Ancòra Motti! Àncora Motti
Itaca nel Sole, il film su Gian Piero Motti
di Alessandra Longo (www.verticales.it) e Mariana Zantedeschi (4810 m di bla bla bla)
già pubblicato sui rispettivi siti il 6 giugno 2018
Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Mariana (4810 m di bla bla bla)
Sento al telefono Alessandra, mi dice che sarebbe andata alla prima del film Itaca nel sole – Cercando Gian Piero Motti di Tiziano Gaia e Fabio Mancari (22 maggio 2018). Sono molto curiosa, e di nuovo nasce l’idea di commentare l’evento con un articolo a quattro mani. Così, mentre a Torino comincia la proiezione, a Verona comincio a rimuginare. Credo che anche Alessandra, seduta su una poltroncina del teatro, stia facendo lo stesso.
Alle superiori mi è capitato di sentir suonare la campanella che segnava la fine dell’ora e di rimanere seduta ancòra per qualche secondo, inebetita, mentre tutti attorno a me cominciavano a dimenarsi, mettere via libri e prenderne di nuovi. Io invece stavo ancòra ascoltando quello che era terminato e non volevo terminasse: la lezione. “Ancòra!” Ne volevo ancòra di quel sapere.
Cinema Massimo, Torino, 22 maggio 2018, proiezione del film. Il successo di pubblico ha portato alla messa in calendario di una seconda serata, mercoledì 6 giugno.
Questa sensazione era legata a lezioni precise: letteratura greca e italiana. Ma ancòra di più a matematica e fisica, lì andavo malissimo e dei numeri capivo gran poco. Eppure la professoressa riusciva a farmi cogliere che dietro quelle formule astruse c’era bellezza, in fondo la stessa bellezza che trovavo nei versi di un Omero o di un Leopardi. “Ancòra! Ancòra professoressa, spieghi ancòra!” pensavo.
Improvvisamente un giorno questa professoressa salì sulla torre più alta del centro cittadino e da lì non tornò più tra noi studenti. Lasciò un vuoto pieno. Vuoto perché lei non c’era più a nutrirci di sapere, ma pieno perché in me ancòra adesso vibra l’emozione dell’ “Ancòra!”. La bellezza che si cela dietro le formule matematiche e gli esperimenti fisici mi risuona dentro come le onde cosmiche di cui ci parlava.
Dal film Itaca nel sole (Stuffilm) alla cui realizzazione ha contribuito una campagna di crowdfunding online.
Ma che c’entra tutto ciò con Gian Piero Motti?
Pochi giorni e sarei andata a scalare per la prima volta in Val di Mello, documentandomi un po’ sull’arrampicata in valle mi imbattei nella vicenda del Nuovo Mattino, e di conseguenza trovai I falliti, un suo scritto del 1972. Lo lessi d’un fiato e quando lo terminai sulle labbra mi rimase la stessa parola: “Ancòra!”; avevo trovato ricerca di verità, e ne volevo ancòra.
Con la sua esperienza coglieva l’umanità nelle sfumature più alte:
“Andavi ad arrampicare quando lo desideravi, quando dentro di te sentivi il sangue fremere e friggere, quando avevi desiderio di sole e di vento, di cielo e di libertà. Eri allegro e spensierato, avevi un sacco di amici e di amiche e soffrivi da morire quando le sensazioni che provavi erano solo tutte per te e non vi era nessuno con cui spartirle. Cosi cercavi con la fotografia di rendere anche gli altri partecipi della tua gioia, oppure li trascinavi in lunghe e interminabili gite o li legavi a una corda e li portavi ad arrampicare sui sassi perché volevi che anche loro provassero le stesse gioie e le stesse sensazioni.”
E allo stesso tempo ne colse gli aspetti più sofferenti:
“Ora invece sei solo da morire, barricato nella tua torre d’avorio; con il tuo sterile solipsismo hai distrutto le cose più belle che avevi […] Oggi se perdo una domenica intristisco, divento irascibile, nervoso, se ogni volta che arrampico non vado a fare una via estrema, non mi sento soddisfatto.”
Andai a comprarmi il suo La Storia dell’Alpinismo, alla fine di ogni capitolo la stessa parola: “Ancòra!”.
E ogni volta che leggo qualcosa di suo, vorrei non finisse mai. Ed è la stessa sensazione che si prova a volte scendendo dalle montagne. “Ancòra!”. E’ il sapore della bellezza e di quella sete di verità.
“Il 3 maggio 1975 è uno strano sabato di primavera (…) Sulle Alpi è tornato l’inverno”. L’ultima opera di Enrico Camanni Verso un nuovo mattino (Laterza, 2018) mi fa rivivere l’atmosfera (ed il clima!) di quegli anni. Foto: Alessandra Longo.
Alessandra (www.verticales.it)
Ancòra Motti? Si son posti l’interrogativo in due. O meglio: se lo saranno chiesto in tanti, ma sul palco del Cinema Massimo di Torino mi hanno particolarmente colpito le riflessioni di quei due. Lei: la climber affermata, nata vent’anni dopo il Nuovo Mattino. È Federica Mingolla, arrampicatrice sportiva professionista, alpinista e tecnico federale FASI che, nel documentario Itaca nel Sole, prende atto dell’abisso che separa le nuove generazioni – Millennials o Generazione Z che siano – dalla figura di Gian Piero Motti: «Ormai è molto lontano. Tra i giovani non c’è nessuno che ne parla». Mi giro nella penombra e scruto tra le poltrone: tante teste bianche, forse troppe. Dalla platea, lui, Enrico Camanni sembra precedere le mie intuizioni: «Motti è essenzialmente uno scrittore. Se oggi è lontano, lo è perché la scrittura non è più il canale del pensiero».
Ci destreggiamo in un universo dominato dalla scrittura. Oggi, molto più che nel passato, abbiamo quotidianamente a che fare con email, messaggi, form da compilare, testi da digitare. Eppure la scrittura – come forma di rielaborazione della nostra esperienza – sembra non destare grande interesse. Come mai? Forse perché non ammiriamo più il mondo attraverso la nostra percezione viva e diretta, né ci prendiamo la briga di raccontare le impressioni che ne ricaviamo. Ci accontentiamo di filtrare i fatti così come sono, fuori da noi stessi.
Ci basta pubblicare su Facebook una scarna descrizione del nostro status oppure ci accontentiamo di una laconica foto su Instagram, in cui non v’è altro messaggio se non qualche hashtag, strategicamente studiato per ottenere la giusta visibilità. Anche nella comunicazione puntiamo alla prestazione, miriamo al risultato e ci perdiamo – sempre più – l’insita meraviglia del raccontare senza fini prestabiliti, senza interessi reconditi o standard da rispettare. Chissà cosa avrebbe detto Motti dei selfie eroici in vetta, del fotoritocco per aumentare l’inclinazione della parete e delle inserzioni a pagamento per diffondere un’immagine senza parole, un Io senza identità se non virtuale?
“Potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi re di uno spazio infinito (Amleto, William Shakespeare)”. Foto e disegno di Mariana Zantedeschi: il Mont Pelvoux è l’Itaca verso cui far (ancòra) ritorno.
Perché dunque ancòra Motti all’epoca del digitale? Al di là delle commemorazioni, del ricordo, dell’impronta storico-culturale qual è la portata della sua esperienza oggi se è vero che “tra i giovani non c’è nessuno che ne parla”? Se nell’attuale visione sportiva della montagna spopola sempre più la velocità esasperata, la competizione e la ricerca del record? Se il turismo ignora la componente estetica dell’ambiente alpino facendone un prodotto di marketing come tanti altri? Ogni tendenza contemporanea sembra smentire in direzione contraria le aspirazioni di quel Mattino che ci sembra tanto lontano.
Lontano. Ancòra. Hinc ad hōram, “di là fino a quest’ora”. Telefono a Mariana e sbaglio accento: l’ancòra Motti diventa l’àncora Motti, appiglio navale che frena e al contempo salva dalla deriva. Ci ridiamo su perché è proprio buffo affibbiare una metafora marina a un idolo della montagna. Eppure funziona: navighiamo sul web da anni, scriviamo fiumi di parole sui blog eppure, sempre più spesso, ci sentiamo prossime al naufragio. Fluttuiamo in balia delle onde (la SEO, l’argomento del momento, gli aggiornamenti software, ecc.) e perdiamo di vista il nostro approdo. Così come in montagna: scaliamo, corriamo, puntiamo a vette senza una mappa di navigazione più ampia (e non parlo del GPS). L’àncora smuove le acque, affonda negli abissi e scandaglia il fondale finché la presa si fa più vigorosa.
Per me e per Mariana i libri di Motti sono stati un’àncora nel senso che hanno segnato un freno, non limitante, ma necessario: solo rallentando è possibile trovare la giusta spinta per tornare a veleggiare verso il tesoro, verso Itaca, verso il Sole. E allora ecco la tensione di cui parla Mariana: ancòra viaggi, ancòra progetti, ancòra libri, per progredire attraverso le cose per il gusto di arricchire se stessi, senza accumulare pesi, ma al contrario procedendo leggeri, regalando agli altri storie in grado di creare valore, di lasciare il segno. Come un’àncora nella sabbia.
PS. Conversazione post articolo:
Alessandra: «Forse era più in tema finire con “Come un’àncora nella roccia”…».
Mariana: «Eh, tornerebbe anche utile… mi potrei portare in parete un’àncora al posto dei nut!».
Alessandra: «Te ne faccio una fucsia! Così si nota… anzi no… che poi gli altri climber pensano: “Che sia della Petzl? Me la voglio comprare anch’io!”».
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Sono della generazione di Motti, ricordo con piacere la lettura dei suoi scritti, e le arrampicate al Caporal su Itaca. Ma con disappunto ricordo uno degli suoi ultimi scritti; comparse con le pagine in bianco, in pratica non aveva piu’ nulla da dire; l’episodio precedeva la sua imminente fine. Riconosco rileggendolo la bravura dello scrittore e l’impegno profuso, ma non ritrovo le vibrazioni di allora. Anzi non capisco che tanta intelligenza é impegno sia stata profusa in una sfera sociale prettamente ludica, quando in quel periodo anni ’70 e ’80 nel sociale c’e ne fosse un gran bisogno.
Saluti, LUIGI
insomma film alla cliffhanger. Va be dai…magari non proprio così.
È vero, ho sbagliato, il film su Motti era fuori concorso! Il redattore del blog ha sempre ragione! Rimango peró dell’idea che al Festival di Trento c’è sempre più cinema e sempre meno montagna. Sono insomma convinto che anche fosse stato in concorso “Itaca nel sole” non avrebbe avuto premi, né dalla giuria né dal pubblico, come non li ha avuti il commovente Dirtbag, sulla vita di Fred Beckey, il climber vagabondo compagno di cordata di Chouinard morto a 94 anni con ancora tanta voglia di arrampicare. Come non li ha avuti il film di Messner sul salvataggio (vero) di Peter Hillary all’Ama Dablan. Per la montagna il pubblico e la giuria hanno preferito i film spettacolari alla National Geografic (Mountain) e quelli di performance sportiva pura (The Dawn wall su El Capitan).
Ciao Ugo,
sono d’accordo con te quando dici che sul web c’è di tutto, materiale di consumo e senza qualità. Ma mi sto rendendo conto che c’è anche tanta gente che sul web non scrive, per questo motivo o semplicemente perchè scrivere non è la sua; sono d’accordo con Gabriele quando dice che in alcuni ambienti Gian Piero Motti è più vivo che mai, anche se sì, stiamo parlando di una minoranza.
Grazie dell’incoraggiamento a cercare avventure nostre personalizzate… è la strada, per non accontentarsi o scimmiottare… ma per godere della creatività!
Per quanto riguarda il pessimismo… forse il tono dell’articolo in effetti è un po’ triste, ma ti assicuro che no, non siamo pessimiste! Avremmo già perso in partenza qualsiasi battaglia (della vita!!) e voglia di godere delle emozioni che che la montagna può dare. Raccontarle poi… per me è una forma di rielaborazione, per capire da dove vengo e per intravedere dove voglio andare. E poi quando ci mettiamo a scriverle ci divertiamo parecchio!
Lo credo anche io. Giovani e molto meno giovani.
Caro Daidola, a onor del vero occorre precisare che a Trento il film Itaca nel Sole è stato presentato Fuori Concorso. E la sala era gremita.
Sono all’áncora in una baia delle Azzorre e ho apprezzato molto la conversazione viva, intelligente e spumeggiante di Alessandra e Mariana. L’avrebbe sicuramente apprezzata molto anche Gian Piero, uomo affascinante che amava le donne affascinanti.
Sul fatto che ci siano ancora dei giovani e dei meno giovani che sanno apprezzare lo spessore del messaggio di Gian Piero Motti non ho dubbi ma temo siano una esigua minoranza. Ne ho avuto recentemente una conferma al Film Festival di Trento, dove il bel film “Itaca nel Sole” è passato totalmente inosservato. Dalla stampa, dalla giuria, dal pubblico che non a caso a preferito nel suo premio un film ad effetto “stile The North Face” come il pomposo “Mountain”.
Caro adv, io di anni ne ho 26 e condivido i tuoi stessi pensieri. Ho avuto modo di fare una lunga chiacchierata con Alesssandro circa alcuni di questi temi circa un “modo” di vedere l’arrampicata e l’alpinismo. Quindi mi trovo in netto disaccordo con quanto riportato circa le parole di Federica Mingolla sul fatto che Motti sia lontano e che i giovani non ne parlino, anzi credo che in alcuni ambienti sia molto più vivo di quanto si pensi.
Caro Ugo, se hai un attimo vai a spulciare nel blog di Mariana e vedrai che ti passa l’impressione di pessimismo: io le adoro ‘ste ragazze…peccato solo quella trentina d’anni di troppo, ca@@o!
E appena posso andrò a leggere anche quello di Alessandra
Complimenti Alessandra e Mariana
Il vostro scritto ha suscitato in me un po’ di nostalgia e commozione.
Quel periodo che ho vissuto e condiviso con Gian Piero é stato un periodo molto interessante. A me gli anni 70′ appaiono, nel ricordo, come anni favolosi, forse perché ero giovane e nulla mi sembrava impossibile e proibito, ma oggettivamente molti fattori contribuirono a rendere quegli anni eccezionali, ne cito alcuni: innanzitutto era avvenuta una grande evoluzione relativamente alla sicurezza nella scalata, l’assicurazione dinamica ed altro potevano rendere meno rischiosa la scalata e ci aiutarono ad emanciparsi dalla visione eroica dello scalatore di punta che spesso poneva sul piatto della bilancia il rischio della propria vita.
Esistevano in quegli anni tante pareti non scalate e tanto spazio sulle pareti note per aprire nuove vie ove esprimere e dare sfogo alla nostra vena creativa inventandoci avventure a nostra dimensione.
Allora vi erano pubblicazioni scritte ove raccontare le emozioni ed avventure; molti articoli scritti allora mantengono il loro fascino ancora oggi; la stessa rivista del CAI ( allora Rivista Mensile) era un testo importante sulla visione ed interpretazione dell’alpinismo, Gian Piero ed io ci siamo fatti un po’ le ossa scrivendo sulla Rivista Mensile poi sulla Rivista della Montagna. Ma su quelle riviste non veniva pubblicata ogni sciocchezza proposta, i testi erano visionati e valutati dai comitati di redazione. Oggi la Rivista del CAI é una cosa scialba, senza personalità, c’è di tutto ma l’alpinismo é quasi scomparso, io ho la raccolta della Rivista Mensile dal 1949 ma l’attuale Montagna a 360 gradi, quando la ricevo, le dò uno sguardo e poi la cestino nella raccolta differenziata, non posso immaginarmi su una rivista di quel genere un articolo come “I falliti” di Gian Piero.
Sul Web compare di tutto ma é quasi sempre materiale di consumo, usa e getta, spesso esibizione inutile, senza qualità.
Però voglio dirvi una cosa: cercate di cancellare quell’aria di pessimismo e nostalgia che traspare dal vostro scritto, lasciate questo ai vecchi come me. Le montagne sono sempre là pronte ad offrirvi avventure infinite, ci sono infinite vie cadute nel dimenticatoio da riscoprire. Sono sicuro che sia Gian Piero che il sottoscritto se fossimo giovani oggi troveremmo il modo di inventarci la nostra avventura personalizzata su ogni forma di parete e montagna e magari, perché no? anche di raccontarla.
Per quanto riguarda la ricerca della notorietà ad ogni costo ed il raddrizzare le foto per rendere più drammatica l’impressione, non preoccupatevi, erano mode che esistevano anche ai nostri tempi.
Continuate a scrivere di alpinismo
Ugo Manera
ho 24 anni e Motti (non solo gli scritti più famosi ma anche l’opera completa “storia dell’alpinismo”) è forse l’influenza più importante nella mia vita, non solo dal punto di vista alpinistico ma anche personale/formativo.
non credo di essere l’unico
saluti