L’Incompiuta di Ottorino

Introduzione
di Carlo Crovella

A fronte dell’edizione 2019 del Trofeo Mezzalama (www.trofeomezzalama.it), in calendario, meteo permettendo, il 27 aprile, è interessante indagare sulla visione dello scialpinismo che caratterizzava il personaggio Mezzalama. Lo si può fare attraverso l’articolo di Pietro Crivellaro, pubblicato su ALP 232 del febbraio 2007, dove si descrive l’ideale progetto di Mezzalama: percorrere tutte le Alpi in sci. Il progetto verrà completamente realizzato solo nel 1956 ad opera di due compagini, poi congiuntesi cammin facendo: quella di Bonatti e quella dei fratelli Detassis.

L’idea di rendere omaggio a Mezzalama con un Trofeo in alta quota baluginò già negli anni ’30 in testa ad alcuni torinesi, fra i quali si distinse in particolare Piero Ghiglione, soprannominato “Piero presto” perché sempre in partenza per qualche spedizione.

Alla prima edizione del Trofeo Mezzalama, quella del 1933, parteciparono due squadre torinesi. La prima correva sotto le insegne dello Ski Club Torino e comprendeva Piero Ghiglione, Adolfo Vecchietti e Pietro Ravelli (detto Pipi): si classificarono ottavi.

La seconda squadra, in rappresentanza del CAI Torino (ma erano tutti e tre soci anche dello Ski Club Torino) annoverava Giusto Gervasutti, Achille Calosso e Secondino Colombino: giunsero sesti. Fu in quella occasione che un cronista sportivo, nel resoconto della competizione, scrisse che “stava transitando il fortissimo Gervasutti”. Da quel momento Gervasutti sarà per tutti “Il Fortissimo”. Altri tempi.

L’Incompiuta di Ottorino
di Pietro Crivellaro
(pubblicato su ALP 239, febbraio 2007)

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)

Tra le scarne notizie che si conoscono sulla vita di Ottorino Mezzalama quella più nota e celebrata riguarda la sua straordinaria conoscenza scialpinistica dell’arco alpino. Tutti tramandano con insistenza che quando venne travolto da una valanga quel disgraziato 23 febbraio 1931 scendendo a valle dal rifugio Regina Elena (oggi Dino Biasi) nelle Alpi Breonie presso Vipiteno, stava coronando il suo sogno di completare una grande haute route delle Alpi, dalle Marittime alle Giulie. Se ne accenna perfino nelle quattro frasi lapidarie riportate sul cartoncino di partecipazione stampato all’indomani dei solenni funerali svoltisi a Torino: «Amò e servì la montagna con cuore di poeta e di soldato / fu sempre pronto con tutti i tempi ad aprir la via e a portar soccorso / Di vetta in vetta per lo studio delle Alpi avvicinò i due mari / Una valanga lo fermò sci a i piedi sguardo al cielo».

Ottorino Mezzalama

Nel necrologio dedicatogli sulla Rivista Mensile del CAI dal fraterno compagno di cordata Piero Ghiglione, come lui alpinista accademico e membro dello Ski Club Torino, troviamo una spiegazione più dettagliata: «Infaticabile camminatore, avido di sempre nuove ricognizioni – scrive Ghiglione – Mezzalama si era messo in questi ultimi anni a studiare molti itinerari di high level roads, da compiere con gli sci nei diversi gruppi alpini della nostra zona di confine. Molti di questi itinerari egli aveva ormai effettuati, ritornando più e più volte con enorme tenacia sui medesimi itinerari quando il brutto tempo gliene aveva impedito la riuscita e proseguendo anche se la zona poi si dimostrava niente affatto sciabile, sia per i pendii che per le condizioni». Secondo Ghiglione: «il grande merito di Ottorino Mezzalama sta nell’aver voluto, da buon italiano, conoscere appieno alpinisticamente tutta l’alta zona confinaria, farsi un’idea esatta dei possibili allacciamenti sciistici e darne poscia ampia relazione. Opera senza dubbio altamente mirabile, fatalmente troncata quasi al termine, ed esempio da seguire, soltanto da provetti alpinisti sciatori. Egli rimane ad ogni modo uno fra i più grandi conoscitori della nostra cerchia alpina specialmente sciistica, dal Tirreno al Brennero (Rivista Mensile CAI, luglio 1931, pp. 437-38)».

Questa era la fama di cui godeva Mezzalama presso i contemporanei, soprattutto presso i compagni torinesi del CAI, dell’Accademico e dello Ski club che si coalizzarono per ricordare degnamente la bravura dello scomparso con una gara di scialpinismo d’alta montagna, una gara senza precedenti, che venne allora considerata il “sestogrado” dello sci.

Dal Moncenisio allo Spluga
Ma in cosa consisteva concretamente l’originalità e l’eccellenza di Mezzalama? Qual era esattamente il percorso che egli aveva tracciato da un capo all’altro delle Alpi? Oggi, se non impossibile, è certamente arduo dare risposte soddisfacenti perché, se si va a vedere, la documentazione scarseggia. Della carriera e delle attività di Mezzalama non si sa poi un granché, di lui ci sono

rimasti ben pochi scritti, della sua vasta produzione fotografica – qualche sua foto si rinviene anche sulla Treccani originale – si è persa ogni traccia. Non c’è mai stata una vera pubblicazione della haute route di Mezzalama attraverso le Alpi, non esiste una descrizione completa del percorso a tappe. Esistono solo alcuni spezzoni, che si riducono sostanzialmente a due, collegabili in una traversata continua dal Moncenisio allo Spluga; il resto delle Alpi, quasi tutto percorso, non risulta descritto. Il primo resoconto, Dal piccolo S. Bernardo al Passo dello Spluga in sci fu pubblicato sulla Rivista Mensile del CAI sul fascicolo del febbraio 1930 (pp. 9-22). L’articolo illustrato da numerose foto dello stesso Mezzalama descrive il tratto più alto delle Alpi, attraverso il Monte Bianco, le Alpi Pennine, l’Oberland Bernese e le Alpi Lepontine. Il secondo resoconto uscì un anno dopo, sul fascicolo del marzo 1931 della Rivista Mensile del CAI, quello che annuncia la morte dello sciatore con una solenne apertura di Angelo Manaresi, il presidente del CAI fascista. Il resoconto Traversata delle Alpi Graie in sci (pp.133-146, con varie foto) descrive le tappe dal Colle del Moncenisio al Piccolo San Bernardo. Lo stesso testo, senza foto, è stato riprodotto nella Storia dello Ski club Torino (pp. 89-96) che risale al 1971.

Ottorino Mezzalama

Il libro di Kurz, 1925
Del resto l’idea di concatenare una tappa all’altra per traversate sempre più estese non è stata inventata né da Mezzaluna, né da Léon Zwingelstein, ma fu sperimentata dai pionieri dello sci già a inizio Novecento. Entrambi furono sicuramente influenzati dallo storico libro dello svizzero Marcel Kurz Alpinisme hivernal: le skieur dans les Alpes che nel 1925 faceva il punto sullo stato dell’arte dello sci, all’indomani delle prime Olimpiadi invernali di Chamonix (1924). Nello stesso periodo cominciava lo scisma tra lo sci originario degli alpinisti e lo sci da pista che negli anni Trenta prenderà il sopravvento e nel dopoguerra darà vita allo sci di massa. Tradotto in italiano (ahimè senza il sottotitolo chiarificatore) nel 1927 dal giovane Adolfo Balliano con Eugenio Ferreri (Alpinismo invernale, Pinerolo), il classico Kurz è stato ritradotto per i Licheni Vivalda da Luciano Ratto nel 1994, con l’eloquente sottotitolo Le origini dello sci-alpinismo. Se andate a sfogliarlo, scoprirete che la seconda parte descrive traversate a più tappe ormai collaudate: le Alpi Pennine dal Gran San Bernardo al Sempione, le Lepontine dal Sempione al Gottardo, il giro del Bernina, una haute route dall’Oisans a Chamonix.
In coda Kurz riporta anche una haute route dal Moncenisio al Col de la Seigne sotto il Monte Bianco, collaudata dal nostro Aldo Bonacossa.


Da sinistra: Adolfo Vecchietti, Piero Ghiglione e Pietro Ravelli (“Pipi”), pionieri dello sci torinese negli gli anni ’30, durante il Trofeo Mezzalama del 1933 (per gentile concessione della Biblioteca Nazionale del CAI)

Il raid degli Alpini, 1929
Mezzalama, nella seconda metà degli anni Venti, dichiaratamente riprende quelle esperienze, ma le perfeziona tenendosi il più alto possibile. Sarebbe però un’ingenuità attribuire oggi i suoi sforzi di tanti anni a un movente puramente sportivo. «Da buon italiano» come dice Ghiglione nel suo necrologio, Mezzalama è influenzato dall’istanza patriottica, allora enfatizzata dal fascismo che considera le Alpi, costate la vita a tanti alpini nelle trincee della Grande Guerra, una sacra frontiera da difendere, considera gli alpinisti (e sciatori) come il fior fiore degli alpini e lo sci anzitutto una tecnica di addestramento militare.

Ecco perché, mentre lo scialpinista di origini borghesi, torinese d’adozione, accumula gite per comporre la sua ideale haute route alpina, un analogo percorso a tappe viene collaudato sul campo dalle truppe alpine con un grande raid svoltosi nel gennaio 1929. La Cronaca alpina della Rivista Mensile del CAI nel fascicolo 5-6 del 1929, che dà laconica notizia dell’avvenuto trasferimento della Sede Centrale del CAI da Torino a Roma, apre con La grande staffetta sciistica degli alpini, «la più grande che sia stata mai disputata». In effetti si trattò di una ragguardevole impresa compiuta da pattuglie militari, rappresentative dei nove reggimenti alpini e dei quattro di artiglieria da montagna, che in una ventina di giorni, in condizioni spesso difficili per il freddo e il maltempo, coprirono tutto l’arco alpino da San Dalmazzo di Tenda nelle Marittime a Tolmino nelle Alpi Giulie.


Ottorino Mezzalama in alta Val Susa, anni ‘20 (per gentile concessione della Biblioteca Nazionale del CAI)

Walter Bonatti, 1956
Con la morte di Mezzalama (e di Zwingelstein) la traversata scialpinistica delle Alpi fu data per quasi compiuta e diventò un mito, supremo esempio di scialpinismo militare. Venticinque anni dopo qualcuno ricordò al giovane Walter Bonatti che in realtà il sogno di Mezzalama restava da completare. Il “problema” era di tale appeal che il forte alpinista nei primi mesi del 1956 accantonò le grandi pareti per dargli definitiva soluzione. Con l’appoggio dello Sci club di Bardonecchia e l’aiuto della Fiat, che offrì una 600 multipla per i rifornimenti, Bonatti allestì una canonica pattuglia di quattro elementi con l’ingegner Luigi De Matteis di Torino, il maestro di sci Alfredo Guy, il capitano degli alpini Lorenzo Longo e lui stesso. Partiti il 14 marzo da Stolvizza nelle Giulie, dopo 66 giorni di marcia in sci, il 18 maggio riuscirono a raggiungere sani e salvi il Col di Nava, in vista del Mar Ligure. Il racconto della traversata si trova nel più classico libro bonattiano Le mie montagne (1961) accanto alle più celebri storie del Grand Capucin, del K2, del Dru, del Pilier d’Angle, del Gasherbrum IV. Sull’inconfondibile copertina in tela rossa di Zanichelli è impresso proprio il tracciato attraverso le Alpi, segno che l’impresa scialpinistica non era da meno delle epiche scalate.

Léon Zwingelstein, 1933
Se per noi italiani Mezzalama era indubbiamente il migliore, non era l’unico a quell’epoca a concatenare tappe scialpinistiche per tracciare una haute route alpina.

Per i francesi i meriti che noi attribuiamo a Ottorino Mezzalama sono invece assegnati all’analoga sfortunata figura di Léon Zwingelstein, celebrato dal classico libro di Jacques Dieterlen Le chemineau de la montagne (Il vagabondo della montagna), pubblicato da Flammarion nel 1938.

Un’immagine del moderno Trofeo Mezzalama

Zwingelsein (1899-1934) ingegnere dei Vosgi, trapiantatosi a Grenoble dopo la Grande Guerra, compì in gioventù scalate notevoli come la Pierra Menta nel Beaufortain, quasi una premonizione. Ma divenne famoso per due straordinari raid in sci compiuti da solo attraverso le Alpi. Nel 1933, in novanta giorni dal 1° febbraio al 1° maggio, andò da Grenoble a Nizza, e poi da Nizza fino in Tirolo percorrendo circa duemila chilometri. L’anno dopo compì un nuovo raid da Chamonix all’Oberland Bernese e ritorno, prima di trovare la morte pochi mesi dopo scalando il Pic d’Olan nel Delfinato.

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L’Incompiuta di Ottorino ultima modifica: 2019-04-26T05:29:25+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “L’Incompiuta di Ottorino”

  1. L’intenzione è  proprio quella di evidenziare il contrasto stridente fra la “nobile” visione dei pionieri come Mezzalama (Ottorino) e l’attuale invasione di umani e mezzi meccanici del Mezzalama (Trofeo).

  2. Non vorrei che la volonta’ di celebrare l’idea che ebbe Mezzalama fosse scambiata da qualcuno come intenzione di celebrare cio’ che il Trofeo Mezzalama e’ diventato oggi. Non confondiamo la fatica degli atleti con lo show e la macchina-spettacolo che relega la montagna a vago sfondo nella kermesse di curiosita’ umana, elicotteri, servizio d’ordine e sicurezza da giardino pubblico.

  3. ma perchè ci si incavola per le masse sulle orobie ed una analoga invasione sul rosa è vista in modo così benevolo? a me sta “gara”, quella di oggi non quella originale, fa più specie del concerto di Jovanotti e dell’invasione caiana delle orobie…

  4. Per ragioni meteorologiche l’edizione 2019 del Trofeo Mezzalama è stata spostata a domenica 28 aprile.
    In caso di ulteriori criticità meteo la gara potrebbe essere spostata al weekend del 4 e 5 maggio.

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