Si propone il testo integrale di un articolo pubblicato, in versione sintetica, su Montagne360 nel gennaio 2020. Per ragioni di spazio, la versione uscita sulla rivista è stata oggetto di un esemplare lavoro redazionale, che ne ha ristretto il contenuto al solo ceppo principale, cioè quello della querelle giornalistica.
La profonda attività di ricerca, svolta in precedenza per chiarire la questione, ha però portato alla luce molti altri risvolti, che possono essere interessanti per chi è affezionato alle vallate del Gran Paradiso.
Inoltre trovano qui spazio anche le numerose fotografie di rilievo storico, la cui completa pubblicazione è invece preclusa dalle esigenze di ogni rivista cartacea.
L’occasione è anche utile per recepire i suggerimenti di Carlo A. Rossi circa una più precisa descrizione dello chalet degli anni ’30 e i riferimenti alle persone che ne sono state coinvolte.
Il mistero del Money
(Una querelle giornalistica ai tempi della Prima Repubblica)
di Carlo Crovella
Pur amandole tutte, ognuno ha le sue montagne del cuore. Scattano motivazioni personali o familiari, a volte collegate a rapporti di amicizia. Le “mie” montagne sono costituite dall’Alta Val di Susa e dal Massiccio del Gran Paradiso. La Val di Susa mi ha visto villeggiante sin da ragazzo, sia d’estate, che d’inverno con gli sci. Il Gran Paradiso è connesso al ruolo che mio padre, Umberto Crovella, per decenni ha ricoperto come ispettore (per conto del CAI Torino) dei rifugi Vittorio Emanuele II e Benevolo (al tempo di proprietà del CAI). Negli anni ’60 e ’70 ho soggiornato almeno una settimana all’anno per ciascuno di questi rifugi, con l’aggiunta di frequenti capatine anche nella valle di Cogne. Le montagne dell’inizio restano nel cuore per sempre.
Mi è capitato recentemente di trascorrere dei periodi estivi a Gimillan, lo splendido paesino a sbalzo sulla conca di Cogne. Grazie ad alcuni amici ho conosciuto Paolo Foretier, che lì gestisce un hotel. Paolo è un vero innamorato della sua valle e ricopre la carica di Presidente dell’Associazione Musei di Cogne, un’iniziativa che (sorta nel 1991) si propone di preservare la storia, la cultura e le tradizioni locali. Il comune interesse culturale ci ha presto coinvolti in lunghe chiacchierate serali, spesso con lo sfondo del Gran Paradiso, che progressivamente si oscurava nella notte.
In una di queste sere parlavamo di toponimi e il discorso è scivolato sull’Alpe di Money, che si trova in Valnontey. Il toponimo Money è piuttosto diffuso (si rintraccia anche nel vallone di Grauson, sopra Gimillan). La Guida CAI-TCI del Gran Paradiso segnala che si tratta di un termine preromano, che esiste anche nel gaelico (moneth) e nell’irlandese (moin): indica un alto pascolo goduto in comune, insomma un alpeggio in consorteria, ma, per estensione, arriva a indicare anche una sommità, un monte in genere. Paolo, però, avanza anche l’ipotesi che Money derivi per crasi da Monte Nero, come comprovato da atti notarili risalenti al ‘700. In effetti esiste un Mont Nery, sullo spartiacque fra Val d’Ayas e Valle di Gressoney. Chiacchierando a ruota libera su tutto ciò, quasi inavvertitamente Paolo mi ha segnalato che negli anni ’60 si era sviluppata una polemica sulle pagine de La Stampa in merito ad un fantomatico rifugio del Money, situato presso l’omonimo alpeggio in Valnontey. Il risvolto curioso di questo dibattito è che si sono trovati coinvolti personaggi illustri, dei veri pezzi da novanta, come l’onorevole Palmiro Togliatti (soprannominato il Migliore) e Renzo Videsott, allora Direttore del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
La querelle
Ritornato in città, ho approfittato dell’archivio informatico del quotidiano La Stampa per rintracciare gli articoli pubblicati nell’estate del 1961. Ho ricostruito una vicenda che, senza assurgere a importanza primaria, rappresenta una particolare chicca per gli appassionati della Valle di Cogne, ma non solo. Ė interessante l’aspetto storico (cioè la questione del rifugio del Money), ma sono altrettanto interessanti le modalità in cui si è sviluppata la polemica. Sullo sfondo c’è poi il vero tema di rilievo, ovvero lo scopo e l’attività del Parco del Gran Paradiso (e per estensione di tutte le aree protette): è utile confrontare la visione di quel tempo con quella attuale.
Il preambolo
Tutto ha inizio con un articolo pubblicato in data 9 luglio 1961, a firma di Ettore Doglio. Titolo: Raddoppiati in pochi giorni i turisti a Cogne, base ideale per le facili scalate. L’articolo inizia dipingendo Cogne come uno dei più bei paesi della Valle d’Aosta, con tradizioni risalenti al popolo dei Salassi. Si legge: «Cogne ha popolazione tenace, cocciuta, talvolta litigiosa (Cogne rode Cogne, dice un proverbio locale), con slanci di fantasia e sentimento, come il fatto di dedicare una via alla Linnaea Borealis, un delicato fiorellino che spunta soltanto qui, fra le vette del Gran Paradiso». Il giornalista si dilunga sul fatto che qui, a differenza del Monte Bianco (“dove si ammucchiano gli scalatori in cerca di imprese eccezionali”), si pratica ancora un alpinismo distensivo di vecchia maniera (che direbbe oggi? NdR), a cominciare dalle lunghe marce. Secondo Doglio, non è necessario prefiggersi una meta faticosa: anche la passeggiata a Valnontey, dove si può gustare una saporita polenta valdostana, o a Lillaz, dove è servita per tradizione la panna con le fragole, o al bel laghetto di Loie, richiamano ogni giorno numerose comitive di turisti. Prosegue Doglio: «L’impulso a camminare in montagna proviene anche – non sembri una contraddizione – dall’assoluta mancanza di funivie e seggiovie… Ogni metro in altezza bisogna guadagnarselo scarpinando sacco in spalla». Doglio sottolinea che, al tempo, esisteva solo uno skilift lungo 200 m in località Silvenoire e che l’assenza di altri impianti o la mancata concretizzazione di vari progetti (come il collegamento con Pila) erano determinati “non dalla rassegnata rinuncia dei residenti, ma per i vincoli posti dal Parco Nazionale del Gran Paradiso (questo accenno, a ben vedere, è la vera miccia che innesca la successiva polemica, NdR)”. Prima di concludere, il giornalista segnala che l’Azienda autonoma registra fra gli ospiti di Cogne anche l’onorevole Togliatti, che risiede in un alloggio all’imbocco della Valnontey. «Egli è di casa, ormai, fa qualche passeggiata e pranza in un albergo vicino alla sua abitazione». Segnalo che nel 1961 Togliatti aveva 68 anni. Conclusione: «I villeggianti sono più di mille, ma in pochi giorni diventeranno duemila. Molti sono i genovesi a tal punto che due coppie di pullman fanno servizio giornaliero diretto con la città ligure».
L’affondo di Togliatti
Sul quotidiano di giovedì 13 luglio, nella rubrica Specchio dei Tempi (storico spazio a disposizione dei lettori de La Stampa) arriva, come un fulmine a ciel sereno, la missiva di Togliatti. Nel sottotitolo i redattori sintetizzano: “Quali sono i compiti del Parco Nazionale di Cogne? (Una lettera dell’on. Togliatti)”. La comunicazione dell’onorevole è al fulmicotone, anche se, vista con gli occhi di oggi, fa tenerezza immaginare il quasi settantenne parlamentare che, nella calura romana di piena estate, prende carta e penna per incrociar le lame su questioni di certo non all’ordine del giorno della Camera: non erano ancora i tempi dominati dai social media e dai vari “cinguettii”. Scrive il Migliore: «Leggo da Roma la corrispondenza da Cogne. Mi si consenta di sollevare una questione, quella della deleteria influenza che il modo com’è concepita – da chi oggi lo dirige – la funzione del Parco nazionale ha su tutto il complesso delle valli che fanno capo a Cogne». Non viene citato nessun nome specifico o forse Togliatti accomunava tutta la dirigenza del Parco. Continua il Migliore: «Il Parco fu nel passato un vasto territorio solcato da superbe strade alpine, seminato di luoghi di tappa e di ristoro a quote anche molto elevate. Tutto ciò avrebbe potuto e dovuto esser la base di una solida organizzazione turistica. E invece no! La maggior parte delle vecchie strade sono in rovina. I luoghi di tappa scompaiono».
Di punto in bianco emerge, come per incanto, il mistero del Money. Continua infatti Togliatti: «Provi a recarsi al vecchio e rinomato rifugio di Money, stupendo balcone davanti al Gran Paradiso. Non c’è più nessun rifugio. L’anno scorso un pezzo della strada fu rovinato da una valanga. Non è che sia stato rifatto: è stato deciso di non rifarlo!». A questo punto Togliatti imbastisce una filippica sul degrado di mulattiere e sentieri all’interno del Parco e, soprattutto, sull’azione addirittura distruttiva che, a suo giudizio, la Direzione attuerebbe nei confronti dei sentieri, impedendo addirittura all’Azienda di soggiorno di provvedere alla loro segnalazione a colori. Tuona ancora il Migliore (come se stesse tenendo un vibrante discorso alla Camera): «Alla base di questa condotta, del tutto errata, vi è una visione del Parco come di un luogo selvaggio, inaccessibile, impenetrabile. Dovrebbe essere il contrario, mi pare». Togliatti cita i parchi dell’Engadina (Svizzera), dove è possibile inoltrarsi, addirittura con la carrozza a cavallo, per ammirare i caprioli mentre pascolano. Il Migliore conclude con un nuovo affondo: «Una revisione profonda della linea di condotta della direzione del Parco mi pare sia indispensabile, se si vuol dare veramente alle vallate di Cogne tutto lo splendore turistico di cui sono capaci».
La risposta di Videsott
Un macigno del genere non poteva finire nel nulla. Trascorrono pochissimi giorni e Specchio dei Tempi di domenica 16 luglio 1961 pubblica la risposta. Il Direttore del Parco non era certo un tipino da niente. Si tratta di Renzo Videsott: nato a Trento nel 1904, ambientalista convinto, si era trasferito a Torino per gli studi universitari in veterinaria, laureandosi nel ‘32. Ciò non gli aveva impedito di mantenere profondi contatti con l’ambiente dolomitico (in particolare con Domenico Rudatis), diventando uno dei protagonisti italiani nell’epopea del VI grado. Infatti Videsott fu il capocordata nella celebre scalata della parete sud-ovest della Busazza (Gruppo del Civetta, 30-31 agosto 1929), una delle prime ascensioni italiane di VI grado. Insegnò fino al 1953 presso la facoltà di veterinaria di Torino, ma la sua importanza è principalmente collegata al Parco del Gran Paradiso. Durante la IIa Guerra Mondiale si adoperò per salvare dall’estinzione lo Stambecco alpino, che è il “re” di quelle valli. Nel ’45, con il sostegno degli alleati, ricostruì l’organizzazione del Parco. Ricoprì il ruolo di Direttore dal 1944 al 1969: dapprima (’44-‘47) come attività volontaria, anche se legalmente riconosciuta, poi (’47-‘53) come attività professionale e infine (’53-‘69) in modo esclusivo (smise infatti di insegnare). Nel corso di questo lungo periodo Videsott riuscì a far approvare una legge dello Stato, che riconosceva al Parco autonomia sia giuridica che amministrativa: in parole povere il Parco del Gran Paradiso divenne la riserva meglio organizzata d’Italia.
Si capisce, quindi, che sollevare nel ’61 la questione del Parco non poteva certo passare inosservata. Infatti il tono di Videsott non è certo suadente: «Dalla Direzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, poco ben trattata dall’on. Togliatti in Specchio dei Tempi del 13 luglio, molti “parchigiani” (testuale, NdR) ed amici della natura s’aspettavano un tiro a segno per frantumare ad una ad una le argomentazioni errate (mai esistito il rinomato rifugio al Money, né, per il pubblico posti di tappa e di ristoro; tante altre verità capovolte, fra cui gli asseriti ostacoli all’Azienda Turismo di Cogne, ecc.). Sono invece una realtà i 100 km di mulattiere riattati dall’Ente Parco e i 100 km di sentieri, almeno, fatti e rifatti sempre con delibere del Consiglio di Amministrazione». Non si è sestogradisti per caso: salire in prima assoluta su pareti estremamente difficili richiede un carattere non da poco. Videsott rincara la dose e mette in luce il punto cruciale della questione: «Ma, “parchigiani”, a che pro per il Parco? Evidentemente l’on. Togliatti è stato male informato. Un’infinità di malintesi nascono dal peccato originale del Parco del Gran Paradiso: non è proprietario del terreno, come negli USA o in URSS. Da noi non c’è, inoltre, quella diffusa istruzione naturalistica che vantano altre Nazioni, perciò i Parchi non sono compresi».
Videsott è un fiume in piena e tira fuori tutto il rospo: «Da un male iniziale può nascere un duraturo bene. Ma non si può continuare a sovvenzionare la “scuola viva” del Parco con i fichi secchi! Con adeguati fondi si potrebbero acquistare ogni anno i terreni montani posti in vendita, risolvendo un’infinità di problemi». Anche Videsott lancia una nobile sfida: «Quale Direttore spero, proprio sui sentieri del Parco, poter dimostrare all’on. Togliatti che tutta la buona volontà e competenza della Direzione è stata messa alla frusta. Spero inoltre che egli vorrà, quale legislatore, contribuire almeno a potenziare i Parchi e in special modo quello del Gran Paradiso».
La controreplica di Togliatti
Vi aspettate forse che finisca tutto così? Ma per niente! Non si è il Migliore senza un carattere di altrettanta “rocciosità”, che gli ha permesso, tra l’altro, di superare il celebre attentato del 1948. In questo caso, però, Togliatti evita un nuovo scontro frontale e fa uso di fine diplomazia, traendo insegnamento dalla lunga militanza politica. Tuttavia ci tiene a mettere i puntini sulle “i”. Tra una seduta e l’altra alla Camera riesce a reperire un testo della collana Da rifugio a rifugio del CAI-TCI e risponde con tanto di documentazione grafica. Nella rubrica Specchio dei Tempi di venerdì 21 luglio 1961 viene pubblicata la sua lettera: «Non intendo continuare una polemica col Direttore del Parco del Gran Paradiso, tanto più che egli cortesemente mi offre di proseguire il dibattito direttamente. Mi permetta solo di fornire la prova dell’esistenza del “mai esistito” rifugio di Money. Le allego una vignetta, tolta dal volume: Da rifugio a rifugio: Alpi Graie, a cura di Silvio Saglio. Molto cordialmente».
La prova documentale di Togliatti spariglia le carte sul “mai esistito” rifugio del Money. Io stesso non ne avevo mai sentito parlare: non può certo trattarsi del bivacco del Money, perché abbarbicato a 2872 m sul soprastante sperone. La “vignetta”, utilizzata dall’on. Togliatti, è rintracciabile a pag. 176 del testo citato (pubblicato nel 1952), illustra una vaga forma di caseggiato di alta quota. La descrizione è abbastanza lapidaria: “Sorge a 2325 m, sul fianco orientale della Valnontey, su di un vasto ripiano di pascoli e di lastroni, che domina tutta la testata della Valnontey. Ė di proprietà privata”. La quota è quella dell’alpeggio, non dell’attuale bivacco: il mistero si infittisce.
Interviene il Presidente del Parco
Data la diplomazia utilizzata da Togliatti, la risposta istituzionale del Parco è affidata al suo Presidente, l’avv.to Gianni Oberto, cui, sul giornale di domenica 23 luglio 1961, viene riservato uno spazio nell’ambito delle Lettere al Direttore. Scrive Oberto: «L’on. Togliatti non ha torto, ma un “vecchio e rinomato rifugio del Money” non è in realtà proprio mai esistito, anche se così il Saglio qualifica impropriamente il caseggiato di cui Specchio dei Tempi ha riportato lo schizzo. Su questo punto – che è il meno importante di quelli che esistono – va detto che mai l’Ente Parco ha avuto il possesso o la gestione e men che meno la proprietà del cosiddetto rifugio. Si tratta in realtà di una di quelle baite, ricadenti come altre nel tenimento del Money, che il Parco ha ora affittato, appartenente a privati, i quali, quando ne usufruivano, fornivano polenta e latte agli escursionisti. Chi è pratico delle guide CAI-TCI sa che talvolta viene attribuita la qualifica di rifugio a caseggiati di altra natura, quando in qualche modo accolgono turisti di passaggio, mentre per i veri rifugi le guide indicano sempre il numero dei posti di ricettività e la loro natura. Nulla di questo, a proposito del Money, nella guida del Saglio». Il quadro diventa più chiaro, ma Oberto non si lascia scappare l’occasione per una frecciatina: «Se l’on. Togliatti avesse l’anno scorso creduto di rispondere ad un mio biglietto – come fece l’on. Nenni – col quale offrivo di fornirgli personalmente le informazioni sul Parco, forse non sarebbe caduto in errore». Va sottolineato che Nenni era un altro ospite della vallata. Prosegue Oberto: «Egli (Togliatti, NdR) salì, sulla scorta della guida del Saglio, fino al Money, credendo di trovare il “vecchio e rinomato rifugio” e non ebbe invece in quei casolari che una ospitalità “delle più primitive” dove “spesso non si trova neppure il fieno per il pernottamento” come si legge a pag. 58 della Guida del Gran Paradiso, scritta con altri dal vice Presidente del Parco, sen. Renato Chabod».
Questa, più che una frecciatina, è una vera bordata. Quanto a pezzi da novanta, Chabod non scherzava affatto: accademico degli anni ’30 (compagno di Gervasutti & C.), fisico imponente e voce tuonante, fine avvocato (anzi principe del foro), referente di spicco in seno al CAI (sarà Presidente Generale dal 1965 al 1970), brillante uomo politico (sarà anche Vice Presidente del Senato), Renato Chabod (da non confondere con il fratello Federico, storico, cui è dedicato un rifugio in Valsavarenche) era una vera potenza nella Vallée. Ancor oggi mi ricordo che, quando accompagnavo i miei genitori nelle ispezioni al rifugio Vittorio Emanuele, ci concedevano la cameretta numero 10, normalmente riservata al Senatore (come veniva chiamato Chabod, con rispetto, ma anche con un po’ di timore): anziché prevedere le usuali quattro brandine in ferro, quella cameretta era attrezzata con due ampi letti in legno, adatta alle dimensioni, sia fisiche che di prestigio, del Senatore.
Ma torniamo alla lettera di Oberto: in effetti la prima edizione (1939) della Guida CAI-TCI del Gran Paradiso, quando tratta l’Alpe di Money, sottolinea che l’ospitalità era primitiva e che, spesso, non si trovava neppure il fieno per dormire. Ma aggiunge un particolare interessante: “Ė in progetto da parte della Sezione di Torino del CAI la costruzione di un rifugio nelle immediate vicinanze.” Tale particolare è scomparso sia nella seconda edizione della Guida (1963, successiva alla querelle) che, a maggior ragione, nell’ultima (1980): evidentemente i progetti del CAI Torino sono stati accantonati per ragioni probabilmente connesse con il conflitto bellico e le successiva difficoltà economiche generali.
Seguiamo, però, la conclusione di Oberto: «La polemica è tuttavia non infruttuosa se costituisce premessa per un apporto, anche critico, tale da dare al Parco possibilità di assolvimento dei suoi compiti e dei suoi fini, di difesa della natura, non disgiunta da una valorizzazione turistica, particolarmente disciplinata ed educata».
La chiusa di Togliatti
Il Migliore risponde nella rubrica Specchio dei Tempi del 28 luglio 1961: «Eccomi costretto a chiedere alla Sua cortesia ancora alcune righe. Ma soltanto per dire che sono assai soddisfatto delle affermazioni dell’avv.to Oberto. La descrizione del Money conferma i miei rilievi, circa la necessità di una organizzazione turistica che corrisponda al fascino di quei luoghi. Il Money, oggi (1961, NdR) casolare in abbandono, ebbe effettivamente la sua rinomanza. Tra l’altro, se le mie letture non mi ingannano, nel 1913 fu la meta di una gigantesca escursione. Più di 150 soci del CAI, provenienti da vari punti del parco, vi si recarono e vi sostarono, festeggiando il giubilo del sodalizio alpino».
Oggi possiamo precisare che tale raduno rientrava presumibilmente nei festeggiamenti per i 50 anni del CAI (1863-1913): però risulta che, per cause meteorologiche, quel raduno fu molto meno affollato di quanto ricordasse l’onorevole. Tornando a Togliatti, neppure lui sa rinunciare a una frecciatina, seppur intrisa di diplomatico commiato: «Organizzazione turistica non vuol dire volgarità e sporcizia. Vuol dire che almeno quei luoghi di tappa e di ristoro che un tempo erano a disposizione del “Gran Re” (Vittorio Emanuele II, NdR) e dei suoi ministri, che persino vi si recavano alla firma dei decreti, dovrebbero oggi essere a disposizione di un pubblico di turisti, che tanto più si educherà al rispetto dei grandiosi spettacoli della natura, quanto più questi gli verranno resi accessibili».
Il misterioso rifugio del Money
Anche se il tema centrale della polemica verte su ben altri argomenti (finalità del Parco, ecc.), il “misterioso” rifugio del Money ha definitivamente catturato la mia attenzione, diventando l’epicentro dell’indagine.
Grazie a Paolo Foretier siamo riusciti ad avere precise informazioni sul rifugio del Money da Carlo A. Rossi, ricercatore e studioso valdostano, il quale aveva a suo tempo raccolto i ricordi di sua madre Giuseppina Perrony (1909-1987).
Pare che la signora Perrony (figlia di un guardiaparco reale caduto in servizio nel 1912) durante gli anni ’30 gestisse insieme alla sorella Blandine, un “ristoro” all’alpeggio Money.
Si trattava di un fabbricato in legno con tetto in eternit (costruito nel 1930 da baldi giovani della valle di Cogne) composto da cucina e saletta per una superfice complessiva di circa 30 metri quadrati.
Lo chalet consentiva di offrire ai visitatori generi alimentari dell’alpeggio ma, pur essendo dotato di lits et brandes, non prevedeva un vero servizio di pernottamento. Però dai ricordi della famiglia Perrony pare che la costruzione potesse occasionalmente ospitare a dormire anche 6-7 persone. Grazie alla gentile concessione di Carlo A. Rossi, si dispone oggi di adeguata documentazione fotografica sul “rifugio” del Money.
Appurata l’esistenza del “rifugio”, restano però due misteri. Il primo riguarda il raduno del 1913, poiché lo chalet fu costruito solo nel 1930: probabilmente nel 1913 i generi alimentari venivano forniti direttamente dalle baite e questa prassi costituì, forse, uno stimolo per il gestore dell’alpeggio degli anni ’30, tal Camille Carlin di Vieyes (Aymavilles), tra l’altro patrigno delle due sorelle Perrony, per costruire un fabbricato apposito.
Il secondo mistero è come e perché lo chalet sia stato smantellato. Qualche informazione aggiuntiva emerge dall’analisi che Paolo ha compiuto su una cartolina che fotografa il ristoro mezzo smontato: sul retro della cartolina è riportato “XVIII anno dell’era fascista”. Siamo quindi nel 1940 e Carlin, dopo una dozzina di anni, stava lasciando la gestione dell’alpeggio. La datazione trova conferma nei racconti di un anziano cognèn, oggi quasi 90enne, che fece il pastore al Money nel 1946: costui si ricorda che di tale fabbricato esisteva solo più il basamento. Tutto ciò spiega come mai Videsott non fosse a conoscenza del “rifugio del Money”, visto che dalle sue note biografiche si evince che egli iniziò a frequentare le valli del Parco all’incirca nel 1943: del ricovero non vi era più traccia evidente.
Il Parco oggi
La questione finale posta da Togliatti anticipa di 50-60 anni l’attuale dibattito sul turismo ecocompatibile, “slow” e “green”. Insomma attività sportive con minimizzazione dell’impatto inquinante e massimizzazione del godimento della natura. Dal sito del Parco del Gran Paradiso (www.pngp.it) ci si rende conto che, accanto alla tradizionale difesa della natura in tutti i suoi risvolti, il Parco oggi offre interessanti iniziative naturalistico-sportive. Il Parco non è, e non deve essere, un tour operator, ma un’organizzazione che facilita una congrua frequentazione delle sue vallate. Proprio sul sito ho scoperto che una parte della Casa di caccia sita al Gran Piano di Noasca in Valle dell’Orco (sul versante piemontese) è stata destinata all’ospitalità in autonomia, offrendo 10 posti letto in camerata (www.pngp.it/visita-il-parco/rifugio-gran-piano). Al Money esiste una baita, di proprietà del Consorzio dell’alpeggio e ristrutturata molto spartanamente, che per lungo tempo è stata affittata dal Consorzio ai Salesiani, i quali la utilizzavano come base per le escursioni con i loro ragazzi. Mi è capitato di pernottare in tale baita, in modo appunto spartano, (sacco a pelo e Camping Gaz), per gentile concessione dei Salesiani, nel maggio del 1987, quando ero Direttore della Scuola di scialpinismo SUCAI Torino. Eravamo una quindicina abbondante. Si trattava di un’uscita del Corso SA3: obiettivo il Gran San Pietro con discesa in sci del ripido couloir, traversando fin sotto le seraccate della Tribolazione per rientrare in cerchio a Valnontey. Da tempo tale baita non è più affittata ai Salesiani e, adeguatamente attrezzata e con precise regole organizzative, potrebbe costituire una location a disposizione di escursionisti e scialpinisti, come l’esempio citato sul versante piemontese: sarebbe la conclusione migliore per la querelle del 1961.
Primo tempo supplementare
La ricerca negli archivi de La Stampa mi ha portato a incontrare anche altri articoli pubblicati nelle settimane successive. Almeno tre sono interessanti per gli appassionati della Valle di Cogne. Domenica 6 agosto 1961 c’è un articolo a tutta pagina a firma di Francesco Rosso, intitolato: Nelle Valli di Aosta pur gremite di villeggianti è intatto l’incanto del silenzio e della solitudine. Si tratta di un pezzo che pare proprio un vero spot promozionale, ma contiene alcune riflessioni di spicco. In contrapposizione alla mondanità di Courmayeur, Cervinia e Saint Vincent, si citano luoghi più bucolici. Scrive Rosso: «Di dannunziani della montagna ve ne sono ancora, ma non moltissimi: la maggioranza dei turisti alpini è gente quieta, che ama le brevi passeggiate sui declivi erbosi, o nelle pinete, in calma meditazione, assaporando, inconsciamente i più, il piacere dell’otium oraziano, ozio benefico delle membra, ma non del pensiero, che all’aria fine dei duemila acquista un’inconsueta alacrità». Fin qui, seppur con stile un po’ datato, il ragionamento fila liscio. Ma oltre diventa un po’ forzato: «Mi dilungavo in queste riflessioni sulla piazza di Cogne… Gruppi di sacerdoti, le balze delle lunghe tonache nere svolazzanti sugli scarponi, avanzano silenziosi lungo i sentieri del Parco, dove gli stambecchi hanno trovato l’ultimo scampo alla devastatrice passione venatoria, gli stessi sentieri che percorre ogni giorno l’on. Togliatti in compagnia dell’on. Nilde Jotti e della figlia adottiva Marisa». Questo accenno sa di mossa riparatoria dopo il precedente scambio di frecciate sulle pagine de La Stampa.
Secondo tempo supplementare
Sabato 12 agosto 1961 esce, invece, un altro articolo più di sostanza: Una funivia per raggiungere le bellezze del Gran Paradiso? Sottotitolo: Forse guasterebbe il silenzio, ma ci starebbe bene. A studiosi e turisti sarebbero risparmiate tre estenuanti ore di salita. Questa sera a Cogne il presidente del Parco esporrà il problema”. L’articolo è firmato da Ettore Doglio, lo stesso giornalista del primissimo articolo di luglio. Dopo un inizio di stampo bucolico, si legge: «Qualche tempo fa l’on. Togliatti scriveva al nostro giornale esprimendo alcune considerazioni e giungeva una risposta dal Presidente del Parco, Avv.to Gianni Oberto: si apriva così una cortese polemica (sic! NdR) con alcuni rilevanti quesiti: con quali restrizioni il pubblico è ammesso a visitare il Parco? Se ne vuole favorire o ostacolare l’accesso?». Doglio si lancia in una amena descrizione delle bellezze del Parco, contrapposte, però, alla fatica richiesta dal risalire le mulattiere fino a quote di 2400-2600 m, dove il terreno si apre in splendide balconate. Ecco da dove escono le tre ore di fatica. Doglio ricorda che, in un convegno del 1955, si dovette percorrere in discesa un impervio sentiero verso Epinel (poco a valle di Cogne) e, in quell’occasione, un dirigente del Parco ammise che qualche funivia ai margini del Parco poteva anche essere accettabile. Doglio rilancia l’idea e si chiede se ne avrebbe parlato il Presidente Oberto, che la sera successiva aveva in programma di partecipare all’incontro di Cogne sul tema: “Ma che cosa è questo Parco?”. Come Doglio riporta, Oberto aveva in precedenza dichiarato che “Il turismo controllato, educato, disciplinato è non solo ammesso, ma favorito”. La chiusa dell’articolo è ancora sul tema funivie: «Il Presidente non ha detto né sì né no: il Parco è un ente amministrato da un Consiglio che delibera dopo un attento esame e il direttore dott. Videsott è uno strenuo difensore dell’integrità della natura (la sua rigidezza, bisogna riconoscerlo, ha salvato in più occasioni le sorti del Parco)». La storia ha dimostrato che, per fortuna, funivie non ne sono state realizzate, ma ciò non ha impedito l’aumento degli escursionisti che apprezzano i dintorni di Cogne.
Terzo tempo supplementare
Decisamente più glamour è l’articolo che, coinvolgendo anche Togliatti, possiamo considerare come l’atto finale di tutta la vicenda. Sul giornale del 15 agosto 1961 appare l’articolo: Le vacanze degli uomini politici. Si descrivono le giornate di “apparente” riposo dei leader del momento, ma non pare che abbiano molto tempo per staccare. Si legge: «La delicata situazione internazionale ha costretto molti a interrompere le vacanze per partecipare qualche giorno fa alle riunioni della Commissione Affari Esteri della Camera. Nenni, che nel frattempo è già tornato a Cogne, apparve a Montecitorio eccezionalmente abbronzato: “Ė stato – ha detto – un atto di coraggio venire in questa fornace romana”.
Anche Togliatti è tornato a Cogne e conta di starci per tutto agosto… Aldo Moro, dopo un rapido viaggio in Isvizzera con i quattro figli, è a Terracina: prende qualche bagno, legge, fa qualche corsa al volante della sua auto e si prepara alla battaglia congressuale di dicembre… Giuseppe Saragat resta a Roma: scrive articoli per il giornale del suo partito e prepara una relazione ‘esplosiva’ per il comitato centrale di metà settembre… Mario Scelba sta anch’egli a Roma e non ha nascosto un certo malumore per non esser potuto andare con la moglie in crociera. “Ogni volta che sono stato Ministro dell’Interno – ha dichiarato – ho trascorso i giorni di Ferragosto a Roma, nel mio ufficio”».
Altri tempi, davvero. Torneranno mai?
Carlo Crovella
Classe 1961, torinese, sposato, due figli in età universitaria. Per iniziazione famigliare, ha approcciato la montagna fin da piccolo, mantenendo da allora una frequenza costante e sistematica. Grazie alla visione familiare di una montagna trasversale, la sua matrice scialpinistica è accompagnata da molte altre esperienze parallele: dall’alpinismo all’arrampicata, dall’escursionismo al canyoning. Istruttore titolato a poco più di 20 anni, è stato Direttore della Scuola SUCAI di Torino nel biennio 1985-1987. Dagli anni ’90 ha svolto, seppur con intermittenza, il ruolo di istruttore presso l’altra scuola torinese, quella del CAI UGET (di cui fa storicamente parte sua moglie). La visione trasversale della montagna ha caratterizzato anche l’impegno didattico: Condirettore di molti Corsi di Invito all’alpinismo della SUCAI, ha fatto anche parte della Scuola di alpinismo A. Grosso del CAI UGET e, nel settore del canyoning, ha fondato il gruppo di appassionati Le Trote Guizzanti. Svolge sistematica attività editoriale dai primi anni ’80, con pubblicazione di articoli sulle più rilevanti riviste del settore (Rivista della Montagna, Alp, Rivista del CAI, Scandere, ecc). Ha pubblicato quattro libri di narrativa di montagna e ha creato la collana Quaderni di Montagna, composta da ebook distribuiti sul web. Da sempre sostenitore di una frequentazione consapevole e matura della montagna, seppur su livelli tecnici medi, per contrapporsi al dilagante approccio tecnico-sportivo di massa, una decina di anni fa ha deciso di impegnarsi nell’attività di sensibilizzazione culturale e ideologica (attraverso scritti, conferenze, interventi di varia natura), sintetizzata dalla locuzione “Più montagna per pochi”: vedi gli articoli di GognaBlog Più montagna per pochi 1 e Più montagna per pochi 2.
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Ho partecipato alla ristrutturazione della baita ao Casokari di Money ai tempi checera stata data inngestione aibsalesiani. Ad occhio 47 anni fa.
andai a cogne la prima volta a 6 anni ed oggi all Eta di 66 lo ritengo il posto più bello del.mondo quello che ti riesce a conciliare con le due salite della vita flora fauna credo siano sempre le stesse solo noi uomini siamo peggiorati rifiuti schiamazzi cellulari mi fanno rimpiangere il rifugio della forestale fatto di lamiera ma dove sentivi tutto il calore la fusione tra te e la vera montagna
Per l’autore. Interessante e brillante ricostruzione di un’epoca e di un pezzo dell’ambiente sociale cognino. Nostalgia canaglia. Ho frequentato molto Cogne all’inizio degli anni 70, imparando lo sci da fondo dal caro Renzo Jantet, maestro e proprietario dell’ Ondezana, allora un piccolo albergo familiare a Lillaz, prima che diventasse il regno dei cascatisti e dove si andava alla palestrina di arrampicata. L’ambiente cognino è abbastanza particolare in VdA. Sicuramente molto diverso da Courmayeur o Gressoney. Se ci aggiungi altre tessere del mosaico (le miniere, la grande quantità di magistrati e magistrati politici anche famosi che l’hanno adottata, le grandi famiglie del Piemonte e della Liguria (i Costa , i Dufour ..), lo sci di fondo, i Franzoni come tante altre anime inquiete di cittadini diventati cognini anenaldo alla pace dei monti, fino all’arrivo delle bulgare in cerca di marito valdostano potresti scivere un affresco socio/alpinistico interessante, un po’ come ha fatto Paci per Courma. Sono sicuro che ci riusciresti molto bene, così magari avresti meno tempo ed energia per litigare sul blog con i tuoi più cari avversari 🤪🤪 a proposito di magistrati ricordo una gita di scialpinismo sopra Lillaz nella quale mi trovai circordato da esponenti delle Procure di Milano, Torino e Genova, assidui frequentatori. Eravamo in pieno terrorismo e il pericolo per l’allegra compagnia non veniva certo dal terreno valanghino.
Stavolta devo fare i miei complimenti più sinceri a Crovella. Bellissimo articolo ed interessantissima ricostruzione storica.
Quanti ricordi legati a Cogne!
Vi ho trascorso le mie prime vacanze alpinistiche dal 1959, alla frazione Cretaz, ove la sottosezione GEAT del CAI Torino manteneva una casa vacanze.
Ho incontrato gli onorevoli Palmiro Togliatti e Pietro Nenni a passeggio per Cogne.
Voglio raccontare un curioso episodio.
Il 17 agosto 1962 si sparse la voce che l’onorevole Pietro Nenni, a causa di un malore, era caduto nella Grand Eyvia, il torrente che attraversa il paese. Non ebbi tempo di approfondire la notizia in quanto ero in partenza per salire la parete Nord della Roccia Viva. Non immaginavo che sempre a causa di quel torrente mi sarei poi sentito accomunato al celebre politico.
A sera mi trovai ad attraversare il torrente, reso impetuoso dalla fusione giornaliera, diretto al bivacco Martinotti. Nell’attraversamento scivolai su una pietra bagnata e caddi dentro al torrente. Fortunatamente riuscii a tenermi ad un masso ma ne uscii completamente bagnato e piuttosto bollato. Passai la notte al bivacco con gli indumenti fradici ed all’alba, invece della Nord mi ritrovai a scendere zoppicante verso Cogne.
Presidenti (anche) sestogradisti! Oggi è un po’ diverso.
Bellissimo articolo, amo Cogne e le sue valli e conoscere un po’ della sua storia mi é piaciuto molto.
Ritengo però che non sempre il turista oggi sia accorto rispetto alla pulizia e aimè neanche degli animali del parco. Nonostante i numerosi cartelli, nel mese di agosto “l’amico” dell’uomo scorazza indisturbato anche dopo il fondo valle spaventando gli abitandi naturali. Provando a ricordare il rispetto delle regole si viene aggrediti verbalmente.
Grazie.
M. Cristina Frivoli