Alpinismo metafora del mondo

La recente impresa della scalatrice norvegese Kristin Harila – che il 27 luglio 2023, con la conquista del K2, è diventata la persona più veloce a completare la scalata di tutte e 14 le vette superiori agli 8.000 metri (impresa durata 3 mesi e 1 giorno) –  ha rivelato un retroscena dal gusto amaro quando due scalatori austriaci hanno condiviso sui social alcune immagini che la ritraevano, durante la scalata del K2, scavalcare con il suo team il corpo di Mohammed Hassan (portatore di un’altra squadra) in fin di vita anziché prestargli soccorso. Nonostante le giustificazioni della scalatrice norvegese, i video hanno causato parecchia indignazione da parte dell’opinione pubblica ed hanno lanciato un dibattito sull’alpinismo e sui valori sacrali che riguardano questa disciplina. L’Indipendente ne ha parlato con Fausto De Stefani, uno dei personaggi simbolo dell’alpinismo italiano, noto per aver scalato tutte le 14 vette superiori agli 8000 metri senza ossigeno (tra il 1983 e il 1998).

Alpinismo metafora del mondo
(intervista a Fausto De Stefani)
di Iris Paganessi
(pubblicato su lindipendente.online il 9 settembre 2023)

Il K2 per lei è stata la prima vetta sopra gli 8000 metri. L’episodio in questione ha polarizzato l’opinione pubblica tra chi si è indignato per il comportamento degli scalatori e chi invece quel comportamento lo ha giustificato. Lei si è fatto un’opinione riguardo a quanto accaduto?
Noi abbiamo raggiunto la vetta del K2 dal versante nord. Qui, invece, si parla del versante pakistano. Si tratta di una salita meno impegnativa ma resta comunque il K2 e dopo gli ottomila, se usi l’ossigeno non succede niente se non lo usi ci sono dei problemi: sei più lento e devi stare molto più attento. Ciò che ci distingue però non è questo. Da tanto tempo non parlo di montagna, perché non mi ci trovo più. Io mi sento un privilegiato perché ho fatto dell’alpinismo non come attività sportiva ma come passione, era una filosofia di vita. Ho avuto la fortuna di avere maestri e compagni di cordata che sono stati più unici che rari. E allora, quando c’era qualche incidente ci si soccorreva a vicenda: io ho soccorso altre persone e altre hanno soccorso me. Era quella la normalità per noi. Questa, invece, non è più normalità. Questa è una società oramai ammalata e non credo che qualche farmaco basti a guarirla. Pensare a questa persona che si trovava a terra nella neve, sentendo la voce delle persone che non si fermavano per aiutarlo, è una delle cose più terribili che possano accadere. Quelli che lo hanno abbandonato non hanno scusanti e, a mio modo di vedere, andrebbero processati per omissione di soccorso. 

Fausto De Stefani

Da alpinista di lungo corso come pensa che sia cambiato l’alpinismo? Mi spiego meglio: oggi, che è diventato un po’ una disciplina di massa, quasi turistica, i valori sacrali di questa disciplina sono ancora così sentiti oppure l’importanza di questi valori sta scemando? 
I valori sono valori, non vanno fuori di moda. C’è chi vive in senso di questi e chi no. Io dico sempre che l’alpinismo, come tante altre cose, è lo specchio della nostra società. E questa è una società malata, che ha contagiato tutto, anche il mondo della montagna. Qualcuno vorrebbe che la montagna diventasse un luna park e lo sta diventando. La fatica oramai è un qualcosa che non si va a cercare, anzi è un qualcosa che si cerca di snobbare. Anche qui, sulla Collina di Lorenzo, ci sono tanti ragazzini che arrivano per provare una nuova esperienza. Le parlo di circa 22-23mila bambini e ragazzi all’anno e anche questi in collina dopo 5 minuti dicono “sono già stanco, ma è necessario far fatica?”, no non è necessario far fatica, però è attraverso quest’ultima che si riesce a comprendere il valore di ciò che si conquista. Un valore che senza la fatica non capiremmo.

Può essere che con il tempo le modifiche che il paesaggio montano ha subito abbiano reso la scalata una sfida più ardua o al contrario non nota grandi differenze in questo senso? 
No, io personalmente non noto grandi differenze in questo senso. Certo, i mutamenti climatici hanno creato notevoli problemi un po’ in tutto il mondo – dall’America Latina, all’Africa e all’Himalaya – però no, la salita in questo caso del K2 è una salita dove già gli sherpa ti mettono tutte le corde fisse. Gli sherpa sono sempre stati molto più forti di noi. Io lo dicevo già trentacinque anni fa: loro salgono in vetta al K2 a mo’ di Lepre, dormono più in alto rispetto a noi perché voglio vedere l’alba al mattino presto. Quella è la loro terra, no? Noi occidentali abbiamo pensato che la scalata fosse una prerogativa degli occidentali perché i primi sono stati neozelandesi, inglesi, italiani e così via… ma noi siamo distanti anni luce. Pensare in questo modo fa comodo agli alpinisti occidentali, che “se la tirano”, perché hanno fatto “una fatica incredibile”. Ma se noi confrontassimo la fatica che facciamo oggi in montagna con quella che han fatto i nostri nonni, perderemmo questo senso di “incredibile fatica”.  

Mohammed Hassan, ora adagiato sul pendio sottostante al grande seracco del Collo di Bottiglia del K2, era appena scivolato ma trattenuto dalla corda fissa. Foto: Lakpa Sherpa (8k Expeditions) / Instagram.

Lei come avrebbe gestito una situazione del genere? Cioè, lei sarebbe riuscito a scavalcare una persona a terra in fin di vita? 
No, no, no. A me è capitato sull’Everest e non l’ho fatto. Io ho aiutato questa ragazza, che oramai era morta, a scendere in un tratto fuori da quello che era il sentiero. Io da solo non avrei potuto, però poi sono intervenuti anche degli sherpa che l’hanno portata a valle. Sicuramente, su quel pendio del K2 sarebbero bastate 2-3 persone per aiutarlo: bastava legarlo e calarlo 200-300 metri che con un po’ più di ossigeno non sarebbe assolutamente morto. Io se fossi il ministero del turismo pakistano non riconoscerei le salite che questa persona ha compiuto sul territorio del loro Paese. Ma non per strani motivi, ma perché da sempre andare in montagna è straordinario anche per l’avvicinamento ad altre culture, per il contatto diretto con le persone di quel territorio: la chiacchierata, l’aiuto verso i compagni che incontri lungo la scalata. 

Vedere episodi come questo la allontana dall’alpinismo di oggi?
Vedere episodi come questo mi fa sentire distante anni luce da questo mondo. Non mi ci vedo più. Preferisco un sentiero di una capezzaia di pianura piuttosto che andare in montagna nel modo in cui la si vive oggi. Perché la montagna è una grande maestra silenziosa che va vissuta, va ascoltata. Ma voglio essere molto chiaro su questo: il discorso potrebbe essere applicato alla collina, al mare, ai laghi… non è solo la montagna. Ormai la gente è sempre di corsa, in questo caso la corsa al record, e non è disposta a fare un passo indietro, anzi ne vuole fare due o tre in avanti. Stiamo quindi raccogliendo i frutti di questa vita vissuta di fretta ed è molto frustrante perché anche i nostri bambini e i nostri giovani sono frutto di questa semina… Bisogna stare attenti insomma, perché è una cosa seria. 

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Alpinismo metafora del mondo ultima modifica: 2023-09-29T05:20:00+02:00 da GognaBlog

31 pensieri su “Alpinismo metafora del mondo”

  1. omissione di soccorso…..ci sono davvero i presupposti. Gli sponsor abbandoneranno il campo presto

  2. 28 Carletto
    Lo sapevo, sei un precisino inquadrato. La confusione ti smarrisce.🤣
    Non puoi capire. 

  3. Si ma smettiamola di fare i moralisti, sono d’accordo che il comportamento è stato disumano, ma la storia dell’alpinismo è piena di situazioni simili, la più eclatante è quando qualcuno nel 54 sempre sul k2 ha spostato volontariamente il punto di ritrovo rischiando di far morire di freddo due persone. Senza contare di che epoca e mentalità sono le persone che ci hanno portato alla prima e alla seconda guerra mondiale. Però la società di oggi è sempre quella messa peggio.

  4. In questi giorni si discute molto di 8.000 raggiunti o mancati, di records veri o presunti. Personalmente trovo la questione priva di qualunque interesse mentre mi ha incuriosito una foto postata da Messner in cui si vede lui (o Kammerlander) sulla parete nord dell’Annapurna completamente ricoperta di ghiaccio.
    https://s3.amazonaws.com/www.explorersweb.com/wp-content/uploads/2023/09/25174656/messner-anna-87.jpg
    Mi sono chiesto (da ignorante): se Maestri ed Egger avessero trovato una situazione simile, pur essendo il Cerro Torre praticamente strapiombante, potevano avere qualche chance di salire con l’equipaggiamento dell’epoca?
    So bene che la questione è praticamente chiusa da tempo ormai, grazie soprattutto alle imprese del grande Ermanno Salvaterra da poco scomparso, ma vorrei sentire (se non sono troppo fuori tema) il parere di qualche esperto. Grazie.

  5. Condivido la condanna dello sport e del turismo, ma sarebbe difficile per tutti trovare le forze per soccorrere un compagno in difficoltà nella zona della morte dove anche gli eroi sopravvivono a stento ai propri limiti.

     
    Forse.. Ma se non hai la forza di aiutare questa persona, dovresti almeno avere la dignità di fermarti e tornare indietro.

  6. @ 20
     
    Benassi dice che dovresti leggere anche quest’altro libro di Doug Scott: Ogre. Il Settemila impossibile, Corbaccio, 2019, collana Exploits, 237 pp.
    Vi sono pubblicate pure numerose fotografie che documentano la discesa a quattro. Per esempio, quella a p. 193 con la seguente didascalia:Carponi in discesa dal Colle Ovest e verso il Pilastro Rosso. Nella fotografia c’è anche Clive, mentre Mo era andato avanti a fissare le corde doppie. Chris mi stava tenendo letteralmente al guinzaglio mentre scattava”.
     

  7. Dicevi Benassi??

    16 Carletto.
    Quelli che descrivi te, Carletto, son figli di pappà e mammà,  che hanno il mito di dare al bimbetto ebete, quello che loro non hanno avuto.
    La giusta spensieratezza dell’infanzia rubata da una società che li vuole grandi subito,  è altra cosa. 
    Capito Carletto?

  8. A proposito di metafore:
    Ormai gli 8000 sono il festival di San remo della montagna: i bravi musicisti sono altrove

  9. Kristin Harila scrive al riguardo che, per ore, lei e il suo team hanno prestato soccorso all’alpinista in grave difficoltà (vedi la sua pagina Instagram). Altri, al contrario, la accusano di non aver prestato soccorso e di aver privilegiato la gloria di un primato.
    Per quanto ne so, l’essere umano è vittima tanto della brama di fama e gloria, quanto della voglia di screditare chi la fama e la gloria l’ha raggiunta.
    Non so null’altro.
    Perché qualcuno invece prende posizione e giudica? 

  10. @Carlo1 Dal libro di Scott:”Next morning (la mattina dopo l’incidente) I was relieved to be able to get my boots back and, after several abseils, we came to the point where we had to traverse across steep snow to the snow cave. Chris went ahead to alert Mo and Clive who came out to dig great bucket steps to assist me as I crawled back.”(Bonington si fece male il giorno dopo ancora, dopo aver già raggiunto i compagni)

  11. Quando pensano di essere finalmente salvi ecco un nuovo boccone amaro: il campo base non c’è più. Dopo qualche giorno i compagni li hanno dati per morti facendo le valigie. Devono andare avanti, almeno fino al primo villaggio, per vivere. È un’odissea dalla conclusione fortunata. Dopo oltre una settimana i due si ritrovano tra le braccia dei compagni. Sono fortemente debilitati e necessitano di urgenti cure mediche, ma sono vivi e possono raccontare la loro incredibile scalata.

  12. Al mattino ripartono, cercano di scendere rapidi, ma sono comunque lenti. A un certo punto Bonington vola, cade per sette metri rompendosi qualche costola. Fa nulla, si continua. Chris davanti, tossisce e sputa sangue, alla frattura si è aggiunta una forte polmonite. Dietro striscia Doug. Sono immersi nella tempesta, che nel frattempo si è alzata. Sono allo stremo, ma sanno che ogni metro guadagnato è un passo verso la salvezza. Nessuno li sta cercando, nessuno li andrebbe a recuperare. Ne sono più che consapevoli. Per otto giorni si trascinano sulla montagna, fino al campo base.

  13. I due iniziano a preparare la prima doppia, va Scott per primo. Bisogna scendere in fretta, ma il destino a volte è bizzarro. Doug non si accorge di una colata ghiacciata, perde la presa, scivola e precipita nel vuoto, per fortuna c’è la corda a tenerlo. Sbatte violentemente contro la roccia, il dolore è lancinante. Le ossa delle gambe si sono frantumate, è l’inizio del calvario. I compagni sulla via del rientro vedono la scena ma non possono aiutarlo. Solo Bonington può prestargli soccorso.

  14. Gli abbiamo tolto le speranze e gli stiamo togliendo un mondo vivibile!! Però li teniamo a casa sino alla nostra morte, li andiamo a prendere a scuola che non sanno affrontare i pericoli del mondo. Persino un ministro della repubblica ha definito bamboccioni i nostri giovani!! Non li trovi in giro a cercare lavoro ma nei bar a spritz….che tanto paga papà
    Gli di paga la palestra a che diventino campioni in una qualsiasi disciplina e se non riescono…pestiamo gli allenatori  . portiamo in tribunale i professori che bocciano.. Sono fenomeni che non esistevano quando eravamo giovani noi (io)

  15. caro Carletto, è dura mettere in difficoltà  il Bertoncelli. Ha studiato molto!!

  16. Himalayan climber. Una vita sulle montagne piú alte del mondo, di Doug Scott, ed. CDA-Centro Documentazione Alpina, Torino, 1992, pp. 79-87.
     
    I due feriti scesero con l’aiuto di Mo Anthoine e Clive Rowland.
    Gli altri due compagni, Nick Estcourt e Paul Braithwaite, si diressero a Skardu per organizzare i soccorsi e chiamare l’elicottero.
     

  17. Questa proprio…. è vero esattamente il contrario.

    E mi dispiace Carletto, è proprio come dico io!!!
    Gli è stata tolta la spensieratezza, grandi subito.
     

  18. Abbiamo fatto di tutto perchè i nostri bambini diventassero grandi subito

    Questa proprio…. è vero esattamente il contrario. E, probabilmente, la performer dell’articolo ne è una dimostrazione

  19. Stiamo quindi raccogliendo i frutti di questa vita vissuta di fretta ed è molto frustrante perché anche i nostri bambini e i nostri giovani sono frutto di questa semina… Bisogna stare attenti insomma, perché è una cosa seria.

    Abbiamo fatto di tutto perchè i nostri bambini diventassero grandi subito.

  20. Fabio.. forse devi rileggerti la storia! Doug e Chris non furono aiutati dagli altri!! Arrivarono da soli a qualche centinaio di metri dal Campo Base! Si separarono pure per un tratto prima di arrivare al base

  21. I due feriti (Doug Scott e Chris Bonington) furono aiutati dagli altri. Da soli, in quelle condizioni, perfino loro con ogni probabilità non ce l’avrebbero fatta.
    I compagni tentarono il salvataggio (almeno tentarono!).
    Dopo sette giorni (!) dal primo dei due incidenti, avvenuto proprio sotto la vetta, approdarono tutti salvi al campo base.
     
    È solidarietà, ai massimi livelli. 
     

  22. 7-
    Cos’è che si riuscì a fare nel 77 all’Ogre per salvare due infortunati? Mi risulta che i due infortunati (separati dalla squadra) e dotati di attributi d’acciaio evidentemente, se la sono cavata da soli dopo un viaggio allucinante!

  23. Vi invito, se già non lo sapete, a leggere che cosa si riuscí a fare nel luglio 1977 sull’Ogre per salvare non uno ma ben due infortunati: uno con entrambe le caviglie spezzate e l’altro con polmonite e costole fratturate.
    In spedizione erano in sei, compresi i due feriti, non la folla del K2.
    E sopravvissero tutti.
     

  24. Stefan..I.
    Le parole sono importanti i cognomi pure.
    Grande stima per l uomo e riconoscersi nelle sua intervista e nelle sue opinioni è automatico.
    Che la montagna e l andar per essa chiamato  in sintesi alpinismo sia un metafora della vita ė assodato bisognava trarne il contrario …invece traguardi sociali ,soldi e ambizioni travalicano tutto buon senso e umanità compresi.
    Certe notizie sono davvero pessime e fanno parte si di una fetta molto malata di noi occidentali.

  25.  
    Condivido la condanna dello sport e del turismo, ma sarebbe difficile per tutti trovare le forze per soccorrere un compagno in difficoltà nella zona della morte dove anche gli eroi sopravvivono a stento ai propri limiti.

  26. Goethe: “I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi”.
    Fausto De Stefani: “La montagna è una grande maestra silenziosa, che va vissuta e ascoltata”.
     
    Evidentemente la Harila non ha capito nulla dell’insegnamento. E come lei il resto dell’orda quel giorno sul K2.
    Siamo giunti al punto di scavalcare, sulla via per la vetta, chi ha bisogno di aiuto e cosí lasciarlo morire nell’indifferenza.
     

  27. Fausto De Stefano ministro del turismo al posto della Santanchè

    Di leggere questa battuta ne avrei fatto volentieri a meno!!!!
    Non per la Santanchè ma per il rispetto che ho per De Stefani.
    Come recita il titolo di questo argomento, l’alpinismo è una metafora della vita. C’è chi ha dei nobili valori, chi invece è un opportunista e calpesta tutto e tutti per i propri traguardi. Ma la vita, prima o poi,  presenta il conto…a tutti. Anche l’opportunista più feroce avrà bisogno che qualcuno gli tenda la mano.

  28. Urubko e Bielecki si precipitarono fin sul Nanga per recuperare la Revol. Come dice De Stefani c’è chi ha valori e chi no. E come loro tanti sconosciuti.

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