La cima dei dubbi

La cima dei dubbi
(traduzione dal sito di Ueli Steck)
di Patricia Jolly

Come ormai abbondantemente risaputo, Ueli Steck nell’ottobre 2013  scalò la parete sud dell’Annapurna in 28 ore concludendo l’itinerario anni prima tentato da Pierre Béghin e Jean-Christophe Lafaille. Vedi il nostro post dell’11 marzo 2014. Questa impresa gli è valsa la nomination al Piolet d’Or 2014, la cui giuria proprio domani dovrebbe comunicare il vincitore.

Ma il 15 marzo 2014 un articolo di Patricia Jolly, inviata speciale da Katmandu, esce sul quotidiano Le Mond. In questo articolo sono raccolte voci che dubitano della veridicità di quella performance. Onore al merito per Ueli Steck che ha deciso di pubblicare ugualmente, sul suo stesso sito ufficiale, tale articolo, che riportiamo qui sotto.

La gigantesca parete sud dell’Annapurna
Annapurna_I

– … Le critiche non sono una novità per questo alpinista insolito. Si muove sulle vette come se vi svolgesse una regolare disciplina olimpica e si allena come un maratoneta, così da essere stato soprannominato la “Swiss Machine”.
Quello che prima era un carpentiere, che non ha mai voluto diventare guida alpina, privilegiando il “fare solo sport”, è balzato davvero alla ribalta mondiale.

Ora le critiche si focalizzano sulla mancanza di testimoni oculari, sui problemi ad altimetro e macchina fotografica, o per aver “dimenticato” la connessione GPS in quelli che per Steck sono tentativi o imprese professionali.

In più, c’è la storia dell’essere stato coinvolto con due compagni (Simone Moro e Jonathan Griffith) nella rissa dell’aprile 2013 sotto al campo 2 dell’Everest, quando la colpa di ciò, per ammissione reciproca, stava da ambo le parti, alpinisti e sherpa.

Christian Trommsdorff, himalaista, vice-presidente dell’UIAA, membro del consiglio tecnico del Piolet d’Or e presidente del Groupe de Haute Montagne (GHM) ha ricevuto alcune mail che denunciano l’inconsistenza dell’impresa di Steck.
Queste missive arrivano da giornalisti, guide alpine e alpinisti di lingua tedesca.

Le domande sono logiche perché Steck è un alpinista professionista e, anche se nel Piolet d’Or non ci sono premi in denaro, una vittoria porta di sicuro benefici commerciali  e attenzione dei media – dice Trommsdorff, che ha avuto un incontro di due ore a febbraio con Steck – e lui mi ha anche detto subito di non avere alcuna prova sostanziale della sua salita, e che ciascuno al riguardo è libero di pensarla come vuole.

Lo statuto del Piolet d’Or non menziona la necessità di dare prova delle scalate fatte.

Quel che è accaduto forse è anche colpa mia – ammette Ueli Steck – non sono uno cui piace vantarsi di cose che non portano alcun beneficio all’umanità. Così ho sempre fatto ciò che pensavo fosse giusto: dare dettagli delle mie salite solo quando me li chiedono. E nessuno, fino a ora, mi aveva criticato con forza per non averlo fatto. No, non ho alcuna foto di vetta dell’Annapurna, perché ho perso la macchina fotografica e un guanto in quella piccola slavina in cui per la prima volta mi sembrò di dover morire. Non è successo e ho continuato, pieno di adrenalina.

All’inizio di marzo, a Katmandu, lo staff che accompagnava Steck ha confermato la versione dell’alpinista. Ngima Dawa, un assistente cuoco che aveva lavorato per la prima volta con l’alpinista svizzero, è stato raggiunto telefonicamente nel suo villaggio di Solo Khumbu. Laurence Shakya, che ha abitato a Katmandu per trent’anni ha tradotto in francese le sue parole in Nepalese: – Non ci fu contatto radio con lui – disse l’assistente cuoco – ma dal campo base, mi ricordo, riuscii a vedere la sua progressione grazie alla sua lampada frontale. Circa alle 23.30 era giusto sotto alla vetta (Steck ha detto di averla raggiunta più o meno all’una di notte), ma non posso dire quanto sotto, esattamente. Mi alzai alle 2 di notte e capii, dalla luce in movimento, che stava scendendo.

Tenji Sherpa, capo del campo base, dà altri dettagli: – Ueli non avrebbe dovuto salire da solo, ma il suo compagno, il canadese Don Bowie, prima si era ammalato poi aveva rinunciato perché spaventato dalla caduta sassi e slavine in parete. Ueli decise di andare avanti comunque. Disse: “Vedremo!”. Dal campo base avanzato, ancora più sotto alla parete che il campo base, lo vedevamo a tratti. Alle 6 del pomeriggio scomparve per circa un’ora, e fu quando si rifugiò in una cavità rocciosa per ripararsi dal forte vento. Dopo, rivedemmo la sua lampada frontale. Vidi a mezzanotte circa che era più o meno a 200 metri dalla vetta. Don e io andammo a dormire, poi ci alzammo alle 4 di mattina e vedemmo che stava scendendo. Gli andammo incontro. Aveva il viso molto bruciato e segnato, ma sembrava felice e molto “elettrico”.

– Non è che magari gli sherpa lo coprono perché lui li ha pagati?
E’ l’agenzia che ci impiega e ci paga, non gli stranieri per i quali lavoriamo – ribatte  Tenji Sherpa, offeso – Steck è il primo atleta del suo genere che ho mai incontrato sulle montagne. Lui è capace di fare in un’ora quello che altri fanno in un giorno!

Le informazioni fornite dallo staff sono assolutamente in linea con i fatti raccontati da Steck alla giornalista americana Elizabeth Hawley, cioè l’arbitro, sia pure solo ufficioso, delle salite nell’Himalaya nepalese. Le Mond ha potuto consultare la lista da lei compilata in decenni, esattamente dal 1963, un database scrupoloso nel quale talvolta ha smascherato bugie e inesattezze.

L’americana Elisabeth Hawley da più di cinquant’anni registra minuziosamente tutte le ascensioni compiute nell’Himalaya del Nepal.
Hawley-notaria_himalaya

La cordata delle guide alpine francesi Stéphane Benoist e Yannick Graziani, anche loro saliti per la stessa via due settimane dopo, difende Steck. Ridono quando gli viene chiesto se hanno visto tracce di Steck sulla vetta.
Beh, nel frattempo erano caduti più di 60 cm di neve fresca!
Quando Ueli si mette in parete e per arrivare in cima e tornarne vivo – spiega  Stéphane Benoist – tutto ciò che succede alla base gli è estraneo. Per me, lui ha un curriculum di enorme rispetto, e mai prende la montagna alla leggera. E’ andato da solo, più leggero di noi, ha usufruito di un tempo atmosferico perfetto e… semplicemente è più forte!
Credo fermamente – aggiunge Yannick Graziani – che Ueli abbia fatto la vetta. Questo non dovrebbe esonerarlo, in quanto alpinista professionista, dal dare prova di quello che ha fatto.

Nel frattempo, Lindsay Griffin, il più grande storico dell’alpinismo mondiale, ricorda che quest’anno sono state 76 le salite selezionate per il Piolet d’Or, e alla fine le nominate sono state cinque, una delle quali è quella di Steck. Tuttavia, secondo Griffin, gli organizzatori devono farci un pensierino: devono o no includere nello statuto la clausola dell’obbligatorietà delle prove? Domanda cui è difficile rispondere, perché la polemica si sta infuocando: la comunità alpinistica rivendica la libertà di agire e rifiuta qualsiasi manipolazione.

Patricia Jolly

Postato il 28 marzo 2014

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La cima dei dubbi ultima modifica: 2014-03-28T06:31:27+01:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “La cima dei dubbi”

  1. La parola di un Alpinista non andrebbe mai messa in discussione perché certi rischi non si prendono per denaro, se non ci fosse una molla più intima e potente certe salite epiche non sarebbero mai avvenute.
    Forse qualcuno è invidioso perché la progressione di Ueli Steck in parete è impressionante e lo si è visto in tanti filmati. Anche se è un professionista, scalando una parete come la Sud dell’Annapurna le fotografie credo fossero l’ultimo dei suoi pensieri. Forse io ho una visione “romantica” dell’Alpinismo e non riuscirei mai ha convivere con la falsità anche solo del modo in cui si è saliti. Chi punta il dito forse lo fa perché sa che egli stesso è in grado di dire falsità.

  2. Io non so cosa dire. Se non che mi piace proprio credere a Ueli Steck. E tanto mi basta.

  3. ELIZABETH HAWLEY.
    Riprendo dal testo: “… Le informazioni fornite dallo staff sono assolutamente in linea con i fatti raccontati da Steck alla giornalista americana Elizabeth Hawley, cioè l’arbitro, sia pure solo ufficioso, delle salite nell’Himalaya nepalese. …”.
    A me la “parte” della suddetta giornalista americana non è mai piaciuta, e non per questioni personali (non ho potuto andare per quelle montagne né posso pensare di farlo).
    L’aspetto che sfugge è vedere come quel che fa un alpinista venga passato al vaglio di estranei, che pretendono di dirne la loro, delegittimare, santificare (solo “di fatto”, naturalmente. Come se ciò non bastasse!).
    L’errore degli alpinisti è di avere accettato ed accettare simili ingerenze; la colpa di alcuni di essi è di accettare quando risulta utile.

  4. Tomo Cesen subì lo stesso trattamento… agli anglosassoni (statunitensi compresi nella definizione etnica) non va mai giù che non siano loro a fare tutto per primi… il Cerro Torre insegna…

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