Gli animali e l’enigma dell’amicizia

Alcuni capodogli sono stati avvistati insieme nel Mare Ligure. Che cosa li lega? Esiste, fra i non umani, quel sentimento di simpatia e intesa che sta alla base dell’unione umana? Un filosofo prova a rispondere. Ribaltando la domanda.

Siamo portati a pensare che i sentimenti siano una prerogativa umana. Come se il cuore dipendesse dall’intelligenza. Solo noi, che siamo i padroni della Terra, abbiamo la nobiltà d’animo che ci permette di provare amore, tenerezza, passione, addirittura disgusto e odio.

Gli animali no, non li autorizziamo a tanto. Al massimo concediamo ai nostri “cuccioli” di provare sentimenti per noi: il cane scodinzolante, il gatto che fa le fusa, il canarino che zufola quando rientriamo in casa. Sempre e solo noi al centro.

Per gli animali in libertà, che spesso chiamiamo ancora oggi “animali selvaggi”, non prendiamo neppure in considerazione l’ipotesi di legami al di là di quelli profondamente istintuali.

Ma non è così: non è solo l’uomo che elabora i sentimenti. E se valesse addirittura l’opposto? (Carlo Crovella).

Noi & Loro
(gli animali e l’enigma dell’amicizia)
di Leonardo Caffo
(pubblicato su Sette del Corriere della Sera, 13 settembre 2019)

Mar Ligure: tre capodogli maschi vengono avvistati a poche miglia da Sanremo, tra il canyon di Arma di Taggia e i due canyon di Bordighera, da parte degli scienziati dell’Istituto di ricerca Tethys. Due dei capodogli del trio sono già noti alle cronache e dunque, come spesso fanno gli umani per capire qualcosa in più della vita, hanno già ricevuto un nome: Hide e Onda, incontrati il 18 giugno 2019 dai ricercatori e soliti nuotare in coppia. Questo fatto può apparirci singolare, ma solo se nell’atto di osservarlo – il fatto intendo – agisce il pregiudizio che sta alla base del nostro rapporto con la natura: l’antropocentrismo. Domanda complessa: esiste l’amicizia tra gli animali? Risposta semplice: dipende da cosa intendiamo per “amicizia”. Risposta più difficile: davanti ad animali così complessi – basti guardare la struttura cerebrale di un capodoglio – non è difficile ragionare su comportamenti per analogia con quelli della nostra specie. Nel duecentesimo anniversario della nascita di Herman Melville, “il papà” di Moby Dick, toma l’interrogativo su cosa questi animali significhino per noi: vederli insieme più volte, nuotare liberi anche dai nomi che pensiamo di avergli dato e che per loro non significano nulla, riporta al dibattito domande sul senso di un amore o di un’amicizia possibili oltre i confini della nostra specie.

Dozzine di capodogli tutti insieme al largo della costa nord-orientale dello Sri Lanka

Certo, è possibile: esistono animali monogami in amore come pipistrelli, lupi, volpi, antilopi, tortore. Esistono animali con una teoria della mente, ovvero in grado di attribuire stati mentali ad altri (la base, per così dire neuroscientifica, dell’amicizia), come per esempio i macachi e forse appunto delfini e capodogli. Esistono animali che possono addirittura parlare tra loro in modo complesso, come i tamarini dal ciuffo bianco.

Recentemente l’editore Adelphi, proprio su questi temi, ha inaugurato la collana “animalia” dedicata a osservare il non umano per così dire iuxta propria principia: la domanda, anche osservando Hide e Onda, non è dunque: anche loro possono essere amici? Ma: cosa significa per loro stare insieme?

Per chi scrive, anche se può sembrare poco poetico come approccio, semplicemente e fortunatamente non lo sapremo mai: la maggior parte delle nostre scoperte comportamentali riguardo le altre specie si basa su un gesto d’analisi estremamente violento teorizzato già da Konrad Lorenz – conoscere significa studiare in condizioni di privazione della libertà. Certo, talvolta è paradossale anche senza tirare in ballo la filosofia: ci incantiamo davanti alle capacità cognitive ed emotive di un delfino, ma non ci stupiamo delle prigioni rappresentate dai delfinari. Verrebbe da dire, evocando e traducendo un famoso detto aristotelico, amicus animalis sed magis amica veritas. L’incantesimo di Hide e Onda, un po’ come il rapporto maledetto tra Achab e Moby Dick, è tale nel momento in cui non siamo paradossalmente in grado di svelarlo del tutto: cosa significa essere amici? È sempre Aristotele, nell’Etica Nicomachea, a rispondere: quando la benevolenza è contraccambiata. Forse gli animali ci mettono come sempre davanti a modelli inediti dello stare insieme: modelli non egoistici, possibilità di vivere la meraviglia della condivisione attraverso il silenzio, il nuotare o il volare, lo scavare o l’arrampicarsi.

Sabina Airoldi, una delle ricercatrici di Tethys, riporta che «quando Hide si è avvicinato all’imbarcazione, ha messo fuori la testa dall’acqua, come per guardare chi c’era a bordo». Un comportamento insolito, dicono i ricercatori, se pensiamo a un capodoglio: eccolo il dramma della vita – pensare ciò che è fuori di noi come prevedibile o guidato da uno schema. Qui c’è la differenza tra l’animalità per la filosofia e l’animalità per le scienze: da un lato un movimento del pensiero che ci costringe a ripensare ogni definizione dalle fondamenta, dall’altro un modo per riportare alle definizioni ogni fondamento dell’essere. Comunque vada, e qualsiasi cosa si pensi dell’essere amici, Hide e Onda se ne staranno adesso avvolti dal loro mistero che è la chiave di ogni forma che prende la vita: imperscrutabile, chiusa e insieme aperta all’esterno, di cui si può vedere e capire solo ciò che smettiamo di inquadrare in un sistema di pensiero stantio.

Essere amici, diceva Gilles Deleuze, significa poter stare per ore senza parlare: ci avviciniamo forse così, dunque, alla risposta sull’amicizia oltre la specie – dove non c’è linguaggio, dunque dove non c’è pregiudizio, giace la condizione di possibilità dell’essere in due come un corpo unico e armonico. Se essere amici significa anche essere una somma potenziale che rende il due di nuovo uno, forse saranno Hide e Onda a doversi chiedere: esiste l’amicizia tra esseri umani?

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Gli animali e l’enigma dell’amicizia ultima modifica: 2020-05-26T04:55:00+02:00 da Totem&Tabù

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3 pensieri su “Gli animali e l’enigma dell’amicizia”

  1. Sempre affascinante è il comportamento degli animali, in particolare quelli superiori (uomo incluso).
    Quanto all’amicizia, l’autore stesso afferma dipende da cosa intendiamo per “amicizia””, ma poi da seguito all’affermazione e tutto l’articolo diventa un po’ un vuoto esercizio retorico.
    Comunque che io sappia i capodoglio spesso sono usi a cacciare in gruppo per “circondare” i banchi di pesce di cui si cibano, quindi ovviamente stanno assieme.
    Di sicuro cooperano, come moltissimi altri animali uomo incluso, ma è amicizia, opportunismo o evoluzione? 
    Talvolta l’antropocentrismo è cercare di capire usando schemi culturali umani (e inespressi)

  2. Affascinante. Voglio pensare che sia possibile, anzi, lo spero. 

  3. L’assuefazione antropocentrica impedisce a molta creatività di librarsi da noi.
    Così, per esempo, crediamo che quello che diciamo sia davvero vero, più importante e necessario di quanto dica il nostro prossimo.
    Crediamo che nome, titoli e ruolo sociale siano davvero noi.
    E lo crediamo fino ad identificarcene.
    Così da non vedere più la farsa che recitiamo.
    Travestiti di morale, saperi e giudizi non vediamo più la maschera che indossiamo.
    Non vediamo più noi stessi e l’infinito che siamo.

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