She moves mountains
Tutte le foto per gentile concessione di Kristin Harila
Il 7 maggio 2023 GognaBlog ha pubblicato Gli Sherpa esclusi, un lungo servizio sui record raggiunti e su quelli tentati dell’alpinista norvegese ed ex-sciatrice di fondo Kristin Harila.
Al momento della stesura dell’articolo le mancava solo un ultimo Ottomila, il Cho Oyu, per poter essere la prima donna ad averli scalati tutti e quattordici in meno di un anno: il 3 maggio 2023 Kristin implacabilmente aveva già chiuso la sua collezione, proprio con la salita al Cho Oyu. Con lei erano Tenjen Lama Sherpa, Ngima Rita Sherpa e Matias Miklebust, incaricato di fotografare e filmare. Per il 2023 Kristin Harila aveva approntato un nuovo progetto, She moves mountains, fortemente sponsorizzato a livello mondiale, che prevedeva addirittura la rinuncia alle bombole d’ossigeno.
Ma già sul suo penultimo Ottomila del vecchio progetto, lo Shishapangma, proprio per rincorrere la scadenza dell’anno, ma anche per stare nei tempi del nuovo progetto (meno di 180 giorni), la Harila aveva abbandonato la chimera di non usare respiratori e bombole.
Dal 28 aprile 2022, giorno del suo primo Ottomila, l’Annapurna, al 3 maggio 2023 sono passati un anno e cinque giorni. Nessuna polemica: tutte le salite della trentasettenne norvegese sono state ampiamente documentate, sempre fino alla “vera” vetta, dal suo tracker GPS. Ma l’obiettivo era di battere il record della salita di tutti gli Ottomila in meno di 189 giorni (quello detenuto dal nepalese Nirmal Purja). Il ritardo della concessione del visto per lo Shishapangma aveva fatto “slittare” il record (non più sei mesi ma un anno…)
L’imperfezione di tale record (che per noi non è tale ma lo è certamente per la burocrazia giornalistica) è sottolineata dal fatto che Kristin in questo exploit è stata preceduta, di soli sette giorni, dall’alpinista cinese Dong Hong Juan cui pertanto va il record di tutti e 14 gli Ottomila con il raggiungimento delle “vere” vette (anche per lei è valido il controllo tracker GPS). Le vette raggiunte dalla cinese sono in realtà, tra il 2013 e il 2023, ben 19: perché di cinque non aveva salito la “vera” vetta, bensì era stata in cima al punto più alto tradizionale. Alla Harila rimane il record della salita femminile più veloce della collezione degli Ottomila (un anno e cinque giorni).
Alla luce di questi fatti, ecco che forse ha una spiegazione la ritardata emissione del visto da parte dell’ambasciata cinese lamentata da Kristin a ottobre 2022.
Le polemiche
Di certo Kristin Harila non gode di tutte le simpatie. Sulla sua pagina fb Alessandro Filippini l’ha definita una climbfluencer.
Angela Benavides, su ExplorersWeb, fa il punto della situazione: “Se può essere stimolante tentare di superare il record di Nirmal Purja”, gli exploit del nepalese e della norvegese non possono essere paragonati con quelli di Messner e degli altri che “non disponevano di elicotteri, di possibilità di soccorso ad alta quota e di una logistica che ormai è straordinaria”. Vantaggi che hanno “ucciso l’incertezza che è l’essenza dell’avventura”.
Oltre a ciò è il peso del “tradimento” lamentato dagli sherpa Dawa Onju e Pasdawa che, dopo essere stati al servizio della Harila per i primi dodici Ottomila, sono stati da lei bruscamente licenziati.
Secondo le interviste rilasciate da Dawa Ongju e Pasdawa Sherpa ai media nepalesi, il mancato rilascio del visto è stato “uno stratagemma per non lasciarli salire, perché anche loro stavano inseguendo lo stesso record di Harila”.
“L’abbiamo trattata come una sorella, poi ci ha tradito” ha detto Pasdawa. “Non vedevo l’ora che scalassero le due montagne che mancavano loro. Ora, con i dettagli che vengono alla luce, è chiaro che sono stati derubati di questa opportunità” ha commentato Lhakpa Sherpa, fondatore di 8K Expeditions.
She moves mountains
Il 18 maggio 2023 è stato invece il giorno dell’ennesimo successo per la record woman alpinista norvegese, che ha raggiunto la vetta del Kangchenjunga, in un giorno in cui nessun altro ci era riuscito a causa del vento e del freddo, e per un errore nella scelta del couloir, indovinato invece dal team della norvegese. Kristin era assieme a Tenjen (Lama) Sherpa e Gelu Sherpa della Seven Summit Treks e pochi giorni prima aveva raggiunto anche la vetta dello stesso Makalu, immediatamente dopo che gli sherpa della stessa agenzia avevano fissato le corde.
E il 23 maggio 2023 la Harila ha guadagnato le cime di Everest e Lhotse in sole otto ore, calcando i piedi su sei Ottomila in meno di un mese!
Harila, assieme a Tenjen (Lama) Sherpa e Gelu Sherpa, ha raggiunto la cima dell’Everest intorno alle 3.15 e alle 11.15 era in vetta al Lhotse.
“Con questa scalata, Kristin ha battuto il suo record di velocità del 2022 su Everest e Lhotse, che era di 8 ore e mezza, stabilendo un nuovo record di 8 ore circa”, ha dichiarato Thaneswar Guragai, direttore generale di Seven Summit Treks, a The Himalayan Times.
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Per conoscere un po’ meglio un personaggio così controverso come Kristin Harila rimandiamo ad un articolo pubblicato l’anno scorso, subito dopo alle difficoltà riscontrate ad ottenere il visto per la Cina.
“Ho lasciato tutto per diventare l’alpinista più coraggiosa al mondo”
di Sara Canali
(pubblicato su marieclaire.it il 18 novembre 2022)
Non sono state le valanghe, né le tempeste di neve o le cadute di sassi, neppure le lunghe notti in condizioni estreme: a fermare la corsa di Kristin Harila è stata la politica internazionale. L’alpinista norvegese classe 1986 stava riuscendo nell’impossibile, ovvero conquistare le quattordici vette del mondo sopra gli ottomila metri nel minor tempo possibile, arrivando a mettere in crisi anche il record di Nirmal Purja che nel 2019, attraverso il suo Project Possible 14×7 (14 cime in 7 mesi) si era confermato l’alpinista più veloce, sottraendo il record allo scalatore sudcoreano Kim Chang-Ho. Kristin, viaggiando con tre giorni d’anticipo sul precedente primato, avrebbe potuto essere non solo la prima donna, ma la prima persona al mondo a infrangere il muro dei sei mesi di tempo per conquistare tutti gli Ottomila. Ma si è messo di mezzo lo Stato cinese che ha negato il permesso di accedere e arrampicare all’interno del Paese le ultime due montagne che mancavano alla sua lista, fermando così la sua avventura, il suo sogno, il suo obiettivo.
Trentasei anni, dread lunghi e biondi, occhi azzurri, fisico asciutto e un sorriso che illumina e contagia, Kristin, da poco entrata nel team SCARPA, è stata uno degli ospiti più attesi al Valtellina Wine Trail, la celebre gara di trail running di Sondrio. Lei che quando è salita sul palco allestito nella piazza cittadina ha portato tutti i presenti nel suo viaggio, fatto di passione, di divertimento, ma anche di sfida ai limiti e al tempo, si è raccontata senza riserve, svelando tutti i retroscena di un’impresa al limite dell’umano, mettendo in campo, al contrario, un’umanità incredibile. “Nasco nel nord della Norvegia, una parte del Paese dove non ci sono montagne, è tutto così piatto, che l’unica attività sportiva che si pratica è lo sci di fondo”, racconta. “Da piccola sciavo, lo faceva anche mia sorella, e mio padre è sempre stato un ottimo atleta. Ho fatto tante gare anche a livello nazionale, ma nel 2009, dopo essermi trasferita a Lillehammer proprio per allenarmi, ho mollato la mia carriera da fondista e ho scoperto la corsa in montagna. È passato poco tempo perché mi innamorassi di questo mondo, delle salite e di questa nuova fatica, era come vivere un’esperienza inedita. Ma rimaneva solo una passione che affiancavo al mio lavoro, prima in un negozio, poi nel 2013 in un’azienda norvegese, dove in poco tempo conquistai una posizione da responsabile anche piuttosto ben pagata”. L’amore per le montagne nasce in questo periodo, come fuga da un’occupazione in cui Kristin mette tutta se stessa. Perché la determinazione è sempre stata una sua caratteristica che non le ha mai permesso di risparmiarsi quando, in gioco, ci sono degli obiettivi da raggiungere.
Nel 2015 si trova in Africa per lavoro e qui, quasi più per curiosità, si mette in gioco sfidando la salita al Kilimangiaro. “Quando salii per la prima volta sulla montagna più alta dell’Africa il mio fisico non reagì bene, soffrivo l’altitudine, avevo forti dolori, ma sono comunque arrivata in cima e ho amato quella prima esperienza che è come se mi avesse messo ‘un semino dentro’. Era però una fase della mia vita in cui al primo posto c’era il lavoro, non pensavo ad altro, e quella del Kilimangiaro restava solo una bella parentesi”. Poi la scelta: nel 2019, dopo un periodo di tanto lavoro e poco riconoscimento, Kristin prende in mano la sua vita e, da un giorno con l’altro, molla tutto. Si licenzia. “Le persone intorno a me erano sorprese che avessi lasciato il mio lavoro, ma non avevo più fiducia in quello che stavo facendo. Non puoi perdere tempo con cose che non vuoi fare”, dice. E così si prende un anno sabbatico che decide di dedicare alle montagne. Nel 2019 vola in Nepal dove scala il Putha Chuli 7246 m. “Ho visto questa bellissima alba in vetta e mi sono accorta che l’Everest, visto da lì, non sembrava poi così alto. Così mi sono messa in testa di scalarlo, proprio pochi mesi prima dello scoppio della pandemia di Covid-19. Decido di prendere quell’interruzione come l’occasione per allenarmi a casa e rinforzare il mio fisico. È allora che mi imbatto in 14 peaks: nothing is impossible il documentario che racconta l’impresa di Nirmal Purja (anche detto Nimsdai) e sento scattarmi dentro qualcosa. Come un’ispirazione, la voglia di capire cosa ha vissuto questo alpinista straordinario e provare a ripeterlo. Dopo la pandemia, nel 2021, sono tornata in Nepal dove ho scalato l’Everest e poi il Lhotse in sole 12 ore stabilendo un nuovo record femminile. A oggi posso dire che cambiare la mia vita è stata la scelta migliore che potessi fare. Perché lei è cambiata, ma io penso di essere sempre la stessa persona, al 100% nel presente e nelle cose che faccio”.
Gli Ottomila del mondo sono quasi tutti in Nepal, due si trovano in Tibet e cinque in Pakistan. Kristin, insieme al suo team composto dai nepalesi Dawa Ongju Sherpa e Pasdawa Sherpa, inizia la sua avventura il 28 aprile 2022 con la conquista dell’Annapurna 8091 m per poi proseguire con il Dhaulagiri I l’8 maggio e il Kanchenjunga il 14 maggio. Nemmeno 8 giorni dopo, Harila mette a segno un’impresa incredibile conquistando Everest e Lhotse in 8 ore e mezzo, entrambe nella stessa giornata del 22 maggio 2022, frantumando il suo stesso record di velocità da vetta a vetta. “Quando ho affrontato il Makalu il 27 maggio ero un po’ stanca, lo ammetto, ma sapere di aver raggiunto ben 6 Ottomila in 29 giorni valeva più di qualunque cosa, sapendo che Nimsdai l’aveva fatto in 31. Eravamo sulla strada giusta!”. È allora che il team si prende una pausa prima di spostarsi in Pakistan ed è proprio in quella circostanza di ‘guardia abbassata’ che Kristin cade e si rompe un braccio. “Ho pensato ‘è possibile scalare con un braccio solo?’. No, decisamente no. Per fortuna il recupero è stato veloce e abbiamo potuto salire sul Nanga Parbat il 1 luglio. La considero una montagna molto pericolosa che ci accolto con una caduta di massi che per me è stata rovinosa: una pietra grossa quasi come un mini bar mi ha colpito la gamba sulla via della discesa. Sono corsa in un ospedale dove il dottore pakistano mi ha detto: ‘non potrai mai più scalare’ e io ho risposto ‘devo farlo’”.
Il recupero dall’infortunio la norvegese lo fa nelle due settimane che hanno preceduto la salita al K2 (conquistato con successo il 22 luglio), 14 giorni di tempo avverso che, per una volta, si sono rivelati provvidenziali. “Lì ho avuto anche la fortuna di incontrare Nimsdai, la mia fonte di ispirazione, nonché l’alpinista più forte che sia mai esistito”.
La spedizione in Pakistan è stata per lei la più difficile, ma non le ha impedito di conquistare il Broad Peak il 28 luglio, il Gasherbrum II l’8 agosto e il Gasherbrum I l’11 dello stesso mese. Tutto questo dopo che il dottore le aveva detto che non avrebbe potuto più arrampicare. “Ci siamo spostati poi per la conquista del Manaslu, una montagna reputata da tutti ‘facile’, mentre quest’anno le condizioni erano veramente sfidanti con tante valanghe e condizioni estreme. Ci abbiamo messo 19 ore dal campo 3 alla cima e quel giorno, il 22 settembre, solo 6 persone sono hanno raggiunto la vetta“. L’epilogo è quello che vi abbiamo già raccontato: la Cina, durante il periodo clou della pandemia, ha limitato l’accesso degli stranieri al Tibet e ancora oggi il Paese continua a vietare agli stranieri di entrare senza un permesso dalla Tibet Travel Administration. Harila ha anche fatto pressioni sul governo norvegese e sul mondo dell’arrampicata in generale, per cercare di ottenere un permesso per entrare in Cina e scalare le vette attraverso le loro tradizionali rotte commerciali di alpinismo. Ma non è bastato e si è trovata costretta a rinunciare alla sua impresa. “Quando non ci hanno dato i permessi, ho deciso di riprovarci l’anno prossimo. Tutti mi chiedevano se avessi intenzione di fare solo le due cime cinesi, e invece no, voglio fare quelle per prima, poi le altre 12, di nuovo. Non mi arrendo e, anzi, alzo l’asticella: proverò a farcela in cinque mesi, se il meteo mi assisterà, ma anche senza ossigeno artificiale e, se possibile, portando come me gli sci in almeno una o due ascese”. Una sfida nella sfida per la fortissima alpinista che, in questo modo, vuole accendere i riflettori anche sulla presenza della donna nell’alpinismo e i suoi grandi meriti. “Purtroppo in questo ambiente essere uomo o donna fa ancora la differenza: quando stavo cercando uno sponsor, mi sono accorta di come fosse difficile trovare attrezzatura femminile. Mi serviva una tuta da spedizione ed erano tutte troppo grandi per me perché i brand fanno solo misure da uomo, così ho dovuto farmene fare una su misura. Ma sono sicura che i tempi stanno cambiando e ci si rende sempre più conto che anche le donne sono forti alpiniste e ce ne sono sempre di più in montagna”. Una determinazione che può essere spiegata solo da una forte passione che l’ha portata anche a vendere casa e a rinunciare a una vita ordinaria. “Ho venduto il mio appartamento per realizzare il mio progetto, quindi a oggi non ho una casa, se non quella dei miei genitori. Penso sia difficile avere una relazione sentimentale normale con la vita che faccio, ovviamente mi manca, mi piacerebbe avere una persona a fianco con cui condividere le mie emozioni e le mie esperienze, ma non è facile”. E alla domanda se avesse mai avuto paura di morire, risponde: “Non sono preoccupata, perché sono convinta che la cosa più importante sia fare quello che ci piace. E se morirò in cima a un 8000 saprò che stavo facendo la cosa che per me è la più bella in assoluto. Certo ci sono diversi episodi in cui ho pensato che fosse arrivato il mio momento, ma mi sento più fortunata che spaventata. Penso sia più importante vivere la vita che pensare alla morte restando focalizzati su ciò che si sta facendo”.
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e ci si ricasca a parlare di alpinismo quando in questo caso di alpinismo non si tratta, quando in questo caso la protagonista non è un alpinista; ci si ricasca in un blog molto specializzato di alpinismo e arrampicata con personaggi che sicuramente hanno lasciato e continuano a lasciare impronte nell’alpinismo.
poi si gioca sul uso o meno dell’ossigeno…..ma lasciate che raccontino….il bombolino per la notte è come la camomilla serale per certa gente; allora e ancor di più ora.
comunque se ne parlerà ancora perché basta il personaggio giusto con tanti dollari per fare record su record.
chissà se si godono la preparazione, l’avvicinamento, il campo base,il campo 1, il campo 2, il campo 3, il campo 4,la salita senza vedere solo un volgare jumar che scorre inesorabile su delle corde che non sai nemmeno chi le ha messe. Chissà se si voltano ad assistere gli himalaisti in difficoltà e soprattutto se hanno le capacità di aiutare.
per fortuna ho vissuto nella zona della morte tanti tanti tanti anni fa.
Mah, più che di fisico eccezzionale, doti atletiche, visioni alpinistiche, parlerei di disponibilità economica e tempo. Gente ricca, che vuol lasciare impronta di se….piramidi moderne….piramidi di soldi
Non comprendo minimamente questa corsa, non capisco perché la si chiami “impresa” e men che meno perché si continui a parlare di “conquista” di una vetta.
Non sento ammirazione per chi ha bisogno di costruirsi difficoltà tanto effimere per sentirsi vivo.
Mi piacerebbe incontrare la protagonista per cogliere il senso di umanità di cui si parla nell’articolo e per sapere in quale aspetto delle sue corse viene espresso.
Negli ostacoli che si sono presentati io avrei visto un invito a rallentare e a vedere altro.
Nulla di nuovo sotto il sole. L’ epopea dei fenomeni francesi che in giornata concatenavano l’ impossibile pare roba di ieri l’ altro.
Grandissimi atleti, tanto di cappello, é il nuovo che avanza. L’ alpinismo idealizzato non esiste più.
La tecnologia e in tasca a tutti,
Ed e giusto che così sia, altrimenti saremmo fermi in un limbo ideale .
Per primeggiare ormai devi strafare, altrimenti nessuno parlerà di te.
Ma se si vuol cercare di spazi a disposizione c’è n’è ancora tanti, senza andar troppo lontano.
Largo ai giovani e al nuovo….
Io mi accontenterò anche del vecchio.
8 Vegetti, fatte le debite proporzioni, direi di sì. E pure mi sembra sia già così.
FORSE… razzolando hai inciampato in un pescetto di mare baffuto e arancione e avendo scritto male ti stai prendendo qualche carriola di letame.
Vorresti spiegare tutto questo come fenomeno sociale di litigiosità?
Per me è democrazia, le persone che contestano il tuo scritto non sono odiatori seriali, si firmano e ti danno pure motivazioni concrete…potresti contattarli quando vuoi…
Marcello, vale anche per le nostre, di montagne?
Ragazzi, lasciate record, corde fisse, portatori, elicotteri e tutto il resto, là dove stanno. Tutto il resto resta deserto. Non fate si che il cannibalismo si sparpagli rovinando tutte le vallate.
Nulla toglie al fatto che la nordica abbia una pompa non da poco. Non è un’ alpinista, cerca solo un record per fare la vita che le piace. Meglio se lo fa dove vanno tutti. Non c’è pericolo che una così vada a mettere il naso in qualche valle nascosta e non nota, almeno per ora.
Poi si vedrà, poi non ci saremo.
@ Fabio al 4. “Della storia dell’alpinismo rimane memoria solo se si informa.” Pensa che “emozione” andare alla base di una parete sconosciuta per ripetere una delle due vie esistenti e chiedersi: ma lì in mezzo non è mai salito nessuno? Proviamo noi, e al terzo tiro, quello più difficile, incontrare due vecchissimi chiodi piantati quasi di sicuro dagli apritori delle due vie esistenti durante un tentativo negli anni ’30 del secolo scorso. Poi più niente, neanche un graffio, e quindi aprire una bellissima via.
Cominciamo a togliere gli elicotteri, le salite preparate, le tende iperbariche, ecc. ecc.
Eppoi, questa menata dei record di qui e i record di là… Perché poi, nel testo, tutto è concentrato su quello: il record…
Mi sono espresso male. Intendevo riferirmi ad alpinisti schivi che, tutt’al piú, danno notizia sulle riviste specializzate, negli annuari alpinistici o in Rete, ma solo dopo la salita e solo con un resoconto sincero, senza grancassa e senza ostentazione. Come per esempio i resoconti pubblicati sull’American Alpine Journal, che di tanto in tanto ho il piacere di leggere nel GognaBlog.
Della storia dell’alpinismo rimane memoria solo se si informa.
Sí, Marcello, hai ragione: questa ragazza vive la sua epoca.
Però, per fortuna, esistono ancora tanti alpinisti schivi che salgono solo per se stessi e rimangono muti come tombe, indifferenti al mondo e alla pubblicità.
Io ammiro loro. Io invidio loro.
Ma perché? Mummery ha fatto la sua epoca. E menomale che c’è stato, eh!?
Questa ragazza fa la sua.
E sembra essere un fenomeno. Chiaro che sollevi polemiche.
Prima di criticare, qualcuno salga Everest e Lohtse in meno di 8 ore e mezza e poi ne parliamo.
Ridatemi Mummery!