Il grande rischio che sta correndo il selvaggio Vallone di Sea (Valli di Lanzo, TO) non può non essere qui ricordato, periodicamente. Dapprima una fotografia della situazione attuale, a cura di Marco Blatto. Di seguito lo storico articolo di Maurizio Oviglia e Daniele Caneparo che, dopo Gian Piero Motti, documentarono l’evoluzione alpinistica di quel luogo e le sue enormi potenzialità. Questo articolo è già stato pubblicato su GognaBlog il 21 giugno 2021.
La situazione nel Vallone di Sea
di Marco Blatto
Con l’atto autorizzativo del 15 novembre del 2024, ha ripreso consistenza il progetto della realizzazione di una strada agropastorale nel vallone di Sea, con l’obiettivo di raggiungere l’alpeggio di Balma Massiet a 1555 metri. Nonostante il parere geologico contrario della Regione Piemonte, che però dall’aprile 2024 ha passato le competenze in materia direttamente alle amministrazioni locali, il Comune di Groscavallo ha così presentato un nuovo progetto per una “pista” da realizzarsi nel segmento posto sulla destra idrografica del vallone, motivandolo con la necessità di spostare il transito, anche pedonale, sul lato opposto dell’asta fluviale rispetto all’attuale segnavia n°308. Ciò sarebbe reso necessario da una serie di movimenti gravitativi di versante verificatisi sul fianco della montagna dalla nota “Parete del Naufrago”, nell’inverno 2023/24. Il distacco di diverse decine di metri cubi di materiale, infatti, ha interessato la località di fondovalle detta del Passet, punto di passaggio obbligato per chi si rechi nell’alto vallone.

Tuttavia, tra la realizzazione di un sentiero alternativo a guisa di by pass e la costruzione di una pista/strada che segnerebbe in modo impattante il versante destro idrografico, sotto le celebri pareti dello “Specchio di Iside” e del “Trono di Osiride”, vi è una bella differenza. Oltretutto, con l’evento alluvionale del 2024, la piena del Torrente Sea ha eroso buona parte della superficie a pascolo del pianoro del Massiet, lambendo addirittura le costruzioni dell’alpeggio. Ci si chiede, dunque, anche in mancanza di una reale motivazione per il rilancio di un’economia agropastorale, se questo progetto non sia l’ennesimo tentativo di fare un passo avanti rispetto alla potenziale costruzione di una strada fino al Gias Nuovo, nell’alto vallone, un progetto che fin dal 2106 ha sollevato la ferma opposizione di molti alpinisti ed estimatori del luogo. Paradossalmente, quest’idea ha ripreso vigore con l’avvio, da parte del comune di Groscavallo, dell’iter per l’inserimento di 400 ettari del proprio territorio nel Parco Nazionale del Gran Paradiso. Il disegno della nuova area protetta entro i confini comunali, pur comprendendo l’intera testata della Val Grande, lascia fuori una buona sezione del versante destro idrografico del vallone di Sea. E’ così escluso quasi interamente il bacino di Leitosa fino alle porte del Massiet, compresa l’area ove dovrebbe essere realizzata la nuova strada. Nel frattempo il Comune di Groscavallo ha commissionato una nuova, costosa, perizia geologica sul versante sinistro idrografico, dove si è verificato il movimento gravitativo di versante lo scorso anno. A opporsi al progetto della realizzazione della strada del Massiet vi è in prima fila l’associazione Valli di Lanzo in Verticale, che dal 2019 promuove il meeting “Val Grande in Verticale” e che da quasi un decennio ha riportato l’attenzione degli scalatori per il vallone di Sea, grazie a un progetto di richiodature ragionato. L’associazione ha anche recentemente promosso una raccolta fondi con WorkLess Collective. Il tutto per sostenere il ricorso che ATA A.P.S., federata a PRO NATURA Piemonte, ha intrapreso per chiedere l’annullamento dell’autorizzazione a procedere con la realizzazione della strada del comune di Groscavallo.
Sogno di Sea
(un mistero che va oltre il tempo)
di Maurizio Oviglia e Daniele Caneparo
(pubblicato su Momenti d’alpinismo 1985, CDA)
foto di Maurizio Oviglia e di Daniele Caneparo
Parrà forse un po’ strano che a distanza di due soli anni dalla pubblicazione de Le Antiche Sere si ritorni a parlare del Vallone di Sea. Chissà, forse è per ricordare la figura di Gian Piero Motti, autore del precedente articolo, che tanto amò questa valle al punto da svelare i più riposti segreti delle sue pareti. A distanza di tempo, ciò che continua a stupire coloro che non conoscevano bene Gian Piero è il fatto che lui, su quelle rocce, non fosse mai salito. Pur essendo un ottimo arrampicatore, si era limitato ad osservare, a scoprire e a fantasticare sul futuro di quel suo piccolo mondo in cui spesso si rifugiava. Qualche volta mi sono chiesto se avesse mai immaginato uno sviluppo simile a quello del Finalese, della Val di Mello, della Valle dell’Orco. Purtroppo per noi, però, Gian Piero non è più qui a dire la sua. A Sea, comunque, i fatti hanno preso una piega ben differente che altrove. Forse per paura che andasse persa quella magia che ancora vive lassù, tutti noi abbiamo fatto il possibile perché la valle non diventasse il solito posto alla moda. E così Sea è rimasta un po’ com’era in passato, solo con qualche via in più a testimonianza di come qualcun altro, oltre ai «vecchi» pionieri, ne abbia subito il fascino. Che volete, forse è persino meglio che molti non ne sappiano cogliere l’anima selvaggia e preferiscano alla solitudine la bolgia delle vie super-frequentate e il conosciuto all’incognita del nuovo…
Ma perché tacere della bellezza di quel granito, della piacevole idea di rivivere un po’ quanto era capitato ai primi salitori del Sergent e del Caporal? Noi raccontiamo di gradi, di fessure, di vie nuove ma vorrei che tutti sapessero che oltre a tutto ciò c’è anche dell’altro. C’è come un’onda di sensazioni che ti coglie dall’interno, che ti lascia un segno incancellabile; e che ti toglie le parole. In questo senso è bello pensare che nulla sia cambiato, che le nostre fessure, le nostre placche, le nostre cascate rimarranno solo per noi; e che per molto tempo ancora sul verde piano sferzato dal vento non si vedranno né tende né rifiuti, e sarà piacevole invece incontrare compagni d’arrampicata e uomini curvi sotto il peso dello zaino in cammino verso la Ciamarella.
E sempre, per chi vorrà, sarà bello scoprire che anche qui, a pochi chilometri dalla metropoli, esiste un posto dove noi siamo gli ultimi, dove ancora si può discorrere con l’acqua, l’albero, la roccia, il cielo, la nebbia, e persine con il vento che sbatte le porte delle baite. Perché loro sono gli abitanti di Sea…
Addio
di Ugo Manera
Giugno 1983; è una domenica grigia, stiamo arrampicando sulle rocce di Sea, un nuovo itinerario sulla più alta delle pareti. L’arrampicata è molto bella, in me ci sono tutte le sensazioni di questi momenti: tensione, paura di volare, entusiasmo, esaltazione per il movimento dell’arrampicata.
Ma oggi non è come le altre volte. Al fondo di tutte queste sensazioni vi è un’ombra che non scompare, definitiva, spessa. Ieri abbiamo accompagnato Gian Piero al cimitero.
Non è un caso che oggi si sia qui in Sea.
Forse il mio inconscio non riesce ad accettare in modo definitivo la sua scomparsa, forse è per questo che ho sentito la necessità di ritornare su queste pareti con Franco. Forse Gian Piero non ha mai arrampicato sulle pareti di Sea; eppure, ciò malgrado, queste sono le sue pareti.
Descrivendole è riuscito a dare a queste rocce inanimate un’atmosfera che rimarrà sempre ancorata alla valle, appena rinnovata dai nomi che egli stesso ha scelto. Sotto queste pareti Gian Piero ha trascorso molte ore in solitudine con i suoi pensieri, immaginando vie fantastiche sulla roccia e nella vita, fino alla decisione di uscire dalla vita stessa.
La via che stiamo percorrendo si chiamerà: Via dell’Addio. Addio a Gian Piero.
Questa sera, quando saremo fuori di qui, fuori da questa parete, con i muscoli ancora ebbri, una vertigine si insinuerà all’improvviso nella mia mente: mai più scendendo a valle potremo passare a Breno a raccontare l’avventura a Gian Piero, mai più come abbiamo fatto tante volte in passato.
Parete dei Titani, Via dell’Addio
(Relazione tecnica di Isidoro Meneghin)
Altezza: 300 m circa
Difficoltà: TD+ la prima parte, e D+ la seconda; sono necessari chiodi e nut di varie misure
Primi salitori: Ugo Manera, Isidoro Meneghin, Franco Ribetti e Gianni Ribotto il 26 giugno 1983
Si tratta della via più lunga aperta finora sulle bastionate di Sea, e corre immediatamente a sinistra del Gran Diedro dei Titani (Via delle Antiche Sere). Si attacca lo speroncino a placche che delimita una caverna (III+) e si raggiunge una vasta cengia da cui inizia anche il gran diedro. A sinistra di quest’ultimo, e subito a destra dell’ancoraggio dell’ultima delle doppie che si effettuano per la discesa dallo Spigolo dell’Incomunicabilità, parte un piccolo diedro che termina con una lama orizzontale (IV e passo di V). La si attraversa a sinistra (lll+) e si segue il fondo del diedro inclinato a destra (IV, IV+, un passo di AO e uno di V+ per afferrare una scaglia posta molto in alto) che si trasforma in un’entusiasmante fessura verticale con i bordi incisi da appoggi ben marcati. La si percorre fin contro il tetto che la chiude (V), si supera quest’ultimo con un atletico movimento d’incastro (VI), e ci si immette in un diedro incassato e strapiombante (V+) finché la roccia lavorata permette di uscire a sinistra (IV) su uno scomodo gradino inclinato. Sosta 1 su chiodi.
Si prosegue poi verticalmente oltrepassando una scaglia (V-) e si imbocca un diedro verticale e levigato dalla nettissima fessura di fondo (partenza di VI+ o AO, poi V+), la quale si allarga con qualche blocco incastrato (V) e si conclude su una cengia. Non si prosegue direttamente, ma la si percorre verso sinistra (IV) scavalcando un’interruzione. Sosta 2. Ci si rizza quindi sopra un grosso spuntone (III), si fa un passo in discesa, e si attraversa a sinistra una placca compatta (V) per afferrare una fessurina che incide uno spigolo monolitico. Si sale in artificiale (AO/A1) finché è possibile volteggiare a sinistra e introdursi in uno stretto camino svasato (V) che si richiude a fessura (VI-) per sfociare, infine, su una placchetta. Ci si porta a sinistra e si vince ancora un diedro chiuso da una lastra squadrata (V). Sosta 3.
Con un’arrampicata meno impegnativa, ci si porta subito dopo contro un muro a blocchi, lo si supera (IV+), e si approda sulla grande cengia che rappresenta la sommità dello Specchio di Iside. Sosta 4 (e possibile discesa in doppia lungo lo Spigolo dell’Incomunicabilità). Si va contro le placche che costituiscono il secondo grande salto, all’origine di una rampa monolitica ascendente verso destra. Sosta 4 bis. Si segue poi la rampa (III e III+), che però si esaurisce sotto una serie di tetti ad arcata: li si costeggia sempre verso destra dominando in grande esposizione la prima parte della via percorsa, finché compaiono dei diedri che conducono sulla cengia della sosta (difficoltà continue di IV + e V). Sosta 5. Ci si sposta a sinistra su gradini fino ad individuare un diedro incassato; lo si supera (IV) e ci si riporta a destra su placche (III). Sosta 6 alla base di una bellissima placconata striata da fessure.
Si risale con incastro di dita la fessurina sovrastante (partenza di V) che poi si allarga e permette un’arrampicata di maggiore aderenza; si afferrano altre fessure parallele con due brevi traversi a destra e si esce su una cengia (IV con passi di IV+). Sosta 7. Si prosegue su roccia ricca di appigli (III) e si punta verso la parete terminale che appare movimentata da diedri e tetti (IV alla fine). Sosta 8. A sinistra si può notare un curioso pilastro staccato che sostiene una volta strapiombante, mentre a destra parte una larga fessura. È possibile sia innalzarsi presso il pilastro ed effettuare una spaccata a destra, sia salire direttamente dalla fessura (Dülfer di V-): si imbocca quindi una rampa che corre sotto gli strapiombi ed una serie di diedri e camini di roccia articolata (III e IV), e si sbuca alla base dell’ultimo salto. Sosta 9.
Si obliqua a sinistra, si vince un muretto (IV+), e si prosegue per un diedro sbarrato da un tetto (IV); lo si aggira a destra (V) e si sale una gran placca di roccia scura, molto ripida ma provvista di diverse cornici orizzontali (dal IV al V-), e si conclude sulla calotta sommitale. Sosta 10.
Discesa: la stessa della Torre della Tigre. Dal colletto a monte di tale torre, si perviene a un ancoraggio sulla sinistra orografica, da dove ci si cala per 25 m lungo un muro strapiombante, raggiungendo il fondo detritico del canalone. Con un’altra corda doppia di oltre 30 m si arriva all’attacco della via. Di qui si raggiunge il fondovalle lungo lo stesso percorso di salita (ancora due brevi corde doppie).
Nota: con roccia bagnata (incontrata dai primi salitori soprattutto nella prima lunghezza), le difficoltà possono aumentare sensibilmente e richiedere pertanto un maggior uso di mezzi di progressione.

Le Antiche Sere
di Maurizio Oviglia
Cercai ancora di raggiungerla, ma facevo fatica a camminare su quei sassi ricoperti di neve, e a stento riuscivo a tenerle dietro. Poi cominciò a salire sulle rocce, verso il diedro, quello che avevamo salito poche settimane prima. Lasciai senza indugio la corda e anche l’imbragatura: dopo circa cinquanta metri si girò e mi aspettò al terrazzino.
Non avevo paura di lei, ma mi metteva in soggezione; il suo sguardo non era sconosciuto, ma manteneva un alone di mistero che mi attirava.
Ecco – pensai, quando riprese a salire – ora arriverà a quel cuneo lasciato e si convincerà una volta per tutte che avevo ragione io. Ma del cuneo di legno non vi era più traccia, non potevo più dimostrare che avevamo salito la via. Un’inflessione del suo sguardo mi parve un sorriso, ebbi come sempre la spiacevole sensazione di avere i capi di una matassa che mai sarei riuscito a sciogliere. In cima, tra i rododendri, mi dedicò ancora qualche minuto, poi sparì dietro un dosso lasciandomi con lo sguardo perso nel sole che risaliva i pendii dell’opposto versante del Vallone…
Ripensai ancora un po’alle sue ultime parole e risi tra me. Sprofondando nella neve tra l’intricato intreccio di rami, ogni tanto mi giravo verso le scure lavagne nere e pensavo: « Anche oggi non è venuto nessuno… »
Via delle Antiche Sere
(Relazione tecnica di Maurizio Oviglia)
Altezza: 150 m
Difficoltà: da ED- (primi quattro tiri) a TD-
Primi salitori: Isidoro Meneghin, Roberto Mochino e Maurizio Oviglia il 14 gennaio 1984
La via risolve il problema del grande diedro che taglia la parete e che risultava ancora inscalato a causa delle apparenti, forti difficoltà. Si tratta, in definitiva, di un’arrampicata molto bella ed atletica nelle prime quattro lunghezze, fino alla cengia; meno difficile ma ugualmente interessante nei tre tiri seguenti fino al congiungimento con la via del Problema Irrisolto. Molte delle maggiori difficoltà della via sono state superate dai primi salitori con la corda davanti, anche perché molti dei passaggi risultavano sporchi di erba o muschio. Ora la via è stata ripulita e dovrebbe certamente essere possibile superare i tratti suddetti direttamente in arrampicata libera. Ci si porta all’attacco del diedro superando una paretina facile che immette su una cengia erbosa da cui parte, a sinistra, la via dell’Addio. Si comincia quindi per una bella fessura larga che si sale ad incastro fin sotto un tettino (IV+, V-), il quale si aggira a sinistra per liscia placca (V). Sosta 1 su un terrazzino, 40 m.
Si prosegue per un muretto con appigli rovesciati (V+), riprendendo la fessura di fondo del diedro che si segue con magnifica scalata per circa 20 m (IV +, V), ristabilendosi su una piattaforma alla base di un diedro strapiombante. Sosta 2, 25 m.
Si salgono poi d’incastro i primi 6 m del diedro (V+, VI) fino ad un cuneo di legno lasciato, e si esce sulla terrazzina seguente vincendo una fessura strapiombante assai faticosa (3 m, VII-, uscita di V+). Sosta 3 alla base di un magnifico diedro verticale, 20 m. Si arrampica per il diedro fino ad un gradino (VI -) e si continua in Dülfer per oltre 10 m (VI+) raggiungendo un sasso incastrato. Si esce oltre il sasso con un passaggio faticoso (VI) e ci si ristabilisce su una terrazza erbosa che taglia in due la parete (nella Dülfer è stato lasciato un cordino ad un sasso incastrato: possibilità, dunque, di assicurazione con friend ed eccentrici medi). Sosta 4, 25 m.
Ci si porta quindi sotto la continuazione del diedro, ora decisamente più abbattuto. Si sale un muretto (passo di V) e si entra nuovamente nel diedro. Lo si segue superando una Dülfer divertente (IV+), e poi un gradino di lame instabili. Si traversa a destra e si sale la liscia placca (V, improteggibile) sostando su un gradino alla base di un’impennata del diedro. Sosta 5,50 m. Si supera una placca poco inclinata e, con delicata spaccata a destra (V), ci si porta sotto l’impennata stessa: si supera una bella fessurina con incastro di dita (IV + e VI-) uscendo a sinistra su un gradino. Si traversa a destra sotto il tetto e si supera una serie di strapiombini usufruendo di appigli arrotondati (V, passo di VI), uscendo su una cengia. Sosta 6, 45 m.
Infine si sale il diedro di sinistra con una divertente arrampicata (IV), e si arriva su una larga cengia dove si incontra la via del Problema Irrisolto. Sosta 7, 50 m.
Di qui si prosegue fino in vetta, seguendola per altre tre o quattro lunghezze. Discesa: vedi itinerario precedente.
La Seta di Venere
di Marco Casalegno
21 aprile 1984. E’ mattina, e da pochi minuti Maurizio ed io stiamo risalendo il Vallone di Sea ancora ricoperto di neve.
Le pareti sono pulite, e solo in alcune zone colate d’acqua ci ricordano che siamo in un mese che non è certo l’ideale per arrampicare in questo luogo. In questa giornata, e su questa meravigliosa parete che è lo Specchio di Iside, è nata La Seta di Venere, un tracciato di notevole bellezza compreso tra lo Spigolo dell’Incomunicabilità e la Via del Temporale.
La via, che percorre una serie di diedri dal disegno complicato, per essere portata a termine ha richiesto sette ore di arrampicata, che sono state anche sette ore di divertimento, di sogno e – perché no – di evasione.
Ed era proprio quello che cercavo: infatti quelle ore mi hanno regalato sensazioni ed emozioni che avrei voluto fossero eterne. Incredibili contrasti di luce si riflettevano sulla neve e rendevano l’ambiente ancora più irreale, e tutto concorreva a far sembrare questa salita un sogno. Un sogno che si è interrotto al quinto tiro a causa di un incidente a un dito che mi ha costretto a percorrere gli ultimi due tiri con la sola mano destra.
Ma la via non è estrema, anche se continuità ed esposizione sono due caratteristiche che hanno contribuito a collocarla tra quelle più impegnative della parete. In ogni caso questo tracciato presenta alcuni tratti di notevole bellezza: il traverso nel terzo tiro di corda che permette di raggiungere il grande diedro; e poi, soprattutto, il tratto più spettacolare, racchiuso nel quinto tiro dove un caratteristico diedro-camino strapiombante, chiamato Delta, costringe a un’arrampicata di rara eleganza su un vuoto di oltre cento metri. E il nome Seta di Venere vuol essere proprio la testimonianza di qualcosa di prezioso su qualcosa di estremamente bello.
Specchio di Iside, Via della Seta di Venere
(Relazione tecnica di Maurizio Oviglia)
Altezza: 200 m
Difficoltà: TD+/ED-; sono necessari una serie di stopper e di hexcentric, e anche chiodi sottili e normali
Primi salitori: Marco Casalegno e Maurizio Oviglia il 21 aprile 1984
Arrampicata molto bella e quasi sempre atletica, a volte in strapiombo o ad incastro. Le difficoltà sono molto continue ma non elevatissime; ciò nonostante l’impegno della salita non è indifferente e, a giudizio dei primi salitori, superiore a quello richiesto da molte altre vie del vallone. Bellissimo e caratteristico risulta poi il superamento in un diedro incastrato nella penultima lunghezza di corda, il «Delta», che permette un’arrampicata di rara eleganza su un vuoto di più di cento metri. Ci si porta all’attacco della via del Temporale sulla parte destra dello Specchio di Iside, caratterizzato da uno sperone di placche inclinate che si incuneano nei pendii di base. A destra delle placche si alza un gigantesco diedro, sbarrato in alto da strapiombi biancastri; la via segue costantemente la faccia sinistra del diedro, a sua volta incisa da numerosi diedri e fessure dal disegno assai complicato. La faccia destra del diedro è invece costituita da una formidabile placconata verticale sbarrata alla base da due grandi e inconfondibili tetti. Si attacca circa 30 m sopra la base del diedro, in direzione di una cornice orizzontale che taglia tutte le placche di base.
Da una nicchia si supera uno strapiombino (IV) e si prosegue facilmente a sinistra sulla cornice fino a una piantina. Si traversa una placca delicata e si entra in un canale-diedro a destra del diedro principale superando un ultimo strapiombo erboso. Sosta 1, 35 m. Sopra il terrazzo si eleva tutta una serie di fessure e lame dall’apparenza interessante. Si tralascia una grossa fessura a sinistra e ci si innalza verticalmente alla sosta su un terrazzino (V+), alla base di un muro strapiombante provvisto però di buone prese. Lo si vince (nut alla base, VI-), e ci si ristabilisce su un terrazzo piano, dove si appoggia un prisma di roccia dal cui vertice parte una bella fessura. Si sale in cima al prisma (IV+) e si vince la fessura uscendo a sinistra (incastro di mano, VI-) su un terrazzino spiovente.
Si continua poi per fessure e lame (V, IV), uscendo su un pulpito che domina tutta la parte inferiore strapiombante. Sosta 2, 30 m.
Ci si eleva quindi verso destra in grande esposizione raggiungendo un buon appiglio (V +), e si traversa un po’ a destra verso una nettissima fessurina che permette di alzarsi sotto un pronunciato tetto (V). Si esce dal tetto verso sinistra girando lo spigolo di due diedri e si sale infine per il terzo (V+, poi V) alla terrazza in comune con la Via del Temporale. Si prosegue a sinistra dello spigolo per bella fessura sinuosa con uscita ad incastro di mano (V-, V+) fino alla base del muro soprastante dove si sosta su un terrazzino. Sosta 3, 30 m.
Si traversa a destra orizzontalmente fino alla base di una placca incisa da una sottile fessurina. La si sale (VII-, chiodo lasciato) e ci si ristabilisce nuovamente su una terrazza (V-) sotto gli strapiombi biancastri che dominano il grande diedro sottostante. Da qui si sale facilmente al culmine della terrazza, un po’ a destra della verticale del camino-diedro. Sosta 4, 25 m. Si supera quindi un muretto fessurato di colore grigio (VI-) e poi una fessurina verticale (A1 o VI+). Ci si porta sulla fessura di fondo (passo di A1 ) e si entra nel «Delta», inizialmente molto stretto (VI e A1 ). Dopo 2 m, si chioda a destra una splendida fessurina che permette una sosta sicura in esposizione notevole (almeno 4 m in strapiombo rispetto alla sosta precedente). Sosta 5, 25 m.
Si continua in spaccata con splendida arrampicata proteggendosi abbastanza agevolmente nella fessurina di destra, e si esce dal Delta di Venere su una terrazza spiovente (V e passo di VI-, 1 chiodo lasciato). Si supera il diedro sovrastante (8 m, IV + e V) fino ad una notevole piattaforma di roccia leggermente inclinata dove si sosta. Sosta 6, 25 m.
Si supera un muretto con appiglio molto in alto (V+ o AO nel caso in cui non si arrivi all’appiglio) e si continua per il diedro sfruttando le liste orizzontali e la fessura di fondo ad incastro (10 m, V e V+) fino a dove si allarga in camino. Da qui si seguita all’interno della fessura fino alla piattaforma finale (IV) oppure, se bagnato, si segue lo spigolo a sinistra. Sosta 7, 30 m. In ultimo, si supera uno strapiombino facile, e poi il pendio di rododendri fino in cima allo Specchio, a poca distanza dalle doppie dello Spigolo dell’Incomunicabilità. Tempo dei primi salitori: 7 ore.
Discesa: a corde doppie per lo Spigolo dell’Incomunicabilità.
L’Urlo del Silenzio
II vallone di Sea non offre generalmente evidenti vie di salita. A parte alcuni imponentissimi diedri (Zarathustra, Antiche Sere), l’arrampicata si svolge prevalentemente per sistemi di diedri e fessure spesso non intuibili con precisione dal basso.
Altre volte l’arrampicatore è costretto a lanciarsi, fiato sospeso, in mezzo a placche, sovente poco rugose, il cui superamento, se non si ricorre ai chiodi a pressione, rappresenta sempre un’incognita. Era desiderio del nostro gruppetto di sfuggire a queste regole imposte dalla natura dell’arrampicata, e nella speranza di individuare una fessura del tipo di quelle che si trovano nella Valle dell’Orco – come la Disperazione, tanto per fare un nome – avevamo avidamente e invano scrutato le pareti del vallone.
Subito ci eravamo rassegnati perché, ad esempio, una via della sontuosità della Fessura della Disperazione non si nasconde facilmente.
– Guarda là, Daniele. Che via sale per quel diedro con quella meravigliosa fessura?
– Eh già, che via sale per quel diedro con quella meravigliosa fessura?
E cosi nacque, dalla vicenda sentimentale di un nostro amico, il «Giardino del Silenzio», da me successivamente ribattezzato Urlo del Silenzio. Perché?
Forse perché la vita è un urlo abortito.
Forse perché a causa delle grandi distanze che separano gli uomini, delle loro urla percepiamo soltanto il silenzio.
E così, ora, anche in Sea c’è una «Disperazione», o meglio c’è lo sfociare della disperazione in un urlo che ognuno reprime in se stesso sino ad arrivare alle soglie della pazzia.
E come la Fessura della Disperazione solca la bella placca compatta di una mente ancora coerente, cosi l’Urlo del Silenzio sale nel mondo frastagliato e disuniforme della follia.

Trono di Osiride, Via Urlo del Silenzio
(Relazione tecnica di Daniele Caneparo)
Altezza: 150 m
Difficoltà: ED
Primi salitori: Roberto Calosso, Daniele Caneparo, Roberto Mochino e Maurizio Oviglia, il 17 giugno 1984
L’attacco si trova sulla sommità di un pilastrino.
Superata la prima lunghezza della via del Soffio di Fiaba (dal V al VI), non si deve sostare sul terrazzo erboso ai piedi dell’evidente diedro sovrastante, bensì, superando una lama in mezza Dülfer (V-), si raggiunge la base del diedro parallelo e a sinistra. Sosta 1 su comodo gradino, 35 m. Si sale inizialmente lungo il fondo del diedro (V), e quando diviene strapiombante si raggiunge (VI) la larga fessura che ne solca la faccia destra. La si segue superando un muretto verticale (V) e la successiva impennata (VI+ per 5 m), al termine della quale delle lame incastrate permettono (V) di uscire su un comodo gradino a sinistra. Si supera la placca seguente lungo la fessura che la incide (passo di IV + all’inizio) e si raggiunge la cima del pilastro delimitato a destra dal grande diedro della via del Soffio di Fiaba. Sosta 2 in comune con la sosta 3 della via appena menzionata, 40 m.
Mentre la via del Soffio di Fiaba traversa in leggera discesa verso sinistra, si raggiunge qui, sempre leggermente a sinistra, un bel diedro che permette di aggirare una zona di ciuffi erbosi. Si risale il diedro (V) e al termine si traversa a destra (VI-) sotto il tetto che lo chiude uscendo su una cengia erbosa. La si segue verso destra sino ai piedi di una piccola stele appoggiata ad una grande scaglia solcata da un’ulteriore evidente e larga fessura. Sosta 3, 20 m.
Si raggiunge quindi la sommità della stele (IV), si vince uno strapiombo della fessura (VI+, chiodo lasciato), e si prosegue ad incastro per la stessa (V e V+), sino a giungere sulla sommità della scaglia. Si afferra allora un fessurino e lo si risale (V e un passo di V+, 1 resting) e con una spaccata si raggiunge un terrazzino sulla destra. Sosta 4, 40 m.
Infine, ristabilitisi a sinistra su un gradino, si risale un fessurino intasato da qualche ciuffo erboso (VII, un bong lasciato), si prosegue servendosi di due fessure parallele (IV e V), e si esce sulla sommità della parete. Discesa: sul bracciolo di sinistra due discese sono attrezzate a corde doppie: una lungo la via del Ripiego e l’altra lungo Terapia d’Urto. Per raggiungere quest’ultima si scende leggermente verso sinistra sino ad una pianta che sporge oltre l’orlo della parete. Con due calate, la seconda di 50 m, si ritorna alla base della parete. È anche possibile, dall’uscita, traversare verso la parete dei Titani e scendere lungo il canale compreso tra questa e il Trono di Osiride (una quindicina di minuti).
Una via per tutti e per nessuno
Taluni nonsensi non sono facili: né da pensare né da scrivere. Sulla Pietra del Finale esiste una Via di Tutti che rappresenta lo stato attuale dell’arrampicata: oggi tutti sono tecnicamente in grado di salire Zarathustra. Una volta, all’epoca dell’alpinismo eroico, dei superumani, a cui Zarathustra appartiene, la via sarebbe stata per pochi e – con un po’ di sprezzo – per nessuno. Forse ora, a tempo debito, ci sarà anche posto per una via di Zarathustra.
Così parlò Zarathustra (Una via per tutti e per nessuno)
(Relazione tecnica di Daniele Caneparo)
Altezza: 230 m
Difficoltà: ED; è necessario un assortimento completo di chiodi, nut, bong ed eventualmente jumar se si lasciano corde fisse
Primi salitori: Daniele Caneparo e Isidoro Meneghin il 27 e 29 ottobre e I’1 e 2 novembre 1983
La via ha per direttiva il diedro grigio regolare e perfetto che si origina nella metà superiore dello «schienale» del Trono, mentre nella metà inferiore supera delle lisce placche biancastre. Così essa risolve uno dei più eleganti ed evidenti problemi del Vallone di Sea. L’ambiente grandioso, la lunghezza della via e la forte esposizione che caratterizza l’ultima parte del diedro, fanno di questo itinerario una miniatura delle più celebri vie yosemitiche, superiore ai più frequentati itinerari della Valle dell’Orco.
Tra i tentativi che hanno preceduto la prima salita, due ci sembrano particolarmente degni di nota:
1 ) quello di Marco Degani, Mario Ogliengo e Marco Scolaris che, cercando un approccio diretto al diedro, superavano in due giorni le placche biancastre, la più rilevante difficoltà artificiale della via. Allora furono anche usati, viste le imponenti colate d’acqua, due chiodi a pressione che con roccia asciutta si sono rivelati poi superflui non essendo il passaggio, superato in arrampicata libera, di difficoltà estrema;
2) quello di C. Balagna, Daniele Caneparo e V. Laudi il 25 settembre 1983 che, dopo aver superato le prime 4 lunghezze di Spade di Luce, salivano la lama che difende l’accesso al diedro (durante il superamento della lama fu accoppiato un hexcentric n° 11 con un bong Cassin della seconda dimensione… Il tutto è più convenientemente sostituibile con un cuneo di dimensioni equivalenti da ricuperare ed usare sotto il secondo grande strapiombo del diedro). È possibile che molti tratti artificiali di questo itinerario vengano superati in arrampicata libera attuando quell’evoluzione in libera che ha già caratterizzato altre strutture delle valli piemontesi.
Infine, l’arrampicata effettiva si aggira sulle 27 ore, ma il computo è in funzione della chiodatura: allo stato attuale, si prevedano due giorni completi di arrampicata. La via è rimasta quasi totalmente schiodata.
L’attacco è in corrispondenza di un pilastrino squadrato alto una ventina di metri, subito a destra del canale-camino posto al centro dello «schienale» del Trono. Pertanto si supera il diedro sinistro del pilastrino (IV e V) e si sosta alla sommità dello stesso. Sosta 1, 15 m.
Si continua prima sullo spigolo destro (IV) e poi per il fondo del diedro che prosegue quello formato dal pilastro d’attacco (VI o V e AO, e poi un passo di A1 per superare un grosso ciuffo erboso che intasa la fessura), fino a giungere contro il tettino che lo chiude. Si costeggia la radice del tetto verso destra (A1) e ci si porta nuovamente sullo spigolo destro del diedro, oltre il quale si sosta su staffe in mezzo a delle placche biancastre (la sosta su staffe, si badi, è evitabile qualora si salgano ancora 10 m del tiro successivo, fino ad un comodo gradino erboso). Sosta 2, 20 m.
Si superano le placche in corrispondenza dei due chiodi a pressione (un passo di V+ all’inizio e poi V) e ci si dirige verso un piccolo ma evidente diedrino che si risale (V) per uscire su un gradino erboso; indi lo si segue verso sinistra (possibilità di sosta). Si obliqua quindi a destra lungo una lama rovesciata (partenza di V, seguito in A1) che porta sotto due piccoli tetti sovrapposti. Si supera il primo (A1 ) e si sosta su staffe in un diedrino la cui fessura di fondo si perde contro il secondo tetto. Sosta 3, 25 m.
Ancora su per il fondo del diedro (V+) superando a metà un tettino (VI-, 15 m in tutto) fin quando si è fermati da un più pronunciato strapiombo. Si traversa allora a sinistra seguendo una fessura in leggera discesa (A1, 4 m) fino ad afferrare una lama biancastra che permette di aggirare lo strapiombo. Si supera la lama in grande esposizione (V per 10 m), si vince ancora un corto diedro (A1 e uscita di V+), e si esce su una terrazza ad una decina di metri dalla sommità. Sosta 9, 25 m. In ultimo, si supera una larga fessura strapiombante da destra verso sinistra (VII – e poi VI + per 10 m), e si perviene alla sommità della parete. Discesa: è consigliabile raggiungere le doppie attrezzate sul bracciolo di destra – guardando la parete – che iniziano in prossimità di un promontorio di placche che costituisce l’uscita della via delle Docce Scozzesi.
Si raggiunge allora una fessurina sopra e a destra del tetto e la si segue (A2, chiodi e un rurp) fino ad una zona di gradini. Li si supera (IV+/V) e si afferra l’inizio di una fessura sinuosa che rappresenta l’unica via di salita per le compatte placche sottostanti il grande diedro. Si risale la fessura (A1 nel tratto verticale, A3 nel tratto orizzontale e passo di V come raccordo col secondo tratto verticale nuovamente in A1 ) e si vince il muro (A3 e uscita di V, V+) che dà accesso all’unica terrazza della parete. Sosta 4, 35 m, e fine del tentativo di Degani, Ogliengo e Scolaris. Ci si può portare dunque sulla cengia superiore alla base della stupenda lama staccata che difende l’accesso al diedro. Sosta 4 bis. Ci si ristabilisce su un gradino (V+), si vince un tratto verticale (VI) e si segue la lama che piega ad arco verso destra (VI -) e poi torna verticale (VI) uscendo su un comodo gradino (VI+) che costituisce la sommità della lama stessa. Si traversa verso destra (A1 e A2) fino ad afferrare un appiglio che permette di raggiungere (V-) il terrazzino alla base del diedro. Sosta 5, 25 m.
Si sale nel diedro (all’inizio IV, poi V con passi di AO) poggiando leggermente sulla faccia destra che permette, dopo 15 m, una scomoda sosta su di un piccolo scalino. Sosta 6, 20 m. Lungo una lama si raggiunge nuovamente il fondo del diedro (IV+) e lo si risale (A1 e tratto di V+ ad incastro) fin contro una fascia di strapiombi. Si supera il primo tetto verso sinistra (A1, 5 m) e si esce sopra un paio di gradini strapiombanti (V+). Sosta 7 su staffe, 30 m.
Si supera lo strapiombo che si profila seguendone la radice verso sinistra (A2, 8 m) e, quando il diedro torna verticale, si prosegue ad incastro lungo la fessura di fondo (V, uscita di V+) riuscendo su un comodo terrazzino sospeso a due terzi del diedro. Sosta 8, 25 m.
Conclusione
… tutto sembra essere un flash, una specie di sogno che è durato un solo giorno, dimenticando che si vive fuori dal Giardino di Sea. Quelle stesse persone che erano assieme a me ora sono assieme a tanti; e tutti sembrano non capire, convintissimi di come vivono e di cosa fanno, quasi come me… che invece passo il tempo con il dubbio di aver sbagliato strada, scegliendo la maschera giusta per il giorno giusto e nascondendo le lacrime tra le ciglia, perché non sta mai bene farsi scoprire deboli… Non vi sono più le pareti, il fiume e il cielo; solo qualche ricordo isolato da quello che era «il tutto», solo i gradi e le relazioni stampate sulle riviste a dimostrazione che un po’ famosi possiamo esserlo anche noi. Già, mentre quel che è veramente successo – la vera storia di quel giorno – non sappiamo neanche più raccontarla a noi stessi. Sì, è vero, rimangono anche i compagni, quelli con cui hai sempre quel rapporto così buffo e mai troppo sincero…
A loro che sono stati con te racconti dei gradi, dei chiodi, della roccia.
Tutto il resto non conta; cioè: conta forse solo per ognuno di noi… ed è un peccato.
Ecco perché Sea è lo specchio di chi è triste e si sente anche un po’ solo. Un giorno potresti incontrare, come nelle Antiche Sere, la solitudine e lasciarti prendere per mano… e forse non tornare.

Specchio di Iside
Via dell’Antropizzazione catenizzante: 140 m, TD/TD+; primi salitori: Gian Carlo Grassi, Romeo lsaia ed E. Peirano il 26 maggio 1983.
Chi cerca quello che non deve, trova cosa non vuole: 200 m, ED; primi salitori: Gian Carlo Grassi e D. Alpe il 26 agosto 1984. Attrezzata dall’alto nel tiro finale, la via percorre le grandiose e levigate placche del settore sinistro della parete. A giudizio dei primi salitori, l’arrampicata è splendida.

Incubo di Sea: 140 m fino al ricongiungimento con la via Sogno di Sea, ED -; primi salitori: Daniele Caneparo e Roberto Mochino il 24 giugno 1984. Arrampicata di singolare bellezza. La prima parte si svolge all’interno di una gigantesca lastra appoggiata in centro parete; la seconda supera un grosso ventre e la placca sovrastante con delicata arrampicata mista. Le principali difficoltà sono concentrate nell’ultima lunghezza di corda, dove un muretto scarsamente appigliato ha impedito ai primi salitori il proseguimento diretto, costringendoli invece a pendolare verso la via Sogno di Sea. È probabile che l’uscita diretta possa essere portata a termine salendo dal basso, senza ricognizione preliminare e senza l’uso di chiodi a pressione; se percorsa in questo modo, a nostro avviso Sogno di Sea sarebbe la prima via della zona aperta in stile classico valutabile complessivamente EX, e per giunta con i passaggi più difficili assolutamente obbligatori. Regole del gioco non molto in voga oggi. Intanto, la via è lì che attende…
Gente distratta: 200 m, ED -; primi salitori: Daniele Caneparo e Maurizio Oviglia il 10 giugno 1984. La via supera in arrampicata artificiale uno strapiombo di circa 15 m di sporgenza, il più pronunciato tra quelli finora saliti nel vallone.
Parete dei Titani
Via dei Parassiti Sociali: 230 m, TD; primi salitori: Roberto Calosso, Enzo Ciavattini e Isidoro Meneghin il 16 giugno 1984. Arrampicata entusiasmante nei tiri centrali, con grande varietà di passaggi, da quelli in camino a quelli in aderenza. Se si percorre l’ultima parte di Problema Irrisolto (che si incrocia sopra la grande placca verdastra), si ottiene uno dei più lunghi itinerari di Sea, con difficoltà continue.
Torre della Tigre
Viaggio metafisico: 150 m, TD/TD+; primi salitori: Ugo Manera, Isidoro Meneghin e Claudio Sant’Unione il 12 giugno 1983.
Trono di Osiride
Bracciolo di sinistra
Thank God ledge: 110 m, TD; primi salitori: Gian Carlo Grassi, M. Mailhot e P. Perticari, il 12 giugno 1984.
Terapia d’urto: 130 m, TD-; primi salitori: Daniele Caneparo e Dante Vota l’8 ottobre 1983.
Misteri della fisica: 150 m, TD+; primi salitori: Daniele Caneparo e P. G. Rossetti il 4 settembre 1983.
Arrampicata interamente libera che, assieme alle vie Urlo del Silenzio e Soffio di Fiaba, costituisce l’itinerario più consigliabile del bracciolo di sinistra.
Misteri della meccanica: 150 m, TD/TD+; primi salitori: Daniele Caneparo e M. Lavacca il 28 agosto 1983. Oltre il Giardino: 170 m, TD; primi salitori: M. T. Bolla e Maurizio Oviglia il 23 giugno 1984.
Tut-an-Kaminon: 170 m, TD-; primi salitori: Daniele Caneparo, S. Chianale e P. Lenzi il 5 giugno 1983.

Bracciolo di destra
Il Ruggito del Topo: 150 m, TD+; primo salitore: Isidoro Meneghin il 2 novembre 1984. Via prevalentemente artificiale, paragonabile – per l’ambiente in cui si svolge – ad itinerari tipo Rivoluzione al Caporal e Placche Gialle alla Rocca Sbarua.
Micromega: 150 m, TD; primi salitori: Ugo Manera, Isidoro Meneghin e Claudio Sant’Unione il 12 giugno 1983.
Love Story: 30 m, difficoltà prevalentemente artificiali; ignoti i primi salitori. Uno scherzo? La fessura in cui si svolge l’itinerario (imbottita di cunei) è in realtà superabile in arrampicata libera, e la scritta alla base della via è un vero scempio nei confronti di queste selvagge e solitarie pareti.
La Sfinge
Si tratta dei due salti rocciosi che dominano sulla sinistra orografica le grange del Massiet. Da questo rilievo scende un’imponente cascata (la cascata di Balma Massiet, superabile in inverno con difficoltà ED) che rende l’ambiente molto suggestivo. Per tale motivo, unitamente alla qualità della roccia e all’avvicinamento (tra i più brevi e comodi del vallone), questa struttura potrebbe essere molto frequentata in futuro.
Fragori liquidi: 80 m, TD+; primi salitori: F. Bordo, Roberto Calosso, Isidoro Meneghin e Roberto Mochino il 30 settembre 1984. L’itinerario supera il primo salto sulla destra, attraversa la cascata e vince il secondo salto lungo una lama.
Alice e la cascata arcobaleno: 50 m, TD+; primo salitore: Maurizio Oviglia il 25 settembre 1984. Supera il primo salto a sinistra della precedente.
Parete del Marmorand
È la parete a placche che caratterizza la parte alta del fianco sinistro orografico del vallone, proprio di fronte al Trono di Osiride. Se ne raggiunge la base abbastanza laboriosamente in 1,30 ore dalle grange del Massiet. L’unica via esistente è stata aperta da Ugo Manera e Franco Ribetti il 7 giugno 1984, e presenta difficoltà valutabili nell’ordine del TD.

Reggia dei Lapiti
Schegge di futuro: 150 m, TD-; primi salitori: Antonio Cotta e Isidoro Meneghin il 2 ottobre 1984.
Magia d’autunno: 110 m, TD-; primi salitori: Ernesto Galizio e Guido Ghigo il 31 ottobre 1984.
Colonna di destra: 80 m, TD+; primi salitori: Isidoro Meneghin e Gianni Ribotto il 25 giugno 1983.
Funi d’oro, manici di jumars e pomi d’ottone: 100 m, TD-; primi salitori: M. Bagliani, Roberto Calosso e L. Del Colle il 23 giugno 1984.
Speroncino dell’Improvvisazione
È un piccolo torrione posto quasi al centro, in posizione leggermente avanzata e nel punto più basso della bastionata delimitata dalle due maggiori cascate che scendono verso il pianoro di Balma Massiet.
Molto rumore per nulla: 60 m, TD -; primo salitore: Isidoro Meneghin il 6 ottobre 1984.
Eros e Thanatos: 60 m, TD -; primo salitore: Isidoro Meneghin il 6 ottobre 1984.
Torre di Gandalf
Apprendisti stregoni: 100 m, ED-; primi salitori: Daniele Caneparo, Isidoro Meneghin, Maurizio Oviglia e Giorgio Rocco il 3 dicembre 1983.
Parete del Naufrago
Calice del Principe: 150 m, TD+; primi salitori: Gian Carlo Grassi e Isidoro Meneghin il 16 agosto 1984.
Nota
Per ogni altra informazione, cfr. Alla ricerca delle antiche sere in Momenti d’alpinismo 1983, ed. CDA, Torino. Oppure clicca qui.
Gli autori ringraziano Isidoro Meneghin per la preziosa collaborazione.
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Grazie Antonio Mereu. Stiamo dedicando forze, tempo e denaro non indifferente.. Purtroppo non tutti la pensano così, alcuni per sciocche invidie stanno zitti (anche qualcuno che dice di amare, da fuori Piemonte, molto il Vallone…e “sbuca” fuori appena c’è da mettersi in mostra), non pensando che quello che stiamo facendo è per TUTTI, per la COLLETTIVITA’. Pensa che chi ha condiviso e dato un contributo (anche concreto alla causa) sono stati scalatori del calibro di Didier Berthod, Fred Moix (che erano in Sea questa estate…sai, siamo solo 4 vecchi Accademici 🙂 ), Alex Huber..
24@Matteo E. grazie a te.
Un modesto contributo lo darò sicuramente e spero vivamente venga anche da molti altri , se non di fama la valle non la conosco ed è fuori mano per me che sono dall altro lato delle Alpi, ma mi trovassi anche su di un isola farei mia la causa e appoggerei lo sforzo!
Facciamo vedere che non sono solo sassi da sfruttare e che c’è un cuore grande in difesa del territorio.
Forza!
Un abbraccio!
Antonio Mereu, certo. Il ricorso lo sta portando avanti l’Associazione ATA (www.ata-web.it). I riferimenti (che trova anche in fondo alla pagina del sito) sono:
– IBAN IT45o0760101000000035897107 oppure
il conto corrente postale n. 35897107
intestati a Associazione Tutela Ambiente – via Triveri, 4 – 10073 Ciriè (TO)
Evidenzi la causale “contributi per ricorso al TAR Vallone di Sea”.
Grazie
@22 buon giorno Matteo Enrico
…per caso c è anche un c.c.?
@gian marco. Però sx orografica in effetti..
Chi vuole contribuire al ricorso al TAR in corso può fare una anche piccola donazione su
https://www.gofundme.com/f/6g6pe-salviamo-il-vallone-di-sea?attribution_id=sl:b124facd-6991-443c-9a1a-4f5688da137b&utm_campaign=man_sharesheet_dash&utm_medium=customer&utm_source=copy_link
@gian marco. Riesci a dirci di più? Puoi scrivere a info@vallidilanzoinverticale.it
Grazie
Uscendo per un momento dai discorsi alpinistici, vorrei modestamente fare notare che nella sinistra orografica, subito dopo il Pian d’le Charbouneri, ci sono i resti di un sito pastorale molto antico, probabilmente medievale, che varrebbe la pena fare studiare da esperti e che ovviamente non dovrebbe essere saccheggiato da scavi. Mi pare un motivo sufficiente per difendere la Val di Sea
Gian Marco
Uscendo per un momento dai discorsi alpinistici, vorrei modestamente fare notare che nella sinistra orografica, subito dopo il Pian d’le Charbouneri, ci sono i resti di un sito pastorale molto antico, probabilmente medievale, che varrebbe la pena fare studiare da esperti e che ovviamente non dovrebbe essere saccheggiato da scavi. Mi pare un motivo sufficiente per difendere la Val di Sea
Gian Marco
Questo non credo sia un difetto, anzi, è un pregio per non fare diventare il luogo un luna park, come oggi, purtroppo, ce ne sono tanti.
Comunque Elio, io non sono ancora morto, anche se non mi “ascrivo” nella schiera dei “4 gatti” o dei “pionieri”. Saluti
La segnalazione del movimento gravitativo di versante sul fianco sinistro idrografico, al Comune di Groscavallo l’ho fatta io suggerendo, all’epoca, sia la perizia geologica sia un by pass temporaneo (o definitivo) di poco più di 300 metri, sfruttando un guado di rientro, già utilizzato per dei lavori d’argine. Era mio dovere di frequentatore e di “cittadino”. Voglio anche sottolineare che io non sono affatto contrario alle “strade-piste”, se queste risollevano, effettivamente, un’ economia agropastorale. Qui in valle ce ne sono due in progetto che, per quanto mi riguarda, spero saranno realizzate. Ci sono ottimi esempi di strade riuscite, come quella del bacino Alpetta – Sagnasse, che non solo ha mantenuto viva la pastorizia, ma ha assunto una valenza turistica: e-bike, mountain bike, ciaspole, scialpinismo, escursionismo e accesso ai settori di arrampicata. Una strada, quella, che raggiunge il bellissimo Gias Fontane a 1999 metri, che oltretutto sta cedendo al tempo e all’incuria e meriterebbe di essere recuperato. Su Sea, le obiezioni partono innanzi tutto da una minore potenziale fruibilità, dalla natura geologica del luogo (parere sfavorevole della Regione, come si è detto), e dall’assenza di un progetto strutturato di recupero, per esempio, delle strutture dell’alpeggio del Massiet. Non già come sede pastorale considerato che la superficie è ormai esigua ma, magari, come centro di accoglienza o altro. La mancanza di un confronto vero, di un coinvolgimento della comunità degli scalatori e dei frequentatori, credo sia l’elemento di cui il comune di Groscavallo non tiene conto e che acuisce lo scontro. Ripeto, nel mio caso non si tratta di essere contrario a tutte le strade/piste, ma di considerare costi-benefici. Francamente sul progetto della strada di Sea si è detto tutto e di più, ma, a oggi, credo che delle reali e definitive intenzioni sappiamo tutti davvero poco. Non sono il solo in valle a sostenere che il comune di Groscavallo avrebbe dovuto, spiegare, coinvolgere e condividere. Chi dice, infine, che vogliamo poca gente e l'”esclusiva” delle pareti, non ha capito niente o parla dietro un nick per acuire lo scontro. Credo che il tentativo di riprendere delle vie vetuste, di creare dei percorsi tematici, così come dare vita a una pubblicistica vivace sul vallone, sia andato nella direzione esattamente opposta. E’ un dato oggettivo, comunque che Sea non sarà mai quell’eldorado della scalata che si è creato in altri posti, non fosse altro per la breve stagione di fruibilità e la natura delle vie. Quindi, anche il sovraffollamento non sarà mai un problema.
Vero, purtoppo anche G.C.Grassi forse il più prolifico autore di vie in Sea.
Visto che il vallone da un punto di vista naturalistico è ancora integro , e vista l’importanza alpinistica che ha, impegnamoci nella sua difesa e non in commenti e polemiche fuori luogo. Se non interessa meglio tacere.
Se è solo per quello anche Giancarlo Grassi non c’è più. E forse l’unico insieme a Manera ad essere ancora vivo è il sottoscritto che a Sea qualcosa ha fatto attraversando 40 anni di storia di questo luogo. Per favore abbiate rispetto degli accademici e non, degli eredi e non, delle loro capacità e dei loro limiti. L’articolo vuole sollevare l’attenzione sulla possibilità che questo luogo venga rovinato per sempre da un progetto per me decisamente non condivisibile. Commentate questo e possibilmente non altro. Grazie
10) Ratman
siccome Motti è morto, Caneparo pure, ti sei dimenticato di Meneghin anche lui è morto, Ribetti pure (mm… grave Ratman ti sei dimenticato di Meneghin e Ribetti e te lo deve ricordare un toscano), Oviglia in Sardegna, Manera c’era, che facciamo???
Stiamo tutti zitti e facciamo costruire una bella autostrada, e agli alpeggi dove solo le stalle, facciamo costruire ristoranti con tanto di aree di servizio e parco avventura?
8. Elio.
Sono totalmente d’accordo con te. I batti ribatti personali tolgono sapore e voglia anche su articoli come questo, dove ricordi e sensazioni su Sea ti coinvolgono personalmente.
P.s. Se hai voglia e interesse, la prima volta che ci incontriamo ti racconterò la vera storia della schiodatura di Seta di Venere….
Ma dei presunti eredi vogliamo parlarne?
Vediamo
Caneparo: morto
Motti: morto
Oviglia: in Sardegna.
Manera: “c’era una volta”
Il vallone di Sea giardinetto di reduci: ex combattenti di scaramucce di frontiera combattute con cartucce a salve: Accademici – accipicchia – conservatori museali di ambizioni con il freno a mano.
4 gatti reali con i loro intrallazzeti virtuali. Insomma tanto rumore per nulla.
Voilà de quoi s’occuper aux beaux jours !
Merci.
Forse mi sono perso qualcosa. Ma dispute del genere trovo che siano poco edificanti per termini e contenuti. Credo che osservazioni ad personam dovrebbero stare fuori da questo contesto. Al limite vedetevi all’alba e all’ arma bianca…
Chiaramente quel giorno, di godibile camminata, non potè passare inosservata la potenza di “Così parlò Zarathustra”.
Urge una precisazione. Anche per me Sea è il posto più bello del mondo. Un luogo dove ho speso i migliori anni della mia vita sia con Giancarlo che successivamente con altri compagni. Li ho ricordi incredibili e indelebili ma non per questo posso dire che sia davvero il vallone più bello in assoluto e soprattutto che lo sia per tutti 😁.
Sono d’accordo con Matteo, il Vallone di Sea con quel suo aspetto romantico, misterioso, nostalgico, è bellissimo. Sea non è per tutti, Sea è per quelle persone che hanno una sensibilità superiore, che sanno apprezzare una bellezza non sbandierata, timida, velata, malinconica. Non c’è il chiasso della valle dell’Orco. Allo stesso tempo le strutture granitiche sprigionano potenza. Sea fa respirare aria d’altri tempi, ti fermi a guardare i massi e magari t’immagini di vedere G.P. Motti, Meneghin, Grassi, intenti ad osservare le pareti. Ti sembra di vedere G.P. Motti che innamorato del vallone non era li per arrampicare ma per fantasticare battezzando con nomi mitici quelle potenti rocce.
Ci sono stato un giorno, di ritorno dal Delfinato, solo a camminare, sono arrivato con mia moglie fino al bivacco Soardi. Mi sono firmato per un bel pò ad osservare l’imponente e severa parete nord dell’Albaron di Sea e mi sono immaginato, ripercorrendole con lo sguardo, le salite di misto di G. C. Grassi, di Manera.
Ma cosa gliene frega di tutto questo agli amministratori pubblici? NULLA! A loro, gente senza sensibilità, gli interessa solo sfruttare, modificare, soggiogare la natura. Gli interessa la poltrona e per garantirsela sono disposti a fare degli obrobri senza senso. A dimostrazione che l’uomo non vuole accontentarsi, vuole dominare.
Sea è uno dei, purtroppo tantissimi, esempi che se NON torniamo ad una montagna “scabra e spartana”, cioè “una montagna per pochi”, l’ambiente montano non riesisterà alla bulimia turistica e consumistica oggi imperante. anzi, paradossalmente più belli e più attraenti 8in questo caso in termini arrampicatori) è un luogo è più è appetibile per le mire di chi pensa di sfruttare la “bellezza” del luogo per accentuare i flussi turistici e far lievitare il fatturato dei residenti. L’idea di una “strada” (?!?) nel Vallone di Sea poggia su questa assioma, che magari NON viene sbandierato, ma cova sotto le ceneri: inutile che ci dicano che la strada “serve” per i margari delle baite… è solo ipocrisia. La verità “vera” è un’altra: più facilito è l’accesso alle pareti, anziché far camminare la gente, e più gente verrà ad arrampicare più gente consumerà e mangerà in valle… e i residenti saranno riconoscenti alle autorità che hanno deliberato la costruzione della strada. Non riesco ad interpretare se non in questo modo la convergenza di interessi fra residenti-elettori e amministrazioni locali. Bisogna battersi per difendere Sea (come tutti gli altri milioni di esempi del genere) e faccio i complimenti a chi è in prima linea (Marco Blatto e i fratelli Enrico in particolare), ma… la vedo davvero dura… se non cambia la mentalità, tornando ad una montagna “per pochi”, il destino di questi paradisi è purtroppo segnato.
Mi spiace Elio, ma stavolta non sono d’accordo.
Il vallone di Sea è il più bello dei valloni piemontesi.
Il più magico, nascosto e poco frequentato sebbene di facilissimo accesso.
Proprio le pareti dalla parte “sbagliata” e la forma ad esse che non lascia vedere da dove parte e dove va a finire il vallone, che non apre la vista su vette che si stagliano contro il cielo o su bianchi ghiacciai o sul distendersi della pianura in basso nella caligine, costringono a guardare le creste e fianchi di erbe e rocce scure sostenute da queste pareti che sembrano difendere il loro rincorrersi verso una (possibile) meta nascosta. Non c’è un punto focale e perciò il vallone di Sea lascia correre l’immaginazione altrove.
Forse è questo che attirava Motti, forse è quello che un po’ sento anch’io quando sono li, sia che sia dalla parte “giusta” al sole di Gandalf, sia che sia dalla parte “sbagliata” all’ombra dei Titani, di Iside o Osiride sia in basso, a Balma Massiet seduto ad aspettare i compagni dopo una giornata a grattare la roccia il vallone di Sea mi è sempre parso molto più bello, misterioso, affascinante e magico dell’Orco, di Piantonetto o del Nivolet.
Qualunque cosa per difenderlo!
Elio più che di progetto, parlerei di DISTRUZIONE, voluta da amministratori pubblici che si riempiono la bocca del termine valorizzazione. Mentre sono personaggi dotati di una miopia e di un’arroganza senza limiti.
E incredibile che chi dovrebbe preservare il territorio sia uno degli attori che ne promuovono il depauperamento. Parlo di un amministrazione che relativamente alla promozione turistica e alpinistica dell’alta valle non ha mai fatto nulla. E anzi quando facemmo il primo meeting di arrampicata riuscimmo a farlo non senza patemi, solo grazie ai buoni uffici di chi non era inviso agli amministratori. Il problema della strada è la punta di un iceberg che affonda le sue radici nell’ indolenza di un tessuto sociale molto spesso più incline agli interessi personali che ad un sentire ambientale importante. Il vallone di Sea non è il più bello delle valli piemontesi. Anzi è girato al contrario, le pareti più belle sono all’ ombra non ci sono endemismi particolari è se vogliamo è pure un po triste. Ma è il nostro vallone il vallone dove generazioni di grandi e piccoli alpinisti hanno scritto una parte della loro storia. Sea è un angolo antico e romantico delle nostre valli dove è ancora l’ambiente a vincere sull’ uomo è non viceversa. Ho spesso bivaccato sulle sue pareti e mi sembrava di essere alla fine del mondo, certamente non sarebbe stata la stessa cosa farlo con una strada sotto al sedere. Ringrazio pubblicamente tutti coloro i quali si stanno (mettendoci la faccia) impegnandosi a fare si che su questo territorio non veda la luce questo progetto. Grazie ragazzi