Come avrete notato da tempo, non è abitudine di GognaBlog seguire le regole della oggi dominante comunicazione sinteticamente superficiale. Perciò anche questa volta, sul problema della buona o cattiva accoglienza che possiamo riservare all’ultima App di montagna, preferiamo prima esporre i fatti, con annesse le ragioni degli ideatori e produttori, e solo in secondo tempo le nostre opinioni. Chi fosse incuriosito solo da queste, dopo aver letto la prima decina di righe, può saltare direttamente al fondo del post, là dove è il capitoletto delle Considerazioni. Grazie dell’attenzione e della pazienza.
MountaiNow
Il 13 aprile 2017 il portavoce di Mountain Wilderness, Nicola Pech, dopo una prima telefonata di conoscenza, riceve dal prof. Ezio Bussoletti una mail in cui gli è riepilogato il sistema MountaiNow, una nuova App che:
– si scarica da uno dei due store iOs e Android;
– funziona sul principio del crowdsourcing (raccolta e condivisione di informazioni fornite dagli utenti tramite smartphone);
– è ovviamente gratuita perché sarebbe inconcepibile rendere pagante un servizio per la sicurezza;
– come si vede nel sito https://www.mountainow.net/index.php/it/ è in 4 lingue, italiano, francese, inglese e tedesco;
– funzionerà dappertutto nel mondo e per ora è ottimizzata per le Alpi;
– ha avuto l’approvazione (endorsement) ufficiale dei Club alpini svizzero, francese-Chamonix, britannico e italiano (quest’ultimo ha perfino pubblicato un redazionale di due pagine sul numero di giugno 2017 di Montagne360, del tutto acritico).
A Bussoletti e alla sua collega Alexia Massacand piacerebbe annoverare Mountain Wilderness non soltanto come utente del servizio e suo promotore, ma anche nel Global Grant Rotary che stanno aggregando con vari club italiani e stranieri sotto il coordinamento del Club Bergamo Nord.
Pech si affretta a informare il consiglio di MW di questa proposta di collaborazione/patrocinio per lo sviluppo e la diffusione di questa App.
Giustamente non rinuncia a dare subito una sua opinione: non intende scaricare l’App perché non intende usarla. Non crede che per la sicurezza in montagna si debba dotare dell’ennesima, ancorché probabilmente utilissima, tecnologia.
Non ci si vede, durante le salite, a fotografare e commentare con lo smartphone i punti ritenuti pericolosi. Pech sottolinea che questa è una sua valutazione personale, poco significativa e tutt’altro che autorevole, mentre al contrario l’edorsement ricevuto (CAI, CAF e CAS) è molto autorevole.
MountaiNow
Nella presentazione dell’App, Servizio Innovativo per Condividere le Condizioni Aggiornate della Montagna, rivolta a tutti gli alpinisti ed escursionisti, c’è un sottotitolo accattivante: Insieme per una Montagna più Sicura… gratis per la Sicurezza di Tutti.
Meno male che, almeno questa volta, si è evitato di presentare un prodotto come l’aggeggio risolutorio che mancava per una totale sicurezza, scegliendo invece una montagna più sicura.
Gli ideatori del progetto
L’idea di realizzare MountaiNow è nata nell’estate del 2015 zigzagando tra i (nuovi) giganteschi crepacci che si erano manifestati nel Ghiacciaio del Gigante.
Alexia Massacand è Esperto Senior nelle problematiche di Sviluppo Sostenibile e Cambiamenti Climatici (PhD ETH Zurigo, MSc London School of Economics). Appassionata di montagna sin da piccola, qualificata “Alpinism Tour Leader” dal Club Alpino Svizzero, grande è la sua esperienza nelle previsioni meteo/clima e nei sistemi di osservazione/informazione della Terra. Ha pianificato strategia, comunicazione, coordinamento e direzione di progetti internazionali complessi. Ezio Bussoletti è Professore Ordinario all’Università Parthenope di Napoli, Cattedra di Scienze e Tecnologie Spaziali; insegna anche Tecnologie Spaziali per l’Ambiente. E’ il Capo della Delegazione Italiana in vari Organismi Internazionali (per esempio Inter-Governmental Group on Earth Observations; UN Global Geospatial Information Management).
Obiettivi
Secondo gli ideatori con questa App si potrà rispondere a una necessità “fondamentale”: quali sono le condizioni attuali sulle Alpi? Dove trovare le condizioni migliori? Quali saranno le condizioni domani quando usciremo sul campo?
Questa è la visione di MountaiNow per trasformare il modo in cui gli amanti della montagna possano affrontare i rischi e decidere “dove e come” andare.
Come funziona
Immaginate (fin da quest’estate) una mappa dinamica dello stato della montagna su telefonia mobile, migliaia di persone che, con i loro smartphones, condividono ciò che vedono in montagna per rafforzare la sicurezza di quanti seguiranno. Una “mappa viva” alimentata istantaneamente dalle informazioni fornite da chi è in montagna che fornisce “le ultime condizioni” (delle ultime 48 ore) in ordine di tempo sulle Alpi, includendo foto e segnali di allarme geo-localizzati. Per ogni giorno dell’anno, e tutto gratis sui vostri telefono/tablet/PC.
Le osservazioni sono utilizzate per generare una statistica dei pericoli – indicando, per esempio, che 10 su 10 utenti hanno indicato la presenza di “crepacci aperti” nelle ultime 48 ore nell’area rossa (Condizioni Cattive).
Le osservazioni raccolte dagli utenti includono anche foto e brevi commenti al riguardo di zone di particolare pericolo, sono geo-localizzate sulle mappe in tempo reale (o non appena l’utente trova il segnale della rete).
A garanzia della validità delle informazioni condivise, l’utente diviene tale solo se si iscrive indicando le proprie generalità, uno pseudonimo e il livello delle sue competenze alpinistiche, che vanno da “semplice entusiasta” a “di grande esperienza”. Questa identificazione rappresenta un elemento essenziale per valutare la “credibilità” delle informazioni che vengono fornite.
Così si potrà conoscere la più recente evoluzione dello stato dei ghiacciai, della copertura nevosa, della superficie della roccia, delle piste, per poter usufruire di una sicurezza “ottimale”.
Tecnologia
MountaiNow si basa e funziona grazie a geoSDI, una infrastruttura geo-spaziale avanzata, operativa da tempo e ben qualificata, che fornisce dati geo-spaziali in tempo reale, via smartphone o web, ad un numero elevato di partner che includono anche la Protezione Civile Italiana ed il Programma delle Nazioni Unite World Food (cfr. www.geosdi.org).
Impatto sociale
Secondo le statistiche, tra Italia e Svizzera nel 2015 sono morte più di 400 persone in montagna e oltre 6500 si sono trovate in condizioni di serio pericolo che hanno richiesto interventi di soccorso. E’ opinione di MountaiNow che, offrendo una nuova generazione di informazioni agli utenti, influenzerà positivamente numerose realtà sociali. Eccone la lista:
– Amanti della montagna (estate e inverno): meno morti/incidenti/situazioni di pericolo;
– Servizi di Soccorso e Protezione Civile: meno interventi sul campo (costi ridotti);
– Ospedali e Strutture Sanitarie: minor numero di interventi chirurgici e di cure mediche;
– Assicurazioni: costi ridotti grazie a una migliore gestione e controllo del rischio;
– Parchi Nazionali e Società di Ski-lift: gestione ottimizzata di zone a rischio o pericolose;
– Equipaggiamenti per la montagna e Industria del Turismo: maggior numero di clienti;
– Istituzioni Alpine (per esempio Regioni, Cantoni): miglioramento dell’economia locale e dei servizi offerti;
– Organismi di Ricerca: dati importanti per validare cambiamenti nelle Alpi (p.es. bollettini delle valanghe e monitoraggio delle montagne).
La reazione di Mountain Wilderness
Michele Comi scrive: “Grazie per avermi segnalato quest’ennesimo “gingillo tecnologico”. Stupisce l’endorsement plebiscitario dei vari club alpini. E’ ormai assodato che quanto più la conoscenza di un sistema complesso è parziale, più la si ritiene fondata sulla sua dimensione tecnologica.
Questo non significa criticare a priori l’uso della tecnologia, ma al contrario coglierne appieno le potenzialità dove effettivamente servono, non prima però d’aver attivato i fondamentali processi di relazione con l’ambiente, che ancora costituiscono il mezzo più potente per migliorare le nostre capacità d’osservazione, ascolto e presa delle decisioni.
Ora che siamo con il naso incollato sullo smartphone tutto il giorno, incentivarne l’uso anche nei rari momenti in cui possiamo farne a meno e in situazioni paragonabili alla guida dell’auto, non potrebbe rivelarsi, oltre che fastidioso, più dannoso che utile?
Non ho ben capito inoltre come e da chi potrà essere “validata” la qualità del dato consultabile, considerando l’estrema variabilità nello spazio e nel tempo delle condizioni della montagna, unita alla soggettività delle informazioni immesse”.
“Io personalmente preferirei declinare l’invito, la penso come Nicola sull’uso di questo tipo di applicazioni che, francamente, mi sembra poco in linea con chi ama la “wilderness” in montagna” è l’opinione di Susanna Gonella.
Silvia Simoni è l’unica ad avere “testato” l’App, su richiesta del CAI Alto Adige: “Questa App non è particolarmente utile in quanto fa le funzioni di un normale GPS, in più consuma molta batteria per cui può scaricare il telefono in modo da renderlo non utilizzabile quando serve. Il database con le info delle criticità sarebbe interessante se fosse molto popolato, questo dipende dalla community che partecipa nel fornire dati”.
Giuseppe Miotti: “Io credo che per crescere, e sopravvivere, l’alpinismo moderno debba essere disposto a decrescere in grande umiltà, rivalutando sempre più la capacità di riconoscere i limiti e di “giocare” ad armi pari con le vette, cioè diminuendo per forza gli strumenti che si usano per salirle. Oggi più di ieri ce lo possiamo permettere: essere felici, ma magnanimi, perdenti piuttosto che vanesi, e forse anche un po’ finti, vincitori”.
A quel punto Nicola Pech stende una prima risposta che viene leggermente modificata in un secondo tempo dopo le osservazioni di Carlo Alberto Graziani. Il testo è approvato da tutti coloro che hanno risposto in seguito alla circolare di Pech.
Franco Tex Tessadri aggiunge un suo commento: “Il fatto che nella locandina MountaiNow ci sia la parolina “gratis per la sicurezza di tutti”, non mi convince molto e lì si potrebbe aprire un capitolo molto ampio su cosa sia realmente gratis a questo mondo”.
Franco Michieli: “… sto dedicando buona parte del mio lavoro a trasmettere il valore della relazione non mediata con la montagna (con la realtà in generale), e penso che per il bene di tutti si debba essere molto fermi su questi temi. Bisognerebbe sostituire sistematicamente la parola “sicurezza” (che non esiste) con “prudenza”, una cosa che non si compra né si scarica, ma si impara”.
Marta Viola: “Ho visionato il sito e ho cercato di farmi un’idea su cosa significa un prodotto del genere. Non credo che la “condivisione social” possa rendere più sicura alcuna esperienza in un contesto così delicato quale quello della montagna, che invece richiede preparazione e conoscenza approfondita del territorio. Si continua a sfidare ogni sorta di ostacolo possibile, senza rendersi conto che bisogna fare i conti con qualcosa di molto più grande di noi, che non si può controllare e rendere accessibile a tutti. Ormai in molti campi una grande massa di persone ha preso il vizio di imporre la sua presenza (per moda o bisogno di evasione, in ogni caso con un atteggiamento totalmente egoistico) senza considerare il rispetto necessario che questi ambienti particolari richiedono… Sono convinta che le associazioni che supportano questa iniziativa lo fanno soprattutto per avere un ritorno di immagine. La nostra serietà si riscontra anche nel non prestarci a questi meccanismi tipici di una cultura occidentale contemporanea, che non si prende cura ma sfrutta a proprio piacimento ogni situazione”.
La mail di risposta a Bussoletti
“Gentile Professor Bussoletti, come le aveva già spiegato Carlo Alberto Pinelli e come confermano sia i nostri garanti internazionali sia il nostro consiglio direttivo, Mountain Wilderness propugna un alpinismo che si avvale, solo se indispensabili, di protesi e gadget tecnologici e sostiene l’importanza di affrontare la montagna e i suoi rischi con la sola preparazione individuale senza affidarsi a stampelle esterne.
Questo non significa criticare a priori la tecnologia, ma al contrario coglierne appieno le potenzialità e utilizzarla dove effettivamente serve, non prima però d’aver attivato i fondamentali processi di relazione con l’ambiente che ancora costituiscono il mezzo più potente per migliorare le nostre capacità d’osservazione, ascolto e presa delle decisioni.
Considerato quanto suddetto, decliniamo cortesemente l’offerta. Cordiali saluti”.
Considerazioni
A questa proposta e alla conclusione negativa di Mountain Wilderness seguono almeno due ordini di discussione:
1) la sovrabbondanza di mezzi tecnici riesce a oscurare, dopo averla abbondantemente appiattita, l’esperienza di ciascuno di noi in montagna;
2) la verità o meno delle affermazioni riguardanti il cosiddetto “impatto sociale”;
3) l’affidabilità di quanto leggiamo sullo smartphone prima di ogni decisione importante in montagna.
Nel primo ordine occorre dire che è pur vero che l’uso di questa App rimane a giudizio dei singoli. Dice: “Saranno l’individuo o il gruppo a scegliere se dotarsene oppure no”. E’ vero, ma ce lo vogliamo domandare quanto potrà sopravvivere ancora il giudizio dei singoli? Non pensiamo che, durante il necessariamente breve tempo di una decisione da prendere alla svelta, l’uso di MountaiNow possa farmi trascurare le mie osservazioni personali, il mio feeling del momento, in definitiva il mio giudizio personale? Perché abdicare a queste nostre personali potenzialità? Abdica oggi e abdica domani, presto non le avremo più e saremo incapaci di muoverci senza l’attrezzatura all’ultimo grido. I realizzatori pensano il contrario, naturalmente: secondo loro MountaiNow “intende costituire un utile e qualificato supporto per scelte ragionate, con la consapevolezza che, in montagna, la sensibilità ambientale e l’esperienza non possono essere sostituite dalla sola tecnica alpinistica o dalle tecnologie“. Noi pensiamo invece che la tecnologia si stia gradualmente sovrapponendo proprio alla sensibilità ambientale e all’esperienza.
MountaiNow si pone nella schiera di decine d’altre invenzioni e supporti, che vanno dai mezzi di avvicinamento meccanici al bivacco fisso, dalla ricetrasmittente al telefonino, dal kit completo da via ferrata alle corde approvate UIAA, dal GPS a GeoResQ, dal gore-tex alla suola iper-grip della scarpetta d’arrampicata, dalla meteo in tempo reale all’equipaggiamento ARTVA-pala-sonda-airbag. Tutti sistemi, congegni e servizi utilissimi, a volte ragionevolmente necessari, che rischiano però di diventare obbligatori. Se Alex Honnold rompe gli schemi e sbalordisce il mondo intero con la sua Freerider in free-solo, tutto il mondo è libero di acclamarlo o deprecarlo, ma nessuno si è ancora sognato di proibire le solitarie. Il rischio che qualche legislatore promulghi decreti di obbligatorietà (anche per motivi ben diversi dalla preoccupazione per il bene pubblico) è davvero reale e in qualche caso già una realtà. Se lasciassimo che l’uso dei sopra elencati congegni o servizi diventasse obbligatorio, sarebbe proibito andare in montagna secondo le proprie inclinazioni, le controversie in tribunale aumenterebbero a ritmo esponenziale, il volontariato sarebbe soffocato, l’alpinismo giovanile si estinguerebbe, ci si muoverebbe solo entro determinati schemi, patentini, regole, e l’ortodossia sicuritaria e certificata ucciderebbe ancora una volta il drago (quello che è o era in noi, perché quell’altro lo abbiamo ucciso da un bel po’).
Nel secondo ordine di discussione, aggiungerei le mie personali opinioni:
1) Non è vero che l’uso di quest’ultima App riduca morti, incidenti e situazioni di pericolo: il numero dei frequentatori senza reale esperienza avrebbe un incremento, e con quello anche gli incidenti;
2) Stessa cosa si può dire per interventi di soccorso, interventi chirurgici e cure mediche: aumenterebbero in compagnia delle controversie legali;
3) Ci illudiamo che i costi assicurativi diminuiscano? Forse sì, ma solo se la pratica di MountaNow diventasse obbligatoria. In ogni caso, se gli incidenti non diminuiscono, stiamo pur certi che non lo fanno neppure i costi assicurativi;
4) Non è compito dei Parchi fare maggiore fatturato e garantire sicurezza ai visitatori, il loro compito è la protezione della Natura;
5) Gli impianti sciistici devono preoccuparsi delle proprie piste e della sicurezza di chi le usa. I fuoripista più contigui sono da sempre terreno di caccia della magistratura e lasciatemi dire che chi scia in questo modo, rischiando di provocare slavine sulle piste sottostanti, è l’ultima delle persone a voler seguire i suggerimenti di MountaiNow;
6) Di certo è vero che equipaggiamento da montagna e industria del turismo aumenterebbero il fatturato, ma non mi sembra questa la ragione che possa avere la meglio su tutte le altre, a meno che non si accettino anche qui logica e supremazia dell’economia di mercato;
7) Infatti, la vera economia locale resterebbe ferma, solita cenerentola di fronte all’invasione esterna delle Grandi Opere Alpine unita all’oggettistica più spinta delle emozioni a buon mercato.
Nel terzo ordine di discussione mi limiterei a osservare che MountaiNow è in realtà la traduzione moderna del vecchio chiedere informazioni al contadino o alla guida che fumava la pipa. Con la differenza che, se sono disposto a dare fiducia a un contadino che vive lì e che presumo non mi voglia prendere in giro, oppure a una guida che comunque la montagna la vive da sempre, non sono per nulla convinto della veridicità (e comunque dell’affidabilità) degli sconosciuti che mi hanno preceduto sul percorso, sia pure di sole 48 ore max. Non voglio affidarmi a chi si autovaluta in una scala tra “semplice entusiasta” e “di grande esperienza” e che, nel farlo, dà sì le sue generalità al sistema ma al pubblico può esibire anche solo uno pseudonimo. Non voglio affidarmi alle statistiche (medie matematiche) che scaturiscono dai vari giudizi, magari contrastanti. Non voglio neppure pensare alla fake information, sempre possibile in un mondo di sempre più stolidi burloni. Anche gli organismi di ricerca non possono usufruire di dati non ottenuti scientificamente.
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un percorso in montagna, facile o difficile che sia, è come una serie di domande a cui noi dobbiamo dare delle risposte.
Se queste risposte te le da una APP che ti guida che senso ha?
Allora prendi una guida, almeno fai lavorare e guadagnare qualcuno e non una multinazionale.
un po’ di “paura” e le “antenne dritte” mi hanno sempre accompagnato in tutte le mie uscite alpinistiche, scialpinistiche, in falesia e pure camminate, anche su percorsi elementari; e di ciò non mi verogno assolutamente. quella reverenza che ho nei confronti delle montagne tra l’altro mi da’ ancora più soddisfazione se riesco ad arrivarci in fondo. per cui ok la tecnologia, ma che non sostituisca l’esperienza e le delusioni (che spesso fanno crescere)
Chino sullo smartphone, in montagna? Naaa!!!
Un fatto è guardare le previsioni e informarsi sulle condizioni della montagna o della via in particolare, magari da qualcuno che l’ha appena fatta. Qusto in un modo o in un altro si è sempre fatto. Ma farsi guidare metro metro da una APP , ti sembra il modo giusto? Ti sembra di metterci del tuo?
A me sinceramente no!
mi spiace dirlo ma trovo questa discussione e soprattutto la discussione interna a MW surreale.
ciascuno di noi quando va in montagna per qualsiasi attività si informa prima su alcune cose: dal meteo allo stato della neve, dalla previsione valanghe di meteomont al consiglio dell’amico che ha fatto lo stesso sentiero o dell’amico di facebook (ho nominato il mostro, il social network, paura!) che ha fatto la stessa via il giorno prima di noi e magari attraverso una foto mi fa capire più di mille chiacchiere o supposizioni. non vedo quindi cosa ci sia di male nell’avere un nuovo strumento che possa darti un’ulteriore informazione. è solo un’informazione in più, nulla di assurdo. in più è contestualizzata nello spazio e nel tempo. starà a ciascuno valutare se e quanto peso dare a quell’informazione. come potrà farlo? come ha sempre fatto, attraverso l’esperienza. sarà l’esperienza a dire a quell’individuo se le condizioni descritte nell’app nel corso del tempo saranno state attendibili o meno.
l’alpinismo non ci perde nulla, la montagna nemmeno, state tranquilli.
viva la montagna.
Parere mio, renderà più pericoloso l’andare in montagna! Molti invece che valutate i pericoli, con la propria esperienza, si faranno forviare da queste informazioni, lasciate a loro volta da persone a noi sconosciute! Il bello di andare in montagna e saper riconoscere i propri limiti, crescendo un po’ alla volta la propria esperienza, se ci si appoggia ad un app così, si resterà inconsapevoli ignoranti!
Da facebook, 11 luglio 2017 ore 16.48
ecco, tanto per restare in tema dell’esperienza in montagna, mi sembra che questo articolo riassuma molto : https://tinyurl.com/yads36t6
“1) la sovrabbondanza di mezzi tecnici riesce a oscurare, dopo averla abbondantemente appiattita, l’esperienza di ciascuno di noi in montagna;”
completamente d’accordo.
ma di che stiamo parlando?
Dovremmo difendere l’incertezza. Non cercare di eliminarla.
Guardate questo, l’ho ricevuto ora, mi sembra proprio il Guinness dei Guinness!
E lo vince il cai.
Questa sì che è cultura della montagna….. chissà le scuole ….
Bello!
[IMG]http://i64.tinypic.com/fazu47.jpg[/IMG]
Ps: non piangete troppo…… ma di sicuro io nella mia profonda ignoranza non capisco e non so.
Pps: a pag 37 di 380 gradi
Il problema è che la tecnologia in questo caso non può essere una comoda scorciatoia. Se vuoi correre la maratona non lo puoi fare con una app. Ci sono metodologie di allenamento certo, ma alla fine i chilometri li devi fare, di persona. Allo stesso modo è per l’esperienza in montagna: bisogna andare andare e andare, possibilmente imparare qualcosa ogni volta, avendo bene in mente che non si finirà mai di imparare. Nell’epoca del “tutto e subito” questa faticosa trafila viene vista come un fastidio, ma non ci sono alternative. Se vuoi imparare a suonare bene il piano, devi studiare anni, non ci sono santi 🙂
Questa affermazione riassume il mio pensiero sull’uso delle tecnologie in montagna:
“1) la sovrabbondanza di mezzi tecnici riesce a oscurare, dopo averla abbondantemente appiattita, l’esperienza di ciascuno di noi in montagna;”
Nessun mezzo tecnologico può e deve sostituire la nostra esperienza personale della montagna. Il problema vero è che occorre del tempo, del sacrificio e molte volte occorre saper rinunciare, se le condizioni non lo permettono.
L’uso di queste tecnologie permette di saltare a piè pari, alcuni fattori fondamentali quali la conoscenza del percorso e del territorio (sostituito con le tracce GPX), il fattore climatico (non guardiamo più le nuvole e da dove arrivano, ma consultiamo il 4B-meteo-fulmini-e-saette), lo stato del manto nevoso e le condizioni climatiche del periodo.
Perchè questo ? : per bruciare le tappe perchè non c’è più il tempo e dobbiamo mettere nel nostro palmares più obbiettivi possibili. Allora le app ci dicono tutto.
Per ora nel mio zaino ci metto una mappa e il mio istinto, che mi ha sempre guidato bene e riportato a casa in attesa di una nuova scoperta.
Dimenticavo.
Mi han detto che il sistema ARPA ha 25.000 dipendenti.
Spero non sia vero.
Allora mi scuso di aver riportato una conversazione, fra una guida e me, nella quale cercavo di evidenziare la nostra, sua e mia, profonda malinconia nel veder morire dei giovani e sopratutto rischiare troppo di morire, data la notevole preparazione tecnico-atletica e la scarsa frequentazione della montagna. Quello che più ci ossessionava era il fatto che abituati agli spit sono soliti appendersi e così ogni volta che vedono due chiodi fanno sosta e si appendono, ma non hanno il martello e non li ribattono.
Comunque quasi tutti gli istruttori delle scuole poco insegnano fuori dagli spit, sia per problemi legali di responsabilità, sia per incapacità. Ci sono incidenti anche gravi che si bisbigliano per non aver problemi, in tutti i tipi di corsi, e questo per noi due non va bene.
Scusate se ho errato, forse è meglio se giro anche io la faccia quando vedo certe cose, ma per ora non riesco.
Richieste intervento raddoppiate…. si vede bene dappertutto.
Per alpinisti poche…. certo non ci sono!
Sullo sci, ghiaccio e compagnia …. velo sincero e pietoso.
I numeri sono ottimi, il costosissimo sistema funziona e rende!
Condivido la scelta di MW di fronte a questo tipo di tecnologia, e non tanto per la tecnologia in sè, ma quanto per l’imperante assenza culturale che vanifica l’uso della stessa; non me ne voglia Michelazzi, ma il suo esempio delle previsioni del tempo è perfetto per la comprensione di come oggi sia possibile avere informazioni inutili (sia perchè prodotte a caso, sia perchè recepite da un branco di pirla a cui meno interessa di sapere da dove arrivano) su un supporto tecnologico estremamente raffinato.
Sono invece incuriosito dall’insistente visione apocalittica di Panzeri; per questo motivo ti chiederei, Panzeri, di valorizzare con dei numeri le tue parole relative all’aumento di morti in montagna. Da quel che è dato di sapere (ad esempio, a caso, aiut-alpin pubblica le sue statistiche qui: http://www.aiut-alpin-dolomites.com/italiano/statistiche.html, oppure per la situazione invernale, ARPA Veneto mostra questo quadro di sintesi: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/neve/immagini/2016-aggiornamento-sito/2016%20Europa.jpg) sembrerebbe invece che si continui a morire, in montagna, più o meno come 25 anni fa; se è pur vero che le richieste di intervento sono raddopiate negli ultimi 25 anni (aiut-alpin), è altrettanto vero che le richieste di intervento per gli alpinisti (estate) sono molto più che dimezzate (aiut-alpin).
Chiedo scusa per questo fuori tema, e me ne scuso, ma trovo poco istruttivo che su questo blog, il cui focus è la montagna, si dicano cose di montagna come questa (orde di alpinisti “imparati” in palestra che vanno a morte certa) forse un pò a caso: non giova a nessuno.
soprattutto vedo il pericolo del pistola medio che, guardano lo schermo dello smartphone, intento a decifrare le info e a capire le foto, inciampa rovinosamente nei propri piedi e rotola a valle!
Buongiorno,
Questo tipo di “app” non è “tecnologia”, secondo me, e nel pratico, non serve granché. Sono d’accordo con i commenti di Michele Comi ed altri qui. Sì, il telefonino toglie più che aggiungere
e fin qui sfondo probabilmente una porta aperta.
Sulla contrarietà ad una geolocalizzazione pervasiva in ambiente ne scrissi a suo tempo su questo stesso blog: https://gognablog.sherpa-gate.com/google-maps-trek-libera-lesploratore-che-ce-in-te/ anche se lì ironizzavo sopratutto sul “vendersi” degli alpinisti VIP (alla campagna pubblicitaria della sperimentazione Google).
Solo due pensieri a riguardo del meccanismo di “crowdsourcing”, in generale, ovvero di informazione creata da fonte distribuita: in questo caso gli “utenti” “registrati” segnalano, per esempio, che la terminale tal dei tali è infattibile, etc. Ok sulla carta questo sembrerebbe funzionare: in un certo senso è il principio della democrazia… L’informazione è convalidata se molti la sostengono…
E’ quello che succede con i “vecchi” (libri e riviste) e “nuovi” (siti internet), quando ci prepariamo (“a tavolino”) nello studio di una via (alpinistica/escursionistica/etc.): ci fidiamo di quanto scritto da persone autorevoli di cui abbiamo “fiducia” (le avete prese anche voi le fregature sulle vie descritte dal Buscaini nei magnifici libri?!) e ci fidiamo (sovente sbagliando) quando per esempio vediamo che una cascata di ghiaccio è gradata IV sul sito web Gulliver, dando per scontato che se qualcuno ha scritto che la cascata ora è in condizioni, il grado è tot, il ghiaccio è ottimo etc. allora “è “senz’altro” fattibile”; giusto?
Un problema del crowdfounding è la “autorevolezza” della fonte. In un sistema anonimo c’è il rischio che l’informazione sia pilotata e/o sia fatta da persone con troppo diversi livelli di competenza; e se anche gli autori dei report fossero autorevolissime guide alpine con nome e cognome; ci cambierebbe molto? Sì, l’informazione avrebbe una maggiore “validità”, ma forse ci potrebbero essere ragioni particolari per il prevalere una o l’altra indicazione; ci vorrebbe un numero di autori/informatori elevatissimo e regole, regole…
C’è anche una altra cosa che mi lascia perplesso: l’illusione del “tempo reale” dato ad una app (come questa): cioè l’idea che mentre sei in ambiente puoi comunque “chiedere aiutino a casa (casa = internet)” perché sei sempre “connesso”; lo trovo diseducativo e deprimente le (tue) possibilità. In altre parole, bisogna fare prima i compiti a casa (off-line) e poi giocare liberi ma preparati (on-line). No?
Dicevamo anche che per evitare che tanti muoiano andando in montagna, perché pensano di essere esperti mentre non lo sono per niente, magari hanno solo un altissimo livello tecnico, forse si dovrebbe come in Svizzera mettere almeno uno spit ad ogni sosta. spittare nei tratti difficili, proibire certe salite, mettere dei controllori, certificare secondo………… poi abbiamo riso a crepapelle, ma è stata una risata triste: sulle cascate, o le sciate impegnative, o le mistate di moda ne muoiono tanti tanti.
Comunque anche gli Sloveni stanno cambiando, quasi tutti i loro grandi alpinisti sono morti, solo qualche arrampicatore è rimasto vivo………
L’info massificata secondo noi è un grande errore.
Chi ha veramente esperienza, per non incappare nella legge, fra poco tempo dovrà starsene ben lontano da tutto, sembra tutto accelerare nel peggiorare … poveri professionisti che belle grane che si stanno preparando…..
Magari abbiamo sbagliato tutto il ragionamento, lo spero tanto.
“Secondo l’immagine popolare della scienza, tutto è, per principio, prevedibile e controllabile; e se qualche evento o processo non è prevedibile e controllabile allo stato attuale delle nostre conoscenze, un lieve aumento della conoscenza e, soprattutto, della tecnologia ci metterà in grado i prevedere e controllare le variabili ribelli.”
Mente e natura – Bateson Gregory
Qualche nota dedicata alla tecnologia fideisticamente concepita, razionalmente considerata come cosa buona e come progresso.
Condivido la critica alla tecnologia e molti argomenti riferiti nell’articolo.
Li ribadisco qui con le mie parole e forse, per alcuni, allargo il discorso.
Se così fosse, faccio presente, come anche scritto più sotto, che scomponendo la realtà, trattandola come esterna a noi, si possono acquisire conoscenze morte, astratte, bidimensionali, tecniche, amministrative.
Ma tutto è contiguo.
Estrapolare una qualunque parte e prenderla in analisi avvia un processo che necessariamente non ha corrispondenza con il tutto, con la nostra profonda natura creatrice.
— — —
L’imperante criterio commercial-materialistico della nostra cultura – sorta di carota per l’asino – implica due aspetti di un certo spessore.
a. La dipendenza.
b. L’identificazione della realtà che ne deriva, come la sola possibile.
Da qui, passare alla terza implicazione è cosa fatta.
c. In quella realtà riteniamo ci sia la verità.
Ne segue una quarta.
d. “È la realtà che mi legittima a sopraffare il prossimo. Però adesso non ho voglia di parlarne perché devo andare a messa.”
a. la dipendenza.
La tecnologia non è innocua. In essa vi si vede il progresso e la verità.
Per essa ci allontaniamo dalla natura e dalle conoscenze non cognitive.
Dedicarsi ad altro corre il rischio di essere una perdita di tempo.
In sostanza ci allontaniamo da noi stessi.
Ci apprestiamo facilmente a rimanere preda delle nostre emozioni, ciechi al gorgo mortifero in cui, felici, ci conducono. Il nuovo ennesimo acquisto, l’ulteriore gradino di specializzazione acquisito sono spesso la base tarlata sulla quale poggiamo la pretesa di benessere.
Le inconsapevolezze necessarie per nuotare allegri verso il gorgo sono le stesse che generano la dipendenza.
La dipendenza, tutte le dipendenze si alimentano e si incrementano da sole.
La consapevolezza di vivere entro i limitati e limitanti confini di ogni dipendenza, può avviare un processo di liberazione.
A quel punto tutta la pubblicità, tutta la comunicazione, tutta l’espressione individuale non sarà più la normalità. Si sentirà il misero alito dell’autoreferenzialità.
b. L’identificazione della realtà che ne deriva come la sola possibile.
Come ci ha raccontato Lorenz, sgusciando l’anatroccolo riconosce come madre chiunque se ne prenda cura.
Parimenti, tutti noi elaboriamo la nostra realtà secondo quanto abbiamo appreso dal cesto della nostra cultura.
La scuola è d’obbligo; il lavoro utile per affermarsi; il dottore per curarsi, la religione per non finire arrostiti.
Pensiamo allora che solo l’analisi conduca alla verità, che la sola giustizia della quale preoccuparsi sia quella togata, che gli Ogm corrispondano al miglioramento.
c. In quella realtà riteniamo ci sia la verità.
Nasciamo nel cesto e nel cesto riproduciamo quanto abbiamo appreso.
Solo chi si allinea merita rispetto.
Bene in riga, distinguiamo il vero dal falso a seconda delle categorie che ci sono state fornite.
Quanto stona è voce ciarlatana, quanto risuona è la verità.
Chi l’avrebbe detto che essere fondamentalisti delle istituzione fosse cosa che ci riguardasse tanto strettamente?
d. “È la realtà che mi legittima a sopraffare il prossimo. Però adesso non ho voglia di parlarne perché devo andare a messa.”
Protetti dalla confessione, assolti dal business is business, avanziamo inetti a riconoscere che ogni nostro giudizio è parziale.
Basterebbe prenderne coscienza per avviare la cultura del dialogo, per ridurre l’egemonia de campi di battaglia.
“In una cultura come la nostra, abituata da tempo a frazionare e dividere ogni cosa al fine di controllarla, è forse sconcertante sentirsi ricordare che, per quanto riguarda le sue conseguenze pratiche, il medium è il messaggio. Che in altre parole le conseguenze individuali e sociali di ogni medium, cioè di ogni estensione di noi stessi, derivano dalle nuove proporzioni introdotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia.”
Gli strumenti del comunicare – Marshall McLuhan
Non mi schiero ne tra i favorevoli ne fra i contrari, è giusto che ciascuno possa scegliere liberamente se utilizzare questa tecnologia, ma vorrei evitare che un domani qualche giudice potrà valutare come negligenza il non utilizzo di questa applicazione. Sarebbe ingiusto perché parliamo di strumenti aleatori con fondamenti tecnici discutibili.
Non so se riuscirei a fidarmi delle opinioni di altri che hanno visto e valutato prima di me una certa zona di montagna: quando la hanno vista? Come e con quali criteri la hanno valutata?
Mi ricorda un po’ le recensioni di Tripadvisor, dove magari vedi mettere 5 stelle ad un ristorante di lusso, e anche ad una trattoria di campagna: in entrambi magari mangi benissimo, ma i gusti sono diversi…
Stefano ogni tanto ti lasci prendere dal “nervosismo” 🙂 ma dici bene!
L’altro giorno discutevo con una guida molto brava di come si va oggi in montagna e dell’aumento della quantità di gente che muore o rischia di morire, con proporzioni molto superiori all’aumento dei frequentatori della montagna.
L’educazione “alpinistica” ora nasce in palestre artificiali e l’insegnamento affida la sicurezza a un mucchio di sistemi tecnologici.
Siamo stati completamente d’accordo nel concludere che manca quasi totalmente la lenta acquisizione dell’esperienza dei pericoli della montagna.
E la gente morirà sempre più facilmente: conoscerà sempre più “come andare in sicurezza”, ma non i pericoli che la richiedono.
Non saprà sempre più distinguere fra pericolo e sicurezza.
Ci si affiderà sempre più all’esperienza di altri e sempre meno si costruirà la propria.
Questo sta accadendo, come dappertutto, per motivi di business, di mercato, di immagine, ma anche di bassa intelligenza sociale costruttiva.
Ci spiaceva sopratutto per i giovani, di come non possano accorgersi del modo in cui spesso stiano facilmente rischiando di morire….. ma anche per gli “esperti” certificati artificialmente.
Domani leggo sul telefonino che la zona A è buona (evitiamo di pensare a chi lo scrive, visto ciò che è accaduto e continua ad accadere per le previsioni meteo prêt à porter in balia di dirottamenti voluti e guidati da meteo-criminali, verso località evidentemente paganti…) la B non molto, la C pessima… centinaia di turisti dirottati nello stesso posto… un bordello che in città nemmeno te lo sogni…!
Mario M…. scrive che il ghiacciaio Tal de’ Tali è in ottime condizioni e tutti lì a frotte… ma… Mario M…. si è divertito a fare uno scherzo, l’allarme bomba di Torino non lo ha soddisfatto ed allora ci riprova… o magari vuole godersi la wilderness che non gli sarebbe garantita ed allora dirotta tutti gli altri di modo da restare da solo (posti in rifugio non ce n’erano..ora ce ne sono…)
A proposito di nuove tecnologie:
“Vendo razzo di nuova tecnologia da infilare nel deretano, il quale ti porterà in cima in tutta sicurezza!!! Non ti farà toccare terra evitando crepacci, ghiaioni, ecc…
Facile da usare, basta un clic. Confezione di vasellina compresa nel prezzo!!!”