Capitalismo giusto

Capitalismo giusto
di Lorenzo Merlo
(già pubblicato su http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=58187 il 27 gennaio 2017)

Ci consideriamo i detentori della scienza. Siamo indiscutibilmente certi che corrisponda alla verità, che sia lei la sola capace a spiegare il mondo, la sola legittimabile ad essere impiegata per governarlo.

Sulle ali della scienza – ma ormai sarebbe più opportuno chiamarla tecnologia – abbiamo sorvolato sulle faccende umane. Come un google ante litteram ne abbiamo preso le coordinate con il progetto di regolamentarle, organizzarle, identificarne la struttura numerica, riprodurle, clonarle.

Così, credendo che l´esperienza si possa trasmettere, abbiamo creato l´esportazione della democrazia per la quale era necessaria la guerra, che quindi non poteva che essere giusta. Abbiamo proseguito imperterriti nonostante i danni collaterali assolutamente plausibili, ammissibili, necessari. Perché allora rinunciare al capitalismo giusto?

Chi non coltiverebbe con tutte le cure l’orto che, solo, gli dà da mangiare?

Capitolo I
Il capitalismo doveva essere cosa buona, lo è mai stata?

Secondo Adam Smith (seconda metà ‘700) e John Stuart Mill (‘800), il capitalismo (1) esprimeva appieno il senso di progresso la cui fragranza andava diffondendosi nel mondo con la prima industrializzazione del lavoro. Quel profumo avrebbe comportato la distribuzione della ricchezza e la riduzione delle ore di lavoro, elevando così la condizione della popolazione del pianeta. Avrebbe tolto l’uomo dal fango, dalla fame, dal freddo, dalla miseria, regalandogli invece una vita leggera colma di accessori e di tempo libero. Dall’alambicco dell’economia capitalista sarebbero cadute gocce di benessere.

La profezia era basata su due aspetti entrambi accessibili a tutti. Il primo era che la meccanizzazione del lavoro avrebbe aumentato la produzione, togliendo nel contempo gran parte del carico di lavoro dalle braccia degli operai. Il secondo che quella distribuzione di ricchezza, avrebbe progressivamente allargato il potere d’acquisto, con il quale sarebbero cresciuti i consumi, i quali avrebbero comportato un aumento della domanda che la maggior produzione, garantita dall’industrializzazione, avrebbe saputo soddisfare. Così semplice da sembrare vera, la profezia.

La piramide che non tutti vedono

Tralasciamo la condizione di vita e i diritti dei proletari sulle cui schiene era appoggiata la piramide in cima la quale avrebbe dovuto gocciolare l’alambicco.

Marx (‘800) aveva presto fatto presente alcune zone d’ombra sia umane che economiche: l’alienazione del lavoratore; la mercificazione del lavoro e dei beni, quindi quella dell’uomo stesso. Vere bombe a orologeria. Sono particolari, detonano per pressione psicosociale, esplodono, nel corpo e nello spirito, silenziose come un’epidemia. Gli esperti economici constatano la presenza e la diffusione e si interrogano del male popolare, a chi di loro si pone interrogativi sull’origine, questa resta a lui sconosciuta. In ogni caso annaspano nel buio. Nonostante ciò, prescrivono vincolanti ricette di austerità, al momento del tutto inefficienti per le società colpite ma incommensurabilmente fruttuose per le multinazionali farmaceutiche e non solo.

Più che i partiti e le rivoluzioni, quelle bombe, ci ha pensato il tempo a farle esplodere. E la brillatura non è che all’inizio.

Scrive Max Weber che «… la prevalenza assoluta del capitale produttore, spesso anonimo, sul prestatore di lavoro; la preminenza della macchina e il possesso della macchina da parte dello stesso capitale; la quantità intensificata della produzione e le possibilità, supposte sconfinate, di accrescerla; la conquista dei mercati, ecc. ecc.» erano assolutamente predominanti su «elementi spirituali, di solito espressi con sottintesa valutazione etica: avidità di denaro, tendenza all’accumulo di sempre maggiore capitale; assenza di scrupoli, invadenza, spirito di sopraffazione, sfruttamento, ecc.» (14)

E siamo a ieri. La guerra era finita, la nazione si era formata, l’italiano aveva sostituito e spesso anche reso negletti i dialetti. La scienza era ora identificata da tutto un popolo – non solo in Italia – come un valore indiscutibile, come verità accertata e certa. La longa manu dei positivisti aveva colpito il lato destro del cervello.

La dissoluzione di sentimenti comuni apre le porte alla solutudine, ciglio dell’abisso

Nel momento delle lotte operaie (‘900), la pessima situazione dei diritti era migliorata. Anzi, per merito dei salari indicizzati, autoregolamentati dalla produttività, liberi dal rischio dell’inflazione che non consumava così il potere di acquisto della busta paga, i lavoratori erano riusciti sostanzialmente a farsi considerare uomini e donne come i loro simili in camicia bianca, tailleur, pochette e Bentley, pretendevano per se stessi. Tuttavia del progetto redistributivo non si era vista realizzazione, a meno che non si voglia omologare come tale la lambretta e la tv per tutti. Conquiste di un’apparente soddisfazione, ma sostanziale sirene al comfort come valore e necessaria pasturazione utile a dissolvere quella coscienza di classe della quale oggi non se ne trova più neppure in dosaggi omeopatici, sostituita – sic – da individui innocentemente orgogliosi di sgomitare per il benefit aziendale, di recitare nella pubblicità della Coca Cola, del dado Knorr.

Inoltre, evidentemente, il bigoncio di raccolta del gocciolamento aveva delle perdite strutturali. Il percolamento non arrivava mai alle schiene, ai piani superiori della piramide c’era chi aveva collegato il proprio personale rubinetto.

Siamo al presente e le cose sono cambiate. Gli esperti accennano anche a una data e a un luogo preciso. 2 giugno 1992, a bordo del panfilo Britannia, della famiglia reale britannica, esponenti del mondo finanziario americano si incontrano con i poteri italiani. Scopo della riunione è l’avvio della svendita di grandi beni istituzionali e industriali made in Italy.

La ricetta del capitalismo si è infarcita di finanza speculativa. Un ingrediente forte, una specie di wasabi, che copre, sostituisce gli altri sapori. Un elemento di talento ma dal carattere suscettibile, dalla psicologia instabile. Una novità che dalle stanze dei bottoni, non solo non si sono lasciati scappare ma che, hanno strategicamente gonfiato e sfruttato. Almeno fino al 2008, quando la speculazione finanziaria fuori controllo, relativa al mercato immobiliare americano, ha prodotto un indebitamento tale da coinvolgere il sistema economico del pianeta. Naturalmente, i soliti di tipo A (pochi) si sono arricchiti e i soliti di tipo B (molti) hanno pagato. E non è finita.

Gli stessi esperti di prima si danno da fare per farci presente che in fondo si trattava di un evento imprevedibile e che quindi la sua pesante ricaduta, era giusto cadesse su tutti.

In attesa della goccia

La finanza ha cambiato la ricetta e il livello. Il capitale aveva a che fare con i mercati, le persone, il denaro. La finanza con i governi, i capitalisti, il potere. Le ha cambiate fino a potersi e doversi dotare di eserciti, così come anche le mafie hanno fatto. L’agonia degli Stati è in corso da tempo, a spartirsi il mondo saranno mafie e poteri finanziari. Con i loro eserciti, i loro servizi, sostituiranno quanto facevano le Patrie. Noi avremo modo di scegliere da che parte stare, di chi essere ricchi sudditi o miserabili schiavi. Ammesso che in alto, di fianco all’alambicco non sia seduta una persona sola.

Nel frattempo, sempre il capitale o chi ce l’ha, aveva escogitato una nuova idea per riproporre il vecchio ritornello con rinnovata determinazione: la globalizzazione distribuirà ricchezza. Visto che la ricetta si era arricchita di un nuovo ingrediente, serviva una pentola più grande, sovrannazionale. Pietanza gustosa che ha subito soddisfatto il palato lineale degli economisti, altrimenti detti, quelli che senza saperlo sono riusciti a ridurre gli uomini e la vita entro gli assi cartesiani. A mezzo di grafici hanno capito che potevano sostenere la bontà dell’ammaliante jingle, certamente destinato ad essere una hit, sicuramente destinato al top della classifica dei desideri, quindi dei bisogni, delle spese. L’inglese e gli inglesismi fanno parte del progetto, amalgamano e omologano manager e sudditi. L’aspetto disumano della globalizzazione non era presente negli occhi dei nuovi scienziati, ma chi lo vedeva li chiamava boia. Quanto era giusta quell’espressione… I piccoli centri non contavano più. Il nuovo sistema li emarginava, oppure li comprava, senza fatica, li eliminava, perché business is business. A loro, non importa che la globalizzazione riguardi il mondo già impigliato nel web, quello che non ha alcuna relazione – se non fagocitante – con quello tribale, rurale, dei piccoli centri bioregionali, quelli che riempiono di autenticità il resto del pianeta.

Contemporaneamente al nuovo entusiasmo, i competenti hanno giustificato il mancato successo del capitalismo puro, non virtuale, quello fatto di denaro tintinnante, per una questione di regole mancanti. Hanno aggiunto che per sistemare le falle del sistema economico è dunque sufficiente stilare opportune regole, e la cosa non si ripeterà. Poi se andavano soddisfatti certi di aver convinto tutti che il capitalismo è buono e giusto.

Più che scricchiolare, la profezia era crollata, eppure, c’era ancora chi votava a favore del sistema. Sì, perché il capitalismo garantisce all’uomo la miglior storia possibile.

Il passato è finito. Sul futuro si può dire tutto. Ci si può chiedere se è auspicabile un capitalismo organizzato da regole mirate alla distribuzione della ricchezza. Garanzie di equità e libertà sono compatibili con il sistema capitalistico finanziario? In caso positivo, si potrebbe condividere che è vero che la miglior società e cultura è quella a sua immagine e somiglianza.

Convinti di professare l’inalienabile diritto del libero arbitrio, corriamo felici al centro commerciale

In caso negativo? Non tutti condividono la prospettiva descritta sul piano cartesiano. L’uomo non sta entro le regole se non parzialmente e temporaneamente, ne va della salute, della bellezza, di tutto. Mercati e faccende umane hanno come regolatore anche la pancia, il cuore, lo spirito.

Da certi osservatori, pare siano in aumento coloro che sostengono che il capitalismo giusto non possa sussistere… che sia un ossimoro. Semmai sostengono che è fisiologico che l’organismo tenda a produrre lobby, corporativismo, leggi illiberali, oligarchie, guerre. Già, neppure queste sono sfuggite alla mercificazione. Il capitalismo non può essere giusto neppure affardellato di regole, perché acefalo, decapitato dal potere finanziario, la cui capacità e potenza corrispondono a una nuova Gleichschaltung (2), a un indottrinamento non coercitivo dispiegato con tutti i mezzi del caso: scuola, formazione, comunicazione, informazione.

«Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l’offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d’acquisto, espande i mercati e genera occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa logica sta conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica». (3)

«La finanza, con la sua fortissima capacità di inclusione nelle vicende nazionali, può infatti esautorare il processo democratico quando e come vuole. Lo fa già in molti modi, anche leciti.
Il problema è che questo modello economico appare come uno strumento di selezione darwiniana, dove ad una classe politica che non governa le decisioni ma le subisce, si contrappongono manager senza controllo, capaci di provocare crac finanziari di dimensioni globali e dalle conseguenze immani per le comunità nazionali e la vita di interi popoli, senza che ciò provochi alcun sussulto morale.
Qui, vale la pena ribadirlo ancora una volta, il punto non è confutare l’economia di mercato ma cercare correttivi profondi in modo che essa sia al servizio dei popoli e non avvenga il contrario.
Bisogna abbandonare l’idea salvifica della mano invisibile che tutto regola e guardare la situazione attuale di disastro economico come fatto strutturale e non contingente, traendone motivi per un cambio di passo oltre che di strategia.
Mi rendo conto che il quadro è disarmante e contrastare l’idea dell’homo oeconomicus rasenta la pura follia, perché è l’essenza stessa del nostro tempo: l’agire, il pensare, le nostre relazioni personali e professionali, si muovono tutte all’interno di questo modello filosofico-antropologico che è diventato carne e sangue della società occidentale e che si appresta a diventarlo per il resto del mondo». (4)

«Su battaglie fondamentali come i diritti dei lavoratori, la sovranità (politica, monetaria, legislativa, eccetera) oppure sui progressi dell’ingegneria genetica e, in generale sui limiti della ricerca scientifica, si percepisce quanto questi schieramenti esistano». (5)

«… una opinione pubblica sempre più addomesticata da forti gruppi di pressione. Ma, ovviamente, non sono esenti questioni legate alla potenza di fuoco della economia globale e della tecnica che impongono opportunità, scelte strategiche ed interessi che generano effetti immediati sulla realtà più di qualunque altro modello culturale». (6)

«… un integralismo economico che non è congiunturale, perché capace di operare una reductio ad unum». (7)

Saldi. L’attesa è finita

Capitolo II
La società organizzata secondo la logica del capitalismo giusto resta la migliore possibile perché evita di finire nel baratro delle ideologie. O in mano a ciarlatani, nonché spiritualisti. Moniti importanti, dei quali è opportuno tenere conto. Quegli ammonimenti però, sono fantasmi di chi li teme, rivenduti come spauracchi, streghe e mostri utili per reclutare chi non ha le idee chiare. Dentro e dietro quelle paure c’è una concezione e una visione del mondo e degli uomini razionalista e meccanicista.

«Nella selezione dell’elenco delle priorità che dovrebbero costituire gli snodi su cui far ruotare l’azione politica dovremmo porre al primo posto – e non solo sul piano simbolico – la lotta al monoteismo del mercato e all’economia finanziarizzata». (8)

Non è necessario chiedere una consulenza a Sigmund Freud, a Carl Gustav Jungo a Jacques Lacan, per sostenere che ogni paura corrisponde ad una parte di noi ancora nel buio, in castigo in qualche sottoscala della coscienza.

Ma ciò che atterrisce i capitalisti, fortunatamente non atterrisce tutti.

C’è una voce di segno opposto infatti. Passa tra le maglie dell’uniformizzante omologazione. Underground si sarebbe detto tempo fa. Al momento è di poco conto, non provoca, not yet, titoli a tutta pagina nelle testate della grande comunicazione undercontrol, potremmo dire oggi. Come già scritto da Bauman gli intellettuali – sempre più lontani dai selciati della plebe, sempre più collusi a partiti, banche e poteri – ci presentano il mondo «come il migliore o il solo possibile. Sono loro in garitta a fianco dei cancelli dove le oligarchie banchettano e si divertono dopo aver concluso spartizioni incalcolabili con stati e mafie». (9)

È una voce che parte da lontano, gli anarchici ce l’hanno sempre fatta sentire. Da poco, le loro consistenti frange verdi, si sono unite a quella dei movimenti di ecologia profonda (10) e del bioregionalismo (13), per una ricetta potenzialmente alternativa a quella della globalizzazione. Diversamente dal passato il livello di consapevolezza dei singoli coristi è nettamente superiore. E anche la loro quantità. Inoltre, i partiti non hanno più forza per scatenare nei cuori un’evocazione capace di sovvertire. Su questo tema il M5S può essere citato, ma le sue prove di resistenza devono ancora venire.

La consapevolezza di come stanno le cose, della loro potenzialità coercitiva attraverso l’ammansimento e i falsi valori del benessere materiale non è che il primo degli elementi più diffusi rispetto al menu del passato. Il secondo è il web, anch’esso presente da poco. La potenzialità emancipatrice della rete è tale che le contromisure di chi se ne sente minacciato, non hanno tardato. La censura è arma ordinaria nelle società che possono permetterselo. Per le altre, quelle che vantano la facciata dei diritti umani, che inneggiano alla libertà di pensiero ed espressione, altri antidoti sono già stati immessi nelle vene informatiche. Diversivi e disinformazione si mescolano al globo virtuale con una potenzialità d’urto che – tempo – ancora non abbiamo esperienza e mezzi per stimarla.

Forse, il totalitarismo elettronico, prepotenza nascosta negli stati, in un campo non organizzato, parcellizzato nei singoli individui, alza molto il rischio di provocare, di stimolare l’adunanza degli animi. Forse, in quel modo provocati, troveranno il movente opportuno per aggregarsi, cambiare di stato. Da cani sciolti, ad autori ed editori del grande libro del proprio futuro, perché il capitalismo non può essere innocente, esso avrà sempre un fianco disponibile ad essere «ghermito dal demone del consumismo, del profitto e della finanza, l’individualismo e l’idea della tecnica come destino» (11). Sì, perché, siccome le cose vivono nelle relazioni tutti noi abbiamo la nostra colpa, quella di essere assuefatti a quel benessere velenoso che critichiamo, nonché quella di non essere capaci di svezzarci dall’avidità che avevamo creduto rispettabile, legittima, nobile, giusta.

Non possiamo che rinunciare a compiere la sola rivoluzione definitiva, la nostra, di noi stessi. Basta dare responsabilità e criticare. Assumiamoci la responsabilità di tutto. Cambiamo noi per diffondere quelle azioni, pensieri e sentimenti che vorremmo osservare negli altri. René Girard era un antropologo francese. Ha detto che la base del comportamento dell’uomo si fonda sull’imitazione.

Sospinto dall’unico comandamento che business is business, il capitalismo finaziario ha ribaltato i valori fondamentali. Però è riuscito in nell’impresa di unire le linee che credevamo divergenti. Potere e criminalità ora marciano parallele. Se non sovrapposte

Note

  • 1 – La paternità del termine è marxiana.
  • 2 – Il termine, traducibile con allineamento, allude alla precisa politica nazista di indottrinare la popolazione con tutti i mezzi istituzionali disponibili, scuola, lavoro, tempo libero, politica, editoria, comunicazione.
  • 3 – Jeremy Rifkin – La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato – Baldini e Castoldi
  • 4, 5, 6, 7, 8, 11 – Luigi Iannone – Sull’inutilità della destra – Solfanelli
  • 9 – Zygmund Bauman – La decadenza degli intellettuali – Bollati Boringhieri
  • 10 – Ecologia profonda allude ad un sistema culturale non più antropocentrico ma ecocentrico. Le nostre scelte non sono da compiere in funzione di quanto interessanti per l’uomo ma per la natura. Ogni essere senziente ha pari dignità.
  • 12 – Loretta Napoleoni – Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale – Il Saggiatore, cita Paul A. Cantor – Hyperinflation and Hiperreality: Thomas Mann In Light of Austrian Eonomics – Review of Austrian Economics, Wien 1993
  • 13 – Regioni con affinità culturali, ambientali, economiche, spirituali. Prepolitiche in quanto non divisibili da limiti territoriali di carattere amministrativo.
  • 14 – Max Weber – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – Sansoni

Bibliografia
AA.VV. – Il concetto di progresso nella scienza – Feltrinelli
Azzarà, Stefano – Democrazia cercasi – Imprimatur
Bauman, Zygmunt – Modernità liquida – Laterza
Iannone, Luigi – Sull’inutilità della destra – Solfanelli
Illich, Ivan – Descolarizzare la società – Mimesis
Jean, Carlo e Dottori, Germano – Guerre umanitarie – Baldini Castoldi Dalai
Fini, Massimo – La Ragione aveva Torto? – Marsilio
Fini, Massimo – Sudditi – Marsilio
Fini, Massimo – Democrazia: una truffa da abbattere al più presto – La voce del ribelle nr 35
Fischer, Josef Ludvik – La crisi della democrazia – Einaudi
Limes – Le maschere di Osama – n. 1/2011 – Gruppo editoriale l’Espresso
Manicardi, Enrico – Liberi dalla civiltà – Mimesis
Manicardi, Enrico – L’ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà – Mimesis
Mathieu, Vittorio – Filosofia del denaro – Armando
Maturana,Humberto, Dàvila Ximena – Emozioni e linguaggio in educazione politica – Eleuthera
Morin, Edgar – I sette saperi necessari all’educazione del futuro – Cortina
Morin, Edgar – Cultura e barbarie europee – Cortina
Napoleoni, Loretta – Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale – Il Saggiatore
Rifkin, Jeremy – La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato – Baldini e Castoldi
Weber, Max – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – Sansoni
Wolin, Sheldon S. – Democrazia, S.p.a. – Fazi
Wolin, Sheldon S. – Politica e visione – Il Mulino
Yanus, Muhammad – Il banchiere dei poveri – Feltrinelli
Zerzan, John – Primitivo attuale – Nuovi Equilibri
Zerzan, John – Pensare primitivo, elementi di una catastrofe – Bepress

http://www.giornaledelribelle.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1880&Itemid=10
https://www.youtube.com/watch?v=sIhXYoY5YZU

0
Capitalismo giusto ultima modifica: 2017-03-24T05:58:56+01:00 da Totem&Tabù

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

23 pensieri su “Capitalismo giusto”

  1. Un po’ di chiarezza:
    1) Nessuno qui si è mai lontanamente sognato di giustificare gli errori e i crimini delle democrazie occidentali a confronto con quelli del comunismo.
    2) Nessuno qui si è mai lontanamente sognato di giustificare le inettitudini e il parassitismo dei burocrati dell’Unione Europea a confronto con quelli dell’Unione Sovietica.
    3) Nessuno qui si è mai lontanamente sognato di giustificare la corruzione della nostra casta politica a confronto con quella cinese.
    In altre parole, nessuno qui ha mai detto: «I politici italiani possono continuare a fare quello che fanno perché c’è o c’è stato chi ha fatto di peggio. I politici europei possono continuare a fare quello che fanno perché c’è o c’è stato chi ha fatto di peggio. La società occidentale può continuare a fare quello che fa perché c’è o c’è stato chi ha fatto di peggio.»
    Grazie per la comprensione.

  2. Caro Alberto B., hai perfettamente ragione. Dare sempre la colpa agli altri oltre che disonesto è anche antistorico. Ma sembra che questo sia il consueto modo di rispondere a chi prova a leggere, studiare, far notare anche i danni fatti dalle “democrazie occidentali”. La risposta è – inevitabilmente- “Sì, ma anche il comunismo”!
    D’altra parte, io ero e rimango convinto che le cosiddette “democrazie occidentali” sopravvivano a se stesse solo in presenza di un “nemico” esterno.
    Guarda gli ultimi mesi: la Russia, la Siria, la Corea del Nord.
    Ultima settimana, esemplare. Un virus attacca dei pc nel mondo e subito in un bel titolo grosso grosso de “La Repubblica” si dice che si sospetta dei russi.Il giorno dopo, Snowden e il capo dell’ufficio legale di Microsoft (nota azienda della Russia bolscevica) dicono e chiaro e tondo che la scrittura di quel virus è fatta con un codice della National Security Agency – NSA americana. Scompaiono i russi e, toh, forse sono stati i nord-coreani!

  3. Piano con gli estremismi. Le violenze e i morti, per sete di potere li hanno fatti tutti.
    Dare la colpa sempre a gli altri è disonesto oltre che antistorico.

  4. Per Gianni Sartori.
    —————————
    Io starei dalla parte dei «vincenti»? È un’accusa che ricorda il tempo in cui i dissidenti dell’URSS venivano incolpati di «attività antisovietica».
    Io ti lascio ragionare – e ci mancherebbe altro che volessi proibirtelo, anche potendolo – con un’ideologia condannata dalla storia, ma non ti permetto di insultarmi in questo modo.
    … … …
    Non si deve decidere sulla base di ideologie, qualunque esse siano. Lo si deve fare con cognizione di causa – in primis, in questo caso, con conoscenza della storia, se non ci basta la semplice ragione – e poi domandarsi se sia giusto oppure no, decidendo pertanto con la nostra testa e non sulla base di ideologie o direttive di partito.
    Tutto qui.

    Ora ti saluto, senza malanimo! Sono un alpinista (quasi ex) e nei decenni mi sono reso conto che ciascuno di noi si fa male come preferisce.
    Ed è libero di farlo. Anche questa è democrazia.

  5. Bravo Bertoncelli, tu sì che hai capito come gira il mondo.
    Se facessimo la conta, presumo, i morti per capitalismo (anche di stato), colonialismo, imperialismo (anche socialimperialismo) e compagnia sarebbero sicuramente di più…ma non era questa la questione che ponevo.
    “Propaganda” dici? Anche parlare di “capitalismo giusto” è propaganda, a mio avviso. In ogni caso “capitalismo” è sostanzialmente “potere” (e non perché lo dice, anche, Ocalan). Caso mai ti spiego.
    Quanto alla propaganda, guardati dalla tua (la trovi ovunque…anche sull’Unità che hai citato a vanvera, pari-pari…forse sei in ritardo di qualche decennio).
    Tanto per curiosità: chi è che sta saccheggiando il Pianeta? Sterminando i popoli aborigeni? Avvelenando “mari e monti”?
    Lotta continua (dall’Aldilà, magari)? Gli anarchici? i Curdi…? Mi pare di no.
    Chi allora?

    PS forse andresti d’accordo con i falsi comunisti cinesi, almeno in materia di “arricchirsi è cosa buona e giusta”. Basta non domandarsi mai: “a spese di chi?”.
    Penso anch’io (come si diceva in un commento precedente) che il problema sia “da che parte stare”. Tu hai scelto quella dei vincenti, mi pare.
    A buon rendere.
    Gianni Sartori.

  6. Dopo avere scritto quanto sotto, devo aggiungere però che gli squali del capitalismo dovrebbero essere ridotti nella condizione di non nuocere all’umanità.
    Ma chi lavora e si arricchisce non è abietto. Chi ha un’idea geniale e si arricchisce non è un mostro. Il denaro di per sé non è lo sterco del diavolo.
    Ve lo dice uno che ritiene il denaro superfluo oltre quella soglia che assicuri una vita dignitosa. Sono i sentimenti e i valori morali a fare di un uomo ciò che è!
    E se non mi posso piú permettere una spedizione in Himalaya, non importa. Tra i miei piú cari ricordi di vita ci sono quelli legati alle Alpi e all’Appennino d’inverno. E quando verrà il mio momento, sarà a quelli –
    oltre che ai miei cari – che penserò col dolore per le cose perdute.

  7. Ricordo il giornale di Lotta Continua e i mitici anni Settanta. Quelli erano tempi! Bandiera rossa e via andare: duri e puri.
    Poi si è visto come è andata… Decine di milioni di esseri umani assassinati nel mondo comunista. Decine di milioni di innocenti nei gulag sovietici, nei laogai cinesi, nei campi di sterminio cambogiani: orrori equivalenti a quelli dei lager nazisti. Centinaia di milioni di innocenti nella miseria, con l’esistenza rovinata e il capo chino.
    Nel “paradiso dei lavoratori” sarebbe potuto succedere anche a noi, a nostra moglie, a nostro fratello.
    Anche a te che mi stai leggendo.
    … … …
    Studiare la storia.
    Senza pregiudizi ideologici.
    Solo i fatti.

  8. Per la propaganda politica preferisco il Manifesto e l’Unità.
    Però si comprano all’edicola. Non qui.

  9. AIUTO! Vicenza è in mano nemica!

    (Gianni Sartori)

    Vicenza ancora città del Palladio? Piuttosto della Ederle e delle sue succursali (Dal Molin, Pluto, Fontega…).
    Quindi, perché mai le scuole vicentine dovrebbero preoccuparsi di far conoscere le antiche glorie architettoniche e artistiche locali (banalità come la “Rotonda” o il Teatro Olimpico…ormai obsoleti, diciamolo) quando è possibile attingere direttamente alle moderne realizzazioni dell’imperialismo, comunque travestito?

    Questa sembra essere l’ultima (per ora) novità in questa città di collaborazionisti. Alcuni studenti del Liceo Quadri dovrebbero (uso il condizionale, spero ancora sia una bufala) partecipare a non meglio precisate attività della caserma Ederle.
    Sorvoliamo pure sul fatto che la Scuola, universalmente intesa, dovrebbe educare alla Pace, alla convivenza, alla solidarietà (tanto sbandierate, magari a sproposito) ma proprio alla Ederle dovevano andare per lo stage? Ma di che cosa poi? Di inglese?
    Al momento la cosa sembra non aver suscitato particolari reazioni tra le “autorità”, sia civili che religiose. Forse più in nome del quieto vivere (lo sport preferito a livello locale) che della “convivenza con gli ospiti statunitensi” . “Gli amici americani” li chiama Zaia.
    Unico a esprimere la sua indignazione, finora, Daniele Ferrarin,
    consigliere comunale pentastellato. Si è detto “stupito e sconcertato dalla scelta fatta dai dirigenti dell’Istituto vicentino che hanno individuato nella caserma americana il luogo idoneo per far maturare l’esperienza lavorativa di giovani studenti”.
    E’ lecito infatti chiedersi quale contributo possa dare alla crescita umana, culturale, professionale… di un ragazzo la frequentazione e conoscenza di luoghi dove, comunque la si voglia girare, si pianificano azioni militari offensive (dal “bombardamento etico” alla “guerra umanitaria”, all’esportazione della “Democrazia”). Azioni che poi, direttamente o indirettamente (“effetti collaterali”) provocano comunque la morte di civili innocenti.
    D’altra parte, lo ricordava lo stesso Ferrarin, Vicenza in caso di conflitto potrebbe trovarsi nello spiacevole condizione di obiettivo strategico preferenziale da parte di coloro che la Nato considera nemici.
    E forse a questa eventualità che si vorrebbe preparare le giovani generazioni vicentine?
    Gianni Sartori

  10. E’ buono e cattivo al tempo stesso. Luci ed ombre corrono parallele e si intersecano. Se lo neghi muori, se lo lasci fare, può ucciderti. Puoi solo temperarlo, se lo vuoi veramente. Non ha che fare con la morale, l’ideologia o la visione del mondo. E’ la vita stessa di una società organizzata. Bene o male.
    Da facebook, 24 marzo alle ore 9.22

  11. Ma come parli Lanzavecchia, sei solo diventato liberista e reazionario o sei rincretinito del tutto?

  12. Luca, Marco, si dice, si dice e bisogna continuare a dirlo, ma la gente non sente, non distingue, non ha interesse a capire.
    Ogni tanto mi chiedo se è sempre stato così.
    Se mi convincessi di questo, mi disinteresserei di come va il mondo.

  13. Pensare che il capitalismo abbia delle intenzioni mi sembra un delirio..
    Febbre alta da idealismo hegeliano. Quella bestiaccia brutta, fideistica e nusricheggiante che oramai permea la sinistra wannabe e il suo storpio fratellino cannibale fasciogrullismo. Cari sinistri immaginari zio Carlo vi avrebbe sputato in un occhio. Appare evidente che il capitalismo è uno stato naturale delle cose e la scelta è tra le sue varianti. Il resto sono Popper come dimostrano molto chiarammente i fatti. L.-unico spettro che si aggira per l
    ‘Europa è la fllatulenza populista e bisogna essere ben orbi per scambiarla per profumo di gelsomino.

  14. Il problema per me è da che parte si sta e lo intuisco anche dai commenti.

  15. Il testo dell’articolo dice soltanto che nonostante le buone intenzioni del capitalismo, questo non è mai riuscito a concretizzarle.
    Dice che il liberismo e la dimensione finanziaria esponenzializzano le difficoltà di rispettare la sua promessa iniziale di distribuire ricchezza.
    Semmai è accaduto il contrario.
    A causa delle reirterate contraddizioni in cui ha dimostrato di cadere, per le quali non riesce a dire altro che basta creare norme limitative alle sue stesse modalità d’azione, l’articolo semplicemente sostiene che un capitalismo giusto è più improbabile dell’anarchia ovvero di realizzare la parola del Cristo.

  16. Articolo lo trovo interessante, ma, dal mio umile punto di vista, è molto di parte.
    Vorrei partire dalla semplice definizione di capitalismo, che trovo su Wikipedia: diritto da parte di individui o gruppi di individui di comprare e vendere, in un mercato libero dal controllo statale, beni capitali e il lavoro. Chi può criticare questa definizione?
    Nell’articolo, vedo solamente un interessante scritto, ma anche una polemica in vecchio stile da lotta operaia. Se non puntiamo a rendere giusto il capitalismo a cosa possiamo credere? Al comunismo sovietico, cinese, cubano? Alle dittature tedesche, italiane, birmane, africane? Agli stati teocratici fedeli all’islam?
    Chi vorrebbe questi esempi di stile di vita? È forse meglio essere sfruttati dal satana americano o girare con la barba lunga e la morosa velata? O gridare heil?
    È mondialmente riconosciuto che i migliori posti in cui vivere sono i paesi scandinavi o il mio adorato Canada. Non ho mai, e ripeto mai, trovato una sola persona che suggerisse posti diversi (clima a parte, lo so). Posso permettermi di affermare che questi paesi siano paesi capitalisti?
    Il punto, a mio parere, è un altro. Il male del secolo non è il capitalismo, che viene irriso e criticato dall’articolo di oggi, ma la mancanza di morale nell’uomo moderno.
    Avevo un carissimo amico, che era di estrema sinistra. Figlio di operai bolognesi aveva sempre votato Rifondazione. Un bel giorno si comprò (anni ’90) una barca a vela da 40M di Lire. La sua risposta alle mie domande su come un compagno potesse fare un simile acquisto? Io non sono contro il fatto di diventare ricchi! Un altro esempio era mio cugino che votava per Bertinotti da una parte e comprava mobili del ‘500 dall’altra.
    Sono un ateo convinto, ma credo che dimenticando la parte trascendentale del Vangelo e ci si limitasse a rispettarne i consigli pratici usandolo come guida morale, vivremmo molto meglio.
    Se uno lavora di più perché non deve diventare ricco? E se uno ha un’idea geniale, perché non deve diventare ricco? Me lo spieghino i critici del capitalismo e, per favore, dicano anche quale sarebbe la loro “retta via”, perché non è possibile continuare a criticare senza proporre qualcosa in alternativa.

  17. Scrivo “finanziario” per riferire di un capitalismo snaturato rispetto alla sua originaria struttura e per alludere allo strapotere di poche oligarchie, finanziarie appunto. Il cui potere è all’altezza di minare gli equilibri socioeconomici delle regioni del mondo.
    Al pari dei signori della guerra afghani che hanno i mezzi per mantenere il paese nella migliore condizione a loro utile.

    In ambo i casi i loro profitti – che tra l’altro maturano anche in momenti di crisi econominche – sono di tale dimensione rispetto all’economia legale che possono competere con gli stati e con la concorrenza della grande criminalità organizzata. Avranno e hanno eserciti, potranno e possono offrire/togliere posti di lavoro.

    Nel testo dell’articolo una dida dice “La piramide che non tutti vedono”. Vista e cecità dipendono dalla presenza/assenza delle consapevolezze necessarie.
    Altrettanto per quanto riguarda ciò che implica attribuire/assumere la responsabilità di qualsivoglia fenomeno.

  18. Lorenzo perchè parli di “capitalismo finanziario”? Quello è un passo ulteriore ne obbligato ne necessario. Semmai in questo momento rappresenta una malattia del capitalismo che ne sta minando la sostenibilità. Il capitalismo è proprietà privata dei mezzi di produzione e sfruttamento del plus valore. Le socialdemocrazie che hanno ostacolato l’accumulazione oltre il limite del ragionevole sono però in pieno dei sistemi capitalistici. E’ ovvio che l’accumulazione è la tendenza spontanea del capitalismo, ma nelle società capitalistiche esistono altri attori a regolare e moderare questa tendenza. Allo stato attuale non esistono, o almeno io non vedo, modelli alternativi funzionali. Disfunzionali ce ne sono stati e ce ne sono parecchi.
    Nei discorsi sulla consapevolezza piuttosto che sulla soggettivizzazione della realtà preferisco non seguirti. Specialmente considerando dove storicamente ci hanno portato. Temo che sarei troppo tranchant.

  19. La realtà che si considera è quella alla quale facciamo riferimento ogni qualvolta attribuiamo la responsabilità di qualsivoglia cosa a qualcuno che non sia noi stessi.
    Il cui “opposto” consiste nel ritenersi autori e fautori di quella stessa realtà prima attribuita ad opera altrui, dalla quale prima ci sentivamo separati, obbligati a subuirla.

    Ritenendosi direttamente responsabili andrà da sé che le energie prima consumate nell’attribuzione di responsabilità, trasmutano mettendo in campo tutta la nostra capacità creatrice.
    Questa genererà una realtà più confacente ai nostri criteri. Sia essa intima, personale o pubblica, sociale.

    Assumendo la responsabilità tendiamo all’equilibrio, viceversa, attribuendola, allo scontro.

  20. @Lorenzo Merlo,
    “la risposta è si ad una condizione: che ci si ritenga autori della realtà, che per cultura crediamo a noi esterna, da noi separata, realizzata da altri”
    Mi risulta alquanto ostica, quale realtà si considera?

    Probabilmente continuiamo ad utilizzare paradigmi ormai anacronistici per cercare di spiegare l’ impasse in cui oggi ci troviamo.
    Con una certa dose di semplificazione, ritengo che “se il Comunismo è incapace di produrre ricchezza, il Capitalismo è incapace di distribuirla”
    e francamente non intravvedo una soluzione, ancorché altamente auspicabile.

  21. I Greci più di 2000 anni fa si erano posti il problema dell’uomo individuale e sociale, di trovare una soluzione alle due spinte che lo dominano.
    Le spinte sono contraddittorie e si escludono a vicenda.
    Finora, che io sappia, non è stata ancora trovata una soluzione civile.
    Si è passati dai sistemi imperiali (ma il fatto che le “chiese” esistano ancora mi da da pensare) a quelli principeschi, ai comuni, alle repubbliche…e ultimamente a quelli capitalisti, socialisti, comunisti tutti soffusi di discorsi democratici (popolari): tutti sempre massacratori e distruttori e con ambizioni globalizzanti.
    Per me finché non si farà una azione culturale e quindi selettiva non vi sarà una soluzione; il peggioramento attuale lo dimostra.
    In sud america i gesuiti avevano fatto qualcosa di simile, ma erano stati cancellati; pure in asia ci sono stati dei tentativi simili, pure scomparsi.
    Per ora, come forma di vita sulla terra però siamo i più adattativi e dominanti.
    E poi abbiamo sviluppato alla grande la professione di imbonitori delle masse pecorone.

  22. Sì,, esistono nei “piccoli numeri”, in società piccole. Nei “grandi numeri” sono esistiti sebbene poi fagocitati dal capitalismo.

    Se la domanda di Marco Lanzavecchia implicava anche l’interrogativo “possono esistere modelli alternativi, meno peggio del capitalismo finaziario?” la risposta è sì, ad una condizione, che ci si ritenga autori della realtà, che per cultura crediamo a noi esterna, da noi separata, realizzata da altri.
    Sì, se abbiamo la consapevolezza che la condizione in cui viviamo, intimamente e socialmente, spiritualmente e filosoficamente sia una nostra esclusiva creazione.
    Sì, perché la creatività è illimitata, come le abitudini sono delle gabbie.

  23. Una domanda: attualmente esistono modelli funzionali alternativi e meno peggio?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.