Eudaimonia
(o chiave della felicità secondo Jung)
di Riccardo Alberto Quattrini
(pubblicato su inchiostronero.it il 24 settembre 2022)
Eudaimonia significa fortuna, ricchezza o felicità. È una fioritura interiore che, secondo Carl Gustav Jung, dovremmo stimolare entrando, prima di tutto, in contatto con il nostro daimon. Daimon è il demone, il genio interiore, l’archetipo che guida le nostre passioni e motivazioni inconsce, ciò che definisce la nostra essenza e a cui dovremmo dare ascolto più spesso.
Se c’è qualcosa che abbonda ovunque (libri, reti sociali, messaggi stampati sulle magliette) è il bisogno di essere felici. Non c’è messaggio pubblicitario che non alluda alla possibilità di sperimentare sensazioni nuove e meravigliose, dallo scattare foto con l’ultimo smartphone al guidare una determinata automobile. La visione attuale della felicità assume quasi un tono imperativo.
“Il carattere dell’uomo è il suo genio (Eraclito)”.
Viviamo una postmodernità in cui l’obbligo di essere felici ci causa spesso infelicità. Ricordiamo le parole del matematico e filosofo Nassim Nicholas Taleb nel suo libro Il cigno nero: “crediamo ancora che il mondo sia pieno di cigni bianchi, che sia sufficiente sforzarsi per ottenere ciò che si desidera, che le promesse ricevute da bambini, un giorno si avvereranno”.
Secondo Taleb, Il nostro mondo, invece, è estremamente complesso. Tanto che, quando vediamo un cigno nero, non sappiamo come reagire, diventiamo vulnerabili perché non sappiamo in che modo gestire gli imprevisti e l’incertezza. La felicità, però, non potrà mai essere trovata al di fuori di noi. Dobbiamo rafforzare il nostro carattere, il nostro daimon, come direbbe Carl Jung.
L’eudaimonia e l’importanza di conoscere noi stessi
Uno degli eredi del pensiero di Carl Jung è stato James Hillman. Fu uno degli esponenti della psicoanalisi junghiana che più approfondì il concetto degli archetipi e, in modo specifico, l’ideale del daimon. Nel suo libro Il codice dell’anima ci ricorda l’importanza di entrare in contatto con quel genio o “demone” interiore per costruire una vita appagata, la vera felicità. Per comprendere meglio questa teoria interessante, analizziamo ciò che Hillman ci rivela nel suo libro.
Che cos’è un daimon?
Daimon in greco significa demonio. Lungi dall’avere un’accezione negativa o maligna, simbolizza l’essenza più elevata dell’essere umano. Nell’etica di Aristotele, daimon è la virtù e la saggezza nel suo aspetto più pratico.
Carl Jung ci spiega che il daimon risiede nell’inconscio. Guida molte delle nostre azioni, ci stimola, ci sussurra idee, ci ispira e dà forza all’intuito. Nella società attuale, con il nostro ritmo di vita, è comune smettere di dare ascolto a questa voce interiore.
Un’educazione orientata a formare individui uguali e un mondo del lavoro che non valorizza l’originalità riduce drasticamente la possibilità di attingere luce da questo folletto interiore. Lui, invece, scoppia di vitalità, ha un enorme potenziale e vorrebbe liberare il suo impulso creativo. Non sempre abbiamo il coraggio di dargli spazio sufficiente.
Daimon ed eudaimonia: una questione di coraggio
James Hillman sostiene che poche cose sono tanto importanti quanto dare ascolto a questo spirito, questa entità magica e colorata che vive nel fondo delle nostre motivazioni. Per questo motivo, nulla può ispirare più della frase inscritta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso”.
Chi smette di guardare fuori, di dare priorità a quello che vogliono gli altri e inizia il viaggio della conoscenza di sé, sarà in grado di raggiungere il proprio daimon.
Purtroppo, abbracciare l’eudaimonia non è sempre facile, perché a volte il daimon vuole cose che il nostro ambiente circostante non comprende. Forse l’avvocato non vuole esercitare legge, forse vorrebbe essere un artista. Oppure è l’artista famoso e affermato che non vorrebbe più creare, e il suo demone potrebbe chiedergli di svolgere un lavoro umanitario. Può anche darsi che il nostro daimon ci chieda maggiore indipendenza, spazio personale e libertà che non osiamo chiedere.
L’eudaimonia richiede indubbiamente alte dosi di coraggio. Tuttavia, se non osiamo ascoltare la nostra voce interiore, quello stesso daimon, inquieto e impaziente di agire, finirà per punirci. Come ci ricorda Carl Jung, se non siamo capaci di ascoltare i bisogni del nostro daimon, la nostra anima si ammala. Andare contro i nostri desideri e le nostre motivazioni porta all’infelicità.
Come si coltiva l’eudaimonia?
Sappiamo che nulla può essere determinante quanto coltivare la conoscenza di sé. Prendere contatto con i nostri desideri, la nostra essenza, identità e valori personali è, senza dubbio, un modo per riconoscere e abbracciare il nostro daimon. Non basta, però, prendere contatto, dirgli “so che ci sei”. Dobbiamo dargli libertà, creativa e di espressione.
Coltivare la vera eudaimonia esige cambiamento, implica abbandonare gli schemi imposti dalla società, essere capaci di creare una realtà personale. Pertanto, dobbiamo essere pienamente consapevoli della complessità del nostro ambiente, in cui l’imprevisto, l’incertezza e le difficoltà sono la regola. Il daimon vuole delle cose, ma per raggiungere l’eudaimonia dobbiamo anche affrontare scenari in cui non sarà facile esprimerci, realizzarci.
Vale la pena di ricordare una frase di Immanuel Kant: per essere felici dobbiamo imparare a essere sagaci. Vale a dire, dobbiamo essere capaci di scegliere i mezzi adeguati a ottenere la maggior quantità di benessere. È chiaro che un’impresa simile, uno scopo del genere, non è facile.
Tuttavia, abbiamo sempre a disposizione la terapia junghiana. Questo approccio terapeutico è orientato a tale fine: mettere l’eudaimonia alla nostra portata; aiutarci a individuare le nostre singolarità e potenzialità per raggiungere la felicità desiderata, quella fatta su misura per noi.
Libri Citati
Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita
di Nassim Nicholas Taleb
(traduzione di Elisabetta Nifosi, Il Saggiatore, 2008)
Cosa pensarono gli europei quando, giunti in Australia, videro dei cigni neri dopo aver creduto per secoli, supportati dall’evidenza, che tutti i cigni fossero bianchi? Un singolo evento è sufficiente a invalidare un convincimento frutto di un’esperienza millenaria. Ci ripetono che il futuro è prevedibile e i rischi controllabili, ma la storia non striscia, salta. I cigni neri sono eventi rari, di grandissimo impatto e prevedibili solo a posteriori, come l’invenzione della ruota, l’11 settembre, il crollo di Wall Street e il successo di Google. Sono all’origine di quasi ogni cosa, e spesso sono causati ed esasperati proprio dal loro essere imprevisti. Se il rischio di un attentato con voli di linea fosse stato concepibile il 10 settembre, le torri gemelle sarebbero ancora al loro posto. Se i modelli matematici fossero applicabili agli investimenti, non assisteremmo alle crisi degli hedge funds. Questo libro è dedicato ai cigni neri: cosa sono, come affrontarli, in che modo trame beneficio.
Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino
di James Hillman
(traduzione di Adriana Bottini, Adelphi, 2014)
Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie – anche se talvolta simili passaggi possono sembrare casuali o irragionevoli? Se esiste, è il daimon, il «demone» che ciascuno di noi riceve come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone. Se esiste, è ciò che si nasconde dietro parole come «vocazione», «chiamata», «carattere». Se esiste, è la chiave per leggere il «codice dell’anima», quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire ma che non sempre capiamo. Dopo anni di indagini sulla psiche, che hanno fatto di lui l’autore di saggi memorabili come Il mito dell’analisi e Re-visione della psicologia, James Hillman ha voluto darci con questo libro le prove circostanziate dell’esistenza e dei modi di operare del daimon. E ha scelto una via inusuale ed efficacissima, quella cioè di impiegare come esempi non oscuri casi clinici ma il destino di personaggi che ogni lettore conosce: da Judy Garland a John Lennon e Tina Turner, da Truman Capote a Quentin Tarantino e Woody Allen, da Hannah Arendt a Richard Nixon e Henry Kissinger, da Hitler ai serial killer. Attraverso questa profusione di storie eloquenti e paradigmatiche Hillman è riuscito a farci capire che se la psicologia si è dimostrata incapace di spiegare le scelte più profonde che decidono la vita di tutti noi è proprio perché aveva perso contatto con il daimon. E soprattutto a farci sentire di nuovo la presenza di questo compagno segreto dal quale, più che da ogni altro elemento, la nostra vita dipende. Il codice dell’anima è apparso per la prima volta nel 1996 con il titolo originale The Soul’s Code: In Search of Character and Calling.
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Tranne i medici di oggi – salvo eccezioni – tutti i ciarlatani della storia lavorano su questa lunghezza d’onda.
Tranne gli scienziati di oggi – salvo eccezioni – tutti i maghi dell’eternità sanno relazionarsi alla conoscenza.
Invece di vivere la vita ci creiamo paturnie e orpelli. Pensate meno e vivete di più, sicuramnte starete meglio