Il Nuovo Bidecalogo del CAI, approvato a Torino il 26 maggio 2013, dedica il Punto 18 alle spedizioni alpinistiche e trekking internazionali. Potete consultare il documento finale e la presentazione del past-president Annibale Salsa, i due documenti sui quali ho lavorato per esprimere un mio parere sul Punto 18.
Punto 18 (Spedizioni alpinistiche e trekking internazionali)
Dopo aver messo in guardia, doverosamente, sui gravi danni all’ambiente e al sistema socio-economico che le spedizioni alpinistiche e i trekking extraeuropei possono provocare, e dopo aver sottolineato che comunque tali attività sono portatrici di benefici, soprattutto economici, per le popolazioni di quei Paesi, il Bidecalogo sostiene che è doveroso (attraverso le Sezioni e/o i singoli soci) il massimo rispetto per la natura dei luoghi, magari utilizzando, il più possibile, risorse locali, “sia in termini di uomini sia di mezzi, privilegiando, ove possibile, la mobilità lenta con l’ausilio di animali da soma“. Ugualmente è doveroso che “il materiale tecnico usato per lo svolgimento dell’attività debba essere sempre riportato nel luogo di acquisto“.
Nella posizione e nell’impegno, il CAI sostiene che i frequentatori debbano avere piena conoscenza della loro meta, al fine della conservazione dell’ambiente e delle tradizioni locali. Pertanto raccomanda ogni iniziativa valida a questo genere di sensibilizzazione e formazione (sia dei soci che dei non-soci). S’impegna ad evitare il proliferare delle spedizioni commerciali e a tenere una posizione ferma “per il rispetto di tali regole comportamentali nei confronti di soggetti terzi e di altre organizzazioni internazionali“.
Spedizioni commerciali sull’Hillary Step, Everest. Foto: Subin Thakuri
Tutto qui. Eppure, quando nove anni prima si era fatto promotore, in occasione del cinquantenario della conquista del K2, di un gigantesco trekking al circo Concordia e al campo base del K2, cui aderirono oltre 500 soci divisi in 18 gruppi, il CAI aveva fatto redigere e stampare un opuscolo, il Vademecum Ambientale, un documento elaborato prima della partenza e sottoscritto da operatori e trekker. La società incaricata di bonificare l’intero Baltoro dai rifiuti delle spedizioni e dei trekking, Montana srl, era stata investita anche del compito di sorvegliare il buon andamento dei campi dal punto di vista ambientale e il rispetto da parte di tutti del Vademecum ambientale.
Nell’ambito del grande progetto del CAI, 1954-2004, il CAI dalla conquista alla conoscenza, il Vademecum era pieno di osservazioni e consigli, un vero e proprio protocollo per chi voglia fare una spedizione o un trekking. E se proprio non si voleva fare sforzi, bastava riportare i più stringati concetti alla base del protocollo ambientale della spedizione K2 Clean, elaborati da Maurizio Gallo.
Possibile che nulla di quanto concreto fu scritto allora sia riportato nel Punto 18?
E per quanto riguarda le spedizioni commerciali: forse il CAI non può fare di più, visto che tutte le associazioni alpinistiche in passato hanno fatto del loro peggio, assieme agli alpinisti, per ignorare il problema dell’ambiente e del rispetto culturale, in ossequio a quello che era il risultato da conseguire. Perché una spedizione commerciale dovrebbe, per definizione, essere più dannosa di una normale? Chi ha il diritto di giudicare? IL CAI no certamente, ma neppure l’UIAA. Questo è un processo lentissimo che dovrà vedere coinvolte tutte le parti, con forte volontà di collaborazione.
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Bisognerebbe, tanto per cominciare, stabilire cosa è una spedizione commerciale e cosa non lo è, fermo restando che mi chiedo in che termini o in che percentuale una spedizione può definirsi oggi, nel 2015 quasi 2016, “non commerciale” se come avviene nel 99,9% dei casi usufruisce di servizi da parte di agenzie locali. L’idea che “il materiale tecnico usato per lo svolgimento dell’attività debba essere sempre riportato nel luogo di acquisto“ è molto romantica ma priva di senso logico e di utilità pratica. Acquistare prodotti tecnici in Europa ad esempio e transferirli tramite cargo prima avanti e poi indietro dal paese in cui si svolge la spedizione è un pratica poco sostenibile e rappresenta uno spreco inutile. Perché non usufruire di un servizio commerciale di noleggio o prestito a pagamento di una agenzia locale? Gli stessi prodotti (le tende per il campo base ad esempio) possono essere trasportate e installate al campo base, in questo caso quindi al risparmio economico e al minor impatto sull’ambiente si aggiunge uno stimolo alla economia e alla organizzazione locale. Normalmente al noleggio le agenzie tendono ad aggiungere il servizio (cucina e trasporto, ad esempio o servizio guida) questo significa fare evolvere il mercato e combinare l’aspetto commerciale di una spedizione organizzata da terzi verso la fornitura di servizi. Non è questo qualcosa che ha a che vedere con la sostenibilità e lo sviluppo locale, questo? Secondo me sì, perché la rivendita di prodotti ha a che fare generalmente con la pura convenienza economica e la fornitura di servizi con la qualità, invece. Si tratterà casomai di scegliere agenzie o operatori in grado di fornire servizi con un più alto standard qualitativo o in grado di rispettare parametri di sostenibilità verificabili, ovviamente per fare ciò gli alpinisti ospiti devono in taluni casi essere disposti a sostenere costi superiori, cosa che non sempre i viaggiatori e gli alpinisti che acquistano servizi in proprio sono disposti a fare. Le spedizioni commerciali invece – è triste da dire, ma questa è la verità – sì. Infine solo chi continua a pensare alle spedizioni “in quei paesi” con “stile coloniale” può oggi continuare a pensare che la soluzione dei problemi di sostenibilità abbia sempre e soltanto a che fare con i materiali e con l’aspetto commerciale e organizzativo piuttosto che con l’approccio e la gestione delle relazioni con le agenzie o gli imprenditori locali.
Emilio Previtali, da facebook 16 novembre alle ore 9:23