Il 18 aprile 2023, con il post “Dopo la tragedia della Valle di Rhêmes“, davamo informazione della terribile tragedia avvenuta in Valle di Rhêmes pochi giorni prima, il 13 aprile. Nel nostro scritto lamentavamo di non avere alcuna informazione più di quelle pubblicate sui media.
Tre mesi dopo l’ANSA pubblicò questo breve articolo che sostanzialmente si appoggiava sulla testimonianza ufficiale del sopravvissuto, la guida alpina Matteo Giglio.
Distacco provocato da una vittima
(la tragedia della Valle di Rhêmes del 13 aprile 2023)
a cura della Redazione ANSA
(pubblicato su ansa.it il 17 agosto 2023)
Nel racconto dell’istruttore, la valanga costata la vita a Sandro Dublanc, Lorenzo Holzknecht ed Elia Meta il 13 aprile 2023, nella zona del Colle della Tsanteleina, è stata provocata dalla manovra di una delle stesse vittime: la versione del valdostano Matteo Giglio, di 49 anni, guida esperta, è stata ritenuta credibile dalla procura di Aosta, che ha chiesto al gip l’archiviazione del fascicolo per omicidio colposo plurimo che lo vedeva come unico indagato.
Giglio, unico testimone sopravvissuto, ha riferito di aver posto in essere una serie di comportamenti volti a evitare la slavina e la versione che ha fornito poco dopo l’incidente, quando è stato sentito a “sommarie informazioni”, corrisponde in sostanza a quella resa in un interrogatorio di circa tre ore avvenuto una settimana dopo.
Il suo racconto è l’unico elemento fattuale in mano agli inquirenti, che non lo ritengono smentito da rilievi nivologici, tracce gps o altre persone (non ci sono testimoni).
Holzknecht, di 38 anni, era un campione di scialpinismo nato a Sondalo e cresciuto a Bormio, Dublanc (43) era maestro di sci di Champorcher e il finanziere Meta (36), originario del forlivese, era in servizio nella caserma del Sagf di Entrèves (Courmayeur).
Il 13 aprile 2023 sono da poco passate le ore 13 e i quattro, partiti dalla Val di Rhêmes – dove il pericolo valanghe quel giorno è 2-moderato – si trovano a 80 metri dal confine, in territorio francese, con pericolo 3-marcato. Giunti su una cresta – ha riferito Matteo Giglio al pm Giovanni Roteglia, coadiuvato nelle indagini dal Soccorso alpino della guardia di finanza di Cervinia – sono al culmine di un canalone, punto obbligato per proseguire la discesa. Si accorgono subito che sulla sinistra orografica c’è un accumulo di neve ventata, che Giglio definisce pericoloso.
Decidono quindi di scendere uno alla volta, lungo la parte centrale e di centro-destra del canale, dato che a destra si trovano delle rocce. L’istruttore va per primo, poi tocca a Lorenzo Holzknecht e a Elia Meta, che seguono le tracce di Giglio: sino a quel momento nessun problema. Poi tocca a Sandro Dublanc che – sempre secondo quanto riferito dall’istruttore – esegue una sconsiderata manovra di fuoriuscita dalle tracce, spostandosi verso sinistra, in mezzo all’accumulo di neve ventata, provocando la valanga che travolge tutti e quattro. Giglio, sepolto a metà, riesce a liberarsi dopo una decina di minuti.
Attiva l’Artva, il dispositivo per cercare persone sotto le slavine. Scava e trova Holzknecht cianotico: non c’è più niente da fare. Si sposta verso il secondo segnale ed estrae Dublanc, credendolo Meta, anche lui senza vita. Procede verso l’ultimo segnale, quello più a monte, inizia a scavare ma ha un mancamento, quindi si ferma. Con l’unico sci che gli è rimasto raggiunge una zona coperta da segnale telefonico e da lì completa la chiamata di soccorso. Dopo essere stato travolto aveva infatti già attivato il sistema satellitare Inreach per dare l’allarme. I soccorritori avevano tentato di raggiungere il luogo della valanga fino al tardo pomeriggio di quel 13 aprile, ma il vento in quota aveva costretto a sospendere le operazioni, riprese poi all’alba nel giorno dopo. Proprio il vento di quelle ore ha stravolto la scena, spostando la neve ed impedendo agli inquirenti di ottenere riscontri utili dai rilievi nivologici.
Secondo la procura, gli accertamenti condotti non hanno quindi scalfito la versione di Giglio.
Gli inquirenti hanno ascoltato altre guide alpine – anche non valdostane – presenti quel giorno nella zona del rifugio Benevolo, ma nessuna ha riferito di aver assistito all’accaduto. L’unico elemento utile alle indagini emerso dalle tracce gps dai dispositivi delle vittime, orologi compresi, è il fatto che il gruppo, quando ha notato l’accumulo di neve ventata, si trovava già in territorio francese, facendo venire meno la possibilità di retrocedere una parte della condotta della sottovalutazione del rischio potenziale in Italia. A prescindere, quindi, dalla sussistenza di profili di colpa – che per la procura di Aosta non ci sono – in Italia il processo non si potrebbe fare senza un atto del ministro della Giustizia.
In seguito
a cura della Redazione
La Procura di Aosta ha chiesto nell’agosto 2023 l’archiviazione della posizione dell’unico indagato per omicidio colposo plurimo: l’istruttore Matteo Giglio, la cui condotta si ritenne sufficiente a prevenire il rischio, con l’avvistamento del cumulo e la discesa uno a uno.
Di lì a un mese però, nel settembre 2023, la stessa Procura chiedeva al giudice per le indagini preliminari di revocare la precedente richiesta di archiviazione. Decisione seguita a una memoria presentata congiuntamente dai legali di tutte e tre le vittime.
È verosimile presumere che in questi successivi sette mesi si sia reso necessario eseguire nuovamente atti di indagine, coperti però dal riserbo degli inquirenti.
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Come dicono Luca e Cominetti , il male non e’ tanto nell’indagine ordinaria , quanto nella sua estremizzazione idealistica e paranoica.
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Come devi fare uno sbarramento inamovibile su una strada ??
E se fai una ringhiera sul Verdon e uno la scavalca e precipita deve andare in dissesto il comune per il deterioramento delle funzioni mentali di un giudice ?
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Il tipo che portava sulle spalle una bimba sulla ferrata poteva non sapere che servisse un kit da ferrata usato opportunamente , o e’ colpa del sindaco ?
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Piu’ in generale in ambito giuridico vedo quasi un piacere nel sofisteggiare , nel dimostrare la propria valentia leguleia e retorica a scapito delle argomentazioni ovvie ed essenziali dell’uomo comune.
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Sei ubriaco / drogato / sei passato con il rosso ?
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Cazzi tuoi…
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Non si puo’ trasformare ogni caso in giudizio in un paradosso in cui i gradi diversi di giudizio si danno torto l’un l’altro….
“Per il giudice lo sbarramento non doveva essere amovibile (assurdo!)”
Sentenza pazzesca.
Scrivo da ex ufficiale di p.g., ma anche come alpinista, nonché autore di alcune delle ordinanze di chiusura che vengono spesso qui riportate (chiusure di sentieri, ferrate, pareti, itinerari scialpinistici, ecc.), e che io stesso non condividevo ma ahimè ho dovuto eseguire per “ordini superiori”, che siano il Questore o il Presidente della Regione. Innanzi tutto posso dire con sincerità che comprendo glii amministratori che, ai vari livelli, richiedono le predette chiusure (commento #13 e altri): con una siffatta responsabilità che grava sulle loro teste, probabilmente farei lo stesso. Emblematico il caso del comune di Pontboset (AO): nel 2000 viene chiusa una strada per probabili crolli a seguito di precipitazioni, un’ordinanza viene regolarmente pubblicata sull’albo pretorio e affissa alla transenna che è posta a sbarrarmento della strada. Una coppia di torinesi sposta la transenna e passa ugualmente, una frana uccide il guidatore. Conclusione: Comune condannato a risarcire 1,8 mln di euro e costretto a dichiarare bancarotta (le entrate di un piccolo comune del genere sono infatti pari a circa 900.000 euro/anno). Per il giudice lo sbarramento non doveva essere amovibile (assurdo!). Secondo punto, sul chi intenta una causa. Sicuramente saranno spesso le assicurazioni, ma sovente per mia esperienza sono anche i familiari di un deceduto che, talvolta, costituiva l’unico sostentamento di una famiglia, magari con bambini piccoli. Pensate che una giovane vedova con due figli a carico, che non sa cosa ne sarà del proprio futuro, non si faccia “irretire” dall’intentare una causa verso il socio/collega del defunto compagno, seppure a malincuore, a fronte di possibili risarcimenti milionari? Infine, per lo meno qui in VdA, la lobby delle Guide Alpine è molto potente e influente: non è strano che una GA-CTU applichi due pesi e due misure in caso di incidenti mortali, anzi è frequente che gli incidenti in cui sono coinvolte Guide assumano un “basso profilo” (eufemismo) sia in procura che sugli organi di stampa. E’ giusto? Io credo di no. Come non credo sia auspicabile l’atteggiamento ormai imperante di vietare-chiedere risarcimenti-condannare per tutti gli eventi avversi che riguardano le attività che si svolgono su terreno d’avventura e in ambiente. Purtroppo questa è la società in cui viviamo e, probabilmente, sarà sempre peggio.
Enri. Per tua informazione. Il perito del tribunale di Genova nel primo grado di giudizio era una guida alpina di Courmayeur. Nella perizia ha assolto da ogni responsabilità il Parco. Anche perché la ragazza che accompagnava la vittima ha detto che è scivolato accidentalmente, al Passo del Bacio per la precisione, che tu conosci sicuramente. Ha pero’ criticato pesantamente lo stato del sentiero (segnaletica, catene, ancoraggi….). Di fronte a questa perizia, il Parco o meglio il Comune di Camogli, non avendo deciso ancora cosa fare (trasformarlo in ferrata, lasciarlo così migliorandolo, tirare via tutto….) ha fatto una bella ordinanza, ci ha piazzato cartelli mega (li puoi trovare in rete) e si è parato il deretano. Già che c’era, ha chiuso anche il sentiero dei Tubi che comunque stava messo peggio e aveva avuto diversi incidenti, anche se non mortali. Ovviamente molti se ne battono il belino, come prevedibile e ci vanno lo stesso, anche perché il Parco non ha le risorse per controllare. Io sono a Cogne ma gli amici del Soccorso incrociano le dita per questa estate. Ciao
approfitto del commento dì Pasini per soffermarmi non tanto sulle questioni giuridiche ma su alcune conseguenze dì questo genere dì contenziosi. Come dici tu, caso monte dì Portofino, il sentiero (le cosiddette “catene”) viene chiuso. Cosa vuol dire chiuso? Un sentiero non si chiude. Cosa doveva fare l’ente parco ? E’ forse colpevole dì non aver segnalato a debita distanza con cartelli ciclopici la presenza dì un tratto piu esposto attrezzato con catene? L’ha fatto non l’ha fatto, il punto non è questo. Il punto è’ che a fronte dì un normale incidente si pensa dì CHIUDERE. Poco sopra passa la via dei Tubi, per chi non lo conosce, splendido percorso che va da San Rocco a San fruttuoso in una serie dì cengette e gallerie lunghe e buie dove spesso ci si deve accucciare. Da me percorso in gioventù decine dì volte dì giorno dì notte da solo in trenta persone dì estate in inverno. Ora tale percorso non ricordo se è vietato oppure si può percorre solo con una guida del parco. Ma siamo impazziti? La conclusione spesso purtroppo è’ che questo iper securitarismo sta imbrigliando alcune aree naturali, porta beghe giudiziarie in luoghi in cui non dovrebbero mai esistere visto che ci si può ammazzare cadendo dalle scale dì casa, figuriamoci su un sentiero. E i contenziosi giudiziari dì cui per esempio all’articolo non faranno altro che incentivare la posa dì cartelli dì attenzione la’ dove non ve ne è’ alcun bisogno e, peggio, il divieto dì percorso o limitazioni varie tipo quella dell’obbligo dì essere accompagnati. Roba da matti.
Ps
leggevo nei giorni scorsi che la via normale italiana al Cervino e’ chiusa per dare modo dì fare lavori dì disgaggio in zona Capanna. Chiusa sia in salita che in discesa. Occhio quindi ad arrivare in vetta da altre vie che se non ve lo ricordate, quando arrivate alla Capanna vi fanno tornare indietro. Capisco che se sono lì a trapanare un masso per farlo saltare giù non è’ molto igienico ma a me il termine chiudere una via o un sentiero proprio non mi entra in testa.
I periti dei tribunali in questi accadimenti chi sono? Mi sembra che di questo caso specifico il perito incaricato parlò fin da subito di fatalità (andate a vedere il bollettino di quel giorno per quella zona), lo stesso perito che per caso similare con bollettino nettamente più favorevole, non ha esitato a indicare responsabilità ben precise. Chi vuole capire ha capito, e le citazioni sono pubbliche e reperibili in trenta secondi di google
Il tema degli indennizzi ai parenti è molto delicato. Vedi ad esempio Ponte Morandi (Autostrade ha messo sul piatto un bel po’ di milioni per tirarsi fuori come azienda e gran parte dei parenti li ha accettati) o l’escursionista morto l’anno scorso su un sentiero attrezzato nel Parco di Portofino per un suo errore: assolto in primo grado il Parco (che però ha chiuso per ora il sentiero) i parenti hanno fatto ricorso. Non so in questo caso, ma a volte l’ “accanimento” dei parenti è legato a problemi familiari importanti. Possono esserci una vedova e dei figli che hanno perso non solo il marito e il padre ma anche l’unica fonte di reddito, magari con un mutuo pesante da pagare e senza alcuna copertura da parte del defunto del rischio vita e infortunio o con coperture basse. Ricordiamo ad esempio che la polizza Cai base copre al massimo fino a 50.000 euro nel caso morte e solo per le gite sociali. Ottenere in sede civile, o di accordo extragiudiziale, un rimborso consistente vuol dire assicurare alla famiglia una vita decente, al sicuro da preoccupazioni economiche. Questo non cancella il lutto e la sofferenza e ovviamente le responsabilità penali che seguono il loro corso. Non è sempre facile giudicare dall’esterno senza sapere. C’è da sperare di non essere mai coinvolti, da una parte o dall’altra, perché sono dolori, di ogni tipo.
Expo, esistono i periti dei tribunali.
Quello che Cominetti chiama : “Il Capro espiatorio cercato dalla magistratura” , e’ qualcosa che rilevo anche io nel lavoro dei togati.
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Premesso che spesso un nesso causa-effetto fra un comportamento e il verificarsi di un grave incidente esiste , ed e’ doveroso indagarlo , sembra che sia piuttosto comune l’ossessione giuridica ed il delirio di onnipotenza dei togati , che spinge ad analizzare per 30 anni il dna di un Bossetti per fargli dire il contrario di quanto considerato pacifico per 30 anni , o a riaprire dopo 20 anni il processo a Olindo Romano e Rosa Bazzi il giorno dopo che e’ morto il testimone chiave che li ha visti.
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Giudici ed avvocati , salvo rare eccezioni , non capiscono un cazzo di fatti tecnici , in questo caso della complessita’ di fattori che muove le valanghe , pero’ ci giocano e usano questi fattori per conseguire un esito che puo’ premiarli nel risiko giuridico , anche se la realta’ dei fatti rimane lontanissima.
Le valanghe sono sempre cadute, causando vittime umane e d’altro genere.
Da quando la nostra società si è americanizzata è diventato inammissibile non avere un capro espiatorio anche laddove si era sempre parlato di fatalità. È la ricerca maniacale che deve sempre vedere buoni e cattivi per fare schierare la massa appecorata, sempre e solo con i primi, sfogando verso i secondi (i cattivi) tutte le frustrazioni che ovviamente i “buoni” accumulano nella loro esistenza da insoddisfatti.
Il mondo occidentale è il perfetto specchio di ciò e riproduce questo schema nel lavoro, nello sport, nella vita in generale e anche nella famiglia, crescendo generazioni di imbecilli che sono numericamente così tanti da poterli considerare a un certo punto come esseri normali ai quali sistema e società devono assoggettarsi alle regole che loro stessi si danno, che però si rifanno agli standard di cui sopra.
Se non sei così e ragionare col tuo cervello è per te normale, hai vita durissima perché nulla ti viene facile. La massa appecorata ti giudica negativamente perché per lei, tu fai fatiche inutili, in quanto vivere “nella corrente ” è facile e da senso di protezione e sicurezza. La stessa massa appecorata produce, dando lavoro ai suoi membri, tutti gli oggetti che puoi comprarti con i soldi, che a tua volta guadagni col tuo lavoro, per garantirti una sicurezza di superficie costituita da oggetti colorati.
Questa giostra gira vorticosamente e la massa appecorata siede al suo interno più prossimo al fulcro intorno al quale la giostra gira. Laddove la forza tangenziale è minore e più sopportabile. Allontanandosi dall’asse o fulcro di rotazione, la forza centrifuga si fa sentire sempre più e se sei tra quelli che si tengono con la sola forza delle loro mani e braccia alla corona tubolare esterna della giostra, puoi non farcela più e mollare la presa, schiantandoti nel cosmo. Alcuni provati dallo sforzo decidono di andarsi a sedere vicino al centro per sopravvivere. Se invece resisti sbandierando tenendoti forte con le mani, queste ultime si irrobustiscono e ti posso servire se scali le montagne. Giuro!
Un’indagine giudiziaria viene archiviata quando NON si ravvisano elementi sufficienti per un rinvio a giudizio.
Nel corso dell’indagine NON esistono imputati, ma solo indagati. Anzi, a volte neppure quelli: è possibile iniziare e condurre un’indagine (“aprire un fascicolo”) su un fatto eventualmente delittuoso (non è detto che lo sia necessariamente, come nel caso di una valanga che poi si scopre dovuta a cause naturali) senza avere idea di eventuali responsabili.
Ciò che riesce insopportabile e incivile sono i tempi lunghissimi della magistratura italiana, soprattutto a scapito degli innocenti.
#6. Caro Emanuele, lo scopo dell’articolo era semplicemente quello di indurti a scrivere ciò che hai scritto. Grazie, se anche altri lo faranno.
Mi piacerebbe capire la motivazione della pubblicazione di questo articolo, a che scopo è stato pubblicato? quale insegnamento vuole darci?
A me fa salire un certo nervosismo ritornare su certi argomenti.
Ad ogni modo, per mettere fine alla questione, sarebbe meglio per gli imputati che il processo arrivasse a fine senza archiviazioni di nessun tipo, solo così si ha l’assoluzione totale su cui nessuno potrà mai replicare. Altre soluzioni come la prescrizione o il ritiro della denuncia o altro, lasciano aloni di dubbi controproducenti.
Infine ha ragione Crovella, non sono certo i parenti delle vittime a fare la guerra ai colpevoli, piuttosto sono le assicurazioni e quant’altri abbiano interessi economici a voler chiarire chi deve pagare e quanto.
Avrei altre opinioni sull’argomento che evito di esprimere perchè non sono abbastanza a conoscenza della vicenda.
Spero di sbagliarmi, ma i continui rinvii (chiusure e riaperture di indagini ecc) su incidenti del genere, mi sa tanto che derivano da guerre legali fra assicurazioni. Si cerca di identificare un “responsabile” finale NON per amor di verità o di giustizia, ma perché chi resta con il cerino in mano costringerà la “sua” compagnia assicurativa al risarcimento.
Dal momento che l’incidente è avvenuto in territorio francese – e questo semplifica molto le cose per Giglio – non capisco a quale titolo la procura di Aosta abbia giurisdizione per occuparsene.
Non so come ci si possa sentire “risarciti” della morte di un proprio caro sconvolgendo la vita di una persona che, facendo il proprio mestiere in maniera professionale (a meno di smentite più che evidenti, che però spesso in determinati ambienti montani e in certi contesti sono difficili da evincere), si è trovato essa stessa a vivere in prima persona un incidente tanto grave. Visto che ho assistito spesso (allibita) al verificarsi di tale fenomeno, volendo escludere eventuali interessi economici dei parenti delle vittime (perché mi disgusta il solo pensiero), mi viene da pensare ad una rimozione seguita da transfert. In ogni caso, visto che io stessa ho perso una persona cara in montagna e in condizioni estreme, posso dire che la unica cosa che mi è venuta da fare è stato piangere, disperarmi, ricordare i bei momenti passati insieme, ma mai (come hanno fatto altri nella stessa occasione) pensare che ci fossero state colpe da parte dei compagni di scalata. Ho sofferto, ho sofferto molto, ma almeno non ho nutrito rancore e rabbia nei confronti di nessuno. Sentimenti che avrebbero nuociuto solo a me e di certo non avrebbero riportato in vita il mio amico
Chissà su quali basi reali si basano i legali delle vittime che hanno fatto il ricorso.
Con il massimo rispetto delle vittime e del dolore dei loro familiari, ma cosa spererebbero di ottenere se Giglio venisse incriminato?
Dei soldi? (Chissà) O la consolazione che un loro caro è morto ma non ha provocato lui il distacco?
Secondo me, il fatto che l’istruttore sia sceso per primo (l’ho fatto anch’io e penso sia accaduto come Giglio dichiara con buona probabilità) dimostra la sua professionalità, buona fede e convinzione del suo agire.
Purtroppo le lungaggini burocratiche di questi e altri casi, mettono l’imputato in una situazione terribile che non viene presa nella giusta considerazione. È duro fare la guida se in testa hai certi pensieri. È duro passare notti in bianco e poi essere lucidi e in forza per lavorare in montagna il giorno dopo. Chi pensa a questo elemento umanamente importantissimo? Chi risarcisce e ripristina tutta la negatività di periodi spesso lunghissimi?
E quando parlo di buona fede so quello che dico!
Una guida alpina, ancor più se istruttore a un corso professionale, perché mai dovrebbe mettersi nei guai sapendolo a priori?
Nessuna guida lo farebbe mai. E lo so perché faccio la guida da 40 anni.
Dopo dieci mesi dalla riapertura dell’indagine ancora niente di nuovo. Il faldone si starà impolverando su qualche scaffale.
Trattasi di valanga, non della tragedia di Ustica o dello scandalo del Banco Ambrosiano.
Probabile fine dell’indagine: 2029? 2034? 2044?
Ai posteri l’ardua sentenza.