Le Colonne d’Ercole – 2 (2-2)
(quasi 290 anni di esplorazioni dolomitiche)
Quasi 290 anni sono passati da quel lontano giorno del luglio 1726 in cui i veneziani Pietro Stefanelli, farmacista dell’alta società, e Giovanni Zanichelli, celebre botanico, si ritrovarono, quasi senza volerlo, in vetta al Cimon del Cavallo, una tra le cime dolomitiche ben visibili, nelle giornate terse, dalla laguna. “Lassù una vasta solitudine, luoghi orridi e belli, e nessun segno di vita umana e di coltivazione”, scrissero.
Visto che il loro scopo era la raccolta di erbe officinali, cosa li ha spinti fino alla cima? Non certo l’emulazione di cacciatori o pastori. E sarebbe stato già sufficiente andare lassù in alto per eventualmente menar vanto di imprese avventurose, senza bisogno della vetta. Dunque, rimane solo la meravigliosa ipotesi che siano stati catturati, a una cert’ora di un pomeriggio afoso, dall’enigmatico richiamo che il nostro spirito ogni tanto emette, come sapevano ben fare le sirene che Ulisse non volle ascoltare. Sessanta anni prima della conquista del Monte Bianco e ben prima dei viaggi interiori ed esteriori di Wolfgang Goethe.
Ne nacque una lunga storia che ha visto confrontarsi viaggiatori e alpinisti stranieri con le guide locali, con i locandieri, con la storia e le tradizioni della gente locale. In particolare, nel secolo XIX, sono stati i britannici a fare alpinismo sulle Dolomiti, facendovi nascere così il turismo.
Dopo la pubblicazione a Londra del Murray’s Handbook, nel 1837, le Dolomiti cominciano ad attirare i viaggiatori britannici, che percorrono le valli a piedi o a dorso di mulo cogliendo le immagini di “sublime grandiosità” indicate dalla guida.
Oltre ai numerosi scritti apparsi sull’Alpine Journal, il periodico dell’Alpine Club, furono pubblicati i diari di viaggio di Amelia Edwards, Elisabeth Tuckett, Douglas William Freshfield, Leslie Stephen. Ma il più fondamentale libro fu quello di George Cheetham Churchill e Josiah Gilbert, The Dolomite Mountains (1864). La loro opera “lancia” definitivamente le Dolomiti, che vengono inserite nel “Tour alpino” che il romanticismo ha contribuito a rendere di moda oltre Manica, come variante del “Grand Tour” che tradizionalmente viene compiuto, scendendo in Italia, nel percorso educativo delle classi più agiate del Regno Unito.
Nel 1857 nasce a Londra l’Alpine club, un esclusivo consesso di alpinisti che determina l’invenzione dell’alpinismo come noi lo intendiamo oggi. Anche le cime delle Dolomiti cominciano ad essere salite con sistematicità.
Nel 1868 esce la prima guida alpinistica delle Dolomiti, terzo volume di una collana fortunata che l’irlandese John Ball, sposo di una nobildonna di Bassano, pubblica a Londra con il titolo di A guide to the Eastern Alps.
In quel momento quasi tutte le vette maggiori erano state salite per l’itinerario più abbordabile. Inizia ora la lunga esplorazione delle creste, delle pareti, in un crescendo continuo dell’innalzamento del livello di difficoltà che porta nel 1925 alla conquista della parete più repulsiva e grandiosa, quella della Civetta.
Attraverso le epoche del Sesto Grado, dell’Artificiale, del Nuovo Mattino (conosciuto tardivamente anche in Dolomiti), e con il coinvolgimento di alpinisti di tutta Europa e non solo, si attraversa tutto il secolo XX e si giunge all’apertura, sempre in Civetta, di una via dal nome sintomatico, Colonne d’Ercole: si tratta della realizzazione che incarna in sé i valori massimi di difficoltà, di bellezza e di purezza di arrampicata libera (2012, Alessandro Baù, Alessandro Beber, Nicola Tondini). Il nome evoca un passaggio epocale, come è certamente quello in cui le Dolomiti e la loro storia, nonché il nostro alpinismo, si trovano.
Nel 1988 qualcuno ebbe l’idea di festeggiare i duecento anni della scoperta geologica delle Dolomiti, solo perché nel 1788 (o 1789) il marchese Déodat de Dolomieu, geologo francese, lungo la strada tra Trento e Bolzano aveva raccolto alcuni campioni di roccia di colore chiaro simile al calcare, ma che da questo si differenziava per via della diversa reattività all’acido cloridrico.
Fu soprattutto un’operazione marketing, come oggi rischia d’essere intesa anche la più recente nomina a Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
Le cartoline che raffigurano alcune tra le vette dolomitiche più belle e caratteristiche sono note in tutto il mondo, l’immagine delle Tre Cime di Lavaredo fa concorrenza al Cervino quanto a staticità dell’idea che ce ne siamo fatta. Sciare nelle nevi splendenti con la corona delle guglie dolomitiche è un quadro mentale dal quale nessuno può ormai liberarsi. L’idea della perfezione ha sostituito non solo il ricordo, ma anche il desiderio di ulteriore conoscenza.
Il simbolo sta uccidendo il padre, l’immagine (soprattutto quella virtuale) è più importante della realtà fisica. Di questo sono responsabili gli alpinisti che hanno portato, come angeli, la conoscenza di un mondo sublime, di cui la gente si nutre. Loro stessi però non sapevano quel che facevano, e dobbiamo perdonarli.
Sassolungo e Sassopiatto dall’Alpe di Siusi, in un’illustrazione di J. Gilbert e G.C. Churchill, The Dolomite mountains, 1864
Il mistero di queste montagne è stato svelato nel momento stesso in cui l’esplorazione dava risultati molto visibili. Quando anche la Sud della Marmolada non ha più avuto segreti per i migliori ecco che i caroselli sciistici hanno sostituito totalmente la realtà. Come non ci fosse più bisogno della Gioconda di Leonardo o del Partenone ma ci accontentassimo delle loro fotografie.
Viene il dubbio che la soluzione sia quella di dimenticare la storia e ritornare a guardare queste montagne con gli occhi di un bambino, che sa mescolare così bene la fiducia e la paura.
Queste sono le Colonne d’Ercole che abbiamo paura di attraversare. Mille convenienze e piccoli e grandi interessi ci stanno remando contro e non ci lasciano abbandonare il Mare Nostrum, diventato angusto come una culla che prima o poi dovremo abbandonare. Dobbiamo avere fiducia che lo spirito, quello stesso di Zanichelli e Stefanelli, ci richiami ancora, con voce più forte.
Manolo libera Solo per vecchi guerrieri
Questo accorato articolo – quasi un canto notturno di un Gogna errante delle Alpi – ha piú di otto anni, ma non è mai stato commentato.
Vergognatevi! 😀 😀 😀
P.S. Alessandro, controlla se l’articolo l’hai davvero scritto di notte. Se cosí non è, mi cade tutta la similitudine leopardiana.