Cambiamenti climatici e sport invernali
(quale futuro in Appennino?)
di Giuliano Bonanomi1,3, Mara Gherardelli1, Sabrina Spigno1, Mohamed Idbella2
Affiliazioni degli autori:
1Dipartimento di Agraria, Università degl Stuid di Napoli Federico II, Via Università 100, 80055, Portici, Italia.
2Laboratory of Biosciences, Faculty of Sciences and Techniques, Hassan II University, Casablanca, Morocco.
3CAI – Club Alpino Italiano, Sezionedi Salerno, Via Porta di Mare 26, 84121, Salerno, Italia.
Riassunto
Si prevede che l’abbandono delle stazioni sciistiche diventerà sempre più frequente a causa del riscaldamento globale, fenomeno che riduce progressivamente le precipitazioni nevose e la persistenza del manto nevoso. Tuttavia, negli ultimi anni, sono proliferati nuovi progetti volti a costruire nuove stazioni sciistiche sugli Appennini. Tali investimenti economici sono altamente rischiosi, soprattutto in assenza di dati a lungo termine sulla durata del manto nevoso. Il nostro obiettivo, quindi, è quello di produrre il primo censimento delle stazioni sciistiche abbandonate in Appennino e confrontarle con i comprensori attualmente aperti per comprendere le cause che hanno portato al loro abbandono. Successivamente, analizziamo i fattori alla base del fallimento delle stazioni approfondendo le relazioni tra variabili climatiche, geomorfologiche ed economiche. Nel complesso abbiamo trovato 101 stazioni sciistiche in Appennino di cui 28 aperte, 41 chiuse e abbandonate e 32 parzialmente chiuse, ovvero chiuse in più di 7 negli ultimi 10 anni.
Le stazioni chiuse e parzialmente chiuse rappresentano 358 km di piste da sci (il 44% del totale disponibile). Il numero di impianti di risalita per comprensorio (es. ski lift, seggiovie) è più alto per quelle aperte rispetto a quelle parzialmente chiuse e chiuse. In particolare, la quota massima raggiunta dalle stazioni è più elevata per quelle aperte (1793 m) rispetto a quelle parzialmente chiuse (1687 m) e soprattutto per quelle chiuse (1577 m). Infine, la dimensione media delle stazioni in termini di lunghezza delle piste sciabili è molto più ampia per le stazioni aperte (15,7 km di piste) rispetto a quelle parzialmente chiuse (7,1 km) e chiuse (3,2 km). La durata media di esercizio delle stazioni abbandonate è di 29,5 anni, variando da un massimo di 56 anni a un minimo di 0 anni per due siti che non sono mai stati aperti dopo la loro ristrutturazione. La nostra analisi multivariata conferma e rafforza l’ipotesi che le cause che portano all’abbandono siano multifattoriali, con le stazioni chiuse che sono posizionate a bassa quota e piccole in termini di km di piste sciabili. Queste informazioni possono essere utili per investitori, decisori politici e parti interessate, che dovrebbero utilizzarle come punto di partenza nella progettazione e pianificazione di nuovi resort, per evitare fallimenti futuri e perdite di denaro pubblico.
Abstract
Ski resortabandonment is more frequent due to global warming, which progressively reduces snowpack depth and persistence. However, projects aiming for new resorts in the Apennines have proliferated. Such economic investments are risky, especially without long-term data on snowcover duration. Our aim, thus, is to provide the first census of abandoned ski resorts in the Apenninesand compare them with the resorts currently open to understand the causes that led to their abandonment. Subsequently, we explore factors behind resort failure by analyzing the relationships between climatic, geomorphological, and economic variables. Overall, we found 101 ski resorts in the Apenninesof which 28 open, 41 closed and abandoned and 32 partially closed i.e. was closed in more at least 7 in the last 10 years. The closed and partially closed resorts represent 358 km of ski slopes (44% of total available). The number of structures per resort (i.e. ski lifts, chair lifts) it is higher for open compared to partially closed and closed ones.
Notably, the maximum quota reached by the resorts is higher for those open (1793 m) than for those partially closed (1687 m) and especially those closed (1577 m). Finally, the mean size of the resorts in terms of skiable track length was much larger for open (15.7 km) than partially closed (7.1 km) and closed resorts (3.2 km).The average duration of operation of abandoned resorts is 29.5 years, varying from a maximum of 56 years to a minimum of 0 years for two sites that were never opened after reconstruction. The year of abandonment is positively associated with the maximum elevation, size, and duration of operation. Furthermore, the duration of operation is negatively correlated with the construction year. Our multivariate analysis confirms and strengthens the hypothesis that the causes that lead to abandonment are multi-factorial, with closed resorts that share the characteristics of being positioned at low altitudeand are small in term of km of skiable tracks. This information can be useful for investors, policymakers, and stakeholders who should use it as a starting point when designing and planning new resorts to avoid future failures and the loss of public money.
1. Introduzione
Settant’anni dopo l’inizio dell’sviluppo del turismo alpino, l’industria sciistica genera guadagni annuali di oltre 30 miliardi di euro, supportando in modo significativo le economie locali (Steiger et al. 2019). Secondo Yang et al. (2017), la maggior parte delle stazioni sciistiche si trova in Europa, Stati Uniti, Canada e Asia nord-orientale. Pertanto, nei paesi altamente sviluppati, il mercato dello sci è attualmente stabile sia come fatturato che come numero di sciatori (ad esempio negli Stati Uniti, Canada, Italia e Francia) o è lievemente diminuito (ad esempio in Svizzera e Giappone). Inoltre, negli ultimi decenni si sono verificati profondi cambiamenti nell’industria sciistica per adattarsi alle nuove richieste del mercato, soprattutto in risposta alle sfide poste dal cambiamento climatico globale (Peeters et al. 2023).
È evidente che il turismo sciistico all’aperto sia messo a rischio dal riscaldamento globale. La copertura nevosa nelle aree montuose sta infatti diminuendo rapidamente a causa dell’aumento delle temperature. In effetti, l’industria sciistica è spesso definita come “il settore più direttamente e immediatamente colpito” dal cambiamento climatico (Scott et al. 2012; Gilaberte-Burdalo et al. 2014). Allo stesso tempo, i costi di investimento delle stazioni sciistiche sono direttamente influenzati dalla disponibilità di neve, poiché i prezzi di gestione sono significativamente più bassi quando le risorse di neve sono più abbondanti, come con un manto nevoso più profondo e una copertura nevosa più duratura. Sfortunatamente, la durata della copertura nevosa sta rapidamente diminuendo nelle aree ad alta latitudine e ad alta quota, tra cui gli Stati Uniti, il Canada e la maggior parte delle catene montuose europee, come le Alpi, i Pirenei, gli Appennini e i Carpazi (Rumpf et al. 2022, Carrer et al. 2023).
Ad esempio, nelle Alpi, la durata della copertura nevosa è diminuita del 5,6% ogni decennio negli ultimi 50 anni, con un impatto significativo sulle attvità economiche che dipendono fortemente dal turismo invernale (Klein et al. 2016). Nelle Alpi svizzere, come riferito da Klein et al. (2016), la stagione della neve nel 2015 è iniziata 12 giorni dopo ed è terminata 26 giorni prima rispetto al 1970. Nel complesso, la marcata riduzione della durata del manto nevoso, rilevabile indipendentemente da regione e altitudine, evidenzia la necessità di adottare strategie specifiche e tempestive da parte dell’industria sciistica per adattarsi alle mutevoli condizioni climatiche e socio-economiche. Per garantire la redditività dell’industria sciistica, potrebbe diventare indispensabile la produzione sistematica di neve (Steiger et al. 2010), soprattutto all’inizio e alla fine della stagione sciistica (Rixen et al. 2011). Secondo Witmer (1986), per garantire sostenibilità economica, una stazione sciistica affidabile ha bisogno di un minimo di 100 giorni a stagione con un manto nevoso più profondo di 30 cm in sette inverni su dieci. In questo contesto, con un aumento di temperatura di 2°C, in Austria, oltre il 50% delle stazioni sciistiche dovrà aumentare l’innevamento programmato dal 100% al 199% secondo l’analisi di Steiger e Abegg (2017). Più di recente, François et al. (2023) hanno riferito che con un riscaldamento di +2°C e +4°C, circa il 50% e il 98% delle stazioni sciistiche europee saranno gravemente colpite rispettivamente dalla scarsa fornitura di neve e l’innevamento programmato può mitigare solo parzialmente questi rischi. Inoltre, i crescenti costi economici dell’innevamento programmato e la necessità di un approvvigionamento idrico costante limitano il potenziale di questo sistema, mettendo a rischio la sostenibilità economica e ambientale di questo tipo di turismo.
Di conseguenza, il tracrollo economico e il successivo abbandono di numerose stazioni sciistiche a causa del calo della copertura nevosa sono stati segnalati a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti (Burakowski & Magnusson, 2012), così come nelle Alpi europee (NeveDiversa 2023). Un esempio notevole è la Viola St Grée nelle Alpi Marittime. Questa vasta e multifunzionale area, che occupa più di 30 mila metri quadrati a un’altitudine di 1.200 m sul livello del mare, prosperò brevemente negli anni ’80, ospitando i Campionati mondiali di sci nel 1981. Tuttavia, a causa della mancanza di neve, fu abbandonata nel 1997 (Ferrari, 2023). Decine di casi simili di abbandono sono stati segnalati nelle Alpi e negli Appennini negli ultimi decenni e di recente sono stati condotti alcuni studi per documentare le strutture abbandonate (NeveDiversa 2023).
Negli ultimi anni sono proliferati nuovi progetti volti a costruire ulteriori impianti di risalita in tutto l’Appennino, grazie in parte ai finanziamenti forniti dal piano nazionale di ripresa e resilienza italiano. Ad esempio, nella legge di bilancio 2024, il governo italiano ha stanziato circa 148 milioni di euro per sostenere finanziariamente l’ampliamento, la ristrutturazione e la chiusura dei deficit di bilancio di diverse località sulle Alpi e sugli Appennini. Tuttavia, questi progetti sono soggetti a rischi elevati in quanto spesso non tengono conto dei rapidi cambiamenti climatici in corso e dei fattori ambientali che hanno un impatto significativo sulla redditività a lungo termine di queste località. L’assenza di dati solidi e a lungo termine sulla durata del manto nevoso negli Appennini (Raparelli et al. 2023) ostacola ulteriormente la nostra capacità di valutare oggettivamente la fattibilità e la sostenibilità ambientale ed economica di questi nuovi progetti. Alla luce di queste sfide e della mancanza di dati sulla durata del manto nevoso, è necessario un approccio alternativo per valutare la fattibilità e la sostenibilità di nuovi investimenti a lungo termine nel settore. Nel presente lavoro, per affrontare questa sfida, esaminiamo sistematicamente la storia delle strutture abbandonate negli ultimi decenni, con la convinzione che ciò fornirà preziose informazioni sui fattori ambientali che influenzano maggiormente le stazioni sciistiche. Successivamente, abbiamo comparato le stazioni ancora aperte e operative con quelle chiuse ed abbandonate. Quindi, il nostro obiettivo primario è quello di condurre un censimento completo delle stazioni sciistiche abbandonate nella catena montuosa degli Appennini.
Inoltre, ci proponiamo di analizzare i fattori che influenzano l’abbandono delle stazioni sciistiche, analizzando le relazioni tra diverse variabili selezionate, rappresentative di aspetti climatici, geomorfologici ed economici, quantificati sia per le stazioni sciistiche aperte che per quelle abbandonate. Gli obiettivi specifici di questo lavoro sono i seguenti: (i) fornire il primo censimento completo delle stazioni sciistiche abbandonate negli Appennini, (ii) identificare le principali differenze tra stazioni sciistiche aperte e chiuse; (iii) verificare l’ipotesi secondo cui le stazioni sciistiche situate a quote più basse o nelle zone più calde del sud siano più soggette all’abbandono e (iv) determinare se le stazioni sciistiche più piccole siano più soggette all’abbandono.
2. Materiali e metodi
2.1. Descrizione dell’area di studio
La catena montuosa degli Appennini è lunga circa 1.350 chilometri, si estende dall’Italia settentrionale a quella meridionale da latitudine di circa 38°N fino a 44°N. All’interno della catena montuosa degli Appennini, ci sono 261 vette con elevazioni superiori ai 2000 m. (Figura 1). Il punto più alto degli Appennini è il Corno Grande nel Gran Sasso d’Italia, che si trova a 2912 m. Da una prospettiva geologica, il substrato roccioso degli Appennini è prevalentemente composto da calcare, con occasionali occorrenze di flysch arenaceo-pelitico, in particolare nell’Italia settentrionale e centrale, come nel gruppo montuoso della Laga. Fagus sylvatica è la specie arborea più comune nella fascia montuosa, che va da circa 800 a 1000 m, fino alla linea degli alberi (Bonanomi et al. 2018). Si possono trovare popolamenti quasi monospecifici di F. sylvatica alla linea degli alberi, che coesistono con specie di conifere relitte solo in poche località. Piccoli popolamenti forestali di Abies alba sono segnalati nell’Appennino settentrionale, mentre Pinus heldreichii subsp. leucodermis si trova alle linee degli alberi nell’Appennino meridionale, in particolare nel gruppo del Pollino. Il clima dell’Appennino è fortemente influenzato dalla sua vicinanza al mare. Nelle aree più elevate, sperimentiamo condizioni climatiche di tipo montano, caratterizzate da inverni freddi e nevosi ed estati fresche.
Man mano che ci spostiamo verso i pendii più bassi, il clima diventa più mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti. Solo i bacini intermontani, meno esposti all’influenza marina, presentano un clima con caratteristiche più continentali, come osservato nel gruppo montuoso Velino-Sirente (Bonanomi et al. 2020). Le precipitazioni sono abbondanti nelle zone più elevate, spesso superiori a 1.500 millimetri all’anno, e diminuiscono scendendo di quota. Le maggiori quantità di pioggia si registrano tipicamente sul versante tirrenico occidentale dell’Appennino, dove i venti marini carichi di umidità soffiano da sud-ovest, e talvolta il maestrale. Al contrario, i bacini e il versante adriatico sperimentano precipitazioni più basse. Le nevicate sono comuni durante l’inverno, ma una copertura nevosa persistente si trova tipicamente solo ad altitudini superiori a 1500 m. (Raparelli et al. 2023; NeveDiversa, 2023).
Dal punto di vista del turismo associato agli sport invernali, gli Appennini ospitano attualmente 101 comprensori che offrono collettivamente un totale di 799 chilometri di piste da sci (fonte: https://www.skiresort.it/). La maggior parte di questi resort operativi si trova nel nord Italia, in particolare nell’Appennino tosco-emiliano. Tra i più importanti ci sono il Monte Cimone (che offre 50,0 chilometri di piste da sci), l’Abetone (con 44,1 chilometri di piste) e il Corno alle Scale (che offre 14,0 chilometri di piste). Anche l’Italia centrale vanta comprensori di notevole importanza socio-economica, come Alto Sangro-Roccaraso/Rivisondoli, che è il più grande degli Appennini e il quarto più grande d’Italia, con 90,5 chilometri di piste, seguito da Campo Felice (che offre 30,9 chilometri di piste) e Ovindoli (con 20 chilometri di piste).
2.2. Censimento e raccolta dei meta-dati delle stazioni sciistiche abbandonate
Il primo obiettivo del lavoro è quello di fornire un censimento completo delle stazioni sciistiche chiuse e abbandonate da confrontare con quelle ancora aperte in Appennino. Questo obiettivo è stato raggiunto con successo raccogliendo informazioni da diverse fonti, tra cui precedenti indagini condotte dall’associazione ambientalista Legambiente e pubblicate nel rapporto NeveDiversa 2023 (fonte: https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/nevediversa-2023-i-dati-del-nuovo-report/). I dati di Legambiente sono stati poi integrati con informazioni reperite in letteratura grigia, come articoli pubblicati su quotidiani nazionali e locali. Inoltre, i dettagli riguardanti alcune stazioni sciistiche abbandonate sono stati ottenuti da siti web creati da privati (siti web: https://lost-lift.weebly.com, https://lo-sci-che-fu.jimdosite.com). L’analisi ha rivelato l’esistenza di due categorie: stazioni definitivamente chiuse e abbandonate (di seguito indicate come chiuse) e altre che invece alternano periodi di chiusura ed apertura. Nella nostra analisi queste ultime sono state classificate come “parzialmente chiuse” quando sono state chiuse per almeno sette degli ultimi dieci anni. Una volta completato il censimento delle stazioni sciistiche abbandonate, la seconda fase è stata dedicata alla raccolta di metadati con l’obiettivo di comprendere i fattori che hanno contribuito o causato il fallimento economico e la successiva chiusura di queste attività.
Nello specifico, abbiamo esaminato la capacità esplicativa di 11 variabili geografiche e socio-economiche in relazione alle occorrenze di stazioni sciistiche abbandonate. In dettaglio, per quanto riguarda le variabili geografiche, abbiamo raccolto dati per tutte le stazioni sciistiche (aperte, parzialmente chiuse e chiuse), tra cui latitudine e longitudine, distanza dal mare, esposizione, elevazione minima e massima, nonché estensione dell’area sciabile. Tutti i dati geografici sono stati reperiti da Google Earth Pro. Per quanto riguarda le variabili socio-economiche, abbiamo considerato l’anno di costruzione e l’anno di abbandono della struttura, la durata in anni di attività e la dimensione del resort, espressa in termini di chilometri di piste utilizzabili.
Queste informazioni sono state ottenute direttamente dai siti web dei resort o, se tali dati non erano disponibili, dal sito web di Skiresort (fonte: https://www.skiresort.it/). Sono state condotte analisi di correlazione per valutare le relazioni tra queste variabili geografiche ed economiche. Infine, per fornire un confronto più ampio tra resort aperti, parzialmente chiusi e chiusi, abbiamo condotto un’analisi multivariata. In dettaglio, è stata condotta un’analisi delle componenti principali (PCA) per discernere i modelli tra resort aperti, parzialmente chiusi e chiusi in base alle loro caratteristiche ambientali. I seguenti parametri sono stati inclusi nel calcolo PCA utilizzando il software STATISTICA 13: latitudine, longitudine, distanza dal mare, autonomia, lunghezza della pista e quota massima e minima.
3. Risultati
3.1. Censimento delle stazioni sciistiche appenniniche
In totale, sono state identificate 41 stazioni sciistiche abbandonate sugli Appennini, mentre altre 32 sono parzialmente chiuse e solo 28 sono aperte ininterrottamente (Figura 1, Tabella 1). La maggior parte delle stazioni abbandonate si trova nell’Appennino settentrionale (N=19), seguita dall’Appennino centrale (N=12), con meno casi nell’Appennino meridionale (N=9). Ai fini del nostro studio, anche le isole di Sardegna e Sicilia sono incluse nell’Appennino meridionale. Per quanto riguarda l’esposizione, la maggior parte delle stazioni sciistiche è costruita su pendii montuosi con esposizione a nord, mentre solo pochi casi su esposizioni occidentali e meridionali (Figura 2). Nello specifico, il 96,4% delle stazioni aperte si trova su esposizioni fredde (nord e est) con una sola stazione (equivalente al 3,6%) situata su pendii con esposizione calda (ovest – Monte Terminillo). Sebbene la maggior parte delle località chiuse siano anche esposte a nord (73,2%), una quota notevole di queste si trova su esposizioni calde (sud e ovest) (26,8%). Il numero di impianti di risalita (es. ski lift, seggiovie) è più alto per i resort aperti (5,8) rispetto a quelli parzialmente chiusi (2,5) e chiusi (1,9) (Figura 3).
Da notare che solo quattro località attualmente aperte hanno più di quindici skilif o seggiovie. La quota massima raggiunta dalle località è più alta per quelle aperte (1793 m) rispetto a quelle parzialmente chiuse (1687 m) e soprattutto a quelle chiuse (1577 m) (Figura 3). L’ampiezza dell’area sciabile, in termini di elevazione tra punto più elevato e più basso del resort, è maggiore per le stazioni sciistiche aperte (460 m) rispetto a quelle parzialmente chiuse (376) e chiuse (262) (Figura 3). Inoltre, la dimensione media delle stazioni sciistiche in termini di lunghezza della pista sciabile è molto più grande per le stazioni aperte (15,7 km) rispetto a quelle parzialmente chiuse (7,1 km) e chiuse (3,2 km). In termini di area sciabile, solo quattro stazioni sciistiche hanno più di 40 km di piste con Alto Sangro-Roccaraso/Rivisondoli che è un’eccezione con 90,5 km di piste, ponendosi al 122° posto tra le stazioni sciistiche più grandi del mondo. Per quanto riguarda le stazione sciistiche chiuse, la lunghezza dell’area sciabile varia da 0,5 chilometri a 15 chilometri per la stazione sciistica di Prato Selva (Figura 3).
Infine, la distanza dal mare delle stazioni sciistiche è leggermente maggiore per quelle aperte (50 km) rispetto a quelle parzialmente chiuse (47 km) e a quelle chiuse (44 km). Per quanto riguarda la storia dei comprensori abbandonati, il primo resort attualmente abbandonato è stato costruito nel 1960, mentre quello più recente risale al 2015 (Figura 4). I primi casi di abbandono risalgono ai primi anni ’80, mentre il caso più recente si è verificato nel 2022. In media, la durata di attività dei resort è stata di 29,5 anni, con variazioni che vanno da un massimo di 56 anni a un minimo di 0 anni per due resort che sono stati completati ma mai aperti al pubblico.
3.2. Analisi delle variabili geografiche e socio-economiche alla base dell’abbandono delle stazioni sciistiche
L’analisi di correlazione ha rivelato che l’anno di abbandono delle stazioni sciistiche è positivamente associato all’altitudine massima della stazione, alle sue dimensioni e alla durata della sua attività (Figure 4A, B, C). Inoltre, la durata dell’attività della stazione ha mostrato una correlazione negativa con l’anno della sua costruzione (Figura 4D). La longitudine ha mostrato una correlazione positiva con l’anno di costruzione e una correlazione negativa con la durata dell’attività della stazione. Questo effetto è influenzato dalla presenza di tre valori anomali ed è associato alla conformazione geografica dell’Italia, dove le stazioni sciistiche insulari in Sicilia e Sardegna sono situate anche più a ovest. Infine, la distanza dal mare e la latitudine non hanno mostrato correlazioni significative con le variabili di funzionalità della stazione.
L’analisi delle componenti principali (PCA) ha fornito un ordinamento soddisfacente delle tipologie di stazioni sciistiche con i primi due autovalori che rappresentano rispettivamente il 30,83% e il 23,94% della varianza totale. Nella Figura 5 sono riportati i vettori dei parametri associati ai comprensori aperti, parzialmente chiusi e chiusi sullo spazio bidimensionale. Il primo componente PCA evidenzia l’importanza della posizione del comprensorio, sia in termini di massima elevazione sia in termini di dimensioni del resort espresse come intervallo sciabile e lunghezza delle piste. Tutti questi parametri sono positivamente associati a resort aperti. D’altro canto, la PCA ha mostrato che i resort chiusi sono associati a basse latitudini e altitudini accoppiati a piccole dimensioni del comprensorio sciistico (Figura 5).
4. Discussione
Il nostro studio ha individuato 101 stazioni sciistiche sugli Appennini di cui 28 aperte, 41 chiuse e abbandonate e 32 parzialmente chiuse, ovvero chiuse in almeno 7 negli ultimi 10 anni. In totale, le stazioni abbandonate e parzialmente chiuse comprendono 358 km di piste, mentre quelle operative coprono 440 km di piste, rappresentando il 44% della superficie sciabile sugli Appennini. Questi dati sottolineano come una quota significativa delle strutture costruite negli ultimi 70 anni sia ora abbandonata o inattiva, contribuendo al degrado paesaggistico e ambientale (Figura 1). Un’analisi approfondita delle cause ufficiali, riportate principalmente da fonti come i quotidiani, rivela un’ampia gamma di ragioni per queste chiusure. Ad esempio, la stazione Forche Canapine nel gruppo dei Sibillini è stata chiusa a causa dei danni causati dal terremoto del 2016.
La parte alta dell’area Monte Papa-Sirino è stata chiusa a seguito di una valanga nell’inverno del 2015. In diversi casi vengono citati danni dovuti ad atti vandalici (ad esempio, Monte Volturino), ma le ragioni più comuni sono senza dubbio controversie legali tra i proprietari delle strutture e i loro gestori (ad esempio, Valle del Sole, Monte Mufara, Prati di Mezzo). Solo in alcuni casi la mancanza di neve viene ufficialmente segnalata come motivo principale per le chiusure delle strutture (NeveDiversa 2023). Infatti, la maggior parte delle località appenniniche ha la possibilità di produrre neve programmata. Il nostro censimento completo delle località abbandonate e aperte, insieme alla raccolta di dati geografici e strutturali ad esse associati, scopre una verità più ampia ed in parte differente, consentendoci di individuare i fattori che contribuiscono al fallimento di tali attività economiche.
In primo luogo, la nostra analisi sottolinea l’importanza dell’altitudine e delle dimensioni del comprensorio. Durante gli anni ’80 e ’90, i resort situati ad altitudini relativamente basse (con un’altitudine massima inferiore a 1500 m) e di piccole dimensioni, in genere con meno di 5 km di piste, erano più inclini all’abbandono. Questi due fattori indicano che le strutture situate ad altitudini inferiori sono naturalmente più suscettibili alla mancanza di neve. Inoltre, i resort più piccoli si trovano in maggiore difficoltà per far fronte a problemi ricorrenti o gestionali, che derivino da cause naturali o da attività umane, come la necessità di investimenti per i sistemi di innevamento programmato. Per fare un esempio, nei primi anni ’80, i primi resort ad essere abbandonati furono quelli di dimensioni ridotte (meno di 2 km di piste) e posizionati ad altitudini molto basse, occasionalmente anche sotto i 1000 m. Zocca (con un’altitudine massima di 836 m) e Monte Faito (con un’altitudine massima di 1150 m) sono esempi di tali situazioni.
Tuttavia, i nostri dati rivelano che negli ultimi decenni queste problematiche hanno interessato anche località di medie dimensioni situate ad altitudini più elevate. Ad esempio, nel 2019 è stata abbandonata la località di Prato Selva, che comprendeva 15 km di piste e si trova ad altitudini relativamente elevate (con un’altitudine minima di 1373 m e una massima di 1775 m). Di particolare importanza è l’assenza di nevicate durante le vacanze di Natale e Capodanno in Appennino negli ultimi 10 anni (Raparelli et al. 2023). In molte località, questo periodo di circa due settimane genera circa il 50% delle loro entrate economiche (NeveDiversa 2023) e la chiusura forzata durante questo breve lasso di tempo rende l’intera stagione invernale economicamente insostenibile. Da questa prospettiva, l’inverno del 2024 sugli Appennini è stato particolarmente problematico, essendo caratterizzato da scarse nevicate e periodi prolungati ed eccezionalmente caldi anche ad altitudini elevate, rendendo inefficaci i tentativi di produrre neve programmata. Di conseguenza, per una parte significativa della stagione invernale, solo due grandi aree sciistiche sono state parzialmente operative, mentre altre sono rimaste chiuse per tuttala stagione. Il nostro studio ha anche sottolineato l’importanza dell’interazione tra altitudine e orientamento delle piste da sci. In linea con le aspettative per l’emisfero settentrionale, dove la radiazione solare è inferiore e la copertura nevosa persiste più a lungo sui pendii esposti a nord (Körner, 2012), oltre il 70% delle località del nostro studio sono posizionate con un’esposizione a nord.
È importante notare, tuttavia, che una piccola frazione delle località è situata su pendii esposti a sud, caratterizzati da una radiazione solare prolungata anche durante i mesi invernali. Nonostante queste strutture esposte a sud siano situate ad altitudini elevate, tra cui lo skilift di Campo di Giove, che raggiunge il punto più alto dell’Appennino a 2324 m, sono rimaste abbandonate da oltre un decennio. Ciò è dovuto al fatto che, nonostante la loro elevata altitudine e le abbondanti nevicate, l’esposizione a sud riduce significativamente la durata del manto nevoso, rendendo tali strutture economicamente non redditizie (Witmer, 1986). La nostra analisi rafforza questo concetto, segnalando che il 96,4% delle stazioni sciistiche aperte si trova su esposizioni fredde (nord e est) con una sola stazione (Monte Terminillo) con esposizione a ovest. Questa stazione (Monte Terminillo) ha avuto enormi difficoltà negli ultimi anni a causa del rapido scioglimento della neve nonostante l’altitudine massima sia considerevole (1868 m). Alla luce di queste conclusioni, l’idea di rilanciare e ampliare la stazione sciistica di Montecristo, situata a un’altitudine massima di 1900 metri ma su pendii esposti a sud e soleggiati, dovrebbe essere fortemente sconsigliata.
Infine, l’analisi di correlazione tra l’anno di costruzione e la durata operativa delle stazioni sciistiche ha rivelato che le strutture costruite o ristrutturate dopo il 2000 hanno una durata operativa notevolmente più breve rispetto a quelle costruite negli anni ’60 e ’70. Ci sono due casi estremi in cui le stazioni ristrutturate negli ultimi quindici anni non sono mai state aperte al pubblico. Al contrario, le strutture costruite tra 50 e 60 anni fa sono rimaste operative per periodi che vanno dai 12 ai 56 anni. Questa analisi dimostra inequivocabilmente che le strutture di recente costruzione hanno una durata operativa notevolmente più breve, il che a sua volta rende gli investimenti economici in tali iniziative altamente rischiosi, in particolare se non si trovano ad altitudini elevate e sono di piccole dimensioni.
La nostra analisi multivariata conferma e rafforza l’ipotesi che le cause che portano all’abbandono siano multifattoriali, senza che nessuna delle singole variabili esaminate da sola sia in grado di spiegare la propensione al fallimento. La PCA ha mostrato un modello progressivo in base al quale sono distribuite le stazioni abbandonate, quelle parzialmente chiuse e quelle aperte. Infatti, le stazioni sciistiche chiuse condividono le caratteristiche di essere posizionate a bassa quota, soprattutto per il punto di arrivo degli impianti di risalita, e di essere di piccole dimensioni con un’area sciabile limitata e di pochi km di piste. Questo risultato ha importanti implicazioni indicando che solo le stazioni sciistiche situate alle altitudini più elevate e di grandi dimensioni in termini di numero di impianti di risalita e km di piste saranno in grado di affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico.
5. Conclusioni
Il presente studio completo fornisce un set di dati sulle stazioni sciistiche abbandonate e ancora aperte negli Appennini. Questi dati dovrebbero essere considerati come una preziosa fonte di informazione per investitori, decisori politici e per l’intero settore del turismo invernale. La nostra analisi difatti incoraggia le parti interessate a valutare o addirittura riconsiderare di mantenere un’elevata dipendenza dal turismo invernale in aree caratterizzate da bassa quota (sotto i 1500 m) o pendii situati su esposizioni a sud ed ovest. È importante notare che l’ampio ricorso all’innevamento programmato per la sostenibilità dell’industria del turismo invernale richiede notevoli apporti di energia e acqua, causando potenzialmente scarsità per altri settori concorrenti (Peeters et al. 2023). Recenti studi su larga scala condotti nelle Alpi (François et al. 2023) e in Cina (Xin-Wu et al. 2023) hanno messo in guardia contro la costruzione di nuovi comprensori senza prendere in seria considerazione i potenziali impatti ecologici e il rischio associato ai cambiamenti climatici. Nel contesto degli Appennini, i nostri studi che hanno confrontato le caratteristiche dei resort abbandonati con quelli ancora operativi, chiariscono le caratteristiche geografiche ed economiche che promuovono il fallimento, ovvero resort situati a bassa quota, su pendii caldi e piccoli in termini di impianti di risalita e piste sciabili. Il nostro studio aiuterà le parti interessate e i decisori politici ad identificare i fattori geografici e socioeconomici che dovrebbero guidare gli investimenti futuri e prevenire ulteriori fallimenti e perdite di denaro pubblico.
6. Referenze bibliografiche
Bonanomi Giuliano, Rita Angelo, Allevato Emilia, Cesarano Gaspare, Saulino Luigi, Di Pasquale Gaetano, Allegrezza Marina, Pesaresi Simone, Borghetti Marco, Rossi Sergio, Saracino Antonio (2018), Anthropogenic and environmental factors affect the tree line position of Fagus sylvatica along the Apennines (Italy). Journal of Biogeography 45(11): 2595-2608.
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Il Sig. Ratman ha ironicamente, sarcasticamente ragione.
L’articolo è serio e ben fatto.
Spero di godere qualche ultima sciata prima di diventare troppo vecchio. Pista da solo, mentre nevica e non c’è nessuno, nel bosco, l’odore della neve fresca, il silenzio rotto solo dal fruscio delle curve, le soste per assaporare il momento.
Ovviamente la domanda era indirizzata al commento 6, non 5.
@5 Nuova cabinovia al Gran Sasso? Non trovo nessuna notizia da nessuna parte. Qualche dettaglio in più? Fonte?
SUL GRAN SASSO UNA NUOVA CABINOVIA CRONACA DI OGGI
Accolgo sign piccinini:
Pane al pane, vino al vino.
Ora restiamo in attesa degli sci da erba, perché vedere le piste diventare da bianche a marroni con le trincee per il down hill o il serpentone di ferro delle slitte ……anche no
Mah, secondo me sarebbe più consono cretino a cretino…
Scusi Sig. Carlo mi permetta di aggiungere al suo arguto commento anche vino al vino.
Bravo Ratman. Finalmente chi dice pane al pane e da soluzioni perseguibili.
Darwin
Leggere Darwin: far evolvere la discesa dei pendii montani modificandone il rivestimento del piano di scivolamentoo: sostituire la neve con l’erba.
Coinvolgere quelli della Redbull che sono stati capaci di trasformare in sport qualsiasi cosa.