Non so se avete fatto caso che quando si parla di manifestazioni l’informazione si concentra sull’evento che deve ancora verificarsi, mentre poi tralascia di dare notizie su ciò che in realtà è successo. Francamente non sappiamo il perché di questo meccanismo, ma non siamo mai stati indifferenti a questa “prassi”. Per questo motivo riportiamo gli articoli (in proposito alla manifestazione contro la pista di bob a Cortina) usciti su ildolomiti.it. Ci sembra giusto nei confronti di coloro che hanno partecipato, sobbarcandosi costi a loro spese e spesso anche parecchi chilometri.
Come è andata a Cortina?
di Filippo Schwachtje
(pubblicato su ildolomiti.it il 24 settembre 2023, ore 12.53 e il 24 settembre 2023, ore 14.28)
“L’orgoglio veneto non è chiedere i soldi per realizzare una pista da bob, ma piuttosto per garantire servizi ai cittadini, specie nelle aree marginali. Questo è il nostro orgoglio veneto”. Sono queste le parole di Cristina Guarda, consigliera regionale di Europa Verde Veneto, durante il suo intervento la mattina di domenica 24 settembre 2023 nel corso della manifestazione “Pista da Bob – Ultima chiamata”, organizzata a Cortina d’Ampezzo per dire ‘no’ all’opera in vista delle Olimpiadi 2026.
Un evento al quale, come anticipato (Qui Articolo), hanno partecipato in moltissimi tra cittadini, associazioni e attivisti per l’ambiente, ribadendo la netta contrarietà del territorio al progetto. Progetto al quale, il mese scorso, è stata presentata una valida alternativa nella proposta, ufficializzata dal sindaco di Innsbruck Georg Willi, di utilizzo dell’impianto di Igls nella città austriaca (Qui Articolo) in una conferenza stampa organizzata proprio insieme ai Verdi.
“Abbiamo organizzato quella conferenza stampa – ha ribadito Guarda – in collaborazione anche con i Verdi di Bolzano, che ringraziamo perché sono qui oggi insieme a tanti cittadini delle Province di Trento e Bolzano, che si sono uniti perché hanno capito che la politica si fa prendendosi cura gli uni dei territori degli altri”. Proprio per questo, come sottolineato in precedenza in piazza Dibona anche da Pietro Lacasella (Qui il Video), il movimento nato per dire ‘no’ alla pista di Cortina è diventato ormai “il simbolo di una battaglia” , ha detto Guarda.
“Il presidente Zaia – ha aggiunto la consigliera dei Verdi – dice in questi giorni di non avere responsabilità, perché la Regione Veneto non paga la pista. Fino all’altro giorno però diceva che i soldi di Roma sono soldi dei veneti. Invece si deve muovere anche lui, perché i tecnici, il commissario e via dicendo non si muoveranno se non ci sarà un messaggio politico chiaro anche da parte di questo governo, sperando a questo punto in un’autonomia di Fratelli d’Italia rispetto alla Lega, da parte dei cittadini e delle autorità locali. Per questo sosteniamo anche la Provincia di Belluno, che tra pochi giorni affronterà un voto importante in una mozione per dire ‘andiamo ad Innsbruck’”.
A livello economico, ha sottolineato poi Cristina Menardi del Comitato Cortina: “Nel primo studio della Regione si stima una perdita di almeno 400mila euro l’anno per 20 anni di vita dell’impianto. Una copertura che, secondo il documento della regione, dovrebbe essere garantita da un accordo tra la Regione, il Comune e le Province di Trento e Bolzano. Esiste infatti una lettera d’impegno tra gli enti del 2019, nel quale le istituzioni si impegnavano a coprire le spese. Si.Mi.Co però, nel piano economico allegato al progetto definitivo, ha fornito dei dati che sono completamente diversi: per i primi 5 anni prevede infatti si perdano due milioni di euro, mentre dal sesto la pista andrebbe in attivo di 5mila euro. Ma sarebbe la prima e unica pista al mondo ad andare in attivo: anche l’impianto di Innsbruck ha una perdita di 500mila euro l’anno”.
Dopo gli interventi in piazza Dibona a Cortina d’Ampezzo il corteo per dire ‘no’ all’opera si è spostato alla pista Eugenio Monti (l’abbandonata pista di bob, costruita per i giochi olimpici di Cortina del 1956). Sul palco sono intervenute le sezioni veneta e altoatesina del CAI.
“I frati in convento – hanno ironizzato i responsabili veneti del CAI – dicono che il raglio dell’asino non giunge in cielo, ma speriamo invece che questo raglio arrivi e metta le persone nella condizione di ragionare. È importante non creare muri, ma per uscire da questa impasse serve una grande mobilitazione di persone, che deve passare necessariamente da chi vive questo ambiente. La pista da bob sarà il primo cambiamento, ma nessuno ha parlato ancora della tangenziale che correrà in galleria, nessuno ci ha ancora detto dove si metteranno le centinaia di auto delle persone che verranno a vedere i giochi a Cortina”.
Il costo, come anticipato, è stimato in 124 milioni di euro ai quali vanno aggiunti 1,5 milioni l’anno di spese di gestione e manutenzione. Se si considera che i praticanti italiani tra bob, slittino e skeleton, sia maschile che femminile, sono 35 si parla di un costo per praticante di 3,5 milioni di euro, senza calcolare i costi di gestione. Al di là di queste problematiche macroscopiche, rimane in campo la vantaggiosa proposta ufficiale arrivata da Innsbruck per l’utilizzo della pista di Igls (al costo di circa 10-15 milioni di euro, Qui Articolo).
Il CAI Veneto mette l’accento anche su tutte le restanti problematiche di tipo ambientale che i Giochi porteranno inevitabilmente sul territorio.
“Nessuno – riassumono – ci ha ancora detto il carico di persone che questo ambiente così bello, anche se deturpato da qualche parte, è in grado di reggere”. Una critica alla quale si unisce anche la sezione altoatesina del sodalizio: “A suo tempo anche il CAI Alto Adige aveva guardato con favore alle premesse di un evento dichiarato ‘ecosostenibile’ e che avrebbe dovuto essere un esempio virtuoso per ogni futura manifestazione coinvolgente la montagna. È della settimana scorsa, però, il ritiro del CAI e di altre sette associazioni di protezione ambientale dal tavolo di confronto voluto dalla Fondazione Milano Cortina, perché a poco più di 2 anni dalle Olimpiadi non abbiamo ad oggi elementi per poter attestare la sostenibilità ambientale delle opere e dei Giochi Olimpici invernali dichiarata nel dossier di candidatura”.
“Al signor Luca Zaia, e a Giovanni Malagò and company – è invece la provocazione lanciata dall’associazione Mountain Wilderness – chiediamo perché dobbiamo continuamente buttare soldi per cose veramente assurde (a parte la pista da bob e il villaggio olimpico anche per i famosi 3-4 collegamenti sciistici che vogliono fare e che sono stati inseriti all’interno delle Olimpiadi anche se non centrano nulla con gli impianti e con le gare che si svolgeranno), quando abbiamo invece cose molto più serie e molto più utili da fare per noi cittadini. La sanità per esempio è stata abbandonata, abbiamo gli ospedali che stanno chiudendo. Ma ci rendiamo conto? È una cosa vergognosa”.
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Sembra che il problema sia che comunque nessuna impresa edile specializzata voglia assumersi l’onere di iniziare un lavoro tanto complesso e controverso dall’esito (soprattutto economico) dubbio.
Tant’è vero che l’unica asta dei lavori è andata buca perché nessuna impresa ha partecipato.
Non voglio fare il gufo ma voci di corridoio dicono anche di possibili rinunce a organizzare i giochi olimpici stessi in zona. Chissà.
Salvini non si arrende e rilancia, promettendo che “non costerà un centesimo in più agli italiani ” riferito però ai 124 milioni, non agli 80 previsti inizialmente. Forse è convinto di avere la bacchetta magica.
https://www.ildolomiti.it/cronaca/2023/salvini-rilancia-il-progetto-cortina-e-spiazza-anche-il-comitato-organizzatore-riunitosi-a-milano-situazione-in-stallo-e-per-la-pista-da-bob-se-ne-riparlera-a-gennaio
Che i grandi sarcerdoti, si straccino pure le vesti.
Con 120 milioni di euro risparmiati possono andare ad allenarsi ad Innsbruck per i prossimi 120 anni.
Ce ne faremo una ragione…e comunque, visto il trend delle temperature medie, sono gli sport invernali a essere in via di estinzione, alle nostre latitudini!
Stamattina a Radio Cortina, Armin Zoeggeler ha detto: il 16 Ottobre è stato un giorno nero per il bob lo slittino e lo skeleton azzurro. Probabilmente la rinuncia a questa opportunità ha decretato la morte di queste specialità invernali in Italia.
Ognuno ha (giustamente e piaccia o no) le sue ragioni.
Il Club Alpino Italiano sottolinea inoltre la necessità di monitorare costantemente le infrastrutture legate all’evento olimpico. “La sostenibilità non è solo un obiettivo, ma un imperativo, specialmente per manifestazioni di portata internazionale come le Olimpiadi. Continueremo a vigilare affinché questo criterio sia sempre al centro delle decisioni” ha concluso Mario Vaccarella, Delegato al coordinamento delle attività ambientali del Cai.
Dal bob alla neve che non c’è: le Olimpiadi sono infernali
La pista da bob di Cortina è solol’ultima carta poggiata su un castello che sembra stia per crollare da un momento all’altro. È forse il simbolo di una spaccatura che si è creata tra chi la montagna la vive, e chi invece vorrebbe uno sviluppo che risulta difficile considerare sostenibile. La manifestazione che si è tenuta lo scorso 24 settembre nella “perla delle Dolomiti” ne è l’emblema: non solo ambientalisti ma intellettuali scrittori, politici e liberi cittadini che hanno voluto mostrare il proprio dissenso verso un’opera che in pochi vogliono.
Ed è proprio il probabile fallimento del progetto che sta dietro alla pista da bob che toglie il velo a ciò che aleggiava da tempo, non solo tra gli ambientalisti: i grandi eventi come le Olimpiadi invernali non possono essere ospitati in territori tanto fragili, di elevato pregio naturalistico e paesaggistico, composti da piccole comunità che oggi hanno problemi molto più gravosi da affrontare, primo tra tutti lo spopolamento. «Non abbiamo a oggi elementi, a poco più di tre anni dai Giochi olimpici 2026 e dopo un confronto avviato e voluto da fondazione Milano Cortina 2026 sin dal 2021, per potere attestare la sostenibilità ambientale delle opere e dei giochi olimpici invernali dichiarata nel dossier di candidatura», si legge in una nota rilasciata congiuntamente dal Club alpino italiano, Federazione pro natura, Italia nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, TCI e WWF del 13 settembre 2023.
Mancanza di trasparenza, costi e opere aumentati in modo esponenziale, alcuni dei quali considerati inutili dagli ambientalisti, hanno probabilmente alzato il velo sull’idea di montagna che aleggiava in quelle conche e valli già anni fa.
«Ci avevano promesso le Olimpiadi a costo zero e oggi siamo a 5 miliardi e mezzo di soldi stanziati o dal governo o dalle regioni», spiega Luigi Casanova, storico ambientalista e presidente onorario di Mountain wilderness. «C’erano state promesse le Olimpiadi sostenibili sorrette da una valutazione ambientale strategica che avrebbe garantito la condivisione e la partecipazione di tutta la cittadinanza, ma così non è stato. Doveva essere un’Olimpiade trasparente, ma tutte le opere sono state sono state commissariate».
Promesse non mantenute
Quella che traspare dunque è una visione bulimica, vorace, che mette a rischio un territorio come quello montano già fortemente colpito dalla crisi climatica ed ecologica. Da anni si discute su come trovare un modello di sviluppo sostenibile per le valli e le comunità alpine, ma i grandi eventi non sembrano essere la chiave. Anzi la montagna «viene vista come un terreno di conquista», racconta Pietro Lacasella, tra i giovani promotori dell’ultima manifestazione e da sempre attento ai temi della montagna. «Questo è l’emblema di un modello di sviluppo ormai fuori dal tempo».
Forse, la nota positiva di tutta la discussione, sta proprio nel fatto che la sensibilità nei confronti dell’ambiente montano sta aumentando. Le comunità locali si rendono conto che si tratta di «qualcosa di prezioso e unico, che vale la pena tutelare perché può essere fonte di ricchezza», continua Lacasella. «Oltre alla sostenibilità ambientale c’è infatti molta attenzione verso quella economica. E ci si è resi conto che questo tipo di investimenti è iniquo, perché non porta benefici alla comunità».
Prendendo come spunto la pista da bob, conti alla mano, si parla di circa 3 milioni di investimenti ad atleta. Una cifra che Lacasella considera «sproposita per una comunità che chiedeva più trasporto pubblico, maggiore attenzione alla sanità, maggiori servizi».
In tutto questo la gara d’appalto per la realizzazione dell’opera è andata deserta per ben due volte, segno che nessuno vuole prendersi carico di un rischio d’impresa così elevato: poco tempo a disposizione, costi lievitati in maniera esponenziale e, non ultimo, l’opposizione di parte della cittadinanza e degli ambientalisti.
Ed ecco che l’idea di spostare le gare a lnnsbruck, avallata dal Comitato olimpico internazionale (Ciò) a marzo di quest’anno, non è solamente più intelligente ed economica, ma in realtà «sarebbe un’ottima occasione per l’Italia di farsi portavoce di uno sguardo rinnovato sul futuro, farsi portabandiera di una rinnovata modernità, e mostrarsi aperti ad un dialogo con gli altri paesi che vivono a cavallo delle Alpi», spiega Lacasella. «Queste montagne non sono una barriera geografica o culturale, quanto una cerniera culturale». La distanza poi non è nemmeno abissale: Lacasella e lo scrittore Marco Albino Ferrari quest’estate hanno raggiunto la cittadina austriaca in bici, proprio per porre l’attenzione su questa possibile soluzione.
La scomparsa della neve
La questione non è legata solo alla costruzione delle infrastrutture o di nuove piste o di nuovi bacini artificiali. Ma è di più ampio respiro. Si tratta di scenari ai quali stiamo andando incontro oggi, non tra 20 o 30 anni.
Nature climate change ha recentemente pubblicato uno studio frutto della collaborazione di un team di ricercatori dell’università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna e coordinato dal professore Marco Carrer del Dipartimento territorio e sistemi agroforestali di Padova.
Lo studio mostra come, negli ultimi 50 anni, le Alpi abbiano registrato una riduzione del 5,6 per cento ogni decennio della durata del manto nevoso. Studiando gli anelli di accrescimento di una specie vegetale tipica degli ambienti alpini il ginepro (Juniperus communis L), si è scoperto che la durata dell’attuale copertura del manto nevoso è di 36 giorni più breve rispetto alla media a lungo termine, con un declino che, secondo i ricercatori, non ha precedenti negli ultimi sei secoli Confermando che «quello che stiamo vivendo negli ultimi anni è qualcosa che non si era mai presentato precedentemente». Mancanza di neve da una parte e aumento delle temperature dall’altra, stanno cambiando la morfologia della Alpi Sono ancora vive le immagini del crollo di un seracco sul ghiacciaio della Marmolada a luglio 2022, che costò la vita a undici persone, e causato dalle elevate temperature di quell’estate. Un segnale di ciò che sta accadendo e confermato anche dal recente studio pubblicato su Nature Communications che mostra come, negli ultimi 20 anni alcune aree di alta montagna si stanno riscaldando ancor più di quanto atteso dai modelli globali.
In particolare sono proprio le aree in prossimità dei ghiacciai a registrare i valori più elevati rivelando come il loro ritiro e la riduzione del manto nevoso stiano amplificando il tasso di riscaldamento stesso in una sorta di ciclo vizioso. Alcuni scenari poi sono ancora più allarmistici, anche se guardano a orizzonti temporali molto in là, a fine secolo. Sta di fatto che si stima che senza una seria azione per contenere le emissioni il numero dei giorni di innevamento sulle Alpi potrebbe dimezzarsi entro la fine del secolo, con una perdita di neve che sarebbe particolarmente grave proprio nelle Alpi meridionali come in Italia, Slovenia e parti della Francia.
Innevamento artificiale
Impatti che non si registrerebbero solo sugli habitat naturali ma anche sulle attività economiche e in particolare su quelle turistiche. A fine agosto, uno degli studi più completi realizzati finora che ha valutato i cambiamenti della copertura nevosa di 2.234 stazioni sciistiche in 28 paesi europei, ha fatto vedere come oltre la metà, e quasi la totalità delle stazioni sciistiche, sarebbero esposte a un rischio molto elevato di insufficiente innevamento per livelli di riscaldamento di 2°C e 4°C rispettivamente.
Non solo, ma si è valutato anche il potenziale dell’innevamento artificiale come risposta all’aumento delle temperature: considerando l’impiego della neve artificiale per metà dell’area di un comprensorio sciistico — quella a quote più elevate — il rischio si ridurrebbe in qualche misura, anche se oltre un quarto dei comprensori sarebbe ancora interessato da una sostanziale carenza di neve con soli 2°C di aumento delle temperature. Insomma la neve artificiale potrebbe non bastare.
E questo pone più di un interrogativo alla pratica dell’innevamento artificiale, che probabilmente dovrà essere impiegato anche per i giochi olimpici del 2026: quali sono i costi ambientali ed economici dietro alla produzione di neve artificiali? Non è facile trovare dati di riferimento, anche perché spesso gli studi sono puntuali e su aree limitate. Ma prendendo come spunto un dossier realizzato dal centro di ricerche Eu- rac di Bolzano, si legge come probabilmente «non sarà più possibile garantire la durata della stagione sciistica come la conosciamo oggi». Inoltre, come riportano altri studi condotti in Austria e Svizzera, «gli attuali sviluppi climatici minacciano la redditività economica delle stazioni sciistiche a quota più bassa, anche a causa dell’aumento dei consumi di elettricità e acqua». E il punto sta proprio qui. Per produrre la neve servono condizioni meteorologiche favorevoli, oltre a un alto consumo di acqua ed energia. Si è calcolato che solo in Alto Adige, negli inverni che vanno dal 2007 al 2016, i cannoni da neve abbiano «consumato dai cinque ai dieci miliardi di litri d’acqua a stagione e, insieme agli impianti di risalita, dai 90 ai 170 milioni di kwh di elettricità, vale a dire il 6-12 per cento del consumo annuo di acqua potabile e il 2,9-5,4 per cento del consumo annuo di elettricità di tutta la provincia». Sia chiaro, non si tratta di essere contro lo sport o contro eventi internazionali che portano con sé quell’idea di collaborazione, competizione, preparazione e sportività di cui abbiamo bisogno come umanità, soprattutto in questi ultimi anni in cui molto è stato messo in discussione. Piuttosto si tratta di fare scelte intelligenti, intellettualmente oneste e pragmatiche, capaci di lasciare quella legacy richiesta dallo stesso Ciò, ovvero che ognuna delle opere olimpiche fosse in grado di avere una ricaduta positiva sui territori, per offrire un futuro soprattutto alle nuove generazioni. Futuro che oggi, invece, pare essere piuttosto incerto.
Il punto sulle opere
Era il 24 giugno 2019 quando l’Italia si è aggiudicò i Giochi olimpici invernali del 2026, battendo la Svezia. Passarono meno di sei mesi e l’8 dicembre alcuni pazienti mostravano i sintomi di una nuova malattia virale in Cina: era l’inizio della pandemia di Covid-19. Chissà se i presidenti delle regioni Veneto e Lombardia, Luca Zaia e Attilio Fontana, e il sindaco di Milano Beppe Sala, sapendo quello che sarebbe successo negli anni successivi, avrebbero insistito con tanto vigore per conquistare le Olimpiadi Milano-Cortina.
Perché sui costi e sui tempi della mega operazione lombardo-veneta la pandemia ha avuto un impatto enorme, a cui si sono aggiunte la guerra in Ucraina e, non ultima, l’abituale tendenza degli italiani a presentarsi un po’ trafelati ai grandi appuntamenti: basti pensare che la Società infrastrutture Milano Cortina (SiMiCo), centrale di committenza e stazione appaltante delle opere connesse allo svolgimento dei XXV Giochi olimpici e paralimpici invernali del 2026, è stata costituita solo il 22 novembre 2021 ed è operativa dall’aprile 2022, quasi tre anni dopo l’aggiudicazione dell’evento.
La cabina di regia, alla quale partecipano una ventina di enti, dalla presidenza del Consiglio alle regioni coinvolte, dal ministero dell’Economia fino al sindaco di Cortina, è stata creata il 17 febbraio 2023 e adesso si riunisce a ritmi accelerati, un paio di volte al mese. La macchina organizzativa si è mossa in ritardo, con tre governi che nel frattempo si sono succeduti a Roma, e ora è in affanno per rispettare la tabella di marcia, tra bandi da rivedere e impianti da spostare. E dire che nelle intenzioni il progetto dei giochi invernali era partito bene: l’input del Comitato olimpico internazionale e della Fondazione Milano Cortina 2026 era di utilizzare il più possibile impianti già esistenti, evitando spese inutili e coinvolgendo i privati. Il risultato è l’Olimpiade più diffusa nella storia dei Giochi: le competizioni si svolgeranno in nove sedi diverse, coinvolgendo 21 capoluoghi di provincia e 2.300 comuni di Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Infrastrutture stradali
In seguito all’aumento dei costi provocato da pandemia e guerra in Ucraina, l’ammontare degli investimenti pubblici per le opere previste è lievitato dai 2,6 miliardi previsti all’inizio del 2022 agli attuali 3,6 miliardi scarsi. L’attenzione dei giornali si concentra naturalmente sulle spese e sui ritardi che riguardano gli impianti sportivi, a partire dalla pista da bob di Cortina.
Ma in realtà di quel fiume di 3,6 miliardi di fondi pubblici, più di due terzi servono a realizzare infrastrutture stradali e in parte ferroviarie per migliorare la circolazione nelle aree interessate dai Giochi, e non solo. Le opere pubbliche previste per le Olimpiadi del 2026 sono indicate negli allegati del decreto del presidente del Consiglio dell’8 settembre scorso: si tratta di 111 interventi, di cui 58 per la riqualificazione di impianti sportivi e la costruzione dei relativi villaggi olimpici (per un totale di 805,4 milioni di euro) e 53 per le infrastrutture (2,76 miliardi). Queste ultime sono le più varie: dalla circonvallazione di Dobbiaco (35,1 milioni) al collegamento della stazione di Malpensa alla rete ferroviaria nazionale (257 milioni) fino al completamento del percorso ciclabile “Abbadia Lariana” (31,9 milioni).
Tutte opere che hanno ben poco a che fare con i Giochi ma che rappresentano l’eredità che le Olimpiadi dovranno lasciare sul territorio. Tra gli interventi stradali più cari e complicati ci sono la variante di Longarone, che costa quasi 3% milioni, e il lotto 2della variante di Cortina, 483,2 milioni. Due opere che viaggiano in ritardo e che rischiano di essere concluse dopo la fine dei Giochi.
Gli impianti
Per quanto riguarda invece gli impianti sportivi, Milano ha spostato alla Fiera di Rho sia l’hockey su ghiaccio femminile previsto in precedenza al Palasharp, troppo costoso da ristrutturare, e sia le gare di pattinaggio su velocità, fissate in origine a Baselga di Pinè, Trentino. Mentre è partita la costruzione del Palaitalia Santa Giulia, realizzato da investitori privati per ospitare le gare di hockey maschile e diventare poi una nuova arena per i milanesi. Il costo del Palaitalia sarebbe lievitato da 180 a 270 milioni di euro. Anche il villaggio olimpico di Milano dovrebbe rispettare i tempi. Il problema più grave resta quello dello Sliding Center, la pista di bob, slittino e skeleton che dovrebbe sorgere a Cortina. Un impianto molto critico perché rischia di diventare una piccola cattedrale nel deserto dopo i Giochi, come è successo alla pista di Cesana Torinese. Al bando di gara non si è presentata nessuna azienda e ora la SiMiCo sta cercando in extremis un’impresa capace di portare a termine i lavori. Mentre Zaia ha aperto alla possibilità che le gare non si svolgano nella città veneta. Innsbruck si è fatta avanti offrendo la propria pista, che però andrebbe adeguata: fatti due conti, si è visto che all’Italia trasferire il bob nella città austriaca costerebbe una sessantina di milioni, e un sacco di problemi logistici e organizzativi. È girata anche l’ipotesi di usare la pista di Sankt Moritz, che però necessita di un’autorizzazione ad hoc del Ciò. Ma circola anche un piano per gareggiare addirittura nell’impianto di Pechino. Incredibile ma vero.
“Qui ci sono la cultura, una lunghissima tradizione sportiva, l’esperienza, la capacità di accoglienza necessarie per consentire di costruire attorno a quest’opera sinergie internazionali a beneficio di tutti gli attori in gioco. Lo dobbiamo alla storia delle 12 medaglie olimpiche nel bob e alle 18 medaglie nello slittino vinte dal nostro Paese»
Ma quanto vuote e inconsistenti sono queste e le altre parole che trovate qui: https://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/2023/09/30/news/fondazione_cortina_rinunciare_al_bob_schiaffo_a_tutto_il_bellunese-13551463/?ref=pay_amp
Una bolla di sapone ha più sostanza. Qui siamo al nulla cosmico.
9) Buonsenso-Zaia: 1 a 0.
Una quasi vittoria per chi ha manifestato e lavorato per così dire ” contro” .
Una sconfitta amara per un sistema che non riesce nemmeno ad iniziare opere e lavori…vittima quasi di sé stesso.
Una festa per l’ossigeno e il profumo creato dai larici di Ronco!
Colpo di scena alla Camera dei Deputati sul tema della pista da bob olimpica di Cortina d’Ampezzo. L’assemblea di Montecitorio ha approvato all’unanimità un ordine del giorno presentato da Luana Zanella e da altri dieci parlamentari del gruppo Sinistra Italiana-Verdi che impegna il governo a valutare l’individuazione di siti diversi rispetto alla nuova struttura (da costruire) indicata nella candidatura delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 per le gare di bob, skeleton e slittino. Il voto è arrivato con parere favorevole dello stesso esecutivo di Giorgia Meloni che ha ottenuto dai presentatori del documento una modifica. Nella stesura del testo originario era scritto: “Il governo si impegna ad intervenire presso il Commissario straordinario perché venga accolta la proposta avanzata dal Sindaco della città di Innsbruck di far disputare le gare olimpiche sulla pista di bob della città austriaca”. Il viceministro alla giustizia Francesco Paolo Sisto, che è intervenuto a nome del governo, ha spiegato che con una conclusione più aperta rispetto alla sola opzione di Innsbruck ci sarebbe stato l’ok del governo. Così è stato inserito che il Parlamento “impegna il governo a valutare l’opportunità di soluzioni alternative rispetto alla realizzazione della pista di Bob a Cortina”.
È la prima inversione ufficiale di rotta in un cammino accidentato che a quattro anni dalla vittoria della candidatura italiana per i Giochi Invernali del 2026 non è ancora arrivato all’apertura dei cantieri che prevedono una spesa di 124 milioni di euro. Il voto arriva quattro giorni dopo una manifestazione pubblica a Cortina, a cui hanno partecipato un migliaio di persone contrarie alla pista. Inoltre, due giorni fa il consiglio provinciale di Belluno ha approvato un altro ordine del giorno dello stesso tenore (a favore era stato solo il centrosinistra, mentre Lega e Forza Italia si erano astenute).
Evidentemente sulla posizione del governo stanno pesando le incertezze su chi sarebbe disponibile a effettuare i lavori. A fine luglio andò deserto il bando di gara del commissario Luigivalerio Sant’Andrea. Il 20 settembre ha avuto una fumata nera anche la procedura negoziata, con invio di lettere ad alcune imprese di costruzione. Sembravano interessate Webuild (ex-Salini) e Gruppo Pizzarotti, ma finora non è arrivato un accordo formale. Sulla realizzabilità della pista pesano infatti i tempi ristrettissimi (servono 807 giorni di lavori ininterrotti) e i costi. L’appalto in sé è di 81,6 milioni di euro (anche se l’impegno finanziario con la progettazione, l’Iva e i costi aggiunti arriva a 124 milioni). Società Infrastrutture Milano Cortina tace da dieci giorni, mentre sono cresciute le spinte per una soluzione diversa da Cortina.
Il voto della Camera apre un’uscita di sicurezza a chi ha difeso strenuamente la scelta del nuovo impianto e si trova a fare i conti con la mancanza di costruttori. Il documento approvato (218 presenti, 212 votanti, 212 voti a favore e 6 astenuti) mantiene intatto tutto l’impianto delle critiche all’ipotesi cortinese: costi eccessivi, inattuabilità per ristrettezza dei tempi e dissensi del territorio bellunese. “E’ una presa di posizione definitiva. Il governo alla fine ha ceduto, inserendo la possibilità di cercare ‘altri siti’. Credo vogliano evitare di fare una figuraccia”, ha commentato Luana Zanella.
“E’ una vittoria del buon senso – ha dichiarato Francesco Emilio Bonelli, portavoce di Europa Verde – dopo che per ben due volte la gara d’appalto è andata deserta. Importanti società hanno declinato l’invito, mettendo in luce le difficoltà sia dal punto di vista della tempistica che economico. Stiamo rischiando di fare una figuraccia globale in vista dell’importante appuntamento olimpico. La pista di Cortina era un errore fin dall’inizio. Non possiamo ignorare l’impatto ambientale devastante: stiamo parlando della distruzione di un ecosistema, con la perdita di oltre 500 larici e altri alberi. È necessario considerare le alternative, come la proposta dell’Austria che ha offerto di utilizzare gli impianti di Innsbruck”.
Cristina Guarda, consigliere regionale veneta di Europa Verde, ha aggiunto: “E’ un risultato importantissimo, una posizione politica finalmente equilibrata, con la quale tutti si uniscono al nostro messaggio, che da anni ripeto in consiglio regionale e assieme a cittadini e associazioni: non spendiamo risorse pubbliche e non indebitiamo le comunità con opere dai conti in rosso. Lo hanno capito tutti, anche chi in passato aveva votato lo stanziamento dei fondi per costruire la pista, ad ogni aumento dei costi prospettato da Regione Veneto o Fondazione Milano Cortina. Ora il governo e il commissario Sant’Andrea devono partire da qui, capendo quale struttura sia la più opportuna”.
Concordo,la montagna non deve essere un “parco giochi” ,ma la gente va educata a rispettarla ,come per ogni ambiente naturale del resto…chi la ama la rispetta e poi quante persone hanno perso la vita per superficialità e noncuranza ,ne vale la pena ? la vita è preziosa
Sono 7 anni, da quando si è deciso che Cortina dovesse prima avere i mondiali poi le Olimpiadi, che mi oppongo a progetti che da subito si erano rivelati forieri di sciagure. La montagna ha bisogno di altro( cura del territorio, servizi e soprattutto politiche comunitarie del territorio nel suo insieme).Qui invece si è trattato di una mattana, inventata a tavolino, senza il necessario studio( la montagna è fragile). Io da queste manifestazioni sono stato toccato duramente( ho perso tutto), ma non è per questo che ho lottato e lotto. Il disagio che ho provato e provo è soprattutto la mancanza di solidarietà e di comunità. Ognuno pensa a sé stesso e il futuro della montagna non interessa che a pochi che la amano davvero. Se interessati a saperne di più contattate Renato Tabacchi ( variante di Tai di Cadore)
Si potrebbe fare una compensazione: la realizzazione della pista del bob in parallelo con lo smantellamento di 10 impianti di risalita dismessi con il relativo ripristino dei luoghi alla condizione naturale …
Forse sarebbe il caso di trasferire anche il resto delle gare previste a Cortina, rinunciare a tutti i finanziamenti e cambiare nome alle Olimpiadi (Milano-Insbruck?)
Rimane una figuraccia internazionale storica. Meglio sarebbe stato non intraprendere il percorso e lasciare Cortina alla sua attuale triste decadenza.t
Fare una pista da Bob per 40 praticanti professionisti,roba da matti. A tutto c è un limite…. Forse è ora di togliere queste gare
Concordo in pieno con le proteste contro la pista bob di Cortina.Aggiungo che da Cortina decollano gli elicotteri con la attiva collaborazione delle Guide di Cortina per portare i turisti estivi e invernali sulle cime dolomitiche. La Regione veneto permette l’eli ski-tute alari (dalle pale san lucano o torre trieste ecc). Le Dolomiti diventano una giostra e dobbiamo opporci.
Non solo contro le piste di bob. Le contraddizioni di Zaia dimostrano che è pure arrvato il tempo di rinunciare alle regioni speciali e all’autonomia differenziata.
A me fa ridere zaia che vuole autonomia …per far decidere altri. Basterebbe questa incongruenza per capire quanto il bob sia incongruente con l’ambiente…..e zaia con la politica. Confido in un raziocinio romano