Droga e alpinismo

Introduzione (GPM 051)
di Gian Piero Motti
(pubblicato su Rivista della Montagna n. 26, dicembre 1976)

Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(1)

Nell’intento di proseguire lo studio sugli aspetti più interessanti del moderno alpinismo, pensiamo di far cosa gradita ai lettori pubblicando uno scritto di notevole interesse, che forse potrà illuminare alcuni punti rimasti oscuri nella trattazione dell’alpinismo californiano pubblicata sulla rivista di recente (vedi Il Nuovo Mattinohttps://gognablog.sherpa-gate.com/il-nuovo-mattino-2/). D’altronde anche il fantastico racconto Il Peon di Rojo (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/il-peon-di-rojo/) avrà forse determinato due reazioni del tutto naturali: una di fastidio e di rifiuto e un’altra di curioso interesse. Certo a molti non sarà sfuggito il carattere allegorico e un po’ evanescente dello scritto. Sicuramente uno scritto composto in particolare momento di esaltazione psichica: i maligni non pensino subito all’effetto degli allucinogeni. Si sa d’altronde che alcuni soggetti, definiti come anormali o malati dalla psichiatria ortodossa, sono in grado di vivere in particolari situazioni (che possono anche essere controllate) percezioni e «visioni» del tutto simili a quelle vissute ricorrendo agli allucinogeni più comuni, come l’LSD. D’altronde la filosofia orientale più raffinata (yoga psicomentale e buddismo-zen) ben conosce i meccanismi di separazione dell’io, al punto di farne uno strumento (arduo) di conoscenza.

Anche l’alpinismo, a un esame piuttosto attento, nel suo drammatico tentativo di evasione dal reale, potrebbe condurre a stati di apparente anomalia psichica (ancora una volta cito come riferimento Lo scalatore come visionario di Doug Robinson). Forse per troppo tempo abbiamo avuto paura di cercare una chiarificazione e abbiamo giustificato il nostro agire alpinistico in modo abbastanza superficiale e ingenuo. Possiamo provare a capirne qualcosa di più. Lo scritto di Gamna (che ha una notevole esperienza di droghe e di tossicomani) non è facile e potrà sicuramente infastidire molte persone «benpensanti».

Gian Piero Motti sulla via Bertrand, parete sud-ovest della Tête Noire (Massif des Cerces, Briançonnais), 10 ottobre 1971.

Che dire allora della schiavitù di altre droghe — forse peggiori — e che nulla aggiungono all’esperienza conoscitiva, quali lavoro stressante, televisione, dipendenza dai media, fumo, alcol, sport alienanti, solo per elencare le più comuni e appariscenti?

Di fronte al dramma di una generazione intera che si dibatte in un’impasse piuttosto oscura, di fronte al crollo di falsi ideali ai quali più nessuno vuole giustamente credere, l’esplosione di un fenomeno come l’alpinismo, lascia facilmente trasparire un rifiuto del reale e un tentativo di evasione. Quindi non siamo tanto distanti dalla droga. E mi pare che anche i rischi di autodistruzione siano abbastanza simili.

Con questo scritto affrontiamo coscientemente un tema definito scabroso da molti. E per tempo, meglio che tardi. Chi vuole continuare a fare lo struzzo, forse si accorgerà con sorpresa che la sabbia, in cui aveva sepolto il capo per non vedere, è divenuta cemento.

Droga e alpinismo
Verso una trascendenza
di Gustavo Gamna
(pubblicato su Rivista della Montagna n. 26, dicembre 1976)

“… io accetto il caos
non sono sicuro che il caos accetti me… (B. Dylan)”.

Bisogna dunque prendere atto che la droga è entrata anche nel campo dell’alpinismo. Non vi è nulla di sorprendente in tutto ciò, e chi lo ignorasse, o cercasse di nasconderlo dietro illusori paraventi, è un disinformato, un ingenuo, o peggio, un ipocrita. Questo fenomeno avviene anzi con notevole ritardo rispetto ad altri campi, forse, tranne per rare eccezioni, per condizioni di arretratezza o di distacco culturale dell’alpinismo.

Doug Robinson

In un articolo della Rivista della Montagna (1974, vedi Il Nuovo Mattino XXXXX) che faceva un’analisi documentata dell’alpinismo californiano, è stato scritto che si può fare un discorso tecnico ed uno etico, e a proposito di quest’ultimo è stato indicato che «si è parlato di uso di droghe, di ricerca di introspezione dell’Io, di filosofia orientale riveduta e corretta…». L’alpinismo in certe condizioni della società attuate può essere dunque un mezzo di fuga davanti all’angosciosa realtà esistenziale di un modo di vivere pressante e caotico, e questa caratteristica lo collegherebbe al fenomeno droga come mezzo di evasione e come motivo politico di contestazione, quale si è verificato nell’ideologia dei gruppi hippy. D’altronde è significativo che l’alpinismo californiano trae grande ispirazione dalla filosofia e da alcune discipline orientali, soprattutto dallo zen e da certi risvolti dell’induismo, e quindi ha le stesse fonti culturali o subculturali di questi altri fenomeni.

«Alla base vi è dunque una forte esigenza di veder chiaro in se stessi, una indagine fine e profonda del proprio io, che accompagna l’azione propriamente detta. L’azione infine non sarebbe che un mezzo per il raggiungimento di una pace interiore e di una verità superiore o almeno presunta come tale».

Ne consegue anche una diversa impostazione dell’alpinismo, non più inteso come conquista di una mèta ed espressione di coraggio e di valore sportivo, come ritorno alla natura secondo la filosofia di Rousseau, o come ideale romantico, di superuomo alla Nietzsche, ma invece come mezzo per esperire vissuti fuori del comune, per raggiungere sensazioni, emozioni e stati d’animo diversi. Perciò anche, è stato ancora annotato, l’alpinismo californiano è principalmente individuale, e la pratica dell’arrampicata solitaria ne è l’espressione più comune.

In maniera più specifica, in un articolo molto citato e tradotto, che deve aver fatto qualche scalpore, Doug Robinson (1969), dopo aver sostenuto che «una via di arrampicata è un’opera d’arte tracciata sul versante d’una montagna», così come aveva già scritto nel 1914 George Mallory («… l’alpinista è un artista… tutti gli alpinisti sono degli artisti, perché cercano delle esperienze emotive di per se stesse…»), preferisce adoperare il termine di “visionario” «… intendendo con ciò l’atto di vedere, sempre con una grande intensità, ma mai al di là dei limiti del presente fisico e reale… partendo da uno stato superiore di coscienza, da una differente intensità di percezione». Come ha scritto Yvon Chouinard nella sua relazione della scalata al Muir Wall di El Capitan (1966): «percepire con il massimo della sensibilità».

Robinson si chiede perché la scalata tenda a provocare questo tipo di esperienza. In primo luogo, egli scrive «arrampicare intensamente è rigettare il mondo che ci circonda». Egli nota che spesso si instaura come una ciclicità ritmica di questi stati. Vi è come «un immenso sentimento di chiarezza e di allontanamento, e nel medesimo tempo, di unione e di unicità». Secondo John Harlin questa esperienza può essere preparata e comunque la pratica di essa tende a facilitarla.

Carlos Castaneda

In secondo luogo, sempre secondo Robinson, in un modo di vedere però alquanto semplicistico (già constatato da Angelo Mosso in studi fisiologici sugli effetti della fatica e dell’alta quota, dei primi del 1900), ciò si verificherebbe in conseguenza di processi biochimici. Sarebbero soprattutto importanti le variazioni del livello del CO2 e l’apparizione di metaboliti dell’adrenalina, legate rispettivamente allo sforzo muscolare e alla tensione emozionale. Questi effetti sono infatti riproducibili sperimentalmente per inalazione di CO2 (carbonarcosi) o, come si verifica in certe pratiche yoga, con il controllo della respirazione; e d’altra parte le droghe psichedeliche hanno parentele chimiche con metaboliti dell’adrenalina, adrenocromo, per esempio, ad effetto allucinogeno. Durante la scalata altre condizioni possono poi favorire queste esperienze: la fame, la mancanza di sonno, il freddo, la quota, la solitudine; fattori tutti bene conosciuti da mistici e profeti per millenaria esperienza.

«E’ interessante segnalare – scrive ancora Robinson riprendendo in maniera più pertinente il suo discorso – che esistono certe relazioni fra coloro che provocano le loro visioni per mezzo della scalata e quelli che, in un dominio vicino, utilizzano le droghe psichedeliche… Che i due domini vengano ad interferire, che uno scalatore incominci a trovare delle similitudini fra le visioni che avrà in scalata e quelle che altre volte gli possono aver procurato le droghe, allora sarà veramente pronto a controllare questi processi… egli saprà che esiste un cammino ben tracciato conducente alla apertura del mondo visionario…».

Tuttavia, nello scalatore, come con altre tecniche yoga, questo risultato, a differenza delle droghe, non viene ottenuto artificialmente. Nello scalatore, è la scalata che gli ha insegnato il mezzo d’essere un visionario e «la scalata, preparando ad essere un visionario, lo ha preparato anche a controllare queste esperienze…». Per giungere a questo stadio occorrono anni di allenamento e, di fatto, «certi aspetti dell’alpinismo possono essere considerati come gli equivalenti occidentali di pratiche orientali (lo yoga, il buddismo-zen, ecc.)».

Giovanni Enrico Morselli

Entro questo discorso, per le affinità e i collegamenti che se ne possono trarre, si possono situare gli scritti di Carlos Castaneda. Questo etnologo americano ebbe un prolungato rapporto d’amicizia con un vecchio stregone indios degli altipiani messicani e venne da lui iniziato, con droghe e con esperimenti di autocontrollo, ad essere un visionario. In uno dei suoi volumi soprattutto (Una realtà separata, 1972), egli riferisce l’esperienza ch’ebbe, insieme a Don Juan e ad un altro suo amico stregone, Don Gennaro: «Don Gennaro s’era inerpicato un bel po’ sulla parete rocciosa. Nel momento in cui guardai, stava appollaiato su una sporgenza, avanzando lentamente un centimetro alla volta per aggirare un enorme masso. Teneva le braccia aperte come per abbracciare la roccia. Si spostò lentamente a destra e ad un tratto i suoi piedi persero l’appoggio… per un attimo tutto il suo corpo penzolò nell’aria. Ero sicuro che sarebbe precipitato, ma non cadde. Si era afferrato a qualcosa con la mano destra, e i suoi piedi ritornarono molto agilmente sulla sporgenza. Ma prima di riprendere a muoversi si voltò verso di noi e guardò. Fu solo un’occhiata fugace, ma in quel suo volgere il capo c’era una tale stilizzazione che cominciai a domandarmi che cosa significasse…».

«… Pensando che Don Gennaro fosse senza dubbio alcuno un maestro incomparabile di equilibrio, ogni singolo movimento che aveva compiuto era altamente ritualizzato e, inutile dirlo, doveva aver avuto qualche incomprensibile significato simbolico…».

Mentre Don Gennaro scompare saltando una cascata, Castaneda chiede delle spiegazioni a Don Juan: «Lasciamolo stare ovunque sia – dice questi – Forse è un’aquila che vola verso un altro mondo, o forse è morto lassù. Ora non importa… Gennaro ha rischiato moltissimo per mostrarti qualcosa di magnifico. E’ un peccato che tu non sappia vedere. Vedere è molto difficile – disse – … vedere non è questione di chiacchiere…».

E’ singolare che anche in questa via yaqui alla conoscenza, che si avvale di droghe come mezzo di iniziazione, faccia capolino un’esperienza di arrampicata solitaria e che questa sia intesa nel suo significato simbolico e come propedeutica all’accesso di un mondo visionario; e ciò conferma che in qualche modo fra questi vissuti esperienziali vi possano essere delle affinità, delle correlazioni, delle sovrapposizioni, una specie di legame, un filo conduttore che insieme li riunisce.

Per quanto riguarda le droghe, nel suo uso magico, rituale e divinatorio di molte di esse da parte di popolazioni primitive nelle più diverse parti del mondo, è implicita, in forma più o meno concettualizzata, l’esperienza di effetti che aprono mondi nuovi, diversi, sconosciuti, che trascendono il quotidiano.

Aldous Huxley

Scrive Aldous Huxley a proposito di una sua esperienza con mescalina che «… la mente percepisce in termini di intensità di esistenza, di profondità di significato… ero tornato in un mondo dove tutto brillava di luce interiore ed era infinito nel suo significato… si rivela l’infinito significato dell’esistenza nuda, dell’avvenimento dato e non concettualizzato… si hanno barlumi di un’oscura conoscenza… Sono – dice ancora – aperture chimiche nel mondo dell’esperienza trascendentale». Anche Giovanni Enrico Morselli, del quale è molto nota una sua autoesperienza con mescalina, afferma che «si producono dei fenomeni che sorgono all’orizzonte della coscienza come un’illuminazione interiore»; e Henri Michaux, in altrettanto note esperienze raccolte nei suoi volumi, scrive ancora che «… si perde la propria dimora e si diviene eccentrici a se stessi… l’inaudito, l’incredibile, il troppo bello, il sublime a me interdetto è avvenuto… vedevo l’infinito del cosmo…».

Nel protocollo di esperienza riferito in un mio lavoro, il soggetto ha detto: «… mi pareva di ricordare uno stato in cui ero unita al tutto, facevo parte del tutto, nella luce, nella essenzialità, e quello era la beatitudine…». Tutte queste, e molte altre testimonianze che potrebbero ancora essere citate, indicano un’esperienza che va oltre il semplice aspetto del dato obbiettivo e trasferisce questi vissuti nella emblematica problematicità dell’esistenza. Sono come aperture alla scoperta di mondi nuovi, diversi, fuori della banalità convenzionale quotidiana, forse più veri e certamente più autentici. Né mancano, anche in recenti lavori (McGlothlin e Arnold, 1971; Silverman, 1971), indicazioni sulle possibilità «creative» di queste esperienze (Fischer, 1969), e, per altro verso, sulle capacità terapeutiche, sempre legate a questa spinta verso la trascendenza (Savage, 1962), verso una spesso drammatica e solitaria ricerca di nuove forme di esistenza, dove, per dirla con Michel Foucault «solo conta quel che appare essere per sé». Balzano infine da sé – e la letteratura alpinistica ne è colma – delle analogie espressive, ed ancor più, il comune substrato di pensiero di queste esperienze con quelle che possono essere del modo di porsi nel mondo dello scalatore, dove la scalata è un meta-progetto nel quale in forma altrettanto drammatica, l’esistenza si proietta nel tentativo di un proprio superamento, verso la trascendenza.

Henri Ey

Henri Ey cercando il senso esistenziale di queste esperienze, in un articolo sull’LSD (1969) considerato come realizzante un «prototipo sperimentale» di esse, cerca di porre correttamente il problema assiologico che implica la comparazione dell’esperienza psichedelica con altre forme di esperienze di conoscenza e con altre modalità di vissuto interiore o intuitivo.

Ey, a proposito degli effetti della droga, scrive che molti soggetti descrivono le loro esperienze come una rivelazione che ha condotto il loro spirito a una potenza formidabile. Humphry Osmond, il creatore del termine psichedelico, parla di expanding drug ed è nota l’avventura di Timothy Leary, fondatore di una nuova specie di religione, nella quale il divino acido è il mezzo per far accedere la coscienza a un livello superiore. In effetti, dice Ey, vi è in questa esperienza di più che ravissement e questa «eclissi della ragione fa pensare alla notte mistica dei sensi, all’estasi, al nirvana».

Con queste affermazioni si propone un’analogia di queste esperienze che si situano «in quelle ragioni dell’essere dove sorge come un mondo di oggetti interiori il puro vissuto, il radicale della soggettività». L’esperienza estetica, l’esperienza mistica, l’esperienza psichedelica (e ad esse si può senz’altro aggiungere quella di certe forme di alpinismo, esasperato e portato alle sue estreme conseguenze), hanno questo fondamento comune, ma anche però si distaccano una dall’altra quando, dal piano dell’essere si passa al piano dell’azione, alla categoria del fare. Qui allora sorge il problema della libertà di scelta; tanto più il modello si allontana dalla costruzione spontaneamente creativa, tanto più esso diventa artificiale, costruito, e perciò non libero, alienato. La differenza è soprattutto nel senso e nella funzione di queste esperienze nella traiettoria dell’esistenza.

Occorre, per raggiungere queste condizioni, un lungo lavoro di esperimentazione e di esercizio, una sorta di preparazione purificatoria, perché tali esperienze abbiano un carattere fruitivo. «Nous ne savions ni les decouvrir, ni nous en servir, avant de nous être reintégrés dans ces tranquilles profondeurs» scrive al proposito Jacques Maritain. La difficoltà di raggiungere questo stato pare essere una sufficiente salvaguardia d’ogni illecito impiego, ma rimane il fatto che la motivazione fondamentale dell’alpinismo trova nello studio e nell’esperienza delle droghe un apporto chiarificatorio.

Bibliografia
Motti Gian Piero: Il nuovo mattino: analisi dell’alpinismo californiano in Rivista della Montagna n. 16, pag. 2, 1974.
Robinson Doug: The climber as visionary in Ascent, 1969 – trad. francese in La Montagne et alpinisme, 1970; trad. italiana in Bollettino della Montagna, 1971 e Rivista Mensile del Club Alpino Italiano, 1973.
Mallory George: in British Climber’s Club Journal, 1914.
Chouynard Yvon: Resoconto della scalata al Muir Wall di El Capitan in The American Alpine Journal, 1966.
Castaneda Carlos: A scuola dallo stregone, Astrolabio, Roma, 1970; Una realtà separata, Astrolabio, Roma, 1972: Viaggio ad Ixtlan, Astrolabio, Roma, 1973.
Huxley Aldous: The doors of perception, Harper & Brothers, New York, 1954;  Heaven and hell, Chatto & Windus, London, 1956.
Morselli Giovanni Enrico: Contribution a la psychopathologie de l’intoxication par la mescaline, in Journal de Psychologie, 33, 308, 1936; Autoesperienze con mescalina, in Giornale di Psicologia Normale e Patologica, f. 5, 1936.
Michaux Henri: Misérable Miracle, Ed. Du Rocher, Monaco, 1956; Paix dans les brisements, Flinker, Paris, 1959; L’infini turbulent, Mercure de France, Paris, 1964.
Gamna Gustavo: LSD e esistenza, in Giornale di Psicologia e Neuropatologia,  94, 121, 1966.
McGlothlin William H. e Arnold David O.: LSD revisited, in Archives of General Psychiatry, 24, 35, 1971.
Silverman Julian: Research with psychedelics, in Archives of General Psychiatry, 25, 498, 1971.
Fischer Roland: On creative, psychotic and ecstatic states, in Jacob I, ed., V International Coll. of Psychopathology of Expression – Karger, Basel, 1969.
Savage Charles: LSD, alcoholism and trascendence, in Journal of Nervous and Mental Disease, 135, 429, 1962.
Savage Charles, Terrill James, Jackson Donald D.: LSD trascendence and the new beginning, in Journal of Nervous and Mental Disease, 135, 425, 1962.
Ey Henri: LSD et expériences psychédéliques, in l’Evolution Psychiatrique, f. 2, 249, 1969.

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Droga e alpinismo ultima modifica: 2018-12-22T05:53:41+01:00 da GognaBlog

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37 pensieri su “Droga e alpinismo”

  1. Per Sebastiano, commento 18: non credo sia il caso di parlare di scuse. A me personalmente basta che ci sia stato un cambio di opinione. In effetti il personaggio è scomparso 35 anni fa e su di lui è stato detto (in vita e dopo) di tutto e di più. Ci sta che a volte sopravvivano opinioni davvero grossolane che bisogna combattere senza pretendere nulla in cambio.

    Saggia risposta.
    Non posso che concordare.

    Vorrei solo sottolineare, nel caso che qualche lettore si fosse fatto delle idee balzane, che le eventuali scuse cui facevo riferimento non erano certo dovute a me.

  2. I deboli sono la maggioranza?

    Allora si devono giustificare le droghe.

    Il commercio di droghe va a gonfie vele.

    La maggioranza decide.

  3. Si Marcello parla chiaro , senza girarci intorno e ha ragione.

    Però il problema è che il mondo non è fatto solamente di persone forti che hanno la capacità di dire di NO!

    Ci sono anche le persone deboli. Le persone che crescono in certi ambienti. O le persone che vogliono provare , tanto che vuoi che sia. E poi invece ci cascano.

    Poi ci sono anche gli idioti che si sentono dei ganzi.

  4. Marcello condivido quanto hai scritto.

     

    Per lo stato, oltre a questo:

    L’erba viene legalizzata e ci guadagna lo Stato invece dei Casamonica, mi va bene, ma poi deve spendere per curare gli ammalati a cui ha fornito il modo per ammalarsi. Bel sistema.

    ci metterei anche il fumo e il gioco.

     

  5. Alberto, un tossico in astinenza da eroina spacca tutto quello che ha intorno, mena le persone, ruba per finanziarsi, non ha più il controllo di sé e diventa pericoloso per gli altri e per lui stesso. Anch’io sto bene quando vado in montagna e soffro se non posso farlo, ma nulla a che vedere con chi dipende da sostanze. Le droghe sono una brutta bestia che uccide o riduce veramente male chi ne fa uso. Personalmente ho avuto più amici ammazzati da overdose che dai monti e oggi, in era di liberalizzazione delle droghe, sembrerà bacchettonaggio ma vedo tante persone che si sono bruciate molti neuroni a forza di canne. Che tanto non facevano male…ma oggi danno i numeri e sono sempre nevrotici. Le parole di Motti si riferiscono a un’epoca in cui non si avevano molte conoscenze mediche a riguardo e le droghe rappresentavano anche uno stile di vita e di fuga, protesta e ribellione. Crederlo ancora oggi è da ignoranti autolesionisti, senza contare che chi si droga finanzia le grandi organizzazioni criminali e poi guarda Narcos in TV e si diverte pure. Ma siamo scemi? Direi di si. L’erba viene legalizzata e ci guadagna lo Stato invece dei Casamonica, mi va bene, ma poi deve spendere per curare gli ammalati a cui ha fornito il modo per ammalarsi. Bel sistema. Io penso che chi si droga sia un cazzone egoista e incosciente, altro che aumentare le percezioni… Ormai ci credono solo i deboli.

  6. L’accostamento tra droghe come sostanze e dipendenza da una passione lo vedo assolutamente inopportuno e insensato.

    non che mi sento un drogato,  ma se non riesco ad andare in montagna  a fare quello che mi ero prefissato, non sono sereno. Faccio  altre attività oltre alla montagna, ma non mi fanno stare bene  come l’andare in montagna e se non le faccio non mi mancano come l’andare in montagna.

    E’ questa droga? dipendenza? vista limitata? scarsità di idee? pigrizia?

  7. In quanto dipendenze hanno il carattere comune del vizio.

    Questo è emblematico della riduzione di se stessi all’attaccamento.

    Che a sua volta è un freno evolutivo.

    Riconoscere il valore del non attacamento è un passo di luce verso nostre zone oscure.

    Ovvero potenzialità castrate.

  8. Alberto, ho letto molte biografie di musicisti celebri (Richards, Mc Carney, Clapton, Santana…) che hanno fatto pesante uso di droghe d’ogni tipo e tutti, col senno di poi, sono concordi nel dire che non sono servite a migliorare le loro capacità artistiche. Gli artisti in genere sono delle persone molto fragili ed è facile che cadano nella spirale della droga. Questo vale anche per molti alpinisti ma non per tutti.

    L’accostamento tra droghe come sostanze e dipendenza da una passione lo vedo assolutamente inopportuno e insensato.

  9. Sono saltato su anch’io per quel commento, e mi domandavo: “Possibile che nessuno dica niente?”. Io che do ragione all’umanesimo di Lorenzo Merlo, io che adoro il suono sporco di Keith Richards.

  10. Io penso che accostare la droga alla montagna o ad altre cose non sia corretto. La differenza è ciò che ti lasciano dentro.

    Montagna e famiglia ti lasciano arricchito di benessere e valori, la droga no.

    Dino, se  nella vita non vedi altro che la montagna, arrivando a sacrificare il tuo tempo che potresti dedicare anche ad altre attività o persone , sopratutto quelle più care. Se ti senti solo realizzato in montagne e nella vita di tutti i giorni un pò emarginato , insoddisfatto. Penso che la montagna possa essere anche forma di una droga.

  11. sinceramente sapere se Motti abbia  o non abbia fatto uso di droghe, non scalfisce minimamente il rispetto che ho nei confronti dell’intelligenza  e della sensibilità di questa persona.

    E mi dispiace molto che ci sia qualcuno che si permetta di mettere in giro discorsi del genere su qualcuno solo perchè  è talmente sopra le righe che è molto difficile comprendere certe sue decisioni e opinioni.

  12. Sebastiano, pure io all’epoca sono stato fuorviato (ingannato) da una notizia falsa. E la fonte mi pareva assolutamente attendibile: una persona ben addentro nel mondo dell’alpinismo e sempre informata dei fatti della montagna.

    Nonostante tutto, sono ben contento di quanto successo in questo blog, perché mi ha permesso di eliminare dalla mia mente una falsità sul conto di Gian Piero Motti, una persona che, a parte la droga (ora pero il falso è stato svelato), ho sempre stimato moltissimo. E quando dico moltissimo, dico davvero MOLTISSIMO.

    … … …

    Alessandro, lo so: sono ripetitivo. Ma ti prego di non censurarmi. Non qui. Non ora. 😊😊😊

  13. Io penso che accostare la droga alla montagna o ad altre cose non sia corretto. La differenza è ciò che ti lasciano dentro.

    Montagna e famiglia ti lasciano arricchito di benessere e valori, la droga no.

     

  14. Per Sebastiano, commento 18: non credo sia il caso di parlare di scuse. A me personalmente basta che ci sia stato un cambio di opinione. In effetti il personaggio è scomparso 35 anni fa e su di lui è stato detto (in vita e dopo) di tutto e di più. Ci sta che a volte sopravvivano opinioni davvero grossolane che bisogna combattere senza pretendere nulla in cambio.

  15. Ringrazio pure Sebastiano.
    Con la sua domanda ha fatto sí che finalmente, per quanto mi riguarda, fosse posta chiarezza – e giustizia – nella vita di Gian Piero Motti.

  16. Caro Fabio Bertoncelli, oltre a sollevarsi potrebbe anche scusarsi per aver diffuso informazioni non vere a riguardo di terzi su una pagina pubblica.

    Saluti

  17. Lorenzo, il tuo linguaggio volutamente criptico sconcerta me e altri, come già ti è stato fatto notare da qualcuno.

    Venendo ora alla fattispecie, ti domando: è sensato dire che, quando ti informano che una persona si droga in modo pesante, il tuo giudizio nei suoi confronti ne viene influenzato in modo negativo? Ed è sensato dire che, quando la notizia dopo decenni si rivela fortunatamemte infondata, si tiri un bel sospiro di sollievo?

    Ti prego di rispondere in modo chiaro. Non con allegorie, non con metafore oscure, non in modo sibillino.
    O sí o no. Comunque con parole chiare e precise. Grazie.

  18. Se chi fa diverso da noi o dai nostri principi è da ripulire, le cose si complicano.

  19. Grazie, Alessandro. La tua risposta mi rincuora.

    Tanti anni fa un mio amico, Istruttore Nazionale del CAI, mi aveva informato che Motti negli ultimi anni era caduto preda di droghe pesanti. La stessa persona, sempre molto informata sulle cose della montagna, me lo aveva poi confermato un paio di volte, di fronte alla mia perplessità per una notizia così grave.

    Ora tu mi fai chiarezza e nel mio cuore mi ripulisci nettamente la figura del povero Gian Piero. Ancora grazie.

    Oggi la giornata è incominciata bene.

  20. Caro Fabio, te lo dico per testimonianza personale e al di là di ogni dubbio: Gian Piero in vita sua non è mai andato al di là di qualche sporadicissimo spinello.

  21. Marcello te che sei un grande appasionato di musica rock e suoni anche . I gruppi di rock psichedelico sarebbero stato capaci di creare certi capolavori  senza nessun uso di droghe?

    O queste hanno avuto una certa imporanza nella loro creatività artistica?

  22. La psichedelia è l’allargamento delle capacità della mente e si può raggiungere con o (meglio) senza assumere sostanze stupefacenti.

    A parte l’aspetto ludico, per me detestabile, le droghe sono una scorciatoia e come tale un modo per sottrarsi alla fatica necessaria all’ottenimento di un equilibrio, che se così ottenuto, equilibrio non sará.

  23. È vero oppure no che il povero Motti negli ultimi anni della sua vita cadde vittima della droga?

    A me dispiace molto, perché era un uomo di qualità morali assai superiori alla media e di animo sensibile ma fragile.

  24. […]“Come è poi finita la storia di Motti e delle droghe?”.
    La domanda è ovviamente pleonastica […]

    Mi si perdoni l’ottusità, o l’ignoranza, oppure -più probabilmente- entrambe: a me la domanda non sembra affatto pleonastica.

    Bertoncelli, vuole forse sottintendere che il suicidio di Motti sia in qualche modo correlato alle “droghe”?

    Se sì, e se non sono troppo indiscreto, allora sarei curioso di sapere se si tratta di una sua personale opinione (legittima quanto fantasiosa), oppure di un’ipotesi supportata da elementi concreti (es. conoscenza personale ed intima di Motti).

    Grazie

  25. Sotto mi son dimenticato di scrivere che scalare genera una buona quantità di adrenalina e spesso molta gente è come “drogata” da adrenalina, ma non è il caso di chi sta facendo robe molto impegnative sulle grandi pareti . Però forse si puossono spiegare certe dipendenze di molti non alpinisti dallo scalare 🙂

  26. La condizione di partecipazione al tutto, di essere ció che fa, di emancipazione dall’io, da ció che esso crede realizza tra l’altro la miglior sicurezza.

    Viceversa una condizione perturbata da sentimenti, pensieri, pretese, alza molto il rischio di realizzare la peggiore.

  27. Che l’uomo cerchi da sempre qualcosa al di là del sensibile è un dato di fatto che poi l’alpinismo possa esserne il mezzo al pari di un’esperienza psichedelica sotto l’effetto di una droga non lo trovo comparabile proprio perché l’arrampicata richiede impegno e dedizione e non una semplice assunzione.

    Direi più che grazie all’iperconcetrazione di cui si gode nel free solo o in arrampicate impegnative e pericolose ma che controlliamo si può provare una sorta di distacco totale dal nostro quotidiano quasi un’altra realtà dove ci siamo solo noi, i nostri ricordi più disparati, una grande quiete e la voglia di restare sempre lì, in quella bolla dove ogni movimento è perfetto.

    Non credo si tocchi l’infinito ma certo la sensazione di pienezza ed armonia si sente in modo tangibile.

    Poi, ovviamente, l’incanto finisce e torniamo al quotidiano senz’altro più appagati ma senza essere più gli stessi perché sappiamo che quando ne sentiremo il bisogno ci sarà sempre un’altra free solo o un’altra via per fuggire in quel nostro piccolo mondo perfetto.

    Non credo sia una semplice droga, penso sia più assimilabile ad una disciplina, anche piuttosto ferrea ed impegnativa.

  28. Articolo astruso, senza capo né coda. Inchiostro, carta e bytes sprecati; come il tempo che ho perso a leggere queste bischerate psichedeliche.

  29. Sì, per me DROGA è tutto ciò di cui non riesco a farene a meno… devo però dire che col passare degli anni e maturando mi sono educato a saper rinunciare a qualsiasi cosa in qualsiasi momento e l’alpinismo, non il falesismo o le altre attività moderne dal boulder al cascatismo , mi è servito molto per imparare, forse di più quello invernale, anche se l’ho praticato poco.

  30. Secondo la comunicazione perbenista – che volle isignire pari valore a tutte le cosiddette droghe, colpevolizzandone gli utilizzatori con pari squalificante giudizio – l’alcool, nonostante sia tra tutte la peggior e più diffusa dipendenza, non rientrò mai nel novero delle sostanze maledette.

    Altrettanto maledette, anche se ancora sono lontane dal venirne assimilate, sono il cibo e la passioni e più in generale ogni cosa della quale possiamo divenire o siamo dipendenti.

    Aria a parte, come dice Guido, tutto.

    Prendere coscienza delle dipendenze e poi manciparsene dovrebbe fare parte di una buona cultura a sua volta non dipendente da interessi economici e da sostegno scientifico, che poi è la stessa cosa.

    C’è molta letteratura in merito e tutta sempre riguarda anche l’evoluzione umana.

    Da vulnerabile a più forte.

    Dalla sofferenza alla salute.

  31. A questo mondo l’unica cosa di cui tutta l’umanità non può fare a meno è l’aria che respira, tutto il resto è discutibile e sostituibile.

  32. Sono molto felice che il Blog abbia riproposto questo importantissimo testo che io ho letto all’età di 15 anni (fu pubblicato su RdM del 1976) e da cui rimasi particolarmente colpito.

    Oggi come allora sposto un attimo il focus delle riflessioni.

    Personalmente non mi sono mai drogato, addirittura detesto il fumo di sigaretta, figuratevi il resto!

    Ma non ci sono soltanto le le droghe in senso stretto, gli allucinogeni. Ci sono varie forme di droghe, alcune apparentemente nobili e sane…

    La montagna non è forse un tipico contesto di  forme alternative di droghe?

    Di un alpinista che non sa stare a casa, che macina dislivelli e difficoltà, che vive sempre in funzione della prossima gita… non si dice forse di lui che è “drogato” di montagna?

    A distanza di oltre 40 anni dalla mia prima lettura di questo scritto, sono sempre più convinto che senza droghe non si riesce a vivere. L’esistenza apparirebbe vuota, insensata, inutile. Le “droghe” che servono per vivere sono le più disparate, ognuno sceglie la sua: il lavoro, la carriera, la famiglia, i figli, i soldi, gli interessi culturali e sportivi e…, perché no?, la montagna.

    Questa mia affermazione può apparire in prima battuta addirittura blasfema, specie perché giunge da uno come me che vede la Montagna come un luogo sacro, scrigno di nobili ideali. Ma, se ci pensate, una passione che ti divora dentro per tutta la vita è una vera droga. Probabilmente una droga benefica, ma pur sempre una droga.

  33. Come persona del tutto contraria alla droga – e per tale motivo definita nel brano con tono di scherno come “benpensante” – mi chiedo: “Come è poi finita la storia di Motti e delle droghe?”.

    La domanda è ovviamente pleonastica, spiacevole ma purtroppo necessaria di fronte a tutte le decine di migliaia di giovani rovinati e uccisi dalle droghe nell’arco di mezzo secolo.

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