Ecco altre riflessioni di un guardiaparco che scorge nella nostra Umanità e nel rapporto con la Natura una serie di contraddizioni. La prima? Vedere un unico aspetto, un solo fenomeno, di tutto ciò che ci circonda.
Faremo gli occhiali così
di Luca Giunti
(pubblicato su piemonteparchi.it l’11 gennaio 2021)
Finito il novembre più asciutto e caldo della storia climatica, finalmente nevica. Le osservazioni invernali degli animali forniranno risultati migliori perché le loro tracce sono facili da seguire sulla neve. Da trent’anni anni rincorro le piste degli animali: per la tesi di laurea, per i progetti della Regione Piemonte, per le ricerche dei Life europei e da quest’anno per il monitoraggio nazionale predisposto da ISPRA.
Ho calcolato di aver percorso più di 1500 chilometri totali ma altri colleghi hanno superato i 5mila. Il silenzio del bosco e la concentrazione sugli indizi al suolo favoriscono il dipanarsi dei pensieri e posso riprendere le mie riflessioni da guardiaparco.
Lo strabismo dell’Umanità
Forse l’umanità è afflitta da una sorta di strabismo. Come già scritto, dovremmo osservare il mondo con un occhio d’aquila e con uno di gallina, per abbracciare contemporaneamente i particolari e il contesto generale. Spesso però vediamo un unico aspetto, un solo fenomeno, isolandolo dal contesto. Usiamo tanti cannocchiali e microscopi, ma pochi binocoli e grandangoli. Gli esempi sono tanti e il ritmo del cammino me ne compone in testa un elenco denso, certamente incompleto ma in parte divertente.
Vogliamo la montagna da cartolina con le mucche e le pecore bucoliche ma guai se dobbiamo aspettare dieci minuti che una mandria attraversi la strada o, peggio, se le loro deiezioni sporcano la vernice metallizzata della nostra auto. Vogliamo il paesino tipico con le casette in pietra addossate immobili nel tempo ma anche i parcheggi per la stessa auto vicino casa. Vogliamo la neve ma sarebbe meglio costringerla a cadere soltanto sulle piste da sci e non sulle strade che si intasano subito.
D’estate vogliamo passeggiare in bermuda e sandali ignorando zecche e processionarie favorite dalle modificazioni del territorio e del clima a cui contribuiscono i nostri spostamenti a base di combustioni fossili. Abbiamo ripopolato l’Italia di cinghiali, cervi e caprioli per l’attività venatoria e ci lamentiamo degli incidenti e dei danni che provocano oggi, che sono milioni. Sono arrivati i lupi con le loro predazioni, ma se diventassero vegetariani o predassero solo gli animali selvatici, sarebbe tanto meglio. Vogliamo andare in un rifugio per trovare ospitalità tradizionale, valori autentici e aria pura, ma – raccontano costernati decine di gestori – pretendiamo il bagno in camera e menù a scelta da venti piatti; tutto, ovviamente, a prezzi concorrenziali dimenticando che il rifugista porta cibo e combustibile a spalle, o con l’elicottero.
Vogliamo miele biologico e locale ma al prezzo di quello industriale e d’importazione (e lo stesso vale per l’olio, le nocciole, i formaggi e tanto altro). Vogliamo eliminare le bottigliette di plastica inquinante ma intanto togliamo le fontanelle nelle stazioni ferroviarie e i Toret (tipiche fontanelle nelle vie di Torino, NdR) in città.
Ci preoccupa il 5G ma vogliamo essere connessi anche a 3mila metri. Vogliamo che pc e smartphone ci durino a lungo ma insegniamo ai progettisti a programmarne l’obsolescenza. Vogliamo debellare il virus ma senza ridurre né i festeggiamenti né gli allevamenti intensivi che li diffondono, vicino e lontano.
Eppure mia nonna ammoniva: “L’Erba-Voglio non cresce nemmeno nel Giardino del Re!”. E Mufasa, nel film disneyano Il Re Leone, spiegava: “Essere Re vuol dire molto di più che fare quello che vuoi. Tutto ciò che vedi coesiste grazie a un delicato equilibrio. Dalla piccola formica alla saltellante antilope siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita”.
La Natura ricicla tutto
L’aria sottile frizza nel naso. La pista che seguo da qualche chilometro mi porta sui resti di un cervo predato. Lì vicino raccolgo due cacche da aggiungere alle migliaia già insacchettate ed esaminate (“È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo”). Già che – come tutti – devono evacuare gli escrementi, i lupi li adoperano per marcare i loro confini e lasciare segnali di salute, guerra, amore. Altro che raccolta differenziata: hanno raggiunto l’economia circolare! La Natura non spreca nulla, tutto ricicla, tutto connette.
Ecco. Io credo che ricordarlo spesso sia una delle funzioni dei parchi naturali. Cioè raccontare a tutti la complessità delle reti di relazioni che un parco studia e protegge quotidianamente. La biodiversità è fatta soprattutto di interazioni, dipendenze, incontri, scambi, molti dei quali ancora non comprendiamo bene. Non a caso gli ecotoni (gli spazi di transizione tra un habitat e un altro) sono così ricchi e interessanti. Non a caso ci chiamiamo “ReteNatura2000”. Il pacchetto è sempre completo, non scomponibile, onnicomprensivo. Prendere o lasciare. È difficile e scomodo per una Umanità che vorrebbe tutto lineare e semplice ma, come recita un proverbio abusato: ”Non è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca”. Non sarebbe nemmeno giusto. Il poeta cantava Faremo gli occhiali così! (Fabrizio De André, Un ottico, in Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971). In questo senso i parchi, non da soli, hanno oggi anche il compito di proporre visioni nuove, per loro ovvie ma per tanti invisibili. Olistiche, sistemiche, ecologiche. Di essere “spacciatori di lenti” proprio perché “e pupille abituate a copiare inventino i mondi sui quali guardare”.
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Purtroppo la libertà di movimento delle classi, in tempi normali, è sempre più ristretta e burocratizzata. Molti insegnanti non intendono rischiare, perché restano comunque responsabili, anche per una foratura del pullman.
Gli studenti più giovani dovrebbero essere portati nei parchi molto di più di quanto accada, perché certe cose o le impari da piccolo o niente.
La mia personale impressione è che questa società, questo modello di sviluppo e la mentalità che ha generato sia anche oltre e ormai pretenda “la botte ubriaca e la moglie piena”!
Bello scritto, grazie.
“Botte piena e moglie ubriaca” è locuzione nota a tutti, ma particolarmente utilizzata qui da noi (Nord Ovest), anche nella spicciola quotidianità. Rende bene l’aspirazione che alimenta l’attuale società consumistica del “No limits”: voglio tutto, quindi voglio una cosa e contemporaneamente il suo contrario. Questa convinzione di onnipotenza ci ha portato sull’orlo del baratro (o forse già un po’ più in là). Ben fanno i parchi a farsi testimoni di una visione più corretta, più intelligente, più “naturale”.
«In questo senso i parchi, non da soli, hanno oggi anche il compito di proporre visioni nuove, per loro ovvie ma per tanti invisibili. Olistiche, sistemiche, ecologiche. Di essere “spacciatori di lenti” proprio perché “e pupille abituate a copiare inventino i mondi sui quali guardare”».
Altrimenti detto: libertà dal conosciuto.