Queen Maud Land
Prime salite in solitaria nella Queen Maud Land, Antartide
di Mike Libecki
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2006)
Mentre le bufere di novembre colpivano e sbattevano il mio fragile tirante di nylon, mi sentivo come un marinaio solitario in mare aperto. Però ero su un mare che consisteva di solido ghiaccio blu e io navigavo con un aquilone collegato alla mia imbragatura, agli sci e alla slitta. Ero lì per esplorare e scalare remote isole di granito, minacciose e magnifiche. Sono come giganteschi mazzi di granito che fioriscono da vasi di ghiaccio – di gran lunga le formazioni più singolari che io abbia mai visto.
Andare da solo nella Queen Maud Land era stato nella mia lista di sogni per molti anni. Tutte le spedizioni in solitaria che avevo fatto erano state parte di una progressione di addestramento per preparare questo viaggio. Poi, dopo un anno di meticolosa pianificazione, c’è stato un improvviso cambiamento nella logistica: la compagnia russa che mi ha permesso di arrivarci ha cambiato la data di partenza da dicembre a ottobre. O andare in anticipo e giocare d’azzardo con tempo rischioso, o non andare affatto.
Negli ultimi 15 anni avevo guardato il mondo attraverso le finestre dei miei occhi, sempre con la sensazione di avere 17 anni, un adolescente. Adesso ho 32 anni e mi vedo e mi sento finalmente cambiare. Per la prima volta nella mia vita, guardandomi allo specchio, vedo mio padre che guarda indietro. Addio ragazzo adolescente, ciao uomo adulto.
Tutte le raccomandazioni che avevo sentito crescendo riguardavano altre persone, persone anziane, adulti. Ricordo di aver sentito gli adulti esprimere la loro saggezza: “La curiosità ha ucciso il gatto”, “Non giudicare un libro dalla copertina”, “Un giorno alla volta” e il sempre popolare “Non mordere la mano che ti nutre. ” Tali detti popolari avevano sempre avuto un certo senso per me, ma ora definiscono la mia vita, non solo nelle sfide delle relazioni e nella costruzione di una carriera, ma anche nelle mie impegnative spedizioni in tutto il mondo.
La mia reazione iniziale al nuovo sentimento dell’età adulta è stata come una rinascita, con un rinnovato ottimismo e il coraggio di portare la vita a livelli più alti. Mi sono sentito come un bambino professionista, con la forza ritrovata di continuare il mio stile di vita di arrampicata nelle zone più remote del pianeta, e di farlo pur essendo un padre, avendo una casa confortevole per la mia famiglia, inserito nella comunità. Ora, nel mio camion, ascolto perfino il giornale radio invece che muovermi al ritmo di un bootleg, vecchio del 1977, dei Grateful Dead. Cosa mi è successo? Sicuramente, come un ago della bussola punta verso nord, stavo diventando adulto.
Eventi casuali durante il mio viaggio in Antartide nel 2005 hanno confermato questa metamorfosi. Per la prima volta, mi sono lasciato andare a quello che avevo sempre considerato i classici vizi per adulti: caffè e tabacco. Per tutta la vita, avevo preso in giro i miei genitori che si deliziavano nell’indulgere a entrambi. In che modo una sigaretta cancerogena seguita da qualche alcolico può essere una delizia? Poco prima di lasciare Città del Capo mentre andavo in Antartide, mentre compravo un po’ di salumi di riserva in un mercato, un sacchetto di tabacco attirò la mia attenzione. Sono partito con una busta di Old Toby e 50 cartine. Sfortunatamente, mutare allo stato di adulto comporta anche l’arrivo dell’ipocrisia.
Ho volato da Città del Capo fino alla base russa Novolazarevskaya. Quando siamo atterrati sulla pista di ghiaccio era il 31 ottobre 2005, la festa di Halloween. Il sole era sotto l’orizzonte e la temperatura era di -26° senza tener conto dei venti di 60 miglia orarie. Ancor prima di fare sei passi nel continente ghiacciato il mio viso era insensibile e i peli delle mie narici si erano ghiacciati. Sono stato accolto da una calda borscht (zuppa di barbabietole) e un lungo salsicciotto secco per colazione. Stavano tutti festeggiando l’inizio di un’altra stagione antartica, mentre scaricavano dall’aereo scatole di bottiglie di vodka Stolichnaya.
Secondo la mia mappa, alcune centinaia di miglia quadrate della Queen Maud Land ospitano innumerevoli guglie, torri e prue di navi di granito. Avevo stretto amicizia con i piloti russi e ho avuto l’opportunità, una volta nella vita, di trascorrere quasi tre ore sorvolando l’area per una straordinaria ricognizione. Sembrava impossibile che esistessero così tante e straordinarie formazioni, tra l’altro mai scalate, in un’area così relativamente piccola.
A un certo punto, forse ai tempi di Gondwanaland e Laurasia, queste opere geografiche dovevano essere dimora di draghi e stregoni, un motivo per fare esistere le favole. Mi sentivo come un antico guerriero appena uscito da un libro, venuto a salvare una dolce, bella fanciulla imprigionata su quelle guglie così appuntite, sorvegliata da temperature sempre inferiori allo zero e venti che urlano e stordiscono, come draghi feroci che respirano il gelo.
Indicai un gruppo di spade di granito per segnalare dove volevo atterrare. Il nostro piccolo aereo, simile a un giocattolo, atterrò sul ghiaccio vetroso sbandando avanti e indietro come un pesce che gira attorno a una barca. I russi scoppiarono a ridere come bambini su un go-cart, sparati sul ghiaccio con quel motore a elica singola. I piloti sembravano perplessi sul fatto che avrei tentato di scalare una di quelle strane torri di pietra da solo. Quando sono uscito in quella brezza paralizzante, mi sono sentito allo stesso modo.
Il suono dell’elica dell’aereo che si allontanava si attenuò e io rimasi da solo sulla chiara calotta di ghiaccio; mi circondavano sculture perfette di lucenti fiamme di ghiaccio. La temperatura era di -18° quando l’ultimo raggio di sole scomparve. Guardavo quel granito alto e inquietante con sospetto. Feci un po’ di corvée per allestire il mio campo. Quando il fruscio delle attrezzature e degli sci che scivolavano sul ghiaccio si placò, c’erano solo la brezza, il battito del mio cuore e il respiro. Assoluta solitudine. Vivere da solo a temperature fredde come il mio congelatore domestico per le prossime cinque settimane potrebbe dimostrare un altro slogan per adulti: “Stai attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo”.
C’erano due tipi di preoccupazione: i venti catabatici e il granito friabile. Avevo imparato a temerli entrambi durante l’estate antartica 2003-04 quando avevo scalato una big wall più o meno a 40 miglia da qui. I venti in agguato avevano trasformato una giornata “calda” a -6° a un inferno di -30° in pochi minuti. E neppure potrei mai dimenticare in quell’esperienza l’aver incontrato la peggior roccia della mia vita. E’ da quando sono partito da Salt Lake City che mi preoccupa la qualità della roccia. In fondo però ero speranzoso di trovare roccia buona, quella che trasforma la montagna da semplice forma estetica a esperienza grandiosa. Queste hanno forme così perfette da far sfiorare la sensazione erotica.
Il mio primo obiettivo era tentare uno straordinario scudo di roccia che mi ricordava la Ship’s Prow sulla costa dell’isola di Baffin. Nel 1999, durante la mia prima spedizione solitaria nell’Artico, sono stato in grado di scalare quella formazione inquietante a temperature mai sopra i -30°. Ora ero di nuovo in una situazione simile dalla parte opposta del pianeta: ma, anche se qui le temperature fossero state più fredde, almeno non avrei dovuto preoccuparmi che gli orsi polari facessero irruzione nel mio campo.
In poco tempo ho attrezzato tre lunghezze, con la sola difficoltà dovuta ai forti venti e alle temperature gelide. Mentre attraversavo su una piccola cengia sotto a una cavità piena di fessure, mi imbattei in due lastre delle dimensioni di un saccone da recupero. Erano bilanciate così perfettamente che sembrava che una folata di vento potesse spingerle giù. Dovevano andare.
In una buona posizione, tranquillamente ho toccato con delicatezza una delle due lastre: entrambe sono precipitate verso il suolo. Mi aspettavo il normale rumore di una roccia che cade, e invece è iniziata una reazione a catena, con lastre tipo tavoli da biliardo che cadevano da un diedro circa tre metri alla mia destra e mi esplodevano vicino. E prima che la mia adrenalina si potesse calmare un momento, un camion carico di granito mi si scatenò attorno, distruggendo tutto con grande frastuono. Mi sono raggomitolato in posizione fetale. La terra tremava, quasi urlava. Sembrava che l’intera parete si stesse sgretolando nel giorno del giudizio. Tutta la roccia alla mia destra che avrebbe dovuto permettermi di continuare è esplosa con un terremoto pazzesco. Ho sentito l’odore del fuoco, il calore, l’energia organica grezza.
Quando quelle esplosioni da fine del mondo si smorzarono lontano sulla calotta di ghiaccio e nel rimbombo sulle pareti vicine, mi fischiavano le orecchie in un ronzio profondo nella mia testa: ma ecco il crepitio di altre pietre che rimbalzavano in parete verso di me. Ho chiuso gli occhi, mi sono raggomitolato a palla e mi son preso quella lapidazione come avrebbe fatto una strega accusata e legata a un palo. Poi ci fu silenzio, il vento gelido, un cielo blu brillante e un sole felice che splendeva. Ero immobile come in una camicia di forza, poi improvvisamente ansimai per respirare come se fossi stato sott’acqua per tre minuti. Sentivo caldo e umido nonostante il vento gelido, poi mi sono reso conto di aver fatto pipì nei pantaloni.
Sono sceso in doppia, tremando. Fortunatamente, il mio percorso era un obliquo a destra, dunque le mie corde sottostanti erano intatte. Piangevo e pensavo a mia figlia. Pensavo ai miei doveri di adulto e non solo a quanto mia figlia aveva bisogno di me, ma anche a quanto avevo bisogno io di stare con mia figlia. Le lacrime mi si gelavano sul viso. Ho frugato nel mio saccone, ho bevuto il resto del liquido caldo nel mio thermos, ho addentato alcuni pezzi di salame duro e ho cercato di dormire. Il mio iPod mi ha dato un po’ di terapia con le canzoni di Johnny Cash: “One”, “Nobody”, “Solitary Man” e “I See A Darkness”. Ma in testa avevo ancora quel rumore pazzesco della roccia che si schiantava. Potevo annusarla, quasi.
Quando mi sono svegliato ho sentito una nuova energia. Mi son preso la giornata per digerire l’esperienza e considerare le mie alternative. Era la prima volta che indietreggiavo da una via in solitaria e questo mi umiliava nel profondo; ho dovuto farmi una ragione del fatto che quell’esperienza si poteva ritenere quasi quella definitiva, e non avevo avuto altra scelta che scendere. Ma la mia ossessiva dipendenza psicologica dalla scalata solitaria è un’energia che non posso controllare e mi guida come il ferro verso una calamita. Avevo messo in ballo cuore e anima per arrivare fin lì. Pensai a un’altra saggia massima da adulti che mia madre mi suggeriva sempre: “Sii fedele a te stesso e sii grato per ciò che hai”. Avevo ancora un sacco di tempo per trovare un altro obiettivo.
Indossai gli sci per andare nelle vicinanze a guardare una struttura bella, alta e slanciata, un percorso che avevo esplorato in precedenza che portava a una cima grande come un tavolo da caffè. Nonostante il persistente terrore che mi perseguitava dopo la prima via che avevo tentato, volevo raggiungere la vetta di quella nuova torre.
Ho trovato un po’ di roccia solida ma anche, naturalmente, lunghezze ricoperte da sabbia per gatti. Ci sono state volte in cui, dopo aver provato a posizionare un Camalot n. 1 e dopo aver fatto pulizia dei detriti, finivo per piazzare un n. 3; mettere un knifeblade spesso voleva dire posizionare un angle da 3/4 di pollice. Il vento gelido limitava il mio programma, e spesso dovevo tornare indietro al campo a causa di piedi e dita pericolosamente intorpiditi. Sono sempre salito come sulle uova e ho sempre tenuto addosso per ogni movimento le scarpe da arrampicata, per avere più precisione, nonostante le dita ghiacciate dei piedi che ovviamente mi tormentavano. Ho messo corde fisse e ho fatto solo un bivacco in parete. Riuscivo a malapena a dormire mentre coricato pensavo al lavoro del giorno successivo, ancora carico della paura per quella prima gigantesca frana.
Ho raggiunto la vetta dopo 16 giorni. Stare in cima è stato glorioso, ma durante la salita non mi sono affatto divertito, sempre per la paura della roccia marcia. Tuttavia, mi sono ritrovato a urlare di gioia mentre indossavo la mia maschera dell’Anno del Gallo in cima alla Windmill Spire.
Raggiunta la sicurezza del campo, sono stato ipnotizzato dai magnifici colori cangianti del tramonto, un orizzonte di Barbie rosa e sorbetto arancione. La prua della nave che avevo tentato mi sogghignava un po’ di derisione nella gloriosa luce del sole. Non avevo ancora smesso di desiderarne l’incredibile cima. Tre giorni prima che i russi mi venissero a prendere, ho sciato sul retro della formazione, e dopo diverse ore su una bellissima cresta a dorso di drago mi sono trovato in cima. Pensai di nuovo a mia figlia, ma questa volta stavo ridendo invece che piangere.
A casa ho dovuto assumere pillole antidolorifiche per gli effetti collaterali dei congelamenti alle dita dei piedi. Dopo non molto tempo mi ritrovai a strapparmi una carne morta che sembrava una fila di calamari secchi. Mi sono sentito profondamente onorato per aver assistito in questa spedizione a una potenza degli eventi così cruda.
Sono tornato al mio solito tè verde e caffè un paio di volte a settimana. Del tabacco ho solo il ricordo e mi prendo in giro per il breve intervallo di nicotina. La trasformazione all’età adulta è un viaggio interessante. Una cosa importante che ho realizzato, nel mio passaggio ad adulto e padre, è che devo insegnare a mia figlia che deve credere nei suoi sogni, indipendentemente da cosa possano essere, e seguirli. La vecchiaia e la morte sono inevitabili. Il momento è adesso.
Sommario
Area: Orvinfjella, Queen Maud Land, Antartide
Salite: prima salita in solitaria di Frozen Tears (460 m, 9 tiri, VI 5.10 A3) sulla Windmill Spire. Prima salita in solitaria di Dragon Back Ridge (760 m di dislivello, 5.5) sulla torre a “prua di nave” senza nome. 31 ottobre-8 dicembre 2005.
Una nota sull’autore
La vita di Mike Libecki ruota ora attorno all’allevamento della figlia di tre anni, Lilliana, e alla ricerca di pareti e montagne del mondo remote e non scalate. Vive vicino allo sbocco del Little Cottonwood Canyon nello Utah con sua figlia, cani, gatti, uccelli, conigli e la sua più recente new entry in famiglia, un maialino.
Sponsor
Questa spedizione è stata sponsorizzata da Banff Center, Black Diamond, Clif Bar, Mountain Hardwear e WL Gore Shipton/Tilman Grant.
Le salite più importanti
(1) Ulvetanna 2931 m, 1994, massiccio Fenriskjeften
Caspersen-Nesheim-Tollefsen (norvegesi) Complessivamente, la spedizione di 13 membri ha scalato 36 vette, tra cui Gessnertind 3021 m, Holtanna North 2630 m, Jekulkyrkia 3148 m e Kinntanna 2724 m.
(2) Rondespiret 2427 m, 1996-97, Sør-Rondane
Aastorp-Caspersen-Staver-Tollefsen (norvegesi)
(3) Rakekniven 2365 m, 1996-97, Filchner Mountains
Anker-Graber-Krakauer-Lowe-Ridgeway-Wiltsie (Stati Uniti). Sono state scalate anche altre quattro vette nell’area.
(4) Kubbestolen 2080 m, 1999-2000, Holtedahlfjella
Lukes-Oehninger (svizzeri). Il duo ha scalato prima una nuova via su Mundlauga nel Fenriskjeften, quindi ha sciato tre giorni per raggiungere l’Holtedahlfjella, dove hanno scalato sei vette.
(5) Holtanna 2640 m, 2001, massiccio Fenriskjeften
Dujmovits-Georges-Hubert-Mercier-Robert-Zangrilli (spedizione internazionale)
La spedizione ha scalato altre nove nuove vie nel massiccio. Una spedizione spagnola operava nella stessa zona nello stesso periodo, riuscendo a realizzare almeno una nuova via.
(6) Peak Valery Chkalov 2510 m, 2003, Svarthorna Peaks, massiccio del Wohlthat
Khvostenko-Kuznetsov-Sokolov-Zaharov (Russia). La spedizione ha scalato cinque vette in tutto.
(7) Parete ovest del Fenris 2680 m, 2004, Orvinfjella
Helling-Libecki (Stati Uniti)
(8) Windmill Spire, 2005, Gruvletindane Group, Orvinfjella
Libecki (Stati Uniti)
Una spedizione kazaka dovrebbe aver operato nella Queen Maud Land nel dicembre 2005, ma non sono disponibili ulteriori dettagli.
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