Se l’economia sostenibile è una contraddizione

Se l’economia sostenibile è una contraddizione
di Alessio Donvito

Ogni formulazione classica della logica – da Aristotele a Gödel – fonda la correttezza del ragionamento su un principio elementare, detto di non contraddizione. Tale principio dichiara falsa ogni proposizione che assegna al medesimo oggetto, insieme, un attributo e la negazione di quell’attributo. In formule: ¬(A ^ ¬A); è falso che A sia anche non-A. Un ragionamento che non contempli tale principio – un ragionamento contraddittorio – è detto paradossale, oppure antinomico, a seconda di certi tecnicismi da matematici.

Uno dei paradossi, o meglio, delle antinomie, più celebri della moderna logica matematica si deve alla scoperta di Bertrand Russell, filosofo e matematico gallese. Si finisce, in quel ragionamento, a determinare che un insieme (R) appartiene e non appartiene a sé stesso contemporaneamente.

Vignetta di Alfio Krancic

Siccome la logica non è un divertissement per menti annoiate, e siccome i princìpi del ragionamento sono i princìpi stessi della realtà, qualche rigorista potrebbe tentarne applicazioni diverse. Certo, c’è da assumersi dosi buone di rischio.

A titolo di esempio, potremmo provare ad affrontare logicamente la questione della sostenibilità ambientale dell’economia di mercato. Si tratta di vedere, cioè, se questo insieme complesso di relazioni, che sostanzializziamo e chiamiamo Mercato, possa sussistere – così com’è ora – anche senza generare sfregi irreparabili a quell’altro, più grande e comprensivo, sistema di relazioni, nel quale pure si inserisce, che chiamiamo invece Natura o ecosistema naturale. In altri termini, se sia veramente possibile uno sviluppo sostenibile di qualche genere. Fino ad ora la semplice evidenza ha mostrato qualcosa di diverso, ossia che è possibile (anzi, usuale) che il Mercato, nell’insieme delle sue modalità e manifestazioni, funga piuttosto da principio primario del deterioramento ambientale.

I più saranno a conoscenza di quel famoso rapporto, Limits to growth, commissionato al Massachussets Institute of Technology dal Club di Roma e pubblicato negli anni Settanta del secolo scorso. Per la prima volta, con la sorpresa di molti, furono scientificamente messi in relazione sviluppo industriale e limiti fisici del pianeta (la sua “carrying capacity” o capacità di carico). Il monito era chiaro: la crescita illimitata dell’industrializzazione, della demografia, dello sfruttamento delle risorse ambientali, non è possibile né auspicabile, essendo limitate le risorse sulle quali essa si fonda. As simple as that.

Si obietterà: “Cosa c’entra il Mercato?”. Risposta: pur nella straordinaria complessità e diversificazione di ciò che, per ragioni di sintesi, abbiamo chiamato Mercato, ogni atto che ascriviamo a quell’ambito sottende sempre la stessa logica, quella dell’estensione del profitto. A sua volta, essa necessita un’estensione della produttività. Il Mercato è il presupposto del produttivismo; esso richiede sempre che qualcosa cresca: la produzione, l’industria, i servizi, i consumi.

Ora, da qualche tempo è in uso nel linguaggio comune un sintagma eccentrico, persino bizzarro: “sviluppo sostenibile”. Lo si usa intendendolo nei termini di un fatto concreto. Secondo tale retorica, qualcosa come una “crescita” delle forze produttive ed economiche che sia allo stesso tempo compatibile con la piena salute dell’ambiente, non solo appartiene all’ambito della possibilità effettiva, risultando dunque concretizzabile, ma è addirittura già all’opera in determinate circostanze.

Ad oggi, invece, nessuno sviluppo sostenibile in senso pieno si è potuto realizzare. Pertanto, la formula appartiene alla narrazione e al mito, più che al ragionamento. È il mito, ubiquitariamente propagandato, della green economy. Siccome essa non si vede da nessuna parte, la convinzione che esista è un puro atto di fede. La religione dello sviluppo industriale verde, con tutti i suoi preti e i suoi fedeli. Il dibattito intorno alla religione ha un nome: teologia.

Proviamo allora a svincolarci dalle difficoltà che ogni teologia comporta per mezzo della logica. Dobbiamo vedere se l’economia di mercato, qualora pretenda di rappresentarsi come sostenibile, operi entro una qualche aporia. Ritorniamo alla non-contraddizione. Se quell’ente che (in modo improprio – repetita iuvant) abbiamo chiamato Mercato genera interesse tanto attorno a forme ambientalmente compatibili di produzione, quanto attorno a produttivismi assolutamente incompatibili con l’ambiente, non è in questo già all’opera una contraddizione? Se dovessimo decidere, poi, di spingerci oltre e di verificare le proporzioni della distribuzione di sostenibilità ambientale e insostenibilità ambientale, faremmo scoperte degne di nota. Nel bilancio economico globale, quanto pesano le attività economiche sostenibili rispetto alle altre? Corrano pure tutti alle calcolatrici; già possiamo approssimare una risposta.

Vignetta di Gianlorenzo Ingrami

Al fondo delle nostre difficoltà, nel campo della crisi ambientale, alberga un problema di struttura. Il nostro – tornando al lessico teologico – “peccato originale” è l’ignoranza delle leggi fondamentali di pensiero e realtà insieme. Il Mercato, dovremo riconoscerlo, è un oggetto massimamente contraddittorio, perché incoraggia insieme condotte ambientaliste e il loro diretto contrario, con netta prevalenza delle seconde. Esso è allo stesso tempo A e non-A. Alla domanda: “E’ vero che un’economia di mercato pienamente ambientalista è possibile?”, non noi, ma Aristotele in persona risponde un perentorio “no”.

Il modello della green economy, dichiaratamente teorico sin dalla nascita, è il tentativo, sempre svolgentesi in deroga a quelle leggi, di migliorare l’efficienza energetica e produttiva del Mercato senza tuttavia abbandonare la matrice del grattacapo, ossia il produttivismo fine a se stesso che lo caratterizza. Tentativo sterile. Un nano senza gambe può percorrere, stremandosi, giusto qualche metro. “Sviluppo” e “sostenibilità”, intesi come sono, stanno tra loro in contraddizione.

Perseguire l’obiettivo della crescita significa abdicare a quello dell’ecologia e, viceversa, ambire alla piena salvaguardia dell’ambiente significa rinunciare alla prospettiva della crescita fine a se stessa.

Dalla contraddizione si esce solo abbandonandola. Potremmo anche scegliere, in tutta coscienza, di permanere entro i limiti stessi della contraddizione. Anche in quel caso la logica ci fornirebbe alcune indicazioni. Ci avvertirebbe: “Sappiate di dover accogliere, se accettate come premessa ciò che è contraddittorio, anche tutto ciò che c’è di falso. Non spaventatevi allora se due più due non farà più quattro e se il triangolo avrà cinque lati. Ex falso sequitur quodlibet”.

Se l’economia sostenibile è una contraddizione ultima modifica: 2023-08-31T04:44:00+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Se l’economia sostenibile è una contraddizione”

  1. https://gognablog.sherpa-gate.com/georgescu-roegen-per-la-decrescita/
    https://gognablog.sherpa-gate.com/i-precursori-della-decrescita/
    Da quest’ultimo link: “Già gli autori di The Limits to Growth speravano che si potesse stabilire «una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile nel tempo». Tuttavia, come lo steady state non poteva essere separato dallo stato stazionario (inteso come stationary state), così lo “sviluppo sostenibile” non poteva essere separato dalla “crescita economica”. Questo approccio non poteva non ricordare a un economista il famoso “decollo” verso la crescita sostenibile di Walt Rostow. Chi davvero penserebbe che lo “sviluppo” non implichi necessariamente, in qualche misura, la crescita [l’affermazione è importante perché chiarisce come, per Georgescu-Roegen, lo sviluppo implica di fatto la crescita e, dunque, lo sviluppo sostenibile ricade nelle contraddizioni tipiche della “crescita sostenibile” denunciate dallo stesso Daly (il neretto è nostro, NdC]? E’ comprensibile allora come il falso ottimismo presente in questi due slogan – “stato stazionario ” e soprattutto “sviluppo sostenibile” – abbia attratto miriadi di convertiti, i quali si sono dati appuntamento a un forum “globale” dopo l’altro, accrescendo la reputazione dei promotori della formula. Tutte queste iniziative spinsero molte corporations a promuovere la propria immagine attraverso il finanziamento di tali attività.
    In altre parole, la dizione ‘sviluppo sostenibile’ è solo un magnifico ossimoro … 
    Da quando circa 15 anni fa la parola ‘sostenibile’ figurava una trentina di volte in un documento ufficiale di Regione Lombardia ho capito che ci stava sotto una grande fregatura. Da allora mi sono ben guardato dall’usarlo ancora ….
    Saluti.

  2. Ottimo articolo. Conclusione evidente: la civiltà industriale è innanzitutto un fenomeno IMPOSSIBILE, perché incompatibile con il Sistema più grande di cui fa parte (l’Ecosfera, o la Terra). Può persistere soltanto per tempi molto limitati. Dato il tipo di andamento esponenziale che la caratterizza, quando si manifestano i primi segni evidenti di impossibilità, manca poco alla sua fine. Il vero pessimismo è pensare che possa durare ancora a lungo.

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