L’Everest vittima del suo fascino
(e della crisi climatica)
a cura della Redazione di Afp, Francia
(pubblicato su internazionale.it il 24 maggio 2023)
Traduzione di Elisa Nesta
L’Everest ha concluso questa stagione con un numero record di alpinisti, un migliaio di persone che speravano di raggiungere la più alta cima del mondo, a 8848 metri di altitudine, dopo una salita costosa ma anche pericolosa, in buona parte a causa del cambiamento climatico.
La prima spedizione sull’Everest, chiamato Sagarmatha in Nepal e Chomolungma in Tibet, fu organizzata nel 1921 dai britannici, ma dovettero passare 32 anni e diverse spedizioni prima che il nepalese Tenzing Norgay e il neozelandese Edmund Hillary raggiungessero infine il “tetto del mondo”.
Un’esperienza ottimale
Settantadue anni dopo, folle di alpinisti si radunano regolarmente e sempre più numerose sui fianchi della mitica montagna. In totale, più di seimila scalatori hanno raggiunto la cima, la maggior parte negli ultimi vent’anni.
“L’Everest è la montagna più alta ed è dall’alto dell’Everest che il vostro messaggio può guadagnare molta attenzione”, afferma l’alpinista Hai Budha Magar, un anziano combattente gurkha amputato di due gambe, che compie le salite per sensibilizzare il pubblico al tema della disabilità.
Il costo dell’ascensione varia dai 45mila ai 200mila dollari (tra 41mila e 182mila euro), in cui sono compresi il permesso delle autorità per gli scalatori stranieri (undicimila dollari), il viaggio, l’assicurazione, gli equipaggiamenti, il materiale e, ovviamente, le preziose guide.
Secondo Pasang Tenje Sherpa dell’agenzia Pioneer adventure, negli ultimi anni i costi sono aumentati anche a causa delle richieste degli alpinisti che vogliono un’esperienza ottimale: “Oggi c’è una forte concorrenza tra le agenzie per offrire i migliori servizi ai loro clienti”. Al campo di base sono ormai disponibili pasti di qualità o connessioni wi-fi per restare in contatto con i familiari e apparire sui social network, comfort impensabili per i primi scalatori.
La salita dell’Everest, tuttavia, non è meno pericolosa di allora: secondo l’Himalayan database sono morte più di trecento persone dall’inizio della storia della scalata di questa montagna. E nella stagione di quest’anno sono già morte tre guide nepalesi, travolte dal ghiaccio sulla seraccata del Khumbu e precipitate in un crepaccio. Il 1 maggio è deceduto anche lo scalatore statunitense Jonathan Sugarman, di 69 anni che si è sentito male al campo II.
Anche se nessuno studio approfondito è stato condotto sugli effetti del cambiamento climatico per l’alpinismo sull’Himalaya, alcuni esperti scalatori hanno segnalato l’allargamento dei crepacci, la presenza di rivoli d’acqua su percorsi prima innevati e la formazione sempre più frequente di laghi glaciali.
Uno studio realizzato nel 2019 ha rivelato che i ghiacciai himalayani si stavano sciogliendo due volte più velocemente rispetto al secolo scorso. “A lungo termine, le temperature più calde rendono le montagne instabili e ciò aumenta il rischio (…) di cadute di pietre, cadute di ghiaccio e valanghe”, spiega Lukas Furtenbach dell’agenzia Furtenbach adventures.
Gli esperti sottolineano che il gran numero di scalatori fa aumentare il rischio di incidenti mortali. Almeno quattro degli undici decessi che si sono verificati nel 2019 sono stati attribuiti alle conseguenze del sovraffollamento.
Il Nepal ha già consegnato 466 permessi per la salita dell’Everest in questa stagione e, poiché la maggior parte degli alpinisti deve essere accompagnata da una guida, si può calcolare che più di 900 persone stanno tentando di raggiungere la cima (stima del 24 maggio 2023, NdR).
Le guide nepalesi – di solito di etnia sherpa delle valli vicine – sono la spina dorsale di questa industria multimilionaria, e corrono enormi rischi per trasportare attrezzature e cibo, riparare corde e scale.
Rimasti a lungo in ombra rispetto agli alpinisti stranieri, stanno lentamente ottenendo il giusto riconoscimento del loro ruolo e delle loro abilità di salita, e i riflettori cominciano ad accendersi anche su di loro, dato che i record sulle vette himalayane appartengono tutti alle guide nepalesi. “All’inizio, i nepalesi arrampicavano per sopravvivere, ma le cose stanno cambiando a mano a mano che le nuove generazioni acquisiscono esperienza e istruzione”, ha detto Ang Tshering Sherpa, ex presidente della Nepal mountaineering association.
Il commento
di Carlo Crovella e della Redazione
La vetta dell’Everest dovrebbe essere uno dei luoghi più isolati e reconditi della terra: 8848 m di quota, nessun punto è così distante dal bagnasciuga e dalle metropoli.
Invece l’Everest è diventato un vero porto di mare, con tutti i difetti annessi e connessi. La situazione sta precipitando e, francamente, non si vede come si possa intervenire, il che fa sospettare di aver già oltrepassato il punto di non ritorno.
La stagione 2023 dell’Everest è terminata: tutto è rinviato alla stagione autunnale. Si possono tracciare alcuni consuntivi. Tutti critici.
Troppa gente in assoluto: 478 permessi rilasciati dal Governo nepalese e ben 617 persone in vetta, sia uomini che donne. Alcuni con disabilità: non vedenti oppure sordi dalla nascita e poi un ex Gurkha, il primo a salire fino a 8848 m seppur amputato sopra al ginocchio a entrambe le gambe. Non si può che condividere la felicità di queste persone, ma è innegabile che anche questi risvolti accentuano il carattere circense e farsesco che ha assunto la montagna più alta della terra.
La stagione 2023 è risultata molto fredda, ma i clienti delle spedizioni commerciali indossano stabilmente calze e guanti riscaldati. Ciò nonostante, enorme è stato il numero dei congelamenti, che tra l’altro ha comportato un affollamento imprevisto negli ospedali a basse quote e addirittura la rarefazione di alcuni specifici farmaci.
Record è anche il numero dei voli in elicottero (pare superiori a 200) fino al Campo II. L’unico motivo autorizzato è il soccorso di alpinisti infortunati o congelati. Ma pare che se ne abusi: voci maliziose insinuano che alcuni voli siano serviti per trasportare materiale verso o dal Campo II. Non si esclude neppure qualche traposto di alpinisti che preferiscono “evitare” la Icefall, sia in salita che in discesa.
Qualcuno (in particolare fra le agenzie commerciali USA) propone di posizionare stabilmente al Campo II una squadra di soccorso. Dicono che è già così da altre parti, per esempio all’Aconcagua (Argentina) o al Denali (Alaska). Aggiungono che non vedrebbero male dei ranger di stanza al Colle Sud, anche per prevenire i furti. Insomma, un ambientino niente male: tutto tranne che pura wilderness.
Di “avventuroso” resta il rischio. Quest’anno si sono registrati 17 fra morti e dispersi, uno degli anni più neri da sempre. Ha ragione il blogger americano Alan Arnette quando precisa che le vittime sono soltanto il 2,76% degli aspiranti alla vetta. Ma è indubbio che qualcosa non quadra: con tutto il circo che c’è lassù, i morti sono tantissimi. Ciò richiederà sempre più sistemi di sicurezza/prevenzione, cioè aumenterà (anziché diminuire) l’andazzo da circo.
Si tenta di arginare il trend, ma il business la farà da padrone. Arnette propone di concedere i permessi all’Everest solo a chi ha già fatto un altro Ottomila. L’idea non è malaccio (pare che in Cina facciano già così), ma creerebbe altri canali commerciali: due Ottomila collegati, tutto grasso che cola per le agenzie.
Tanto afflusso antropico significa inevitabilmente masse ingenti di rifiuti. A fine maggio Tenzi Sherpa ha diffuso su Instagram un video ripreso al Colle Sud: sembra di essere in mezzo a una discarica!
Lo stesso Tenzi Sherpa ha dichiarato al settimanale Newsweek: “C’erano tende abbandonate, bombole di ossigeno, posate e tanto altro. Alcune spedizioni lo fanno apposta, tagliando o cancellando il loro logo dal materiale abbandonato. Credo che il governo debba creare regole più severe, e che chi sporca in questo modo debba essere bandito a vita da tutte le montagne del Nepal”.
Su tutto questo si aggiungono le conseguenze del riscaldamento globale: i ghiacciai stanno fondendo rapidissimamente, i crepacci sono più larghi del passato, il tempo è più imprevedibile.
Sarebbe un sogno una moratoria per l’Everest: almeno cinque anni senza neppure un essere umano. Per decreto? Per auto-limitazione? Per entrambi? Ma perché mai sperare che possa essere presa questa decisione, se dai più è ritenuta tanto impopolare quanto inutile?
Certo, con cinque anni senza neppure un Sapiens sulle sue pendici, forse l’Everest potrebbe riprendere a respirare. Ma, dopo, tutto ricomincerebbe e peggio di prima.
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Pratiquer la montagne de cette façon quelle horreur !
i cambiamenti saranno effimeri ma nell’arco di decenni e decenni.
Non scelgono di fare quel lavoro rischioso perché non c’è scelta
come non sceglievano quelli che andavano in miniera
certo l’alternativa era fare i ladri o i lazarùn
come scrive Flo non si sta più parlando di alpinismo ma di crociere organizzate e direi anche che se se ne parlasse meno sui siti o blog che dicono di essere alpinistici sarebbe meglio
volete discutere o trattare di alpinismo o himalaismo vero ?
ok
fatelo
volete trattare di viaggi organizzati e crociere ?
ok fatelo
@ Grazia al 13. Stanno facendo di tutto perchè siano sempre più pochi quelli che possano scegliere.
Caro Stefano, hanno fame come chi ha accettato di lavorare in miniera, in fabbrica o in raffineria pensando che la vita sarebbe cambiata.
Se ci sono cambiamenti, sono solo effimeri e mai salutari, anche se si usa il termine “benessere” accostandolo all’accumulo di beni materiali (per parlar ancora una volta di termini usati non a proposito).
Anche qui sull’Etna se ne vedono di tutti i colori. Proprio stasera un collega mi ha segnalato la presenza di un bimbo di 4 anni ai Crateri Sommitali (3300 m, un’eruzione appena conclusa e probabilmente in ripresa).
Personalmente non capisco come qualunque somma di denaro possa essere barattata con la vira stessa e, nel mio piccolo, non alimento questa che ritengo una follia.
Ringrazio anche io Floriano.
Ben descrive la situazione. Se lì vi è l’affollamento non gliene frega niente.
Loro hanno FAME, non hanno la panza piena come voi che ciarlate di co2, all’affollamento delle montagne, ai gradi, alla pioggia o secco… pensano al concreto.
Ringrazio Floriano (Castelnuovo) per la preziosa testimonianza.
Personalmente non me potrebbe fr…. Di meno del numero di pagliacci benpaganti che si incolonnano sulle cime più blasonate rischiando la pelle.
Purtroppo non la rischiano solo i ricchi alpinisti ma anche le povere genti locali che li supportano
Vedendo poi la scena del K2 di pochi giorni fa sinceramente ho ribrezzo per non dire di peggio di queste misere persone che non sanno cos’ è la pietà!
A quando l annuncio di una strage? Con questi numeri non si dovrà aspettare molto e poi? Avanti daccapo!
Che pagliacci
Ciao a tutti.
Quest’anno sono esattamente quarant’anni anni che frequento il Nepal e la valle del Khumbu in modo particolare.
Da quasi vent’anni passo praticamente otto mesi all’anno nella regione dell’Everest, oltre per la passione che ho dei luoghi, anche per motivi affettivi.
Nel villaggio dove vivo: Khumjung, ho amici Sherpa di lunga data, spesso parlando tra di noi bevendo un buon bicchiere di “chang”: la birra di riso locale, mi trovo a dire, “certo che il Khumbu trent’anni fa era molto più bello e genuino”, loro di rimando mi rispondono:
“sicuramente, ma noi stiamo molto meglio adesso”.
Pensando poi al Nepal come paese da terzo mondo e ad una classe politica corrotta all’estremo, dal mio punto di vista personale il business Everest e altre montagne famose del Nepal, non si fermerà tanto presto.
Naturalmente senza entrare nel merito di chi e come viene praticata questa attività che non ha niente a che vedere con l’Alpinismo.
Saluti Floriano
Temo che la visione del Sign Enri sia attuale…per il futuro Everest in bici elettrica
Il fatto che ci sia gente disposta a pagare una fortuna per farsi mettere una bombola di ossigeno in bocca e salire una vetta (che non si sa bene poi cosa sia visto che hai respirato aria di alcune migliaia di metri più in basso) mi trova totalmente non d’accordo ma non mi stupisce. Avete notato da qualche tempo a questa parte quante bici elettriche in montagna vedete? Praticamente tutte. Rare ormai le bici non Elettriche. E’ lo stesso principio: la gente fondamentalmente non vuole faticare e non vuole accettare il fatto di non poter fare certe cose o di non raggiungere certi luoghi. E chi ha captato il business ci va giù pesante. Soluzioni? Non ne vedo, o meglio, non vedo come le soluzioni che anche qui a volte si immaginano possano essere implementate, vista la domanda e visto chi amministra questi luoghi.
Carlo, stavo scherzando!
So perfettamente che sei uno spirito democratico (nonostante qualche vizietto che di tanto in tanto emerge – anzi, esplode – nel GognaBlog 😉😉😉). Magari ce ne fossero di piú come te! Il nostro Paese andrebbe meglio.
P.S. D’altra parte, se non punzecchio te, chi punzecchio qui?
A Torino, quanto meno nel mio gruppo umano di abituale frequentazione (da che sono nato), si usa tranquillamente il termina bagnasciuga al posto di battigia, ma senza alcun sottinteso politico-ideologico. Non c’è bisogno di ancorarsi a queste facezie, ben altri sono i riferimenti del paradigma politico. Tra l’altro la destra torinese (quella “vera” e tradizionale) non è mai stata mussoliniana (a parte qualche balengo che statisticamente esiste ovunque, allora come adesso…), a tal punto che, anche nel ventennio, Mussolini non provava nessun piacere nel venire a Torino. E difatti ci è venuto pochissimo. Gli operai della FIAT lo fischiavano apertamente nelle piazze e l’establishment intellettuale lo trattava freddamente e con distacco. Certamente qualche “scalmanato” ci sarà stato allora, ci mancherebbe, come qualche “svalvolato” che fa il saluto romano c’è anche oggi, ma non è il carattere distintivo delle nostre parti. Abbiamo altri standard di riferimento.
Il bagnasciuga è la carena di un natante (una barca come una nave), là dove l’onda sbatte alternativamente quando il natante avanza: ecco perché alternativamente è bagnato e non bagnato. Mentre la battigia è il punto della costa (in genere spiaggia) dove si verifica il va e vieni dell’onda naturale del mare. A grandi linee questa è la differenza. Ma si tratta di quisquilie, in particolare sul caso di specie.
Infatti, nella frase in questione, la differenza fra battigia e bagnasciuga è irrilevante. La cima dell’Everest è il punto più distante dal livello del mare, questo è il concetto base della frase. Che poi, per “livello del mare”, ci si riferisca – pur impropriamente – alla carena di un natante (carena che. se di una barca, sta pochi metri sopra il pelo dell’acqua e, se invece di una nave, tipo transatlantico, starà a 20-30 forse anche 50 metri sul pelo dell’acqua) nulla incide nella frase in questione. Non sono quei metri di differenza la magagna dell’Everest.
La parola bagnasciuga la utilizzò in modo errato Mussolini in un suo celebre discorso il 24 giugno 1943 con riferimento alle voci di un imminente sbarco alleato in Sicilia.
Dopo l’infausto “Spezzeremo le reni alla Grecia”, ecco a voi il Duce a proclamare solennemente che ogni tentativo di sbarco sarebbe stato “congelato su quella linea che i marinai chiamano bagnasciuga“.
Infatti, il successivo 10 luglio gli Alleati sbarcarono in Sicilia senza tanti problemi…
Dopo ottanta anni dal “discorso del bagnasciuga” è ora di usare la parola corretta: battigia, come giustamente annota Paolo Ascenzi.
Nel frattempo, peró, l’altro termine col significato sbagliato si è diffuso a tal punto che viene menzionato perfino nel vocabolario Hoepli.
O invece sono i vecchi fascistoni superstiti a continuare a usarlo nel 2023 in segno di omaggio al Duce? 🤚🤚🤚
Carlo, confessa: sei tu un nostalgico? 😂😂😂 😉😉😉
Uno dei miei sogni di montagnino praticante è quello di andare a “buttare un occhio” ai giganti himalaiani, ma anche se avessi a disposizione il budget necessario per la salita all’Everest, non so se imbarcherei nell’impresa. L’idea di incolonnarmi come all’ufficio postale sulla cresta sommitale in attesa del mio turno di salita non mi attira per niente. Però credo che ognuno dovrebbe essere libero di fare un po’ quel che gli pare. Ma i governi locali dovrebbero imporre a tutti (spedizioni “commerciali” e non) regole precise relative ai rifiuti prodotti nelle spedizioni per evitare di traformare le pendici della montagna nella più alta discarica a cielo aperto del mondo.
Battigia… non bagnasciuga
Crovella, potresti organizzare una campagna che passi per Chamonix, Zermatt, Alagna, Cortina, Courmayeur, ecc. proponendo di chiudere la salita alle cime più famose, come il Bianco, Cervino, Rosa, Tofane, ecc… per 5 anni.
Però dovresti offrire lavoro per 5 anni a qualche centinaia di migliaia di persone.
Se pensi di farcela, fallo.