale. Ma «rimane d’importanza vitale poter aprire al pubblico le piste in perfetta efficienza per gli sciatori», precisa in uno studio di impatto ambientale commissionato dalla società di gestione Carosello Tonale. Quindi, largo alle possibili soluzioni. Quella più concreta si basa su teloni geotessili.
«L’idea dei teloni è nata a partire da un programma sperimentale con l’università di Trento – spiega il presidente di Carosello Tonale Davide Panizza – per ridurre o comunque diminuire l’ablazione. Hanno la funzione di mantenere una temperatura inferiore al di sotto, riflettendo la luce solare e riducendo così la temperatura della neve: li stiamo applicando dal 2008 e stanno dando ottimi risultati». (Questa affermazione non è esatta. Già nell’estate 1999 erano stati fatti i primi esperimenti di copertura del ghiacciaio del Presena, continuati gli anni successivi. Vedi tre foto qui sotto, NdR) Uno sforzo che non impedisce al ghiacciaio di regredire, ma grazie all’innevamento programmato durante l’inverno e alla copertura coi teloni durante i mesi estivi, viene almeno rallentata.
Un investimento da 400mila euro l’anno (per ora)
A che prezzo si continua a sciare sul Presena? Panizza, non nasconde che «sono aumentate moltissimo le spese economiche per l’innevamento programmato invernale. I teli stessi e poi la loro stesura e, in autunno, la rimozione hanno un costo notevole di macchinari, di manodopera e questa spesa sta diventando pian piano sempre più importante. Quasi insostenibile».
Un peso da aggiungere a quello collettivo dei costi del climate change, e solo in parte mitigato dai risultati positivi del sistema. La differenza tra dove vengono posati i teli e dove non vengono posati, soprattutto nella parte inferiore del ghiacciaio, è infatti intorno ai 3-3,5 metri di spessore di neve in più. Mentre dove la neve non viene coperta si scioglie completamente, e a quel punto inizia a fondersi il ghiaccio. «Il problema – conclude Panizza – è che si tratta di un processo esponenziale, una volta che viene intaccato il ghiaccio: ogni anno si scioglie sempre più neve, e si scioglie sempre più ghiaccio».
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Volendo ci sono pur sempre le piste artificiali, del colore prescelto…collocabili anche su pendii a bassa quota. Gestibili anche tutto l’anno e magari ci si piazzano impiantini di risalita obsoleti tipo seggiovie monoposto…smontate da altre zone sciistiche fallimentari .
I teloni isolanti per i ghiacciai sono un’aberrazione, ancor di piú se il tutto viene fatto al solo scopo di favorire lo sci pistaiolo.
È l’apoteosi del consumismo e della beffa ambientale.
Soprattutto per qualcosa che non funzionerà…
Certo che spendere 133000€ in energia (fossile) e 50000€ di teli abbandonati sulla morena mi pare proprio una strategia vincente…
Annotazione di colore: la cosa che più mi dispiace di questo maledetto fenomeno è che è sparita la coda di volpe del Ghiacciaio di Pré de Bar in Val Ferret (vedi foto). Sia per la bellezza estetica del fenomeno naturale, sia perché lì sopra negli anni ho organizzato un sacco di aggiornamenti tecnica di ghiaccio per istruttori e allievi del corso avanzato… Da fine ’70 a metà’90 la coda era ancora esistente, non così pronunciata come nella foto del 1921, ma si “vedeva” e ci si poteva salire sopra in ramponi. Ora solo morena: mi sono sentito vecchio., sigh!
Ottimo articolo.
Con Ventura avremmo dovuto impostare un progetto per i bambini, ho parlato piacevolissimamente con lui prima del Lock down.
Mentre Mercalli, che stimo oltremisura come metereologo e divulgatore, ha espresso delle idee sul ripopolamento delle montagne che definirei “classiste”. Ci sono rimasto male.
Io ad esempio non sembrerei appartenere alla classe sociale giusta…