Il Kit da ferrata non dev’essere obbligatorio
Sul numero di settembre della rivista Montagne360 (organo ufficiale del Club Alpino Italiano), a firma Federico Bernardin, è uscito l’utile articolo La sicurezza sulle vie ferrate (pagg 54-57).
L’utilità di tale articolo, anche per il grande numero di appassionati cui è rivolto, è indubbia. Il testo non si dilunga, è essenziale e dà le giuste informazioni necessarie, al fine di percorrere una ferrata in ragionevole sicurezza. Inoltre, precisa giustamente “che la ferrata non è un gioco e non è costruita per esserlo”.
Chi volesse leggere il testo integrale, per comodità lo trova qui.
Via ferrata Tomaselli, San Cassiano, val Badia. Foto: ladinia.it
Considerazioni
Nel testo non ci sono inesattezze, dobbiamo però far notare una piccola dimenticanza e non possiamo rinunciare a due considerazioni che il testo stesso provoca.
La dimenticanza riguarda l’uso dei guanti. In assenza di questi, dire che “fastidiose escoriazioni possono avvenire per strofinamento della pelle delle mani sul cavo della ferrata” non è sufficiente: occorre mettere in risalto che non infrequentemente la mano incontra refoli d’acciaio dovuti a usura e cattiva manutenzione. Questi, al di là delle escoriazioni, possono provocare vere e proprie ferite.
Prima considerazione. Nel sottotitolo, probabilmente a responsabilità della redazione più che dell’autore, è scritto che “le vie ferrate permettono anche ai meno esperti di affrontare difficoltà alpinistiche”. Questo non è corretto, perché le ferrate permettono solo di affrontare le difficoltà delle ferrate!
Occorre stare attenti all’uso dei termini, e cercare di mantenere ben distinti due ambiti che, già dalle differenti radici filosofiche, non possono essere mescolati se non con pericolosi fraintendimenti.
Le “difficoltà alpinistiche” sono proprie dell’alpinismo, attività che favorisce l’esperienza personale nell’ambiente selvaggio della montagna, vive di fantasia e di creatività più che di gesti atletici. L’aspetto ludico è decisamente in minoranza al confronto con l’aspetto romantico, spirituale e psichico.
Al contrario, le vie ferrate sono espressione di gesto atletico su terreno verticale, escludono creatività e fantasia e vivono piuttosto epidermicamente il gusto adrenalinico che il vuoto può offrire.
Ciò che voglio dire è che un I° grado (il primo scalino della Scala UIAA) è alpinisticamente molto più difficile e impegnativo di una ferrata atletica che ti fa sputare molta più fatica.
Seconda considerazione. L’articolo ingenera una fastidiosa sensazione, non nuova peraltro e già provata in altre occasioni. Sembra che pure il CAI (che non è un produttore o venditore di materiali o tecniche) continui a ripetere lo stesso errore, cioè quello di fare intendere al pubblico per obbligatorio l’uso (e in una certa maniera) di certi materiali (nella specie, il kit da ferrata, oltre al casco).
Il testo non afferma chiaramente l’obbligatorietà. Ma il tono è un po’ ambiguo e alla fine il complesso dell’articolo non lascia dubbi al lettore (a dimostrarlo basterebbe osservare che l’uso dei guanti è invece espressamente qualificato come “non obbligatorio”).
Immaginiamo ora che questo articolo capitasse in mano (e per la legge di Edward Murphy accadrebbe di sicuro) a un Giudice in occasione del giudizio su un infortunio senza apposito kit o per uso diverso dal previsto.
Anche il Giudice si nutrirebbe della perniciosa confusione sugli obblighi del produttore (che ci sono) rispetto a quelli dell’utilizzatore (chi impedisce di andare senza kit o diversamente attrezzati, magari a persone esperte?). Il tutto è vieppiù consolidato malamente tramite il parallelo con le norme sull’infortunistica del lavoro.
Nell’articolo è presente anche l’azione, sempre pubblica, di inibizione “morale” a carico di coloro che non usano il kit o pensano ad alternative (esordio dell’articolo: quelli “alle prime armi” che vengono “dissuasi“).
Questi scritti formalizzano degli obblighi dei quali poi chiunque potrà essere chiamato a rispondere legalmente (ricordiamo il recente caso della sentenza di Cassazione che ha ritenuto definitivamente responsabile la Scuola di alpinismo Silvio Saglio (SEM-Milano) per un lieve incidente di parecchi anni fa.
Non sto discutendo la buona fede di Bernardin e del CAI, ma non vorrei che in quest’ambito continuassimo imperterriti e incoscienti a non considerare che, come minimo, è necessario precisare sempre che si può anche scegliere di agire con auto-responsabilità (la responsabilità tout court è inutile prendersela o dire che uno se la prende: tanto te la danno le leggi e gli altri).
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Luca, passavo e ti faccio una considerazione.
Hai mai osservato che le persone capaci di solito sono capaci in qualsiasi cosa si impegnino e che le persone incapaci non sono capaci in nulla anche se a quel nulla dedicano la loro vita ?
Chi è capace di un atto di eroismo di solito non fa parte degli incapaci che sanno solo vivere passivamente.
E queste semplici osservazioni si possono fare quasi sempre sugli uomini che si incontrano nella vita, se si è capaci di vivere una propria vita e non passivamente quella scelta da altri.
Madonna, quanto si sentono “superiori” e “spirituali” gli alpinisti.
Ragazzi, il vero coraggio sta altrove. Non sulle nude rocce, dove ognuno si diverte come vuole. Nella vita di tutti i giorni, è lì che si vede di che pasta sei fatto. Paghi le tasse? Aiuti chi è nei guai? Hai cura dell’ambiente?
I veri eroi stanno zitti e fanno la cosa giusta. Primo grado, ottavo grado, spit sì, spit no … Sveglia, che la vita è altrove.
Leggete la vita di Guido Rossa, che era pure alpinista. Fatevi venire qualche dubbio …
OIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
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FERMI TUTTI CAVOLO!
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È inutile che andiate ad arrovellarvi su fabbricato / autocostruito / viaggiosenzakit, è solamente un esercizio di pura e semplice retorica tra di noi e basta.
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Mi pare che qua dentro il 99% di chi interviene abbia esperienza alpinistica e competenza sull’ uso dei materiali: IL TARGET PRIMARIO DELL’ OBBLIGO (CHE È SFUGGITO ANCHE AD ALESSANDRO GOGNA poiché con la sua competenza quasi aliena e le sue frequentazioni è… diventato quasi un alieno anche lui 😛 e probabilmente non considera che la maggioranza dei frequentatori delle ferrate non ha un cavolo di competenza alpinistica) NON SONO GLI ALPINISTI CHE CON 20 METRI DI CORDA SONO IN GRADO DI ATTRAVERSARE LE ALPI, ma gente che tra un po’ non distingue uno zaino da un moschettone, figuriamoci se questi sono in grado di non ammazzarsi (E DI NON AMMAZZARE GLI ALTRI) andando in giro senza kit o autocostruendoselo (e come? con la colla? col groppo delle scarpe?)
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Poi sono il primo ad avere amici che alla sperimentale a Padova hanno distrutto di tutto di piú e manca solo che si autocostruiscano pure l’ imbrago e che questo magari tenga pure meglio di quello venduto e marcato CE, ma cavolo questa è gente che il materiale lo sa usare, mentre – ripeto – i destinatari di tali obblighi sono al 90% privi di qualsivoglia competenza tecnica.
Per Rccardo.
Che c’incastra il mezzo barcaiolo con l’usare materiale di cui non si sa la provenienza e non è certo che sia sicuro.
Per Riccardo,
anche io ho visto risolvere il cubo di Rubik in 13 secondi coi piedi… 🙂
Io ad esempio invece preferisco curarmi personalmente l’attrezzatura, anche se me la mettesse insieme il padreterno. E se decido di calarmi su una cintura di sicurezza lo farò senza dubbio ma altrettanto senza dubbio lo eviterò ad altri salvo il caso di “stato di necessità”…
Grazie Riccardo per avermi fatto conoscere Angiolino Binelli.
Per il resto, mi sembra d’aver chiarito nei miei commenti precedenti appunto che chi sa fare e conosce può e deve fare, per tutti gli altri c’è la possibilità di ricorrere all’acquisto di un kit a norme UNI. Fermo restando che, come dice l’articolo, non c’è un obbligo di legge in tal senso. Ed è giusto dirlo.
per Paolo Lottini
Ho visto usare spezzoni di cinture di sicurezza per auto – visto che vengono citati – come anelli per calate in doppia, e da gente in gamba. Pare abbiano funzionato.
per Daniele Caielli:
http://www.campanedipinzolo.it/premio/angiolino.htm
No polemiche, ci mancherebbe, ma se l’attrezzatura me la mette insieme uno che la usa (usava) tutti i giorni, tendo a fidarmi. Non sto negando che i progressi tecnici diano garanzie maggiori, sto dicendo, ad esempio, che la sicura col mezzo barcaiolo, se non hai il gri-gri o piastrine varie, funziona ancora, se la sai fare.
Un moschettone venduto in ferramenta per tirare su il secchio del muratore sarà marchiato CE (conforme alle esigenze) ma non EN 362. Per questo è poco. Ma non è il caso di fare disquisizioni accademiche sui materiali.
Se questo ti sembra voglia dire poco… “La marcatura CE indica che il prodotto è conforme a tutte le disposizioni che prevedono il suo utilizzo dalla progettazione, alla fabbricazione, all’immissione sul mercato, alla messa in servizio del prodotto fino allo smaltimento. La marcatura CE disciplina l’intero ciclo di vita del prodotto dal momento dell’immissione sul mercato”.
Marco, ho amici che alla sperimentale a Padova hanno distrutto tutto il distruttibile: moschettoni, imbraghi, corde… 🙂
Un momento: fermi tutti. Un set autocostruito non vuol dire che non risponda a normativa. Fermo restando che le norme di riferimento sono le UNI EN (CE vuol dire poco…) attualmente non vi sono in commercio materiali non rispondenti a norme UNI, quindi uno spezzone acquistato da Binelli (che non conosco ma è stato tirato in ballo…) a meno che non sia un ferramenta, sarà ricavato da un rotolo di corda dinamica intera marchiato EN 892 e riportante il simbolo 1 cerchiato indicante “corda intera”. I connettori saranno EN 362 (per la 81/08, altrimenti EN 12275 per attrezzature sportive), il dissipatore EN 355. L’unico problema è che il set autocostruito deve essere annodato (connessioni con i moschettoni, giunzione dei due rami) ed i nodi abbassano notevolmente la resistenza della corda. Ragioni per cui, a parer mio, attualmente non ci sono giustificazioni a mettere in commercio set costruiti dal negoziante, mentre ritengo sia giusto che chi ne ha la competenza sia libero di circolare con un set costruito da sé in qualità di unico utilizzatore.
Autocostruirsi un set da ferrata è un po’ come usare un’auto con le cinture di sicurezza fatte dal calzolaio sotto casa… Boh! Usereste una corda non marcata CE?
RISPOSTA AL BLIZ
Prova ad andare al laboratorio di Padova a vederti quattro prove dopo vedrai che il tuo set assemblato da Binelli lo butti nel cesso, poi ognuno può andare come vuol.
Eh ci vuole impegno per scovare i peggio (ex) ghiaioni delle Dolomiti 😛
I guanti li uso da pochi anni e devo dire che sono utili. Le dita sono libere e, pertanto, sono sensibili agli appigli naturali. Il cavo, quando il sole picchia, si scalda e alla lunga puo’ contribuire al formarsi di vesciche (mi e’ capitato). Nel complesso li ritengo un buon investimento.
Blitz, quando parli dei tuoi giri su terreno marcio mi fai ridere 🙂 Potresti promuovere
una nuova disciplina.
per quanto riguarda i kit, penso non sia una novità che il discorso omologazioni è legato al discorso assicurazioni e pagamento del Soccorso, poi che ci sia gente che si autocostruisce tutto, lo so benissimo anch’ io, ma non si tratta di ‘escursionisti/ferratisti della domenica”, quindi certi discorsi lasciano il tempo che trovano… vi pare che la maggioranza dei frequentatori di ferrate siano in grado di autocostruirsi un kit da ferrata?
Conosco anch’ io gente che lo fa, ma è gente che con 20 metri di corda si traversa tutte le Alpi dalla Liguria alla Venezia Giulia, non certo il prototipo di ferratista o escursionista…
Per quanto riguarda l’ uso dei guantini… bhe secondo me dipende da come uno è abituato… io li uso spesso fuori ferrata, ad esempio quando devo affrontare terreno marcio (la stragrande maggioranza dei miei giri), e in una occasione mi hanno salvato le mani quando il sentiero (chiamiamolo cosí) mi è franato sotto i piedi e mi sono trovato i palmi dei guanti sventrati
Sezioni Cai pretendono, da parte dei partecipanti a uscite sezionali, l’uso di kit commerciali omologati. lo trovo che sia un cedimento a logiche commerciali e consumistiche. Il mio “kit”, assemblato da Angiolino Binelli (moltissimi sanno chi è) nel suo vecchio negozio di Pinzolo, sarebbe perciò inadeguato. Balle.
Daniele, concordo su cio’ che dici in merito all’obbligatorieta’. Infatti io mi vesto di tutto punto principalmente per non andare incontro a grane, anche quando percorro delle ferrate a basso rischio oggettivo.
Sull’utilizzo del cavo come mezzo di progressione o meno ne discutono i ferratisti nei forum (che brutto termine “ferratisti”.. Bah). D’altronde prima degli anni 70 termini come rotpunkt, flash e on sight in arrampicata non e’ che fossero di uso poi tanto comune perche’ l’importante era salire, arrivare in cima.
Anche qui dipende, non utilizzare il cavo su una Pisetta secondo me non e’ il caso (fra l’altro, dopo tanti passaggi, e’ pure unta) perche’ se voli son cazzi e anche se non voli non e’ che trascinare un moschettone lungo un cavo sia simpatico, insomma ci siamo capiti. Ci sono pero’ ferrate dove mettere le mani sulla roccia non solo e’ piacevole ma addirittura piu’ sicuro che tirare sul cavo, provare per credere. Il problema, come spesso accade nel nostro ambiente, non e’ tanto cio’ che si fa quanto piuttosto il vantarsi di aver fatto. Se uno preferisce non toccare il cavo va bene, l’importante e’ che poi non si vanti di aver arrampicato in ferrata come da primo di cordata perche’ a quel punto non puo’ meravigliarsi se qualcuno gli da’ del poveretto.
L’obbligatorieta viene spinta come “morale” ma attenzione, potrebbe essere anche che un’assicurazione non risponda in caso di incidente quando utilizzato un kit non a norma. Oppure ancora nel caso di una ferrata realizzata d un ente istituzionale e, quindi, responsabile del manufatto e di quanto vi succede, lo stesso mette in avviso chi la percorre avvertendo che non è responsabile di possibili danni se utilizzati dpi non conformi, un modo come un altro per non accollarsi tutte le responsabilità del caso. Questo è il (triste) mondo attuale.
Non capisco è non ho mai capito invece la necessità che hanno alcuni a percorrere una ferrata senza utilizzare il cavo, scalando la roccia… È proprio da modesto scalatore, arrampicatore, alpinista quale mi ritengo essere che non capisco proprio… se si vuole arrampicare perché farlo su una ferrata? Ci sono milioni di vie, attrezzate e non, facili e difficili… oltretutto non oso pensare ad una caduta magari con una gamba incastrata tra cavo e roccia, o impattando sulle infrastrutture della ferrata, tipo un bel fittone nella schiena… mah… Uso il cavo senza problemi, con i guanti ovviamente. Diversamente vado ad arrampicare… falesia, montagna, alberi…
Penso che l’articolo parlasse di obbligatorietà “morale” (come per il casco sulle vie) e non “legale”(come la cintura di sicurezza in auto).
Almeno lo spero vivamente.
Non sono invece d’accordo con Gogna sullo spingere all’uso dei guanti. L’uso indiscriminato dei guanti spinge abbastanza automaticamente a percorrere la ferrata con abbondante uso di trazione di mani e braccia sul cavo; così vedi gente con guantoni da portiere che nemmeno volendo potrebbe riuscire ad arrampicare un po’ anche dove possibilissimo, e che si tira su a braccia lungo il cavo su paretine attrezzate ma appigliatissime con difficoltà magari di II°. Tirarsi su a bicipiti con i guanti per tutto il cavo su una Bolver Lugli ad esempio è sciocco e rischia solo di “ghisarsi” le braccia prima di essere alla fine, oltre che di non apprezzare nulla e (quel che è peggio) a vedere le ferrate con la mentalità delle terribili ferrate “alla francese”; in ultima analisi, forse, anche a spingere per aprirne di simili se il gusto diventa quello.
Come sempre è questione di buonsenso. Io che faccio ferrate da 35 anni, solo da pochi anni possiedo dei guanti da ferrata, li porto sempre con me appesi all’imbrago ma li indosso solo se e quando servono davvero su alcuni tratti (a occhio direi che li utilizzo sul 25%).
Articolo è considerazioni interessanti, difficilmente comprensibili però alla maggior parte degli attuali frequentatori di ferrate.
Tengo però a segnalare a chi commenta (su Facebook) che basterebbe un cordino o spezzone che dir si voglia “del 12”, che si rompe o si può spezzare il moschettone oppure la schiena dell’utilizzatore. Bisognerebbe conoscere il discorso della “forza d’arresto” e del fattore di caduta.
Ed aver visto con i propri occhi. Garantisco.
Tengo anche ad informare però che l’attività ludica non è sottoposta (ed il cielo ce ne scampi) alla 81/08 quindi, oltre a lottare che ne rimanga esente, è corretto dire ed informare TUTTI che non sussistono obblighi in tal senso. Che posso realizzare un kit da ferrata composto da dissipatore e corde e moschettoni, il tutto adeguato nei dimensionamenti, ricordando però che la realizzazione di nodi inficia la resistenza della corda di circa il 40-50%. Quindi alla base ci deve essere una conoscenza dei materiali. Conoscenza di materiali e tecniche contribuiscono a formare una cultura alpinistica, cosa di cui difficilmente sarà dotato chi si avvicina alla montagna per la prima volta grazie ad una ferrata, per cui questi sarà bene che si doti di kit omologato. A ben vedere allora anche saper fare una doppia (ed avere nello zaino la corda necessaria) è molto utile in ferrata nonché saper progredire in cordata, a tiri o in conserva, a seconda del caso. Tutte cose però che la maggior parte dei fruitori di ferrate ignora. Per cui questi è bene che si adottino di un kit omologato. Kit che dovrebbero anche imparare ad usare però…
Il commento di Michele Dalla Palma rispecchia in pieno il mio modo di vedere.
Non mi fido invece di chi afferma che una volta senza ammennicoli vari non succedevano più incidenti di adesso. Certo, bisognerebbe aprire un bel discorso a parte (e collegato profondamente a quanto dice Dalla Palma) su quanto affidarsi unicamente a dispositivi e procedure allontani da una corretta percezione e valutazione del pericolo esponendo maggiormente al pericolo. In tal modo paradossalmente, gli incidenti rischiano di essere anche di più di una volta anche se mitigati appunto dall’intervento passivo del materiale idoneo. Chissà se ci sono dati in proposito; se un tempo c’erano meno eventi incidentali di oggi ma dalla magnitudo più elevata (danno) ed oggi più incidenti ma con meno danni. Ed è anche per questo che, come segnala qualcuno qui, i tratti ferrato di avvicinamento alle vie di scalata sono percorsi dagli stessi arrmpicatori “alla leggera”, la loro gestione della situazione è conoscenza del pericolo (quindi valutazione del rischio) è sicuramente maggiore di quella di un frequentatore occasionale di ferrate.
Una precisazione a quanto afferma Marcello Cominetti: la foto a pag.55 trae in inganno in quanto la mano dell’escursionista copre l’immagine: apparentemente sembra un petzl zyper IT con i rami a V, in realtà ha i rami ad Y con i due connettori rinviati su due fettucce che vanno ad innestarsi su uno spezzone di corda il quale a sua volta scorre nel dissipatore per poi andare, con il capo libero (1m) in tasca dell’escursionista, capo quindi libero di scorrere. La mano copre proprio l’innesto delle fettucce sul ramo di corda e nasconde il capo che esce libero dal dissipatore. Attualmente non vi sono in commercio kit a “V” i quali vanno obbligatoriamente utilizzati un moschettone per volta o, meglio sono commercializzati solo per operatori “particolari”.
Marcello non sono cosí d’ accordo che le ferrate siano un mondo a sè: anche qua bisognerebbe applicare un distinguo come nel tuo finale tra storiche e moderne…
Ti porto l’ esempio mio, e che è il caso anche di tanti miei conoscenti:
A parte il fatto che io non bazzico le cagate moderne, io – e come me molti altri – considero le ferrate come una mera parte di un itinerario ben piú lungo e complesso, dove ci puö essere il sentierino da nonne, il ghiaione slavato da tirare 4 imprecazioni ogni mezzo passo, la cengia, e anche la ferrata…
Prima è stato citato l’ anello del Sorapíss… in mezzo ci sono due ferrate, ma per poterle fare bisogna prima affrontare un castigo divino tra ghiaioni, cenge e passaggetti non protetti di primo… o la Ferrata Fiamme Gialle sulle Pale, che offre come rientro o il sentiero alpinistico dei Vani Alti o il giro da mufloni per la Scaletta e Forcella delle Mughe… o ancora, sempre nelle Pale, la Ferrata Bolver Lugli, che per rientrare bisogna farsi o i Cantoni o (ancor piú bello) la Vezzana con rientro perla Val Strut, spesso usando la picca (e in base alla stagione magari anche i ramponi)
Questi non sono percorsi a sè stanti come una M4 o una Hoachcomeddiaminesichiama o una Sci 18… questi sono percorsi che uno incastra in giri di ampio (amplissimo) respiro dove la ferrata è solo una delle componenti, né piú né meno che il tratto con picca e ramponi, o il ghiaione, o la cengia, o le mille bestemmie a scendere dalle Mughe…
Dimenticavo. Mi sono trovato su vie ferrate con clienti in situazioni di affollamento tali che tra un ancoraggio e il successivo eravamo anche in 8 persone, altro che una alla volta… La quantità di gente era tale da impedire sul momento qualsiasi operazione degna di saggezza, se non il trovarsi altrove. Io ero partito presto ma davanti c’erano delle persone lente e dietro la folla spingeva. Ma la teoria è diversa dalla pratica e (come ho già scritto altre volte) solo che fa la guida alpina capisce e sa cosa significhino certe cose. Il buon senso va applicato in quei casi, in un ambito molto ristretto unitamente a molta pazienza.
Avete mai visto con quali difficoltà manuali un “ferratista” apre un moschettone? Figuriamoci poi se li mette con le aperture contrapposte (come suggerito dalla fig. 1 di pag. 54), i tempi si allungano, la coda si infittisce, le imprecazioni di chi vorrebbe andare più veloce aumentano, c’è chi sorpassa staccandosi dal cavo facendo cadere sassi e correndo rischi immani, allungandosi i tempi i rischi aumentano…insomma ce n’è per i beati, e il buon senso? Dove sta? Provare per credere.
Sorvolo sulle differenze tra alpinismo e escursionismo e sul primo grado UIAA e le ferrate, perché ho letto solamente opinioni fatte a tavolino e non sul terreno. So anche che è una fissa di Alessandro (Caro, non volermene) quella di comparare le vie normali di primo e secondo grado con le ferrate, ritenendo le prime più sicure e più formative. In teoria concordo. Il mondo delle ferrate è una cosa a sè e chi le colleziona di montagna non sa nulla o quasi e rispetto alla moltitudine di frequentatori inconsapevoli, gli incidenti (per fortuna) sono anche pochi. L’alpinismo è un altro mondo, le ferrate sono una giostra per la maggior parte e sono sempre più di moda, come il golf o il corso di cucina locale, credetemi.
Infine, distinguiamo. Ci sono ferrate storiche, costruite durante la prima guerra che rappresentano dei veri monumenti di tenacia e coraggio e salirle è come visitare un museo in cui, oltre a un bel panorama, resta dentro la lezione che la triste storia sa lasciare. Quelle costruite per far vendere più salsicce ai rifugi delle vicinanze sono equiparabili agli impianti meccanici di risalita: l’unica meta è la cima ma il viaggio che si fa per raggiungerla (che è la cosa più importante) è sterile come il contatto della mano sul cavo d’acciaio. Poi ci sono quelli che le salgono usando solo la roccia, le “fanno in libera” dicono. Le vie del signore sono infinite, andiamo in pace!
La confusione è molta e il buon senso poco, verrebbe da pensare.
La foto su Montagne 360 nell’articolo di Bernardin di pag. 55 mostra, e sottolinea nella didascalia, che entrambi i moschettoni vanno sempre collegati al cavo, che non è vero. Nella foto si vede bene che il tipo di cordini-dissipatore (se non mi sbaglio è un Petzl) è di quelli che funzionano quando uno solo dei due moschettoni è agganciato al cavo, in caso di sollecitazione da caduta. Usato come la foto suggerisce, in caso di caduta, è come non averlo. perché la corda non può scorrere.
Da qui si capisce che anche quelli che dovrebbero essere “esperti” non c’acchiappano poi molto, figuriamoci quindi se devono applicare le più elementari norme del buonsenso….
Regole ferree, decaloghi e leggi, sovente non vanno d’accordo con il buon senso che occorrerebbe avere perché il buonsenso è una cosa elastica per sua natura.
Certo che in caso di caduta su ferrata è meglio avere il dissipatore e tutto il resto ed è vero che il frequentatore medio delle ferrate non ha la più pallida idea dei rischi a cui è sottoposto.
Anche per me che sono una guida è “obbligatorio” che i clienti abbiano le dotazioni di sicurezza che la situazione suggerisce, ma le variabili sono molte e vanno valutate tutte (o quasi) con buon senso, questo è il problema.
Sul significato dei termini alpinismo ed escursionismo si potrebbe parlare a lungo. Le osservazioni di Giando sono interessanti però ci sono degli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di queste valutazioni e quindi alla fine, volente o nolente, bisogna adattarsi a quanto riportato sulla sentieristica anche se non la si condivide.
Vorrei invece tornare sulla questione del kit da ferrata per segnalare delle situazioni paradossali. Vi sono delle falesie che hanno la ferrata, il più delle volte utilizzata per rientrare dalle vie di roccia o per agevolare il collegamento fra le stesse. La cosa assurda è che sulla targhetta posta all’inizio della ferrata c’è il disegnino del tipo vestito di tutto punto, con tanto di caschetto, mentre i climbers arrampicano senza niente in testa se non un eventuale berrettino o bandana per ripararsi dal sole.
Ora qualcuno dovrebbe spiegarmi perché il caschetto serva in ferrata ma non sulle vie di arrampicata sportiva (mica tutte si sviluppano sui soffitti delle caverne). La spiegazione è sempre la stessa, il concetto di sicurezza non si sviluppa attraverso percorsi logici bensì a sentimento, non ultimo tenendo conto d’interessi di settore. Quando ho iniziato ad arrampicare nel lontano 1985 non si parlava ancora di dissipatore (il primo articolo al riguardo lo lessi su Alp nel 1986) e per quanto concerne il caschetto mi sa che lo utilizzavano in pochi. Incidenti? Non credo più di adesso.
Con questo non voglio dire che si debba buttare a mare il bambino con l’acqua sporca (invecchiando ho pensato che, tutto sommato, usare certi accorgimenti non sia poi male e devo dire che il caschetto mi ha pure aiutato nel corso di una caduta) però..
Si Blitz, spesso i due anelli vengono citati nelle guide escursionistiche però concorderai con me che considerare “alpinistico” un “sentiero escursionistico” è una contraddizione in termini.
Se lo stesso Alessandro dice “.. che un I° grado (il primo scalino della Scala UIAA) è alpinisticamente molto più difficile e impegnativo di una ferrata atletica che ti fa sputare molta più fatica” significa che in presenza di passaggi di I° grado stiamo parlando di alpinismo, almeno secondo la sua valutazione che tu stesso sponsorizzi.
Su sentieri contrassegnati EE o anche EEA non è difficilie incontrare passaggi di I°-II° grado e, pertanto, sulla scorta delle suddette considerazioni, dovremmo catalogare tali sentieri come rientranti nell’alpinismo. Viceversa ci sono cime di quattro-cinquemila metri che vengono raggiunte attraverso percorsi privi di difficoltà particolari ma classificati come alpinistici.
Aggiungo che vi sono sezioni CAI le quali non portano in ferrata chi non ha fatto il corso d’alpinismo. Insomma, sulla questione la confusione regna sovrana e forse sarebbe meglio limitare il termine “escursionistico” a quei percorsi estremamanete semplici, privi di difficoltà e posti a quote relativamente basse, per intenderci quelli classificati E.
Ma quelli che saliranno la sud del Ciavazes fino in cima potranno ancora, senza kit da ferrata, scendere per le Mésules?
Giando per me i due splendidi anelli che hai citato rientrano nell’ escursionismo, magari “avanzato” ma sempre escursionismo
Osservazioni parzialmente condivisibili.
Non bisogna però scordare che oramai molte amministrazioni comunali e enti parco stanno adottando ordinanze che generano un vero e proprio obbligo. Questa è ovviamente naturale conseguenza della necessità, da parte dell’ente pubblico, di scaricare le responsabilità di un incidente su eventuali “diverse” scelte messe in pratica dall’escursionista.
Giusta precisazione.
Vorrei precisare che per Kit da ferrata si intende l’insieme composto da: Casco, Imbrago e Set da Ferrata (obbligatori per le uscite sociali del CAI quando si percorre una via ferrata). Per Set da Ferrata si intende lo spezzone di corda o fettuccia con il dissipatore tessile o metallico e i connettori (moschettoni).
Non so se le ferrate siano sempre nel mondo dell’escursionismo, dipende. Fare l’anello del Sorapiss o del Popera è escursionismo? Bah.. Per carità, è giusto che ciascuno abbia le proprie opinioni però sinceramente avrei dai ridire.
Il primo grado, alpinisticamente parlando, è una banalità, salvo non si affronti il percorso in condizioni meteo disagiate (pioggia, neve, ghiaccio). Antonio Arioti cita i Blazi dell’Ora al Corno alle Scale e condivido peinamente le sue osservazioni. Certo, se gli stessi Balzi si fanno che piove a dirotto bisogna stare in campana ma allo stesso modo in ferrata dove si rischia di rimanere folgorati.
Secondo me ci sono troppe variabili per trarre delle conclusioni, ci sono percorsi sprotetti facili e altri difficili, ferrate semplici ed altre sulle quali bisogna muoversi coi piedi di piombo.
Ciò detto le cosiddette ferrate moderne hanno ben poco di alpinistico ma a volte più per il modo in cui sono costruite che per l’ambiente e sembrano più che altro un percorso d’addestramento per squadre speciali.
buonsenso e consapevolezza sono fondamentali in montagna, così come dovrebbe essere fondamentale usare il set completo per affrontare qualsiasi via ferrata, punto!
posso essere un bravo arrampicatore e avere capacità tecniche fuori dal comune, ma farsi male su una via ferrata (anche facile), perchè ti arriva un sasso in testa e non sei assicurato al cavo è stupido.
immaginate i titoli sulle testate giornalistiche del giorno dopo…
AE Paolo Lottini
Mi spiego meglio: è sacrosanta la contrapposizione tra cultura/buonsenso e regole anche per andare al cesso, il problema è che cultura & buonsenso ormai non ci sono più: tanto per fare un esempio mi son trovato 2 anni fa un’ allegra famigliola in assetto da spiaggia, calzature ovviamente inadeguate, senza zaino, che saliva a un passo a 2600 metri col temporale in arrivo, vi lascio immaginare se questi vanno a fare una ferrata senza il cartello d’ obbligo che sostituisce il loro cervello… ci troveremmo davanti a un genocidio…
Sul perché la gente non usi più il cervello poi è discussione a parte che non riguarda solo la montagna ma la società in generale, quindi non ne discuto in questa sede…
“Ciò che voglio dire è che un I° grado (il primo scalino della Scala UIAA) è alpinisticamente molto più difficile e impegnativo di una ferrata atletica che ti fa sputare molta più fatica.”
qua sono pienamente d’ accordo, mentre in quest’ altro passaggio mi pare che si spari nel mucchio generalizzando un po’ troppo:
“Al contrario, le vie ferrate sono espressione di gesto atletico su terreno verticale, escludono creatività e fantasia e vivono piuttosto epidermicamente il gusto adrenalinico che il vuoto può offrire”
quali ferrate?
Quelle di recente costruzione, fini loro stesse, non certo quelle “classiche” che fanno invece parte del mondo dell’ escursionismo, e non sono altro che una parte di un sentiero…
Per quanto riguarda l’ uso del kit, attenzione: siamo sempre nel mondo dell’ escursionismo, trovandoci quindi a che fare con gente dalla preparazione ben diversa, e mi pare dunque giusto quest’ obbligo.
Ti da fastidio l’ uso del kit e del casco? Vai fuori sentiero e sei apposto, o vai come me in cerca di casini abbandonati franati e slavati 😉
Ho letto l’articolo di Federico Bernardin e devo dire che è estremamente sintetico. Trovo corrette alcune considerazioni ma credo che sull’argomento in oggetto ci sarebbe molto da dire, soprattutto per l’alto numero di persone che frequentano le ferrate.
Innanzitutto bisogna chiarirsi in quanto il termine “ferrata”, o “via attrezzata”, viene sovente usato come sinonimo di “sentiero attrezzato”. In teoria la differenza fra ferrata e sentiero attrezzato potrebbe sembrare abbastanza evidente ma in pratica non è così e difatti, spesso e volentieri, ci troviamo nella stessa situazione di colui che cerca di tracciare una chiara linea di demarcazione fra escursionismo ed alpinismo.
Per es., una Rino Pisetta è sicuramente una ferrata ma che dire con riguardo alle Bocchette di Brenta (non mi riferisco solamente al tratto classico)? La Via delle Bocchette, nei suo vari tratti, si sviluppa prevalentemente in orizzontale (per modo di dire in quanto presenta diversi saliscendi) ma anche in verticale, inoltre vi sono tratti non attrezzati, nevai, ecc.. Ne consegue che chi percorre la Via delle Bocchette fa una vera e propria esperienza alpinistica ancorché edulcorata dalle attrezzature fisse. Di contro, per quanto decisamente più impegnativa dal punto di vista fisico e tecnico (sebbene su tale utltimo termine ci sarebbe da ridire), la Rino Pisetta ha ben poco di alpinistico, almeno secondo i miei modesti parametri.
Ritengo che Bernardin, quando scrive che “le vie ferrate consentono ai meno esperti di affrontare difficoltà alpinistiche”, intenda dire che, attraverso l’attrezzatura fissa, sia possibile superare difficoltà le quali, in caso contrario, necessiterebbero di competenze alpinistiche. Per dirla in parole povere, la Pisetta presenterebbe difficoltà di V-VI grado se percorsa in libera, con il cavo d’acciaio le medesime difficoltà non dico si annullino ma sicuramente vengono notevolmente abbatture (la Pisetta può anche essere percorsa tirando sul cavo come dei dannati però se si utilizzano bene i piedi forse è meglio). Sicuramente sarebbe stato opportuno fornire ulteriori precisazioni ma forse Bernardin ha dovuto fare i conti con lo spazio concessogli.
“Ciò che voglio dire è che un I° grado (il primo scalino della Scala UIAA) è alpinisticamente molto più difficile e impegnativo di una ferrata atletica che ti fa sputare molta più fatica.”. Beh, insomma, con tutto il rispetto che possa nutrire per Alessandro Gogna, questa affermazione faccio fatica a condividerla. Ne comprendo il senso inserendola nel contesto e a compendio di quanto precedentemente detto, però anche in questo caso dobbiamo fare attenzione. I Balzi dell’Ora al Corno alle Scale sono considerati sentiero alpinistico perché presentano tratti (forse uno o due) di primo grado UIAA ma posso assicurarvi che, facendoli con una relativa frequenza a mo’ di allenamento aerobico, in realtà fanno scappar da ridere, soprattutto dopo tutti i gradini che nel corso degli anni sono stati approntati.
Pertanto, più che stilare una graduatoria delle difficoltà la butterei sull’esperienza maturata e riscriverei le stesse parole ma in maniera diversa, all’incirca così “Ciò che voglio dire è che un I° grado (il primo scalino della Scala UIAA) consente di vivere un’esperienza alpinistica molto più che una ferrata atletica la quale ti fa sputare molta più fatica.”. E, comunque, anche tale affermazione, ovviamente del tutto personale, va presa con le pinze, ogni situazione andrebbe valutata a sè stante.
Per quanto concerne il kit da ferrata.. Che dire.. Se penso a quante volte ho percorso delle ferrate slegato o col semplice cordino (prima dell’avvento del dissipatore) mi viene un po’ da sorridere ma d’altronde, come dice Alessandro, la responsabilità tout court è inutile prendersela o dire che uno se la prende: tanto te la danno le leggi e gli altri.
COSA DOVREBBE ESSERE OBBLIGATORIAMENTE INDISPENSABILE? IL BUONSENSO!!!
Quello che invece troppo spesso manca, a prescindere da attrezzi e paramenti con cui ci si illude di appartenere a una “casta”, in questo caso quella degli alpinisti. Perchè non è sufficiente possedere la longe di ultimo modello per superare un trattino strapiombante protetto solo da un cavo d’acciaio, così come l’ARTVA più costoso non può impedire a una valanga di cadere. Invece, una pubblicità strisciante, fasulla e demente, insinua il concetto che, sei attrezzato con tutti i migliori ritrovati tecnici – longe, casco, imbrago, guanti per le ferrate, Artva e zaino con airbag per lo sci fuoripista, e così via – , sei automaticamente “protetto”.
Come dice una vecchia guida alpina: “Mai visto en zugatol (un giocattolo, si riferiva all’Artva) fermar na valanga!”
L’obbligatorietà del buonsenso, purtroppo, non appartiene agli uomini e neppure ai giudici!
Michele Dalla Palma
Direttore Responsabile
Rivista TREKKING&OUTDOOR
se non erro il kit da ferrata è obbligaorio per un socio CAI per avere riconosciuta valida la copertura assicurativa in caso di incidente; o almeno era così fino a qualche anno fa, bisognerebbe controllare le clausole. Ovvero se uno ha un incidente su una via ferrata senza kit (e qui sarebbe da capire se il kit deve essere “coinvolto” nell’incidente) l’assicurazione non paga perché non si sono prese tutte le precauzioni. Direi anche che non vale un kit auocostruito ma serve uno certificato.
Ciao