Verdon: la nascita di un mito – 2

Verdon: la nascita di un mito – 2
a cura di Carlo Crovella
Traduzione dei testi francesi di Agnes Dijaux

Grimpeur sous influence – 2
(Arrampicatore sotto effetto – 2)
di Jean-Marc Marco Troussier
(pubblicato su Vertical, ottobre-dicembre 1988)

All’epoca ero un fanatico del presentatore televisivo Michel Foucault e in particolare adoravo il suo libro Surveiller et Punir dove spiegava e smontava in modo magistrale il potere nelle carceri. La linea era evidente, il titolo era già trovato, mi ci sono volute varie sessioni per attrezzarla e un po’ più tempo per liberarla. Ho saputo un giorno che Bachar l’aveva scalata in moulinette. Avendo aperto la via, sentii che c’era un filone da sfruttare in quanto la roccia pareva quasi scolpita. Altre belle linee vennero alla luce sotto i miei colpi e quelli di altri, anche se avevo fatto di tutto perché non rimanesse niente su questa placca…

La “Vertical girl” dell’ottobre 1988 “façon Gorges profondes au Verdon“. Foto: Philippe Royer.

Pschitt aveva occhio per scovare nuove vie e ha avuto per primo delle idee molto stravaganti. Aveva chiodato nelle Gorges, su grandi pareti logiche, ma anche fuori dalle Gorges e su tratti di pareti illogiche! C’era poi Miroir du Fou, e fu forse calandosi da lì che Patrick Edlinger individuò il muro di Sale temps. Questa via era già chiodata quando andai a vedere un altro muro con Philippe Macle. Anche Philippe aveva un buon colpo d’occhio e aveva notato questo piccolo angolo diventato poi Septième Saut.

Ogni anno tornavo, e avevo in testa qualche altro muro da scoprire; però rimanevo stupito che nella nuova guida mancasse ancora una falesia del canyon facilmente avvistabile dalla strada delle Crêtes.

A volte bastava buttare una corda in un angolo mezzo nascosto per fare nascere un bel tiro o una grande via.

Stephane Troussier nella prima ascensione di Mandarin Merveilleux, 1980. Foto: Marco Troussier.

Penso che una parte del cervello umano ragioni come i rettili; è una parte della corteccia celebrale che garantisce il funzionamento dei nostri organi senza l’intervento della volontà. Chi scala molto acquisisce certi automatismi, eppure la sensazione del grande vuoto rimane quasi sempre un nemico piazzato in fondo al corpo, che tende a parassitare ogni decisione e movimento. Scalando spesso nelle Gorges si finisce per adottare i criteri del vuoto. Alcuni non lo sopportano e avranno sempre una fitta al cuore davanti a una sosta sospesa nel vuoto dove lo spit sembra troppo piccolo, la corda troppo lasca e le mani troppo sudate, o davanti ai primi movimenti di Bombé o di Liquore di Coco. Per alcuni la testa non c’è più.

Jacques Perrier all’anagrafe, ma Pschitt per il mondo dell’arrampicata. Un tipo diventato rapidamente molto pericoloso nelle Gorges. Il primo ad aver fatto un sacco di cose e alcune delle quali estreme. Nel ’76 apre con Steph Troussier Nécronomicon. Partono dal basso col chiodo tra i denti, il tiro è un classico per l’epoca, ma praticamente senza nessuna fessura. Sarà lui per primo ad avvistare le linee calandosi dall’alto, per poi attrezzarle, alle volte anche dal basso. Pichenibule e Gwendal sono veri capolavori. Attrezzerà il primo mono-tiro nelle Gorges, Troisième Ciel, ma anche al di fuori con il Miroir du Fou. Praticava l’arrampicata in artificiale con piacere ed è stato l’autore di una delle prime ripetizioni della Paroi Rouge. Adorava la fantascienza, ed è sua anche Cthulu, la via che John Bachar ha annoverato tra i tiri più incredibili che avesse mai scalato. Pschitt trascorreva intere giornate nelle Gorges e ha anche scalato la Demande in ciabatte! E’ stato la prima guida a tentare di lavorare nel Verdon, prima che l’arrampicata diventasse cosi famosa. Aveva anche tentato di buttare un occhio sul primo 8b delle Gorges, senza però osare attrezzarlo; infine è sempre lui che, insieme ad altri, andò a riscoprire les Spécialistes (du Bras de fer, il vero nome per intero), un ex 8c, in occasione delle riprese del film con Bernard Giradeau e Gérard Lanvin.

Stephane Troussier. Foto: Robert Exertier.

Dal primo giorno in cui ho visto glispecialisti” del Verdon come Gorgeon, Nosley e Pepsi, e ogni volta che ci sono tornato, ho sempre avuto l’occasione di incontrare dei fuori classe. Pensiamo a Patrick Bérhault che ha arrampicato prima di tutto nelle Gorges con le “super guida” (i mitici scarponi Dolomite, NdR) e che non era affatto dispiaciuto visto che ha salito con loro tutte le vie classiche. Fortunatamente dagli anni d’oro del ’79-’80-’81, quando riuscì ad imporsi in tutte le discipline alpinistiche dalla roccia al ghiaccio, non mollò più le scarpette. Le sue vie in solitaria ci sembravano smisurate all’epoca. Molto peggio di quelle che fece Edlinger in seguito. Era l’inizio della libera e fare Luna Bong in solitaria, la Demande arrampicando e disarrampicando, poi l’Orni, salita e discesa, era veramente qualcosa di incredibile.

Il suo ultimo colpo magico è stato il Bombément di Pichenibule in libera. Güllich era venuto nel ’79 e, dopo averlo incontrato all’uscita della via, aveva rivelato “che era fattibile”; il suo compagno di cordata mi aveva appena confessato che aveva chiuso un 5.12 negli States. Per Bérhault divenne quasi un chiodo fisso e, anche se Jean-Pierre Bouvier aveva già scalato Chimpanzodrome (che Droyer avrebbe voluto chiamare Bérhault Stakano), c’erano comunque 200 metri sotto i piedi da gestire. Bérhault era già allora un fuggitivo oppresso dalla folla e appena realizzò il suo traguardo, sparì.

Jacques Pschitt Perrier. Foto: Marco Troussier.

Edlinger aveva appena attrezzato due mono-tiri. Il muro di Sale Temps, che ci invitava assurdamente a mimarne la forma, molto molto liscia, e Papy on Sight, in omaggio a Pschitt che di colpo si era votato esclusivamente alla scalata “a vista”. Come al solito Patrick non aveva fretta di scalare queste linee; era finalmente riuscito a concatenare da secondo i movimenti di Papy, e siccome la faccenda si faceva seria, aveva lasciato perdere, non senza aver prima permesso al giovane Antoine Le Ménestrel di tentare Sale Temps. Sospetto che Patrick non credesse che Antoine sarebbe stato capace di una simile conquista. E invece dopo una settimana l’aveva chiusa, e anche bene. Il primo 8a era nato, anche se poi sarà sgradato.

Credo che racconterò ai miei nipoti di quella volta memorabile in cui Jerry Moffatt fece quel tentativo inverosimile a vista su Papy. Ricordo che fallì mentre tentava di raggiungere l’ultima presa, ma che comunque chiuse il tiro dieci minuti dopo. Jerry avrebbe fatto parlare di se’…

Didier Raboutou, che non era ancora il fantastico scalatore da competizione che conosciamo, ha semplicemente introdotto i due primi 8a nelle Gorges! In compagnia di Bruno Potié ne ha anche scavato le prime prese. Ma Mijo aveva davvero bisogno di questa presa in più? Forse. Potié era scatenato e scopriva ogni giorno un nuovo obbrobrio, naturale o no.

Cordata su Nécronomicon. Foto: Marco Troussier.

Jean-Baptiste JiBé Tribout ha senza dubbio introdotto i primi 8b, ma il suo primo 8c è stato giustamente molto contestato. La disputa che ha opposto Tribout ed Edlinger sarebbe forse passata inosservata se avesse riguardato solo la gradazione. Capita spesso di veder sgradare una via e chi lo fa è sempre visto male da chi lo subisce. L’inflazione vale più della svalutazione? Avendo avuto modo di parlarne con tutti e due separatamente, mi sono stupito del fatto che entrambi in mala fede non credevano che l’altro fosse capace di aver chiuso davvero la via!

A volte con mio fratello ci chiediamo se il Verdon non sia più divertente oggi di quanto non lo fosse quando lo frequentavamo assiduamente. Io pensavo di sì mentre lui giustamente no! Ho sempre pensato che il Verdon sarebbe stato per me indispensabile, per la sua roccia unica, la sua atmosfera pacifica e il suo ambiente caratteristico. Si andava nel Verdon come si va a vedere il mare per la prima volta. Tutto è stupefacente e diventa magico. Eravamo come fratelli e l’ambiente caloroso; oggi rischierei di essere anonimo e distaccato. Avrei troppa paura della folla che piano piano ha invaso le Gorges e i campeggi: come si può stare soli in quel posto? Eppure ho la nostalgia di quella roccia incredibilmente bella e unica, che troviamo nel settore di Troisième Ciel o di Frimes. Da nessun’altra parte si trovano questi svasi di calcare e Douk Douk non è davvero un 7a favoloso?

Tornerò un giorno in inverno per completare la mia opera verdoniana: fare di El Topo il più bel pilastro del Verdon, un’arrampicata libera, 7 tiri dal 6c al 7c sul più bel calcare mai conosciuto al mondo.

Copertina di AlpiRando n. 9, luglio 1979. Sull’ultima lunghezza di Dingomaniaque. Foto: Gilles Peyroulet.

Ron Fawcett: l’invasione inglese
di Ron Fawcett
(pubblicato su Vertical, ottobre-dicembre 1988)

Non credo che si possa pensare che sono stato il principale responsabile dell’ ”invasione” britannica all’inizio degli anni ’70 in uno dei più bei siti d’arrampicata francese. Avevo un complice, Pete Livesey, ex-speleologo abbastanza rinomato e soprattutto viaggiatore instancabile. La sua comparsa sulla scena dell’arrampicata inglese non è stata eccezionale, ma i suoi metodi invece provocarono urla d’indignazione all’interno dell’establishment alquanto sclerotico. In effetti, la sua tecnica prevedeva tra le altre l’ispezione delle vie dall’alto (oh!), il montaggio preventivo delle vie (oh la la!) e addirittura, (massimo disgusto!) l’arrampicata da secondo!

Jean-Marc Troussier sull’oltima lunghezza di Pichenibule. Foto: Bernard Martin-Dondoz.

All’epoca ero un ragazzino pieno di ambizione. Avendo arrampicato parecchio con Pete, ero diventato più forte di lui. Forse era vero, ma lui era molto più accanito e resistente di me. Era una vecchia volpe che conosceva tutti i trucchi del mestiere, cosa che si acquisisce con l’età, e Dio solo sa quanto sembrava vecchio ai miei occhi! Allora Yosemite era la Mecca dell’arrampicata; anche noi facevamo un passaggio ogni estate e qualche bell’ascensione l’abbiamo realizzata. In autunno o in primavera approdavamo in Francia. Ma mentre i nostri concittadini passavano l’estate a Chamonix accumulando pareti nord e altre frivolezze, per noi l’unica attrattiva era la roccia: il nostro cuore batteva esclusivamente davanti a belle falesie di calcare. Dalle informazioni che riuscivamo a carpire dagli “iniziati”, era senza dubbio dall’altra parte del Channel che avremmo trovato il nirvana. La nostra ricerca ci portò dritto al Verdon: era proprio il paradiso…

La maggior parte dei ragazzi del nostro gruppo di avventurieri era originaria dello Yorkshire, una regione dove gli abitanti hanno fama di essere – diciamo così – parsimoniosi. E cosi i nostri viaggi erano al risparmio… Ci stringevamo in cinque in una 2CV, e ogni metodo era legittimo per risparmiare due soldi. Per esempio si faceva testa o croce quando ci imbarcavamo sul Ferry a Douvres, per decidere chi doveva nascondersi sotto i piedi degli altri coperto dai sacchi a pelo – tutto ciò per pagare 10 Franche! (tra l’altro toccava quasi sempre a me, guarda caso, ero il più giovane e il più ingenuo…). Bisognava poi ricomparire d’improvviso prima della dogana: lì non ci interessava imbrogliare visto che la formalità era gratis! E così via fino al Verdon.

Jacques Perrier sulla traversata dell’ottava lunghezza di corda di Pichenibule. Foto: Jean-Jacques Ricouard.

A fine viaggio, ci aspettavano le più belle vie che avessimo mai incontrato. Unico piccolo dettaglio, pensavamo di trovare delle vie da scalare in libera. A quell’epoca, la maggior parte dei francesi scalava con uno stile misto, il che ci stupiva un po’; noi pensavamo che si trattasse solo di una tecnica alpina, che preferiva la rapidità per evidenti motivi di sicurezza. Per noi, la regola del gioco era mettere protezioni solo nei punti d’ancoraggio. E cosi le nostre evoluzioni in libera, a lunghe distanze dai chiodi in parete, provocavano lo stupore dei francesi! In effetti al ritorno in Inghilterra, i santerelli Thomas affermavano con aria sprezzante: “Oh i francesi sono solo capaci di scalare in artificiale!” Ma se noi seguivamo certe regole, perché per forza denigrare altre tecniche? Che poi, a guardare bene, i chiodi erano così distanziati l’uno dall’altro da poter davvero parlare di arrampicata in libera tra quei due punti. E poi c’erano i cliffs, di cui anche noi avevamo rapidamente capito l’utilità!

All’uscita delle vie, la preparazione del materiale. Foto: Jean_Jacques Ricouard.

A metà degli anni ’70, alcuni articoli sul Verdon spuntarono sui giornali inglesi: addirittura ebbe l’onore di una copertina. Una nuova razza stava comparendo: i “falesisti”, che cercavano terreno dove esercitare i loro talenti nuovi di zecca. Il Verdon offriva loro una roccia ottima e ben attrezzata, clima caloroso e sole, elementi rari sulla nostra isola. Presto non fummo più i soli a frequentare le Gorges. Quelli che da noi ipocritamente denigravano le protezioni fisse, qui erano i primi ad approfittarne durante le vacanze in Francia.

Durante tutti questi anni, abbiamo avuto la fortuna di incontrare i grandi personaggi del Verdon come i fratelli Troussier, Jacques Perrier, Bernard Gorgeon o Jean-Claude Droyer (il quale mi sembra che sia stato criticato abbastanza ingiustamente; non ho mai capito per esempio perché Triomphe d’Eros era stato giudicato in quel modo). Poi frequentavamo gli arrampicatori locali che ci avevano parlato di vie come Triomphe d’Eros, Nécronomicon, L’Éperon Sublime, Luna Bong e chiaramente Pichenibule, questo muro impressionante dove avevamo comunque dovuto piantare una mezza dozzina di fittoni.

La fasciatura con le bende per l’arrampicata d’incastro. Foto: Jean_Jacques Ricouard.

Avevamo anche scoperto le gioie del campeggio, in particolare nel campo di calcio, dove i giocatori si divertivano a segnare i gol nelle nostre tende… O da Jean-Paul a La Palud, il ritrovo degli scalatori locali, sempre vestiti all’ultima moda. Vicini a loro sembravamo dei pezzenti, e loro cercavano di impressionarci. Mi ricordo in particolare di un giorno in cui ero con Chris Gibb. C’erano dei locals che cercavano di fare trazioni su un albero vicino alla nostra tenda. Chris, che si stava assaporando la sua sigaretta con una buona bottiglia di vino, li guardava. A un certo punto si alza, con la sigaretta in bocca e la bottiglia in mano, si appende al ramo con la mano libera e fa cinque trazioni perfette… sotto gli occhi stupiti dei tipi che si chiedevano come uno dall’aria cosi pietosa, alcolizzato e fumatore potesse fare prova di tale forza!

L’Éperon Sublime. Foto: Isabelle Agresti.

Ebbero la loro rivincita il giorno dopo. Jean-Paul aveva dato ai miei amici un bidone di brodaglia che non sarebbe stato utile nemmeno per sverniciare! Ma dopo una giornata particolarmente intensa – alcuni bei mono-tiri e una solitaria sulla Demande – avevo un grande bisogno di reidratarmi. Così ho bevuto un po’ troppo di quel decotto e l’indomani sono rimasto in uno stato comatoso, stravaccato vicino alla tende. Si può immaginare la gioia degli uni e degli altri…

Penso che dobbiamo ringraziare i francesi per averci “prestato” queste falesie stupende, con un’atmosfera cosi particolare, impregnate da tutti i profumi della Provenza. Ma anche per aver avvicinato più di un adolescente ai piaceri del palato, dei vini raffinati e anche dei caffè macchiati. Ma, buon Dio, perché siete incapaci di fare una tazza di tè come si deve!?…

Stephane Troussier su Ctuluh. Foto: Marco Troussier.

Visit éclaire – Visita lampo
(pubblicato su Vertical, ottobre-dicembre 1988)

Jerry Moffatt, inglese, 24 anni, è rimasto poco nel Verdon. Ma durante la sua visita lampo nell’84 entra nella leggenda delle Gorges con la prima scalata a vista di Polpot (7c) e la prima salita del mitico Papy on Sight, fallita a vista per un soffio.

Jerry Moffatt: In realtà sono arrivato nel Verdon un po’ per caso. Era il mio primo viaggio in Francia, avevo attraversato La Manica perché il tempo era orribile in Inghilterra. Prima avevo trascorso una settimana nel Saussois, dove ho ripetuto Bidule e flashato Chimpanzodrome. Poi sono stato a Buoux per un mese e ho chiuso gran parte delle vie più difficili, qualche 8a e alcuni 7b+/7c a vista.

Incominciavo a essere stanco e squattrinato e quindi avevo deciso di tornare a casa. Ma il mio amico Wolfgang Güllich, interessato ad andare nel Verdon, mi propose di accompagnarlo. Alla fine accettai ed è così che sono finito nelle Gorges. All’inizio ho fatto qualche ripetizione. Wolfgang mi aveva parlato di Papy on Sight, dicendo che era una via molto bella e d’altronde avevo visto Patrick (Edlinger, NdR) provarla. Sapevo che c’erano stati pochi tentativi e ho pensato: “Perché non io?…”

Arrivando sul belvedere della Carrèle, ho incrociato Antoine Le Ménestrel. Aveva appena fatto un tentativo ma era caduto nella parte alta; se ricordo bene era con J. B. Così sono partito per provare la via, e l’ho quasi chiusa al primo colpo… sono caduto in catena, all’ultimo movimento prima della presa finale. Bisogna dire che all’epoca non scalavo in libera, ma facevo le vie in yo-yo (ripartendo da dove ci si appende, NdR), ma, siccome avevo visto i francesi scalare in libera, pensavo che Papy on Sight meritasse di essere scalata in quel modo, se non volevo essere preso in giro… Cosi, dopo quella caduta, sono sceso e ho tirato giù la corda. Mi sono riposato un’oretta e l’ho tentata di nuovo. Sono arrivato più meno nello stesso punto del primo tentativo e sono di nuovo caduto. Cominciavo a essere stanco e avevo voglia di andarmene. Sono andato a rilassarmi sul belvedere. E pensavo: ”E’ proprio un peccato, a questo punto!” . Poi il mio amico Kurt Albert iniziò a insistere perché riprovassi il giorno stesso. Allora alla fine sono sceso di nuovo con lui e questa volta ce l’ho fatta. Ma ero completamente distrutto!

Vertical: Come hanno reagito gli scalatori francesi? Non troppo gelosi?
JM: No, no. Sono stati molto gentili invece. Quello che io ero riuscito a fare li aveva impressionati, dissero che era incredibile. Si sono pure complimentati per il mio stile.

Jacques Keller su Virilimité, prima ascensione. Foto: Bernard Gorgeon.

Un numéro mytique – Un numero mitico
(pubblicato su Vertical, ottobre-dicembre 1988)

Nel 1979, la nuova rivista Alpinisme et Randonnée pubblica sul n.9 un dossier Spécial Verdon. Per la prima volta: 14 pagine sullo stesso argomento, una panoramica sull’Escalès, diverse interviste e 17 relazioni sulle falesie del Verdon. Una cosa mai vista, ne parlano ancora. Abbiamo chiesto a Sylvain Jouty di raccontarci qualcosa a proposito di questo numero diventato “mitico”.

Sylvain Jouty: Se ricordo bene, avevamo avuto l’idea di fare un progetto importante sul Verdon. Dopo aver fatto le interviste sul posto, abbiamo avuto l’idea di presentarlo sotto forma di inserto con un dépliant delle vie, il che non era facile vista la poca esperienza d’AlpiRando. Detto questo, avevamo i mezzi tecnici e il tipografo ci aveva offerto l’opportunità di realizzare questo inserto. Era proprio un idea nuova, visto che nessuno fino ad allora aveva pensato ad inserire delle guide all’interno di riviste. Questi inserti sono stati realizzati da Jean-Jacques Ricouard insieme agli scalatori interessati, poi c’è stato bisogno di chiamare un illustratore. Oggi esistono disegnatori super competenti, capaci di trasformare uno schizzo inguardabile in una guida perfetta. All’epoca le guide di arrampicata erano molto imprecise e con un sacco di errori di gradazione.

Su Pichenibule. Foto: Jean_Jacques Ricouard.

Vertical: Siete riusciti a percepire un certo impatto sui lettori?
SJ: La reazione è stata netta e tutti hanno parlato parecchio di questo famoso numero. Detto questo, l’idea era abbastanza facile da trovare, visto che all’epoca il Verdon era praticamente l’unico sito importante per l’arrampicata, e non esisteva ancora alcuna guida. Oggi, nessun sito di arrampicata possiede questo risvolto assolutamente centrale come il Verdon di allora. Il potenziale evolutivo e i grandi eventi più incisivi non si sono presentati in nessun altro posto: possiamo paragonare il Verdon a quello che fu Chamonix per l’alpinismo negli anni ‘60.

V.: In seguito come avete vissuto l’evoluzione del Verdon?
SJ: Abbiamo avuto spesso la tentazione di riparlarne, ma senza mai sapere veramente come. Nel ‘79 è stato naturale farlo scoprire ai lettori, ma successivamente non è stato più così semplice ridiscutere di questo argomento. Avremmo potuto presentare un lato nostalgico, per esempio all’occasione dei suoi dieci anni, o parlare delle novità o dell’attualità… ma non era più la stessa cosa. Nell’ambito giornalistico quando si parla per la prima volta di un argomento, c’è una specie d’innocenza: ritornarci può diventare problematico.

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Verdon: la nascita di un mito – 2 ultima modifica: 2021-05-13T05:54:00+02:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “Verdon: la nascita di un mito – 2”

  1. Bel racconto che mi fa ricordare quei tempi e la fortuna di aver conosciuto questi mitici personaggi…ed aver vissuto quel periodo primordiale dell’arrampicata !

  2. Non ho capito se “michel foucalt presentatore televisivo” è indice di ironia, di cattiva traduzione o di mera ignoranza.

  3. Magnifiche le foto d’epoca, specialmente quella su Mandarin Merveilleux!
    PS
    Segnalo una piccola imprecisione: lo stile yo-yo prevede che in caso di caduta o di resting si  riparta da terra, o dall’ultimo no hands rest, senza sfilare la corda dalle protezioni e senza riposare appesi alla corda.

  4. Che belle storie, grazie ancora carlo per averle riproposte, complimenti a chi ha fatto la traduzione

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