Dopo l’articolo Oral Trad pubblicato sul King Rock Journal e successivamente ripreso e commentato su Arrampicata Verona APS, su GognaBlog, sul sito Intraigiarun, sul rinato forum Fuorivia ed ovviamente su Facebook ed Instagram, è giunto il momento di fare un passaggio ulteriore e pensare a come difendere le nostre falesie.
In difesa della roccia
di Massimo Bursi
(pubblicato su kingrock.it il 26 luglio 2024, l’articolo è presente anche sul sito Arrampicata Verona APS)
“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare (Andy Warhol 1928-1987, poliedrico artista americano)”.
Muoviti come un nativo americano. Prendi solo fotografie, lascia solo impronte. Le pareti non le ereditiamo dai nostri padri, ma le abbiamo in prestito per i nostri figli.
Questo è lo spirito a cui dovremmo sempre ispirarci quando andiamo ad arrampicare. Poi certo, anche noi, arrampicatori, sportivi o alpinisti, lasciamo le nostre tracce, del nostro passaggio, siano pure chiodi o catene luccicanti, ma almeno teniamo a mente un modello ideale, alto, irraggiungibile a cui fare riferimento.
“Non lasciate nessuna traccia di voi in parete, né chiodi, né cunei, né cordini: non asportate nulla dalla parete, ritornate portando con voi i vostri ricordi e le vostre fotografie; a chi vorrà seguirvi non dite nulla di preciso: soltanto il punto di attacco, quello di uscita e un cenno per le difficoltà generali (Gary Hemming 1934 – 1969: alpinista americano, un anticipatore, soprattutto per quello che riguarda la sensibilità verso i problemi dell’ambiente. Questa citazione è presa da un articolo pubblicato nel 1964 in cui teorizzò in cinque punti i principi dell’arrampicata pura in un “manifesto”, pubblicato su La montagne, la rivista del Club Alpino Francese)”.
“La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra (Capo Indiano Seattle, 1780-1886, citazione tratta dalla sua lettera al Presidente degli Stati Uniti per la difesa dei valori ambientali, un documento da leggere e meditare parola per parola)”.
“Tutti hanno bisogno della bellezza così come del pane, di luoghi dove giocare, dove la natura può guarire e dare forza in egual misura al corpo e all’anima (John Muir, 1838-1914, il padre dei parchi naturali americani, uno dei primi conservazionisti moderni).”
Queste tre citazioni parlano di tracce, di appartenenza e di bellezza: non dobbiamo prenderle alla lettera, ma dovrebbero essere di guida per le nostre azioni. È inevitabile che ogni nostro passo sulla terra comporti modifiche, spesso irreversibili, ma con la nostra intelligenza ed esperienza possiamo anche migliorare il mondo e non solo distruggerlo.
Non avrei mai voluto arrivare a questo punto… ho dovuto scomodare questi grandi e storici personaggi, padri profetici, decisamente in anticipo sui loro tempi, perché l’attuale situazione è grave, io vedo le nostre rocce, quotidianamente aggredite, indifese e qui dobbiamo fare uno scatto in avanti, dobbiamo inimicarci parte degli arrampicatori, dobbiamo prendere una posizione decisa ed intransigente per fermare questa deriva.
Parlando con molti climber, mi rendo conto che non tutti si sono resi conto della situazione, molti sono ancora accecati solo dal dio Grado, dal dio Che figo che sono, questa foto la metto su Facebook e lunedì in ufficio farò colpo sui colleghi, che sono bellissime illusioni di cui pure io sono succube, ma ora non basta più.
Ma se andate sui monti Peloritani, che sono in Sicilia, troverete cartelli delle Aziende Foreste Demaniali che recitano “Qualsiasi stupido è capace di distruggere gli alberi; non possono né difendersi né scappare.” È, al solito, una citazione di John Muir che noi potremmo parafrasare così: “Qualsiasi stupido è capace di distruggere le rocce, non possono né difendersi né scappare”.
È il momento di pensare ad un programma educativo che rallenti i danni che gli arrampicatori inevitabilmente portano.
Gli attacchi alle rocce sono innumerevoli e limitiamoci alle nostre rocce della Val d’Adige, Valpolicella, Valpantena e Lessinia, rocce che frequentiamo ogni fine settimana e che conosciamo come le nostre tasche.
Lo sappiamo che ogni azione umana nel territorio naturale è distruttiva o perlomeno trasformativa, per cui ogni intervento su una parete che verrà trasformata in falesia per l’arrampicata sportiva ha un impatto visibile e che possiamo circoscrivere e minimizzare, ma mai annullare.
Questi fenomeni sono più evidenti oggi perché il numero degli arrampicatori è in forte crescita, complice un’arrampicata meno rischiosa rispetto ai tempi eroici, complice il fatto della proliferazione delle palestre indoor, dei libri-guida che hanno saturato la conoscenza verticale, almeno nel veronese, fenomeni certamente ampliati a dismisura dai social media.
Tra l’altro, le falesie veronesi sono massivamente frequentate anche da lontani arrampicatori che vivono nella piatta Pianura Padana, dove le uniche salite sono i cavalcavia.
A fronte di una maggior frequentazione è inevitabile che ci siano comportamenti difformi o inaspettati rispetto a quanto succedeva in passato, dove ci si conosceva tutti ed il controllo del territorio avveniva naturalmente.
L’arrampicata, alimentata da esigenze libertarie, contro-corrente ed anche anarchiche, l’arrampicata che si faceva negli anni passati, ora non è più sostenibile senza un sostanziale cambio di passo che si può riassumere in una rispettosa autolimitazione.
Tutti i nostri comportamenti si scontrano con quel materiale chiamato roccia e che da noi è uno splendido calcare, ora grigio, ora giallo-rosso, con due caratteristiche: non è illimitato ed è soggetto ad un processo di consunzione irreversibile.
Chiaramente se le pareti non venissero chiodate, essendo terreni quasi inaccessibili, si difenderebbero da sole, ma nel momento in cui le chiodiamo diventano alla portata dell’uomo.
Certo, non sarebbe male pensare anche di chiodare alcune pareti in modalità esclusiva e selettiva: questo è il segreto di Ceraino, che negli anni è rimasta una falesia ambita, temuta e severa al tempo stesso.
Ovviamente questa pratica di chiodatura selettiva è in contrasto con i principi dell’arrampicata sportiva, dove con la parola sport riecheggiano concetti di divertimento e rischio limitato: infinite discussioni si sono tenute su questi concetti e su quanta ansia generasse quel passaggio che abbiamo trovato “lungo”. Qui solo la saggezza e l’esperienza potrà guidare chi apre e manutiene le vie di roccia.
Vediamo alcuni esempi di fenomeni che sono da tenere nella dovuta attenzione.
Quando passo da Tessari, al fine settimana, vedo decine e decine di macchine di arrampicatori che hanno necessità di sfogare le proprie frustrazioni quotidiane o semplicemente la voglia di stare all’aperto e divertirsi con la propria attività preferita, penso a quanto potrà durare questo fenomeno… la natura riuscirà ad assorbire questa invasione umana senza subire troppi danni, troppe trasformazioni spesso irreversibili?
Mi è chiaro che ciascuno dovrebbe muoversi in punta di piedi, se vogliamo mantenere più a lungo possibile questo ambiente a pochi chilometri dalle città.
Ovviamente non vorremmo mai vedere nascere nuove vie ferrate con la scusa di valorizzare il territorio o con altre scuse di marketing territoriale che, semplicemente, nascondono interessi economici privati. Tra l’altro, fenomeni simili, come i famosi ponti tibetani nostrani, sono spesso fonti di attrazione turistica e di incidenti a cui deve ovviare il soccorso alpino – si veda, ad esempio, il ponte tibetano della Val Sorda.
Così come non siamo d’accordo con le azioni di sperimentazioni e bricolage che sono state effettuate nella storica falesia cittadina, situata a pochissimi chilometri da piazza Bra, nota come Avesa: è un piccolo gioiello adatto per neofiti, per chi ha poco tempo ed è allergico alla plastica, per favore… preserviamolo.
Ultimamente è nata pure la moda, discutibile, di disboscare tratti di parete per aprire vie, a più lunghezze di corda, le cosiddette multipitch, di moderata difficoltà: oltre a modificare il paesaggio con lunghe strisce “depilate” dall’effetto estetico discutibile, mettono a nudo pericolosi tratti friabili, dove madre-natura riusciva a mantenere il terreno compatto tramite le radici della vegetazione.
Anche l’esperienza dei recenti “festival dell’arrampicata”, beh auspichiamo che si muovano sempre in modalità rispettose per l’ambiente verticale sempre più antropizzato…
Tenere l’attenzione alta su questi fenomeni forse ci servirà a ritardare il disastro che tutti temiamo: la roccia consumata, liscia o meglio “unta”, come si dice in gergo. Non c’è niente di più triste di andare nella falesia di Marciaga e constatare che la roccia è “unta” e quindi irrimediabilmente rovinata, abbandonata: il nostro consumismo verticale in pochissimi decenni ha fatto fuori un gioiellino sovrastante il lago di Garda.
Per concludere, dall’esperienza accumulata, da quello che vedo in falesia, da ciò che leggo sui social, sento l’esigenza di mettere nero su bianco quello che dovremmo fare e quello che dovremmo evitare, insomma una serie di indicazioni a cui attenersi, per un modo rispettoso di vivere le falesie.
Una serie di suggerimenti che funga da stimolo educativo e riflessivo, più che da patetica e “bacchettona” imposizione prescrittiva.
- Tratta la roccia e l’ambiente naturale circostante con il massimo rispetto. Sei solo un ospite.
- Parcheggia la tua auto in maniera appropriata e tenendo presente le proprietà private. Camminare un po’ di più fa sempre bene al fisico.
- Non lasciare rifiuti, anzi raccogli tutto quello che trovi in giro, anche se non è tuo.
- Se devi andare in bagno, allontanati quanto più possibile dalla falesia e fai come i gatti che ricoprono i propri bisogni.
- Sappi che molto probabilmente sei su una proprietà privata dove viene tollerata la nostra presenza. Non abusare di questa tolleranza.
- Non accendere fuochi alla base delle falesie, non è un campeggio, è pericoloso, oltre che vietato nel Parco Naturale della Lessinia, inoltre è decisamente brutto vedere i residui delle braci. Anche l’estetica è importante.
- La falesia non è un posto per fare bivacchi o feste o rave-party, cerca sempre che la tua presenza passi quasi inosservata.
- Se vuoi migliorare un sentiero o migliorare la “parterre” alla base della parete, non esagerare nell’abbattere le piante.
- Se porti i bambini in falesia non dare loro gessetti colorati per colorare le rocce.
- Se porti i cani, legali, che non vadano a curiosare negli zaini delle altre persone, potrebbe dare loro fastidio.
- Non fare scritte alla base delle vie. Se i nomi sbiadiscono o sono assenti, vorrà dire che userai il tuo spirito di avventura per interpretare le guide. Non scrivere il grado… i gradi cambiano negli anni.
- Non scavare mai tacche o creare appigli artificiali. Se non passi, allenati di più o scala una parete più facile o semplicemente lascia il passaggio alle future generazioni.
- Usa la magnesite con parsimonia, non segnare appigli ed appoggi. Se proprio “devi” segnare, poi ricordati di spazzolare.
- Contribuisci anche tu a togliere le erbacce dalla parete.
- Se ci sono nidi o presenza di altri animali, segnalalo.
- La falesia non è uno stadio: non urlare o bestemmiare se sbagli un tiro: semplicemente allenati di più.
- Se hai la necessità di piantare chiodi per impratichirti o perché sei istruttore o Guida Alpina e vuoi insegnarlo ai tuoi allievi, vai in una cava, mai in falesia: rovinerai in maniera irreversibile le fessure.
- Se vuoi fare dry-tooling con piccozza e ramponi, non farlo mai nelle falesie dedicate all’arrampicata sportiva, le rovineresti in maniera irreversibile.
- Se vuoi allenarti come speleologo, non utilizzare le falesie dedicate all’arrampicata sportiva, i tuoi spit non sono adatti all’arrampicata sportiva.
- Se hai intenzione di piantare spit per aprire nuove vie o effettuare manutenzioni di vie esistenti in cattivo stato, rivolgiti ad arrampicatori esperti e riconosciuti dalla comunità locale, non agire in autonomia. In ogni caso non utilizzare più, come si faceva in passato, materiale artigianale, di ferramenta, o non in linea con gli standard attuali.
- Se vuoi aprire una via nuova, rispetta gli itinerari già esistenti, le avventure di chi è venuto prima di te, e non intersecare mai altre vie. Oltre al rispetto dell’ambiente anche il rispetto della storia alpinistica, sia pure minore, è importante.
- Se vuoi aprire una via nuova o effettuare manutenzione di una via esistente, fa sì che la chiodatura sia logica, non troppo corta che banalizza la via, né troppo lunga poiché pericolosa. Tutto ciò richiede esperienza. Non sai come procedere? Rivolgiti ad arrampicatori esperti e riconosciuti dalla comunità locale, non agire in autonomia.
- Senti proprio la necessità di aprire una via esclusivamente in artificiale? Tieni presente che molte vie di artificiale del passato sono state modificate per esaltare l’arrampicata libera. Quindi rischi di rovinare una parete vergine, oggi impossibile, ma forse terreno di gioco per le nuove generazioni. Quindi pensaci bene prima di bucare.
- Non disboscare pesantemente per aprire una via multipitch. Riteniamo che tale pratica necessiti di un accurato esame prima di procedere con la realizzazione. Pensa anche alla friabilità, e non solo alla fruibilità, del risultato finale.
- Non pubblicizzare nuove vie o falesie sui social. Pensaci bene prima di inviare un post! Le tue azioni sui social media hanno forte impatto sulla comunità rampicante e potresti causare affollamenti. Un PDF pubblicato sui social media può inflazionare una falesia.
- Se vedi che qualcuno strappa un’erbaccia, mette a posto un sentiero, fa manutenzione in parete, ringrazialo. A te non costa nulla e a lui farà molto piacere. Probabilmente è molto legato a questi territori e lavora da volontario anche per il tuo tempo libero.
- L’arrampicata non è solo prestazione sportiva, ma è anche simbiosi con l’ambiente naturale, estetica, eleganza. Fai sì che, tramite il tuo comportamento responsabile, anche gli altri possano vivere, oggi e domani, questa fantastica esperienza.
Questo lungo elenco di suggerimenti impattano l’ambiente naturale e quindi sono importanti per tutti poiché ci indicano “come vivere le falesie in modalità rispettosa per l’ambiente”.
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sinceramente, dopo aver letto, in difesa della roccia, mi vien voglia di andare e schiodare tutto. probabilmente lo farò…quindi se andate in una falesia della Val d’Adige e del Baldo e non trovate più il materiale, nel caso sia vostro venite a casa mia a prenderlo tanto il mio cell ce l’hanno in tanti e tanti sanno dove abito.
Cristiano Pastorello
questa guida https://ideamontagna.it/libro/val-dadige-plaisir/, dove sono contenute tutte le vie che hanno stravolto la pacifica vita di un abitato della Valdadige – oggi invaso senza regole e tutela ogni fine settimana da un centinaio fra arrampicatori e automobili, chi ci è stato sa di cosa parlo – viene per per esempio sponsorizzata da APM Verona – non apertamente, è ovvio, per quello ci vogliono le palle, ma pubblicando il catalogo della casa editrice sul proprio blog (ve lo dico senza dirvelo, c’è pure lo sconto!). Qui nessuno che si fa domande sull’etica di certe aperture o pubblicazioni? o il dito si punta solo per convenienza/codardia nei confronti di certi gruppi di scalatori piuttosto che altri? di questo sarebbe bello parlare, e invece…blablablero farneticante sui blog!
Quando ho letto 70 commenti credevo di trovare qualcosa di interessante e invece niente. Articolo pesante, vuoto di contenuti ma ottimo rimedio contro la stitichezza .
Grazie Gelino 5.0, le uniche persone che ci credono sono proprio le Stelle Alpine (sebbene dissimulino!).
Tornando al tema di questo articolo, tanto per rimarcare la coerenza del testo – e dei molti vaneggiamenti più o meno recenti sull’argomento di Bursi e sodali – le guide (quelle cartacee, non le alpine) tendenzialmente non vanno bene, però alcune sì: che vadano bene solo quelle con cui si stipulano accordi/convenzioni/sponsorizzazioni? oppure quelle che vengono date ai soci con percentuali di sconto su base di accordi con gli autori? o ancora la discriminazione è semplicemente operata su base simpatetica? A voi il giudizio sul valore di certi “manifesti”, oltre alla coerenza di alcune persone… Qui il link al catalogo di nota casa editrice di montagna https://www.arrampicataverona.it/2024/09/06/catalogo-ideamontagna-2024/ che a quanto pare, grazie alle sue guide, non contribuisce all’unto delle falesie o alla frequentazione di massa di alcune vie a più tiri comode e di facile accesso alla strada 😉
@Gelido e @Gelindo Applausi!!!
“La maggior parte delle persone crede che una Guida Alpina sia un eroe o qualcosa di simile” così si presenta Caminetti nel suo “sito” (si fa per dire). Mai conosciuto nessuno che creda ad una scemenza del genere.
Azz…Matteo mai bruciato sullo scatto!!!!
Grande Proietti romanaccio e grande Maraini toscanaccio.
P.S.: .https://www.youtube.com/watch?v=UPM_0igRZ5U
“Scalate e non rompete i coglioni” tipica risposta da stella alpina brachicefala, i bookmakers la davano a -10. Manca solo “buone tacche” e la già abusata “cioda envese de palrar” e abbiamo sciorinato l’intero repertorio del medione (con annesse battute sessiste fatte passare come simpatia da boomer del cazzo). Caminetti, svejate stella alpina
Gelido.3, anche superiornove!
Ma fatemi il piacere, va là.
Scalate e non rompete i coglioni, banda di massaie.
Con rispetto per le massaie.
Beati coloro che si divertono sull’unto , perche’ loro e’ il regno dei cieli.
Vecchiano, docet ahahahah
Effettivamente !!
Per quanto riguarda il sovraffollamento in falesia ….beh …come diceva un mio amico basterebbe lasciare il week end ai lavoratori…..poi sinceramente le vie unte consumano meno la palle e sono anche più dure quindi ripeterle aumenta l’autostima…..
Consigli seri…..cari borghesi intellettuali radical-chic che vivete nell’ abbondanza e nel lusso fatevi un esame di coscienza prima di giudicare chi vive per scalare !
Riccardo grazie per il suggerimento ma temo che non lo seguirò.
Perdona, ma tutta questa rissa livello portineria mi interessa né punto, né poco (come direbbe il Benassi) e il mio era un tentativo di sottolineare la cosa.
Scusate i punti di domanda non c’entrano, dimenticavo che le faccine qui si trasformano!
51. Matteo. Se rileggi con attenzione i due post di apprendista scalatore direi che è palese chi li ha scritti e la vena sarcastica che hanno ????
Grazia che non torcerebbe una foglia neanche alle piante infestanti, Cominetti che invece ci andrebbe giù col lanciafiamme. Nel bel mezzo di una sequela di malevolenze anonime e sputtanamenti al limite della querela. Questa settimana il Gognablog è decisamente al top!
Marcello Cominetti t’è roto i ovi con i to commenti da superiorotto: ti sei anche tu sopraelevato grazie alla pratica alpestre come tutti i tuoi amici Stelle Alpine tanto da dovercelo far notare a ogni commento sospinto? Tanto perché tu lo sappia non ci interessano le tue opinioni banalotte e le tue uscite da paraintellettuale.
Un forum tra arrampicatori NO please.
Di più noioso c’è solo Crovella quando attacca con: qui a Torino, in una certa Torino….
47 Cominetti.
Lo avevo. Oltre a quello che dici era un salcazzo mortalmente pericoloso!
@Matteo
A tanti…, e a qualcuno per fortuna 😉
non ne so niente, sia chiaro, ma un apprendista scalatore che si erge a giudice erga omnes a me sta un po’ sulle palle…
[segue]
Quindi, per concludere, caro Massimo, evita pure di tediarci con elenchi di consigli che, detti da te, suonano più come una presa per il c…., visto come ti comporti, visto il rispetto che hai per gli altri e vista la tua ambiguità che traspare in qualunque cosa tu dica o faccia.
Anche il mio numero ce l’hai.
Con tutto l’affetto possibile, firmato L’Ironico apprendista scalatore
Un’ultima cosa: il tuo scritto è educato e non offende nessuno. Quello di qualcun altro invece… Mi sa che stavolta non hai raccolto il frutto del tuo seminato.
Cavolo ci risiamo. Caro Massimo, ti cimenti ancora nello scrivere, cosa che non sai assolutamente fare e, soprattutto, fai in modo talmente sconfusionato che non si capisce cosa vuoi dire. Vai a scalare va, e lascia la dialettica scritta a chi veramente si sa esprimere. L’importante è che a discorrere non siano quei falsi intellettualoidi filosofi un po’ radical chic che null’altro sanno fare se non un vuoto bla bla blero, condito di grossi paroloni di cui probabilmente nemmeno sanno il significato.
E anche sulla scalata, caro Massimo, è meglio ti scelga compagnie migliori dagli alpinistucoli pazzi che frequenti, più adatti, sembra, a fare i giardinieri che altro. Basta vedere le vergognose creazioni di aberranti tracciati lasciati dagli stessi in giro per le rocce.
E poi, lasciatelo dire, con l’età sei diventato anche più str…o: hai avuto un sacco di possibilità di stare dalla parte giusta, di imparare da chi ne sa a pacchi,di redimerti dai tuoi peccati di scalatore, chiodatore e, ultimamente, anche di scrittore, ma tu niente. Prosciutto sugli occhi e con orgoglio insensato hai preferito restare sulla strada sbagliata che non ha uscita, una strada che porterà alla tua autodistruzione.
Se penso a tutte le occasioni che hai avuto per entrare a far dell’elité, quella vera, o perlomeno di collaborare con essa. Ma tu niente. Anzi, adesso sembra ti piacciano i crucchi.
[continua]
Enri #36:
Esattamente.
Proprio per questo, e per l’aumento esponenziale dei praticanti, OGGI dovremmo avere maggiore coscienza e responsabilità.
Come te purtroppo però NON sono ottimista.
Regattin, basta un buon diserbante e non cresce più nulla.
Oppure si potrebbero convincere i sabaudi, tramite il camerata Crovella, a munirsi di Panzerfaust. Efficacissimo anche contro i cani (in tutti i sensi) in falesia.
Ricordo che proprio i sabaudi scendevano a Finale nei nuovi mattini muniti di Famau, un attrezzo che per peso e ingombro non è di certo inferiore a quelli del lanciafiamme germanico.
Bei tempi (c’è anche una via dedicata).
Grazia #40
cara Grazia, sappi che è sicuramente più impattante a livello ambientale comprare un qualsiasi cibo di supermercato, guidare un auto, usare un assorbente, avere un telefonino rispetto allo sradicare un alberello o strappare erbacce che in pochi mesi ricrescono più rigogliosi di prima.
cara Grazia, se fai bene o male a non arrampicare non sono certo io a giudicarlo. Se non arrampichi avrai i tuoi ottimi motivi. Ma pretendere che chi arrampica non debba minimamente mettere protezioni sulla roccia, mi sembra un po esagerato. Che poi si deva avere il massimo rispetto dei luoghi di cui siamo ospiti e non padroni, sono il primo ad affermarlo .
Di sicuro si può vivere anche senza arrampicare, ma anche senza fare tante altre cose.
C’è un punto che non viene mai menzionato in questi elenchi che appaiono di tanto in tanto su siti, blog, profilo social ecc. e che personalmente renderei obbligatorio in tutti i corsi di arrampicata, indoor e su roccia: l’acquisto e il posizionamento fisso nello zaino di un seghetto pieghevole e un paio di cesoie. Obbligatorio perché alla fine sono sempre gli stessi che fanno la manutenzione dei sentieri d’accesso e della base, come se fosse tutto dovuto e i fruitori appartenessero ad una categoria che ha solo il diritto di arrampicare e non il dovere della cura del luogo. Non è che chi chioda poi per tutto il resto della vita deve fare da giardiniere agli altri. Queste cose le dico da una vita a chi tiene corsi, ma non vedo cambiamenti, solo gente che si lamenta che c’è il rovo, che c’è l’erba alta e via dicendo. È il momento in cui Tutti devono contribuire alla cura delle falesie, anche perché i primi chiodatori cominciano ad avere una certa eta.
Secondo me “the bottom line” e’ quello che dici al 3
Expo #38
In nessun modo. Ma che c’entra?
Forse ti è sfuggito il (mio) commento #3.
Mostrare tutto quello che fai sui social mi ricorda tanto quelli che scopavano con una e se non lo raccontavano era come se non l’avessero fatto.
Ne parlo al passato ma ci sono ancora. E in falesia abbondano particolarmente.
Che sfigati però.
Caro Alberto, invito a non pensare a un eccesso solo per pararsi le spalle: si può attraversare e vivere qualunque luogo pur senza lasciare tracce.
Bene o male che sia, la scimmia dell’arrampicata non mi ha presa e strapperei una pianta da una parete solo in casi di vita o di morte.
Durante le mie escursioni invito sempre a ricordare che siamo ospiti, quando raccogliamo erbe lo facciamo in modo che quasi non si veda, prendendo solo una piccola parte della pianta, raccogliamo solo i funghi che serviranno per la cena s della sera stessa, e così via.
Rodrigo ha scritto
Eccolo il mega direttore… in effetti dopo averci detto come DOBBIAMO chiodare e come andare in falesia, mancava la supercazzola su come si faccia a fare polemica. 😀
@ 37
In che modo essere “custodi” limiterebbe l’usura della roccia ?
Francesco #34
Non solo: è anche responsabilità, e considerazione per l’ambiente in cui ci muoviamo.
Vogliamo essere solo “utenti” e/o “fruitori”?
Non sarebbe meglio per tutti se tutti fossimo “custodi”?
Secondo me è cambiato poco o nulla circa il fatto di voler pubblicizzare i posti, rispetto a 30 anni fa. Sono solo cambiati gli strumenti e gli effetti generati da questi ultimi. Anche allora chi chiodava un settore non se lo teneva per se, si magari per un po’ ma alla fine prevaleva il desiderio di sentirsi dire “bravo, che bel lavoro” oppure vedere all’opera amici e / o visitors sulla via appena chiodata, spesso con il celato desiderio di veder cadere gli aspiranti ripetitori. Non c’è nulla da fare, il desiderio di essere riconosciuti e, talvolta, elogiati prevale sempre. Il fatto è che oggi la comunicazione non la fai con il passa parola o alla peggio al “Bar Centrale” ma con il web e in un pico secondo lo sanno centinaia di persone, poi migliaia…. In questo senso prima dicevo “tenere la bocca chiusa” ma non mi riferivo ad oggi ma a quei tempi. Del resto le guide non sono altro che un primo mezzo per diffondere ai tanti e dire “venite in massa”. Avete mai visto una guida in cui viene scritto che il posto fa schifo, statevene a casa ecc ecc..?
E’ cosi, non c’è nulla da fare. Speriamo nell’educazione in modo che la frequentazione possa essere civile e che la gente si dedichi sempre più all’indoor…. Ma la roccia continuerà sempre a consumarsi. Indietro non si torna.
Forse che oggi elitarismo sia il pubblicare sui social…?
Io nello specifico non capirò mai una tendenza: quella di pubblicare sui social i posti in cui si va. Va bene che ormai se non condividi qualcosa è come se non l’avessi fatta, ma cosa spinga le persone a pubblicizzare (senza ritorno economico) un luogo per poi trovarci volta dopo volta sempre più gente, per me è qualcosa di tafazziano. Una piccola soddisfazione dell’ego (hey, guarda dove sono stato) in cambio di decine di persone in più attorno? O sono tutti fruitori mordi e fuggi, che poi lì non ci tornano, quindi affari degli altri, o proprio non capisco. Che poi niente è segreto: ma quando arrivano i creator digitali, gli influencer e i video su titktok, il pubblico si allarga senza controllo ed è la fine. Limitare questa tendenza a un certo punto non è più elitarismo ma sopravvivenza
Ecco che finalmente sono scese le tavole della legge della buona frequentazione della falesia. Ancora una volta qualcuno si pronuncia educatore di altri e non esista a mandare al macello chi non rispetta le sue regole. Dopo essersi lavati la coscienza, con la certezza di essere rinsaviti, si invita a fare fuori i ribelli, sperando che gli altri imparino dalla gogna. Di sicuro seguire poche regole divine ha causato più male di molte bestemmie, almeno queste non uccidono. Il contenuto dell’articolo è di un qualunquismo ridicolo che affronta temi che da tempo sono stati discussi e sui quali ormai vi è un taciuta consensualità a cui però non segue nessuna azione concreta. In effetti non ne vedo una. Come scrisse Fabrizio “si sa che la gente da buoni consigli […], se non può più dare il cattivo esempio”. Non ripeto i commenti fatti da anonimi, che considero al pari di quelli firmati, sulla varietà della chiodatura a Verona e su come influenzi la frequentazione delle falesie. I primi probabilmente si proteggono perché si saranno stufati di rifare gli stessi discorsi e vorranno evitare di ripeterli incontrando gli autori, quindi non li biasimo. Salutarsi in falesia è segno di cortesia e rispetto nonostante la diversità di opinioni. L’affollamento delle falesie e l’usura della roccia sono sì un problema e forse a causa di quest’ultimo alcune falesie verranno progressivamente abbandonate a favore di quelle più recenti, quindi? Ecco che la natura riprende il suo posto e siamo tutti contenti? Mi chiedo se abbiamo davvero bisogno di maggiore sicurezza in arrampicata sportiva e se non sia possibile accettarne serenamente il rischio.
Se la polemica è solo una disputa di opinioni, allora tutte e due le parti hanno torto. Diverso è il caso se una ha il potere di aver ragione. Allora l’altra non ha il diritto di aver ragione. Non c’è arte che abbia tanto bisogno della natura, che la legittima, quanto la polemica. Altrimenti è una disputa di strada, che offende le buone maniere. Un vero eccesso, che l’ebbrezza non scusa, ma giustifica.(Karl Kraus)
Buone tacche!
Enri, al commento #10
Verissimo che siamo stati “noi” a diffondere l’arrampicata, ma sul tenere la bocca chiusa non sono d’accordo.
Visto che abbiamo conosciuto l’arrampicata ANCHE grazie ad altre persone, della nostra e/o di precedenti generazioni, perché adesso noi dovremmo tenere la bocca chiusa?
Quello che certamente è cambiato è che oggi ci vuole più coscienza e responsabilità che negli anni ’80, visto il numero di persone che oggi si dedicano all’arrampicata, e vista la velocità e la capillarità con cui oggi le informazioni circolano.
Le criticità comunque sono sempre quelle: impatto ambientale, rapporti con i residenti, accesso alle falesie, e in teoria saremmo sempre “noi” a dover trasmettere ai neofiti come gestirle… ma evidentemente non abbiamo ancora (o mai) imparato.
A parte che queste beghe locali credo che interessino ben poco i frequentatori del gognablog, mi si riconferma quanto ho sempre pensato, ovvero che il chiodatore vuole che gli sia riconosciuto il merito di ciò che fa.
Se questo non accade, costui s’incazza e sparge merda su tutti.
Eppure è raro che uno venga obbligato a chiodare una falesia, a meno che non sia un professionista ingaggiato dalla pubblica amministrazione o da altri.
Di solito si tratta di volontari che svolgono un’opera utile ai fruitori, ma, conoscendone svariati, ho sempre pensato che dietro la facciata del volontariato ci sia quasi sempre un disturbo della personalità.
Buona arrampicata a todos!
Ciao Massimo. Sei fortissimo a chiedere un confronto qui sul Gogna, usare le esauste argomentazioni del “chioda invece di parlare” (luogo della quantità a scapito della qualità) e dispiacerti per l’occasione persa: di quelle vere ne hai e avete perse tante, è inutile ora fare moralismi spiccioli agli anonimi senza (ovviamente!) entrare nel merito, nascondendosi dietro la solita filastrocca del “queste cose non interessano a nessuno, son robe tra veronesi”. Interessano eccome invece e sarebbe ora di farle emergere anziché nasconderle sempre sotto al tappeto: sono gravi trascorsi e la loro risoluzione dovrebbe stare alla base delle tue/vostre impalcature argomentative, visto che si tratta pur sempre di condividere visioni e prospettive sul futuro della scalata, non solo quella veronese. Mi firmo anch’io (doppio) a scanso di equivoci.
Ciao,
Diego Perotti
Grazia, io per primo invito gli arrampicatori ad avere il massimo rispetto dell’ambiente naturale, ma la vedo dura essere in completa simbiosi. Solo il fatto di essere li è già un cambiamento, un disturbo, una intromissione. Che si fa non si pianta manco un chiodo nella roccia? Quindi solo free solo?
La roccia si unge, certo con l’uso si consuma. Anche noi dopo anni e anni di uso, ci consumiamo e ci viene l’artrosi. Quindi che si fa?
Massimo, proprio tu vieni a parlare di occasioni sprecate? Sai benissimo che uno dei principali obiettivi del progetto guida, al quale hai partecipato, era quello di abbattere i muri (in senso figurato) e riappacificare l’ambiente veronese. Ma dopo l’iniziale clima collaborativo siamo stati osteggiati, insultati, presi a pesci in faccia, e infine ignorati e disconosciuti, nonostante i nostri lunghi sforzi per recuperare e chiarirsi, e ora siamo tutti esasperati ed esausti da questa telenovela. Non stupirti quindi se ora tu, Andrea Tosi e i vostri colleghi raccogliete quello che avete seminato. Firmato: Giovanni Avesani. PS. il mio numero di telefono ce l’avete, se volete…
Come per Marcello, a me sembra poco coraggioso scrivere omettendo il proprio nome, soprattutto se si pensa che il cortile del mondo della montagna è piccolo e, gira e rigira, ci si conosce un po’ tutti.
Scelgo di non leggere i commenti di chi non è capace di esporsi, poiché li reputo dei monologhi.
About the article:
– trovo un po’ facile scrivere di non esagerare nel disboscare le aree alla base della parete. Se vogliamo preservare l’ambiente originale, le piante non andrebbero tagliate, al massimo si potrebbe tagliare qualche ramo, ma sempre in modo che la pianta non abbia a soffrirne.
– Quella che viene chiamata con leggerezza “erbaccia” costituisce parte del corredo rupicolo della flora di un luogo, piante super resistenti (molto più di noi, che abbiam bisogno di estirparle per salire per gioco una parete).
Lo stesso vale per le piante complete: come scritto, la loro funzione è anche di trattenere e stabilizzare le pareti.
– Se ci sono nidi o presenza di altri animali, magari bisognerebbe essere così saggi da ridurre la presenza umana.
Si invita alla simbiosi con l’ambiente naturale, ma solo facendo i propri comodi…
Inox
Ciao a tutti! Verona si dimostra ancora una volta la città dei Montecchi e Capuleti bene descritta da Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Apprezzo e ringrazio per i commenti costruttivi (non-veronesi).
Per il resto: livore, odio, gelosia, liti da cortile che non interessano nessuno al di fuori di Verona, finti anonimi che magari poi ti salutano in falesia…
Poteva essere l’occasione per riflettere su come salvaguardare il patrimonio verticale veronese e non e invece questa occasione è stata sprecata.
Comunque installare una catena ino costa ben più fatica di scrivere un post polemico e poi dura più a lungo!
Buone arrampicate a tutti!
Non conosco le problematiche veronesi, ma i consigli dell’elenco (oltre alle scarpe pulite e alla spazzolature di magnesite) mi sembrano del tutto ragionevoli. Per quanto riguarda la chiodatura è sempre molto difficile mantenere un compromesso tra sicurezza e non banalizzazione; qualche volta ci si riesce altre no. Tuttavia, salvo eccezioni, l’impatto dell’attrezzatura di una falesia mi sembra modesto e rapidamente reversibile. Se non curata una falesia si inselvatichisce in poco tempo. Molto si dovrebbe fare sull’educazione dei frequentatori che scambiano le falesie per parco per cani (senza raccolta feci), bestemmiatoi, etc etc e i parcheggi come camping per furgoni.
filastrocca:
A Venezia i gran signori hanno lasciato il posto a milioni di turisti da tutto il mondo e ai cinesi che gestiscono i ristoranti.
Padova sicuramente non sforna più i gran dottori di una volta.
A Vicenza non mangiano più gatti ma mangiano alle spalle delle caserme Nato.
A Verona… Sono ancora tuti mati!
Insomma, ragazzi, vi confesso che, tra Uno Polemico, Fuoriserie, Due Polemico, Seiperottoquarantotto, Gelido 3.0 e tutti gli altri ghiribizzi già stagionati, io incomincio a non capirci piú niente.
Adesso pare addirittura che Matteo sia il “clone” di Krovellik.
È la fine di un mondo!
Se pensiamo che il presidente di APM Verona – aka Esule Ceredoleso – ha chiodato una falesia in un luogo delicatissimo dal punto di vista ambientale, con al centro una bella cascata e relativa pozza dove un tempo si trovavano girini e rane toro poi sostituiti da favolose bottiglie di birra in fresca, andando a turbare un angolo di natura che non aveva certo bisogno di essere turbato (e chiodato), cercando poi di salvare l’insalvabile con tentativi ipocriti di tutela della scalata – tipo schiodare le vie sotto al 7a, tutte sikate per bene tanto che per alcune, cit., “mi sono calato direttamente con la pistola” (roccia mia quanto t’amo!) – comprendiamo il valore estetico-morale del testo di Marsimo, oltre alla coerenza di questa associazione il cui direttivo è frammisto di intellettualodi, alpinoidi, cavalli pazzi, “bogonari” – leggi “scie di bava su boschi verticali” – e “basabanchi” veronesi che fa della dialettica e dell’acume i propri capisaldi fondativi. Ah: pensate che la guida di cui si parla nei commenti la volevano firmare a nome APM, giusto per rimarcare la coerenza delle proprie vedute: se così fosse stato sarebbero usciti questi testi s-programmatici? Senza contare che al King Cock, nota palestra senza la quale il bacino di soci di APM sarebbe ridotto a 3-4 persone, hanno prima rifiutato di vendere Verona Rock, per poi accogliere festanti la guida del crucco. La verità è che è da 40 anni che provano a fare una guida (seria, no gli opuscoli da 20pp. sulla falesietta X) invano: che sia un banale caso di favola esopica?
P.S. @Bursi: ultimamente mi pare che ti venga benino scalare, persevera e trascura queste velleità di manifesto che ti riescono decisamente peggio (oppure fatti correggere i testi dall’amico filosofo :D).
Mi firmo con un nome d’arte per negarvi il dialogo, moneta che conoscete fin troppo bene a livello di direttivo.
Ciao
@Seiperottoquarantotto
Non è mica questione di nomi.
Più che altro pare che l’autore stia cercando di rinnegare quanto fatto in passato senza rinnegarlo davvero. Non si espone in maniera netta e utilizza un tono da santone dell’arrampicata, senza mai avere il coraggio di ammettere che lui e amici hanno fatto danni (come giustamente sottolinea Due Polemico…).
E ora vuole mettersi ad insegnarci come si va in falesia…
Il fatto è che non si può stare con il piede in due scarpe.
Hai ragione, ma ognuno può avere sempre le sue buone ragioni per non esporsi pubblicamente, tanto alla fine sono le idee che contano, non i volti. Per quanto riguarda le distanze tra le protezioni, provate ad andare a Ceuse… Ceraino è a mio avviso chiodata bene. Sono le nuove distanze che sviliscono l’arrampicata e tolgono quel pizzico di adrenalina data dall’aria sotto i piedi, pur arrampicando sempre in sicurezza. Anche ceredo è un bel esempio di chiodatura. Mentre le più recenti rendono l’arrampicata spezzettata e tolgono la possibilità di seguire i naturali movimenti della roccia senza dover sempre pensare al chiodo. Lo salto? Proseguo, rinvio così scomodo? Si tende a chiodare così in nome della sicurezza ma siamo proprio sicuri che rendendo così fruibili le nostre pareti non si ottenga l’effetto contrario? Mi pare siano sono gli incidenti causati da voli lunghi, mentre siano di più quelli dovuto ad errori umani per leggerezze dovute alla confidenza o alla distrazione.
@ 16
Concordo.
F.B.
Tutti coraggiosi questi rampicatori veronesi.
Sembra la fiera del soprannome.
Complimenti.
Sono d’accordo con quanto esposto dall’articolo, per questo pur essendo un chiodatore di Verona non ho voluto prendere parte della neonata associazione. Non condivido molti aspetti tra i quali come sono state chiodate da alcuni loro membri molte linee, alcuni modi di operare autoritari e la poca chiarezza nell’esporre i loro principi con paroloni e sofisticazioni senza mai arrivare al sodo.
Buoni tutti a criticare diranno loro, e ahimè hanno ragione, ma quando ci si espone con questi articoli, le chiacchiere stanno a zero.
Non posso che essere d’accordo con Uno polemico. Non sappiamo dove vuole arrivare l’autore con questi articoli, innanzitutto potrebbe tacere su nomi di luoghi e falesie veronesi che non sono state recensite per un motivo. In secondo luogo fa parte di una associazione il cui scopo è parlare di arrampicata sportiva in natura, per cui ha poco da lamentarsi se poi le persone vanno giustamente a scalare fuori. Associazione che per’altro ha sede in una delle tanto discriminate palestre indoor che non educano gli arrampicatori, e composta da persone che: richiodano itinerari di altre persone senza neanche chiedere il permesso; richiodano itinerari storici di altri chiodatori spostando gli spit e accorciandoli senza motivo; richiodano e chiodano vie (intersecandone altre) in falesie in cui manco ci si dovrebbe scalare, figuriamoci chiodare; chiodano vie multipitch facendo le linee dei bogoni, ovvero andando proprio contro a quel principio per cui non vale la pena chiodare dove c’è un bosco verticale. Ora non dico che l’autore è direttamente responsabile di tutte queste azioni, ma prima di provare ad educare il web potrebbe provare a parlare con i suoi amici… o almeno smettere di dargli corda (pun intented).
Se volete aprire nuovi itinerari d’arrampicata, soprattutto sulle pareti di bassa quota, lasciate perdere quelle con abbondante vegetazione: oltre ad un lavoro improbo sopprimereste un numero enorme di vite animali e vegetali! Quando lungo una via qualche pianta sembra che dia fastidio, valutate molto attentamente se eliminarla: sovente si può lasciarla dov’è, magari tagliando solo qualche ramo; a questo proposito, talvolta una pianta viene recisa e la ceppaia utilizzata come protezione (provvista di cordino): è come cinicamente affermare “t’ammazzo ma ti utilizzo”, salvo che poi il ceppo alla lunga muore e si stacca… Che dire poi delle piante sulle cenge, tagliate a 30 o più centimetri dalla base, perfette per farsi tanto male in caso di caduta, anche modesta? Non sarebbe meglio lasciarle, piuttosto? Per tacere dei problemi causati ai nidi degli uccelli, alle tane dei piccoli roditori, alle colonie d’insetti, ai rettili e a tutta un’infinità di ‘vite minori’ che hanno lo stesso nostro diritto di vivere, possibilmente indisturbate. Sarebbe comunque opportuno, prima che sia tardi, precludere all’arrampicata alcune pareti e falesie, o almeno parti di esse, perlomeno quelle con più vegetazione. Per concludere, prima d’intraprendere qualsiasi azione, non solo per ciò che riguarda l’arrampicata, è ovvio, vi esorto a cercare, per quanto possibile, di porre mente al primo (e a mio avviso il più importante) dei quattro voti del Bodhisattva: “Salvare tutti gli esseri”…!
Oltre che a causa delle nostre sagge osservazioni , la roccia si unge anche in base al tipo di roccia.
Ho toccato con mano falesie che erano unte ai tempi di Carlesso , e molti passaggi su vie lunghe calcaree protette ogni 6/7 metri
Io vorrei solo fare notare che l’autore di questo articolo e membro di APS sta seguendo una linea editoriale alquanto… Strana e ambigua.
Egli, infatti, ha, pubblicato una guida dettagliata delle falesie della sua zona, sponsorizzando chiodature con standard da palestra indoor (ovvero banalizzando i tiri, come al Sengio Rosso) pubblicizzando il tutto.
Tuttavia, si è, poi, accorto che le persone sanno leggere (e leggono la sua guida) e che tanti più spit piantano, tante più persone scalano… E ha quindi provveduto a fare un discutibile dietrofront, chiedendo di non pubblicare più guide (ma la sua rimane in commercio!?) e foto.
Non ha invece fatto dietrofront sullo standard di chiodatura, che rimane raccomandato da APS, sebbene qui appaia il contrario.
A che pro, quindi, portare ad esempio la chiodatura di Ceraino?
Non capisco quindi dove voglia parare con questi articoli, sta forse cercando di lavarsi la coscienza?
Come scrive Enri al commento 10, abbiamo commesso l’errore di credere che nessun altro avrebbe arrampicato e chi è causa del suo male, pianga sé stesso.
Vada a togliere qualche spit da Zen-zero al Sengio e ritiri la guida, se vuole cambiare qualcosa.
E poi diciamolo una volta per tutte. I primi che avrebbero dovuto tenere la bocca chiusa su quanto e’ bella la scalata in generale e quindi in qualche modo diffondendola appartengono alla ns generazione. Non tutti ma molti già’ allora erano in modalità social, anche se con altri strumenti. Per non parlare di quelli che hanno colorato l’arrampicata sportiva perfino con toni esistenziali rivoluzionari…
Abbiamo ( uso il plurale majestatis) semplicemente commesso l’errore di non pensare che dopo di noi sarebbero arrivati molti altri e le vie si sarebbero unte…
Tutte considerazioni di buon senso, un po’ scontate però mi viene da dire. Ne aggiungo una altrettanto banale: passano gli anni e passano gli arrampicatori sulle vie: ovvio che la roccia si consumi. Vogliamo mettere un numero chiuso? Detto questo di cosa stiamo parlando? A Finale interi settori chiodati 20 anni fa sono belli ruvidi…chissà come mai. E non si trova quasi nessuno…
Chiaro che se andiamo in un posto accessibile a tutti ci sarà folla confusione unto sulle prese. E la soluzione è’ quella di chiedere alla folla di non ungere e quindi astenersi dal l’andare a scalare? Non capisco.
Anche molte vie classiche del Verdon sono unte.
Finale resta la mia falesia del cuore. Accessi spesso scomodi, zero indicazioni, chiodatura non ascellare e gradi severi.
Se si trasforma la falesia in impianto sportivo non ci si lamenti per la frequentazione elevata. Con tutti i problemi che ne conseguono.
Negli anni ’80 arrampicare era un’attività per pochi e fighi. Oggi è praticamente per tutti e nella quantità gli idioti sono sempre la maggior parte.
Oltre a starmi sul cazzo i cani in falesia (inclusi quelli dei miei amici) detesto quelli col bastone che provano vie troppo difficili per loro. Il bastone se lo ficchino in culo e facciano vie più facili.
Lascerei la chiodatura al metro nelle strutture indoor ma sulla roccia chiuderei in modo che ogni passaggio di ogni grado sia obbligatorio.
Sopra Corvara c’è una certa falesia del lago (Boé) chiodata dal sottoscritto tutta di tiri facili tra il 4° e il 5° grado. Ogni passaggio è obbligatorio (provateci, su basse difficoltà non è facile) e la folla non c’è mai, neppure in agosto, quando in Dolomiti, se non piove, le falesie vengono prese d’assalto da personaggi inquietanti per tipologia e numero.
Basta fare così e vedrete che non dovrete manco scomodare gli indiani e i loro proverbi.
Poco tempo fa, al monte Corchia è apparso un cartello appeso a delle piante, fondo bianco con scritta rossa, che indica l’attacco di una via. Ora, premesso che per arrivare all’attacco di questa via ci vorranno 15 minuti, ma se a tutte le vie del Corchia , che tra lunghe e corte saranno un centinaio, o forse più, si mettesse ad ognuna un cartello come questo, ma che troiaio sarebbe!!
Possibile che non ci si pensi?
Noi siamo molto concentrati sul “nostro” ( roccia unta , troppe protezioni , etc ) , ma esistono centomila modi diversi di vedere la questione e centomila “benaltrismi” corrispondenti.Io rispetto le zone dove nidifica un rapace quando me lo fanno presente , però ci sono in giro tante persone che oltre che non rispettare la montagna e l’ambiente non rispettano neanche il loro interlocutore.Non sono un’attaccabrighe , ma le rare volte che ho avuto a che fare con chi buttava rifiuti in ambiente o posteggiava in modo poco rispettoso o disfunzionale , ho rischiato pure di prenderle..Come Massimo Bursi saprà benissimo , abbiamo “atleti ricreativi” che in prossimità dei siti di arrampicata della Val D’Adige non trovano di meglio di posteggiare le auto su terreni agricoli , rompendo i coglioni proprio a quei residenti che finora sono stati tolleranti.Gli “atleti” così risparmiano almeno 500 mt. di avvicinamento….La “sengia” di Marciaga secondo me si è unta con l’uso , credo che si sarebbe potuto ovviare solo non arrampicandoci come il capo indiano.Un’altra tribù è quella dei “podisti / ciclisti sportivi” , per i quali il degrado ambientale si situa una trentina di posizioni dopo il loro risultato al traguardo..Ieri sono stato ad arrampicare e sono sceso da un evidentissimo sentiero pianeggiante , che qualcuno aveva ritenuto di “bollinare” con la vernice gialla ogni 5 metri per evitare che i trail runners si perdessero….Su Facebook sto seguendo una disputa sul fatto che sia o meno opportuno postare belle foto di torrenti di montagna , per evitare di entrare in punta di piedi in un “Luogo del cuore” e trovarlo trasformato in disco- spiaggia , e pieno di rifiuti
Mi scuso, TELLESCHI
Concordo in gran parte con quello che scrive Tellòeschi. Ognuno di noi, cittadini e stato, ci dovrebbe mettere del suo. Certo che se lo stato fa come in Apuane, vieta la scalata al Soco d’Equi perchè disturba l’aquila, ma poi li vicino permette a suon di mine, ruspe, camion, motoseghe giganti, la DISTRUZIONE delle montagne, mi sembra che ci si prenda per i fondelli.
Di sicuro noi arrampicatori dovremmo essere i primi ad avere il MASSIMO rispetto della roccia e dei luoghi che ci permettono di soddisfare il nostro giochino. Ma spesso e volentieri non è così: disgaggi esasperati, scritte sulla roccia, placchette di metallo rivettate sulla roccia con i nomi delle vie, cartelli indicatori anche dove è banale il percorso, resina, rifiuti abbadonati, taglio di piante rare o che hanno tantissimi anni dei veri e propri patriarchi vegetali.
Il tutto a facilitare la vita all’arrampicatore che deve solo pensare all’arrampicata, alla performance e non si può permettere di perdere tempo in altre bischerate, quali l’avvicinamento, cercare l’attacco della via.
Alcune riflessioni (precisazioni?)
Scritto così sembra che Ceraino sia stata VOLUTAMENTE chiodata “in modalità esclusiva e selettiva”, mentre in realtà quello era lo stato dell’arte della chiodatura delle falesie dell’epoca. Lo stile di chiodatura si è SUCCESSIVAMENTE orientato (qualcuno direbbe involuto) verso una maggiore sicurezza (voli più brevi e passaggi meno obbligati). A Ceraino la chiodatura è rimasta quella “d’epoca” anche grazie alla qualità del materiale impiegato, che non ha finora richiesto campagne di richiodatura a tappeto (se non parzialmente in alcuni settori).
Qui purtroppo però non vedo comportamenti scorretti: la roccia si “unge” 1. per le sue caratteristiche (non devo certo spiegarvi come certe rocce si ungano più facilmente di altre) e 2. per la frequentazione, ovvero basta arrampicarci per contribuire al danno (che, tra l’altro, è irreversibile). L’unica raccomandazione che mi sento di aggiungere per limitare i danni (e che non vedo nell’elenco finale) è quella di pulire sempre le suole delle scarpette prima di arrampicare.
Vasto programma che temo inattuabile, quanto meno inefficace. Lo condivido nei contenuti, ci mancherebbe, ma il mio pessimismo nei confronti degli esseri umani mi porta a concludere che ci saranno sempre (tanti) cretini che faranno spallucce e se ne sbatteranno. Purtroppo anche se si educano 99 su 100, quell’ultimo cretino fa cmq danni. Siamo arrivati a livelli di danneggiamento tali che basta un battito d’ali di farfalla per determinare l’irreparabile. Cmq fornisco il mio sostengo al programma e nel mio piccolo sono anche io impegnato a educare non solo i climber ma ogni tipologia di frequentatore della montagna. Se ci coalizzassimo tutti, noi interessati alla preservazione dell’ambiente, forse qualcosa di più la otterremmo…
Tra le citazioni sono molto interessanti le parole del capo indiano Seattle sulla bellezza della terra. Ma c’è un equivoco: la terra non appartiene ai cosiddetti nativi. Tutti gli uomini hanno diritto alla stessa terra e lo stesso dovere di proteggere l’ambiente naturale. Se gli indigeni, come succede in particolare nelle Cinque Terre o sul lago Garda, non provvedono a rispettare l’integrità del territorio, lo stato dovrebbe sottrarre agli indigeni la gestione del territorio. Sulla stessa falesia dove l’arrampicatore educato non lascia traccia il comune costruisce una strada, più o meno ciclabile, e vanifica l’impegno dei cittadini. Ma non si tratta solo di una delusione personale: in questo modo il comune trasforma i cittadini attivi in oggetti passivi di emarginazione sociale e di derisione pubblica.