Tre imputati per la morte di Tito Claudio Traversa

Tre imputati per la morte di Tito Claudio Traversa

Il 5 luglio 2013 la notizia della morte di Tito Traversa colpì molto la comunità degli arrampicatori e l’opinione pubblica. Il giovanissimo dodicenne di Ivrea, il più promettente della sua generazione, era stato vittima di un incidente il 3 luglio mentre scalava nell’ambito di un’attività organizzata assieme ad altri ragazzi e ragazze nella zona di Orpierre (Provenza, Francia).

Dopo un volo di venti metri fino al suolo, Tito è stato portato all’ospedale in coma. Il decesso è avvenuto due giorni dopo.

Tito Claudio Traversa su Sarsifal (8b+), Tetto di Sarre, Valle d’Aosta
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Poche settimane dopo, in agosto, si apriva un’inchiesta in Italia. La Procura della Repubblica di Torino, dopo la denuncia di Giovanni Traversa, il padre del ragazzo, ha aperto un fascicolo per omicidio colposo per appurare ogni tipo di responsabilità in questo caso.

L’unico interesse del padre di Tito è che si restituisca verità al dramma che li ha travolti – aveva riferito l’avvocato Paolo Chicco, che rappresenta Giovanni Traversa, all’agenzia Ansa – Da troppe parti sono stati espressi giudizi improvvisati e disinformati. Abbiamo assoluta fiducia nel lavoro che il procuratore e i suoi esperti stanno svolgendo e siamo certi che riusciranno a fare piena luce su quanto e successo e sulle rispettive responsabilità”.

Il Procuratore Raffaele Guariniello, talvolta accusato di protagonismo e ora dimissionario per il dopo Natale 2015, è sempre stato particolarmente attento alla tematica dell’infortunistica del lavoro (basti ricordare la vicenda dei sette operai deceduti per il rogo alla ThyssenKrupp), ma anche si è distinto nelle indagini per il doping nel calcio. Sulle pagine di questo nostro Blog è stato destinatario di una lettera aperta, cui peraltro egli non diede mai risposta.

Tito Claudio Traversa su Nuovi Aromi. Foto: T&GPhoto
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Guariniello inizialmente indagò cinque persone per omicidio colposo: il titolare dell’azienda produttrice dei rinvii causa della caduta fatale, il titolare del negozio nel quale questi erano stati comprati, il responsabile del club che aveva organizzato l’escursione a Orpierre e i due istruttori che accompagnavano i ragazzi. Inoltre coinvolse nell’accusa anche una sesta persona, parente della ragazzina che prestò il materiale a Tito, supposta di aver mal montato i rinvii.

Vale la pena ricordare che l’incidente si è prodotto per un errore iniziale, l’erroneo montaggio dei rinvii. Tito Claudio Traversa, dopo aver salito con successo la lunghezza di corda, stava effettuando la manovra per essere calato. Secondo le testimonianze, si è visto subito dopo che otto dei dodici rinvii da lui utilizzati presentavano il moschettone destinato ad accogliere la corda fissato alla fettuccia del rinvio solo tramite l’anellino di gomma antigiro. Dopo essersi slegato per la manovra e nel mettere il suo peso su uno di questi rinvii, la gommina si ruppe: Tito è precipitato per 20 metri (Nota successiva della Redazione, 1 gennaio 2016: da testimonianze posteriori a questo scritto è apparso chiaro, grazie ad alcuni commenti a questo post, che la causa della caduta è invece da attribuire all’aver messo il proprio peso sull’ultimo rinvio, o coppia di rinvii, in sosta; al cedimento di questo/i è seguito il tragico cedimento degli ultimi rinvii posti da Tito sul tiro. E’ da osservare che, quando si vuole essere calati, la manovra corretta prevede di passare la propria corda nel moschettone a ghiera della sosta o, in mancanza di questo, in un moschettone a ghiera portato su appositamente).

Inoltre, a dispetto delle prime testimonianze che dicevano il contrario, Tito era salito senza usare il casco: particolare certo non irrilevante per l’esito della caduta.

La settimana scorsa Guariniello ha dato per concluse le indagini preliminari, chiedendo il rinvio a giudizio non di cinque bensì solo di tre delle persone inizialmente indagate. Questi sono Luca Giammarco, legale rappresentante della Bside organizzatrice dell’attività sportiva; l’istruttore Nicola Galizia; Carlo Paglioli, rappresentante legale di Aludesign, l’azienda produttrice dei rinvii, accusato di non aver allegato al materiale in vendita adeguate istruzione per un uso corretto.

Errore fatale: la fettuccia del rinvio collegata a quel moschettone in cui passerà la corda solo grazie alla gomma antigiro (che sopporta al massimo 15 kg)
TreImputati-cintatito
Considerazioni (a cura della Redazione)
Per capire l’accusa formulata dal PM, occorrerebbe avere il testo preciso della cosiddetta “Imputazione” (o “capo di imputazione“) [la norma base è l’art. 417 lettera b) del codice di procedura penale]: vi è certamente riportato per estratti l’art. 589 c.p. (Omicidio colposo), ma poi vi deve anche essere precisato il “fatto”  e in cosa nella specie sia consistita la “colpa” (art. 43 c.p.) degli imputati.

Nei dettagli, sarebbe utile sapere se vi è stata indicata la mancanza del casco, della quale sulla stampa soprattutto era stato detto all’inizio (anche se si potrebbe discutere molto sull’aver questa avuto o meno nesso causale – art. 40 c.p. – sul prodursi dell‘evento morte: si può infatti presumere che lo sventurato con una caduta simile sarebbe morto lo stesso); è un fatto che sul sito internet (con vari sponsor) del ragazzino non ci sia mai stata neppure una sua mezza foto con casco.

A differenza che per lo sci in pista, in arrampicata la legge non impone il casco, ma se poi i giudici condannano perché non c’era, allora vuole dire che l’obbligo c’è, pur se direttamente proveniente da altra fonte normativa (“uso” arrampicatorio. Ma c’era?), peraltro fatta propria dalla legge stessa.

Si fa fatica a vedere la responsabilità del produttore (attenzione: questo specifico tipo di colpa è proprio tipico del sistema/mentalità lavoristico) dei rinvii (per non avere indicato le caratteristiche, ecc.): una volta che questi  vengono acquistati, passano di mano a chiunque e le istruzioni spariranno per definizione (salvo che non pretendano che siano stampigliate le istruzioni sui rinvii!) , per cui pure qui  non ritengo vi sia nesso causale (sempre l’art. 40 c.p.) con l‘evento morte verificatosi.

La responsabilità del caso dipenderà invece dall‘erroneo approntamento dei rinvii (individuato o no chi l’ha fatto: da escludere il povero Traversa, che  conosceva alla perfezione tecniche e attrezzi ) e dalla mancata vigilanza sul loro approntamento (sia che siano stati collocati da terzi, sia che li abbia collocati lo stesso Traversa).

La sostanza del tutto, a parte l’errore marchiano di qualcuno (“imperizia“, art. 43 c.p., non di Traversa),  è da attribuire a “negligenza” (art. 43 c.p.) alias disattenzione: dello stesso Traversa (può essere che, essendo egli stato un campione, ciò valga a contenere la quantificazione del danno civilistico a carico di chi eventualmente verrà condannato) e di chi doveva vigilarlo (id est: verificare l’attrezzatura prima dell’impiego; e durante, se possibile), dato che comunque era un minorenne.

Unica (ardua) possibilità di fuga da responsabilità per i cosiddetti “istruttori” (non so invero che qualifica formale o nominale avessero) o per l’organizzatore, è che riescano a dimostrare che il ragazzino è inopinatamente  scappato alle possibilità di tempestivo controllo del materiale (potrebbe essere, proprio perché era tecnicamente in grado di fare da solo).

 

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Tre imputati per la morte di Tito Claudio Traversa ultima modifica: 2015-12-23T00:01:05+01:00 da GognaBlog

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67 pensieri su “Tre imputati per la morte di Tito Claudio Traversa”

  1. Mi perfetto di far notare una cosa a tutti coloro che dicono o pensano che il non aver controllato i rinvii, sia una imperdonabile negligenza.
    Beh…
    in questi giorni la ditta al mondo più grande e forse prestigiosa, sta facendo un recall (richiamo) di alcune fettuccie non cucite ma attaccate con lo scotch (nastro adesivo). Fettuccie controllate in produzione, controllo qualità, magazzino,, negozio, toccate da commessi ed utilizzatori, senza che nessuno si accorgesse che erano unite solo da nastro bianco. Alla luce di questo piccolo esempio, credo una riflessione sia dovutase effettivamente era plausibile che anche se un adulto avesse controllato, se ne fosse accorto.

  2. Salve a tutti, mi permetto di utilizzare questo spazio per postare un mio personale commento.
    Premetto che ho letto l’articolo e tutti i commenti solo ora perchè me lo sono perso nei tempi giusti.
    Penso sia opportuno trarre degli insegnamenti da questa triste vicenda, per fare in modo che simili incidenti non capitino più.
    A prescindere dalle responsabilità per la sicurezza che in caso di un minorenne la legge prevede sia dei genitori o di chi ne fa le veci in loro assenza, sempre, penso che gli insegnamenti siano 2:
    1. Qualsiasi attività si pratichi andrebbe insegnato a tutti (minorenni o adulti che siano) che il casco protegge la parte più vulnerabile del corpo e va utilizzato “sempre”, sia quando c’è il rischio di una caduta della persona sia quando c’è il rischio che qualche oggetto cada dall’alto.
    2. Nei corsi (arrampicata o alpinismo, indoor o fuori) andrebbe definita in maniera chiara e precisa la manovra da effettuare alla fine del tiro, quando non è presente un moschettone apribile, che secondo me, prevede la seguente sequenza:
    a. Autoassicurazione tramite nodo barcaiolo su un moschettone a ghiera (appositamente portato su dall’arrampicatore) inserito nella sosta
    b. Passaggio della corda nella sosta (anello o moschettone non apribile) e costruzione di una asola con frizione da agganciare ad un secondo moschettone a ghiera (appositamente portato su dall’arrampicatore) da agganciare all’imbrago
    c. Scioglimento del nodo a otto che collega l’imbrago con il capo della corda
    d. Scioglimento del nodo barcaiolo e rimozione del primo moschettone a ghiera posizionato sulla sosta
    e. Inizio della calata con un avanzo di circa 1mt di corda
    Questo comporta l’aggravio di peso di circa 100g x 2 moschettoni a ghiera da portare all’imbrago, ma penso che anche durante la ricerca della prestazione massima 2 moschettoni non comportino una limitazione e forse (ribadisco forse) se a Tito fosse stato insegnato a fare questa manovra ”sempre” (non metto in dubbio che la conoscesse ben inteso), forse, a prescindere dalla mal composizione dei rinvii, forse, non sarebbe morto.
    Mi risulta (da discussioni da bar, quindi non posso dire che sia la regola) che questa manovra non viene insegnata nei corsi di arrampicata, quindi, forse, c’è da aggiornare l’elenco delle manovre oggetto di insegnamento per far capire a tutti gli attori che la sicurezza viene prima della prestazione.
    Di sicuro esistono altre sequenze altrettanto valide, il mio post vuole solo essere un altro spunto di riflessione non un accusa, un dubbio o giudizio presuntuoso verso qualcuno, ma solo il rimarcare che dobbiamo sempre puntare a migliorare la sicurezza di questa attività oltre che la prestazione.
    Mi scuso per i tanti “forse”, ma non vorrei sembrare nè presuntuoso, nè irriverente verso chiunque.

  3. Sono sinceramente sconcertato dalla piega che ha preso la discussione. Visto che tra l’altro conosco personalmente e abbastanza bene più di uno dei partecipanti. Io accantonerei per un momento la dinamica dell’incidente, che a parte il cattivo assemblaggio dei rinvii pare essere controversa o più semplicemente non riferita correttamente in tutte le sedi. Qualunque sia stata la meccanica precisa e qualunque sia stato il percorso fatale che ha portato i rinvii male montati ad appollaiarsi sull’imbragatura di Tito… in ultima analisi cambia poco. Tito in quanto minorenne era un soggetto in custodia ad adulti e l’incidente a suo carico è stato responsabilità oggettiva dei medesimi adulti. Se poi da parte di questi adulti c’è stata incuria lo stabiliranno le indagini. Da un certo punto di vista io trovo meno grave la mancata verifica dei rinvii che il fatto che Tito non indossasse il casco. Un adulto può scegliere dove e quando metterlo. Un figlio può negoziare con un genitore la medesima cosa… ma un minore affidato “deve” essere costretto dall’adulto affidatario ad indossarlo. Poi capisco che dal basso del mio 6c rantolando avrei difficoltà ad impormi ad un giovane campione… ma questo è un’altra storia.

  4. Per Gogna: vediamo quello che uscirà dal processo ma il rinvio a giudizio del rappresentante legale del Bside rimanda obbligatoriamente alla Bassanini, che di fatto blinda un’attività e la riserva ai professionisti iscritti all’albo di G. A.. Ad oggi tutti gli altri che portano la gente a scalare, profitto o non profitto, si fanno carico di responsabilità francamente insostenibili. In questo bellissimo gioco va tutto bene finché tutto va bene, un secondo dopo cominciano i casini veri.

  5. Per Lara:
    Ha scritto Lara: “… senza l’assistenza di personale qualificato (che una sentenza del 2004 precisa dover essere una Guida Alpina)…”
    Questa frase, tale e quale, non è esatta: chiunque può accompagnare/istruire/assistere chiunque (anche ragazzini), portandone le responsabilità legali: cioè, non “deve” essere una Guida Alpina.
    Ciò che un “non Guida Alpina” non può fare è farsi pagare allo scopo (anche se il pagamento lo prende un’organizzazione), salvi i rimborsi spese (questione esaminabile in concreto).
    Comunque sia, una cosa è l’Abusivo esercizio di una professione (art. 348 .p.), un’altra è l’Omicidio colposo (art. 589 c.p.): per un sinistro accaduto, teoricamente, un abusivo potrebbe non essere responsabile di omicidio e un responsabile di omicidio potrebbe non essere un abusivo.

  6. non mi sembra che dai commenti sia emerso che la causa è dovuta alla fatalità.
    Caso mai a una grave negligenza nel non aver controllato , nell’aver dato per scontato che tutto erà perfetto per il semplice fatto che Tito era un fortissimo arrampicatore, senza avere considerato che era un bimbo di soli 12 anni.
    E non credo nemmeno che se ci fosse stata una guida alpina non sarebbe accaduto nulla. Non è stato un problema di insufficiente preparazione tecnica , ma di superficialità, di gravissima disattenzione.
    Nella società di oggi purtroppo non c’è più tempo per essere dei bimbi. Bisogna crescere subito.

  7. Scusate Armando e Lara ma esattamente a chi vi riferite? No perchè su 60 commenti (questo è il 61°) non so quante volte sia emerso il termine “fatalità”, francamente faccio fatica a ricordarlo, dovrei rileggermi tutti i commenti uno per uno. Mi pare invece di aver letto, e ripetutamente, l’esatto contrario. Con riguardo poi alla disinformazione anch’io faccio veramente fatica a comprendere (stiamo sempre parlando della paventata manovra della slegatura?). Cerchiamo per cortesia di fare commenti costruttivi che non assomiglino più a delle arringhe e se c’è da ribattere a qualche intervento citiamone, sempre per cortesia, l’autore in maniera che non si vada a sparare nel mucchio, dando così la possibilità di replica.

  8. Mi infastidisce un poco, Armando, (e Lara),
    il vostro ribadire una “disinformazione”.
    Tu Armando, ripeti la parola 3 volte nel tuo commento,
    facedolo qui su un blog, che fa informazione a 360 gradi,
    in una continua dialettica etica.
    Cos’è una provocazione involontaria o una non conoscenza, da parte tua ?
    A chi / cosa ti riferisci, per la precisione ?
    Cos’è l’ “informazione” (concetto generale), per te allora ?
    L’informazione è la sentenza giudiziaria ?
    Perchè se insegni ai bimbi, questo è un punto cruciale anche per te. O no ?
    Poi dici delle cose sul concetto di “sport”, sulla “promessa”, sul “gruppo”
    sul divenire di bimbi in adulti, su cui non ho il tempo (perdonami: voglia), per dissentire.
    Ma sua sta facenda dell’ “informazione”, ci tengo.
    Perchè è importante non solo in relazione a questo spazio virtuale (il blog),
    ma in relazione alla distorta idea democratica che si sta (ri)formando
    in sto straccio di stato.

  9. E anche quest’anno si rinnova lo spettacolo delle nostre montagne innevate, e per il terzo inverno un ragnetto di nome Tito – forse lo ricorderete, era un bambino – questo spettacolo non può gustarselo, come non può più progettare la prossima via da affrontare, in parete e nella vita.
    Mi chiedo dove sia lo Sport, la lealtà, la morale, dietro molte frasi che mi è capitato di leggere a commento del processo istruito dal dr. Guariniello in merito alla morte di Tito a Orpierre; processo, ricordiamolo, inevitabile, visto che una persona – un bambino – è rimasta uccisa. Uccisa da cosa? Lo stabilirà il processo. C’è chi dice: dalla fatalità. E’ un’interpretazione, ma c’è di mezzo la morte di un bambino e la sicurezza di tanti altri bambini nel futuro, attendiamone dunque i risultati senza fare disinformazione, perché fare disinformazione in questi casi è criminale visto che può portare a nuovi lutti.
    Non appartengo al mondo dell’arrampicata, anche se un po’ di quel mondo conosco per due motivi: essendo in costante vertenza sindacale con la mia ossatura vedo molti sport – l’arrampicata tra questi – con il fascino e l’attenzione di chi ne è forzatamente escluso; essendo insegnante di scuola media trovo spesso negli Sport non guastati dai riflettori della fama e del denaro, figure e modelli positivi da proporre ai miei ragazzi.
    Tito era tra questi, e – anche ora che non c’è più – ha saputo suscitare in loro stimoli e risultati didattici altrimenti irraggiungibili; mi piacerebbe parlarvene in un momento più sereno, per condividere con voi l’innegabile bellezza della vostra disciplina vista attraverso gli occhi di ragazzini che non sanno cosa sia una falesia, ma hanno visto nei filmati di Tito la loro stessa voglia di “arrampicare la montagna della vita” (sono parole di una bambina).
    Devo dirvi che molte delle parole che ho letto mi lasciano interdetto. Ringrazio questo blog, che mi lascia intervenire (altri me l’hanno negato), e vi chiedo di seguire il mio discorso, non mi riferisco a nessuno in particolare, ma voglio esser franco. Non cerco colpevoli a ogni costo (non serve a ridar vita a Tito), né penso ovviamente che chi risultasse colpevole di questa tragedia sia un criminale, penso anzi che se fossi nell’adulto che quei maledetti gommini ha maneggiato non dormirei la notte. Come insegnante so bene cosa significhi aver la responsabilità – morale, civile, penale – dei minori a me affidati. Tito aveva 12 anni, l’età dei miei alunni. Certo, un’aula scolastica è ben diversa da una falesia, come lo è una palestra: per questo una sentenza del 2004 (la trovate sul web) ricordava che, per le attività in falesia di persone non esperte – o di minori – , ci deve esser personale con specifico addestramento e certificazione: una guida alpina. Per questo l’assicurazione delle palestre non copre l’attività in falesia. E’ stata recepita quella sentenza? Se fosse stata recepita forse Tito si gusterebbe anche quest’anno lo spettacolo della neve; forse la FASI potrebbe rispondere (ma non ha risposto a due innocui appelli su Tito di centinaia di ragazzini della mia scuola).
    Su questo binario di leggi si muovono le imputazioni, puntuali, di Guariniello, inutile pensare “lui non è un esperto”: è un esperto di leggi, e si è avvalso della consulenza di esperti. E qui sia chiaro a tutti: la dinamica di quanto accaduto è ben chiara nelle parole – agli atti processuali – di una guida alpina francese che, per puro caso, si è fermato a seguire ammirato Tito che arrampicava su una via per lui facilissima, ha visto la caduta, ha partecipato ai soccorsi, ha visto i rinvii con i gommini strappati: fare altre illazioni significa fare disinformazione, significa uccidere una seconda volta un bambino di 12 anni, cui si imputano errori che non ha commesso, significa mettere altri bambini nello stesso pericolo, domani. Perché? Forse per difendere amici, forse per difendere il proprio sport, forse perché ci sono interessi economici (cui accenna uno di voi nel forum di 8a.nu: forse ho capito male, gli ho chiesto chiarimenti, non pervenuti). Infine forse perché parte dell’arrampicata italiana non ha saputo reagire a una tragedia che ora vuole rimuovere: agisce come un ragazzino messo di fronte a un fatto più grande di lui, lo nega, tende a minimizzarlo, prova a confondere dicendo tutto e il contrario di tutto.
    Parte dell’arrampicata italiana tace invece, ma non dimentica Tito: i nostri azzurrini lo ricordano in ogni momento importante, lo ricordano in molte manifestazioni i coetanei di Tito, che stanno diventando adulti, ma adulti lo sono di già, non rinunciando a ricordare.
    Alcuni si ostinano: è stata una fatalità. Qui la fatalità è inaccetabile, lo dice Messner: la morte è una possibilità nell’alpinismo, in montagna, ma non in un’arrampicata a Orpierre, soprattutto non nel mondo dei bambini: loro non scelgono di rischiare – come può liberamente fare un arrampicatore adulto – si affidano ai genitori o a coloro cui sono stati affidati. Di questo è consapevole ogni buon padre, di questo è consapevole la legge, di questo sembrano non esser consapevoli molti nei blog.
    Fortunatamente molti sono consapevoli di cosa significhi non calpestare, non dimenticare, chi non ha più voce: Erica Jessop tributa subito parole straordinarie a Tito (sono in inglese, in italiano ne ho sentite meno); un bambino bulgaro, amico di Tito (capace di farsi 1700 km, con il suo team, per andare a Ivrea al memorial per l’amico che non c’è più) gli dedica un pensiero semplice: “non capisco: i bambini vanno protetti”. Jansen, in 8a.nu, dice: dobbiamo capire per render sicuri i bambini di domani. Non si rendon sicuri i ragazzi di domani facendo disinformazione, attribuendo a priori tutto al “fato” o a un errore di chi non può più dire: “no, non è così” (ma parla la guida francese, e parlano quei gommini strappati). Una parte dell’arrampicata italiana sta perdendo una grande occasione per proporsi al mondo dei giovani – e dei loro genitori – per quel grande sport che è, per quella grande scuola di vita che può essere; ripeto, mi piacerebbe offrire serenamente alla vostra comunità i risultati didattici di un’intera scuola, lontana dalle falesie ma vicina ai valori di chi affronta lo Sport con grinta e onestà. Non prendete le mie parole per “offesa” personale: non lo vogliono essere. Vi prego solo di fermarvi a riflettere: il vostro mondo ha perso una promessa, Tito, cui è stato negato di diventare adulto, cercate di non negarlo a voi stessi e al vostro splendido sport.

  10. Incredibile il commento di AGD. Il giudice non cerca MAI un colpevole a tutti i costi, gli interessa solo accertare eventuali responsabilità: c’è stata colpa cioè imperizia e/o imprudenza e/o negligenza da parte di qualcuno o no? Per rispondere a questi quesiti si affida alle leggi vigenti e nomina periti nelle figure di esperti del settore. Questo è il compito della giustizia, a tutela in questo caso di Tito e in generale delle vittime e quindi di tutti noi.

  11. “Guariniello si toglie l’ultimo dente prima di andare in pensione. La mia personale solidarietà a Luca Giammarco, Nicola galizia e Carlo Paglioli. Quando un magistrato si occupa di cose con le quali non c’azzecca… il risultato è devastante. Io e pareti siamo a vostra disposizione per aiutarvi a far valere le vostre ragioni. La vicenda è dolorosa ma cercare dei colpevoli a tutti i costi e soprattutto nei posti sbagliati irraggia solo il dolore”. Andrea Gennari Daneri facebook 18.12.2015 Avete capito? Guariniello si toglie l’ultimo dente prima di andare in pensione? La vita di Tito (che questo signore conosceva molto bene) secondo voi vale questo commento? Guariniello ha l’obbligo di procedere per far chiarezza su quanto accaduto ( la morte di un bambino!!) dal momento che il procedimento PENALE è stato trasferito alla Procura di Torino. Tito era spettacolare e unico per le imprese compiute…ora la sua immagine da copertina non gli serve più? A mio avviso il signor Andrea Gennari Daneri -DIRETTORE RESPONSABILE PRESSO PARETI CLIMBING MAGAZINE – si dovrebbe vergognare di ciò che scrive, dei “mi piace” e delle condivisioni che raccoglie, come mi lasciano perplessa tanti dei post letti su questo blog. Stiamo parlando di un ragazzino di 12 anni chiamato simpaticamente “il ragnetto delle rocce”, accompagnato dal suo papà presso il punto di incontro da dove sarebbe partito per una settimana di vacanza con i compagni della palestra in cui si allenava. Partenza felice per quel viaggio, (stesso posto, stesso allenamento che fece l’anno precedente con altro gruppo sportivo, le sue due uniche uscite sotto responsabilità di terzi che non fossero il padre), e da quella gita è ritornato cadvere. Insieme ai suoi compagni era stato affidato a istruttori Fasi, istruttori che erano lì per lavoro, per accompagnare la comitiva a Orpierre, istruttori “titolati” – se così vogliamo definirli – che non hanno controllato l’attrezzatura presente in falesia portata dai ragazzi. Istruttori che a pochi giorni dall’incidente hanno pensato bene di scaricarsi di ogni responsabilità con tali parole: i genitori sapevano che era una gita così! Così come ? Mi chiedo io. Viene veramente da domandarsi: ma quanti di quei genitori avrebbero affidato loro i propri figli se solo lo avessero saputo in anticipo che sarebbero partiti per scalare pareti senza l’assistenza di personale qualificato (che una sentenza del 2004 precisa dover essere una Guida Alpina) e, in aggiunta, senza copertura assicurativa. Non serve essere storici di alpinismo, tecnici o arrampicatori di esperienz per sapere come ci si deve comportare in contesti in cui si è responsabili di altre vite, nel caso specifico, di giovani vite, di bambini che sono comunque sotto la responsabilità degli adulti cui vengono affidati. Solidarietà e sostegno per far valere le loro ragioni? Anche questo dobbiamo sentire o leggere? Diamogli anche un premio a questi istruttori Fasi per essere tornati alla base con un ragazzino in meno. L’ esonero sarebbe il minimo, relegarli al massimo a lavar pavimenti in palestra. Ma cosa dico, per fatalità si dimenticherebbero di esporre l’apposito cartello “ATTENZIONE PAVIMENTO SCIVOLOSO”. E smettiamola di dire che Tito era solo un bambino e che i bambini non hanno il senso del pericolo. Tito aveva 12 anni, la montagna era la sua più grande passione. Certo scalare lo divertiva, ma sapeva molto bene che arrampicare non poteva essere solo gioco e divertimento, serviva impegno e massima attenzione, era consapevole che affrontare una via con superficialità avrebbe messo a rischio la propria vita. Benchè molto giovane aveva ben chiaro quali manovre (ad esempio slegarsi come suppone il signor Gogna facendo disinformazione) erano state a lui categoricamente vietate proprio per l’altro rischio che tale manovra comporta. Sapienti insegnamenti inculcatigli dal padre già arrampicatore in gioventù. La stessa guida alpina francese di Orpierre che si era fermato appunto a guardarlo scalare, e tutto ha visto, ha riferito alla Gendarmerie che Tito ha fatto tutto correttamente e non ha azzardato manovre pericolose o spericolate. Quel maledetto 2 luglio 2013 Tito ha semplicemente avuto tre grandi sfortune: vedersi assegnare attrezzatura non sua e assemblata da mani inesperte, non aver avuto almeno un rinvio ben montato tra gli ultimi quattro posizionati salendo la via e non essersi trovato ai piedi di qualsiasi altra falesia magari più difficile come era abituato, pronto a partire sotto gli occhi vigili del suo papà, da sempre insieme a lui binomio perfetto e indiscutbile tra falesie nazionali e non. TITO NON E’ MORTO PER FATALITA’….. fatalità è altra cosa!!!!

  12. Penotti ho capito come pensi e perchè pensi così, grazie.
    Non è assolutamente mia intenzione cancellare alcunchè di ciò che ho scritto, scusami.

    Devo ringraziare tutti gli altri perchè mi sembra che ora il dibattito sia diventato costruttivo e non accusatorio.
    Mi scuso ancora se sono stato molto aggressivo e irruente, ma son fatto così.
    Grazie anche per le idee che mi avete dato ed i ragionamenti che mi avete fatto fare.
    Sono tanti anni che vedo e piango tragedie come quella di Tito, sono convinto che si possa solo tentare di limitarne il numero: dico spesso che la soluzione sia un’azione culturale e secondariamente un’azione tecnica, ma noi cerchiamo da decenni (1986) delle scorciatoie tecniche e non mentali per superare i nostri limiti…..(altra provocazione?!?)

  13. @Paolo Panzeri. Se sei coerente con il tuo ragionamento (ça va san dire..) cancella i tuoi commenti ed astieniti da qualsiasi altro su questa vicenda. Poiché non fai l’8a come Tito non sei titolato a dare un giudizio.

    Ma robe da matti.

  14. “Al di là del dramma umano, sarebbe stato più proficuo che la discussione si fosse incentrata non sul perché, ma su che fare affinché simili tragedie non possano accadere ancora,”

    Lorenzo ma se non si analizza il perchè questa tragedia è accaduta, come si fa a trovare la soluzione affichè non risucceda?

    Per me la soluzione è semplice: i bambini vanno guardati a vista da chi ne ha sul momento la responsabilità , senza dare nulla per scontato. Il fatto che il bambino sia capace di fare alte difficoltà non è una sicurezza, non è una certezza che nulla possa accadere.
    Questo giochino dell’arrampicata è potenzialmennte pericoloso per i grandi, figuriamoci per un bimbo. Se si fa una cazzata, le conseguenze possono essere gravissime.
    Andando a scalare in falesia si vedono fare delle grandi cazzate e spesso non ci si fa male, molto male, solo per pura fortuna.
    Mai visto fare sicura stando a diversi metri dalla parete, seduti, e con la corda che struscia per terra? Con il coseguente rischio che se uno vola arriva quasi per terra perchè chi fa sicura viene sollevato e sbattuto sulla roccia. Io si l’ho visto fare diverse volte.
    Tempo fa uno a metà del tiro si è fatto ricalare e mentre scendeva ha tolto tutti i rinvii sottostanti. Poi è andato su il suo amico recuperato solo sull’ultimo rinvio. Superato il solo rinvio è volato mentre stava moschettonando quello successivo . Risultato : è volato su un solo rinvio, si è rovesciato a testa in giù arrivando a mezzo metro da terra, perchè il solo rinvio ha fatto effetto carrucola sollevando il suo amico.
    E se la corda avesse aperto la barra del moschettone e fosse uscita? cosa non così improbabile.
    Come mai il suo amico nel ricalarsi ha tolto tutti i rinvii??? Alla mia domanda non mi ha saputo rispondere….
    GLI E’ ANDATA DI LUSSO!! ha giocato il suo giolly.
    Eppure questa gente fa dei corsi…….Forse si da per scontato che è la montagna pericolosa e la falesia invece no senza renderci conto che anche in falesia il pericolo c’è ed è rappresentanto dalle cazzate che facciamo noi.

  15. Con riferimento all’ultimo commento di Antonio Arioti aggiungerei la proposta di fare arrampicare i minorenni su vie di falesia dotate di moschettone con ghiera per la calata per evitare di fare effettuare la delicata manovra in catena

  16. Lorenzo, non mi pare che non siano emerse delle proposte. Elenchiamone alcune:
    – utilizzo della sola corda dall’alto;
    – utilizzo del casco;
    – assistenza puntuale da parte dell’istruttore;
    – formazione da parte dei genitori (intesa come formazione comportamentale più che tecnica);
    – ecc..
    Chiaramente i suddetti concetti, riassunti con parole mie, possono essere rinvenuti nei vari interventi sebbene espressi con diversa terminologia.
    D’altronde non è che si possa inventare chissà cosa e, pertanto, il range di manovra rimarrà sempre compreso fra il divieto assoluto di arrampicare imposto ad un minorenne all’assunzione di tutte le possibili misure di sicurezza attualmente a disposizione: formazione tecnica e comportamentale, assistenza, corda dall’alto e casco. Non me ne vengono in mente altre.
    Poi ci sarà sempre quello che si farà paladino dell’intervento genitoriale, e pertanto formativo, e quello che punterà principalmente sulle soluzioni tecniche ma ciò deriva anche dal diverso rapporto che ciascuno di noi ha con l’elemento rischio.

  17. L’idea di trovare un colpevole ad ogni costo è intrinseco dell’uomo, forse questo alleggerisce la coscienza e fa sentire meno responsabilità per l’accaduto.
    Come sempre le polemiche emergono dopo un triste evento; non sono mai state fatte prima le considerazioni fin qui espresse per altri incidenti? Mancava l’elemento scatenante?
    Quante persone sono perite arrampicando in montagna o in falesia per i più vari “incidenti” e poi tutti a domandarsi perché è successo, com’è potuto accadere!
    Al di là del dramma umano, sarebbe stato più proficuo che la discussione si fosse incentrata non sul perché, ma su che fare affinché simili tragedie non possano accadere ancora, altrimenti alla prossima ci ritroveremo ancora qui a ripetere le medesime cose

  18. La mia esperienza mi insegna che il casco in falesia è una rottura di scatole ma in alcuni casi, probabilmente a bassa percentuale, aumenta di molto la sicurezza.
    Oggi ci sono caschi leggerissimi.
    Il look impone di non usarlo ma personalmente lo ritengo una cosa stupida.
    Obbligatorio o meno non mi interessa… l’importante è che ciascuno di noi cominci a pensare con la propria testa alla propria sicurezza.
    Io dopo 30-35 anni di non utilizzo in falesia, ho deciso di utilizzarlo.

  19. Paolo Panzeri, le tue argomentazioni sarebbero condivisibilissime se si parlasse di record, limiti superati, difficoltà minori o maggiori su una via ecc. ecc., ma in un caso come questo non credo siano valide.
    Che qualcuno degli scriventi faccia il settimo l’ottavo o il decimo grado conta nulla, come si può ben comprendere e specie nel caso della sportiva, capacità non è proporzionale ad esperienza, visto che un bambino di 12 anni scalava meglio di moltissimi arrampicatori seriali. Non è casuale che i limiti atletici dell’arrampicata sportiva siano molto più elevati di quella in ambiente anche su vie pre-attrezzate. Dove conta l’esperienza non c’è capacità atletica che tenga… perciò chi interviene nel dibattito lo fa sulla base della propria coscienza nei confronti di un’attività che malgrado tutti i sistemi che si è potuti o voluti trovare, rimane potenzialmente mortale…!
    Il materiale usato per scalare l’8a o l’ultimissimo limite del 9b è lo stesso di chi scala solamente il 4a e le tecniche di salita e calata sono identiche.
    E’, credo evidente, che in casi come questo dove è palese l’assenza di fatti fortuiti (fatalità), ed incisiva la minore età dello sfortunato protagonista, vi siano dei responsabili che non hanno tenuto in conto la potestà che in quel momento gli era affidata. Se fosse stato da solo, magari in compagnia di coetanei, eludendo la sorveglianza genitoriale sarebbero giuridicamente loro i soli responsabili anche se moralmente vedrei molto difficile imputar loro qualche colpa, visto che tutti o quasi, siamo “scappati” dai controlli dei genitori per sentirci liberi da ragazzini, ma la situazione invece è diversa e non trovo (almeno per quanto mi riguarda) nulla di scabroso a dare il proprio giusdizio su un fatto che potrebbe accadere a chiunque se non si rispetta quella regolina di base degli sport estremi…: la prudenza non è mai troppa! Non vorrei essere nei panni di chi oggi si sente o viene ritenuto responsabile dell’accaduto perché immagino che non la viva per niente bene e che un episodio accaduto a causa di probabile superficilità senza intenzione gli peserà per il resto dei suoi/loro giorni.
    In quanto a caschi ed affini, personalmente non sono assolutamente d’accordo sul fatto che vengano imposti, nemmeno ai ragazzini, dovrebbero essere i loro tutori a decidere se farne o meno uso assumendosi le responbsabilità della propria decisione e credo che a nessuno venga in mente di giocare alla roulette russa in questo caso!

  20. Tito era un bimbo di 12 anni . Ripeto 12 anni!!
    A 12 anni tutto è un gioco ma questo gioco , anche se si chiama arrampicata sportiva, è pericoloso !!
    Ma a 12 anni non si ha il senso del pericolo e, anche si è capaci di salire l’ 8A , non ci si può fidare . Non ci si deve fidare!
    Come ho già scritto, mamma orsa i suoi ciccioli li guarda a vista. Altrimenti il lupo se li pappa.

  21. Scusa Paolo ma se ti riferisci all’ultimo scambio fra me e Giovanni non capisco dove tu voglia andare a parare.. Cmq se si interessa conoscere il mio livello di competenza posso dirti che ho arrampicato in anni in cui non esisteva sicuramente il livello di sicurezza attuale, dove anche in falesia le vie erano chiodate lunghe e dove a volte si facevano le doppie su chiodi che ballavano, dove la catena in sosta era spesso e volentieri una chimera. Poi per carità, la Solleder al Civetta o Zanzara al Colodri, giusto per fare i primi esempi che mi vengono in mente, non le ho mai fatte. Vedi un po’ te, se ritieni che non abbia titolo per aprir bocca posso anche star zitto, sto’ bene uguale.

  22. Michelazzi mi scuso per la mia irruenza.
    Mi piacerebbe sapere da ciascuno di quelli che qui commentano che livello alpinistico hanno.
    Il mio è per ora ancora buono, vie lunghe un po’ dappertutto sul settimo come in gioventù.
    Vorrei capire la nascita di certe idee condivisibili, vorrei saper il livello di competenza.
    Altrimenti mi sembrano solo parole.

  23. Infatti Giovanni, ritengo tale posizione condivisibile. Per quanto concerne il casco, minorenni o meno, non ho mai capito perché in ferrata sì e in arrampicata sportiva no, qualcuno me lo dovrebbe spiegare in maniera circostanziata. Però intendiamoci, si tratta di soluzioni per limitare il rischio perché quest’ultimo non lo si azzera mai e la consapevolezza di ciò può dare molta serenità di giudizio.

  24. Ciao Antonio.io sono uno di quelli che pensa ai minorenni con il casco in testa e la corda dall alto .almeno nelle circostanze in cui vanno ad arrampicare con qualcuno che si assume la responsabilità che tutto vada bene. L istruttore deve controllare che l attrezzatura personale casco e imbrago siano idonei e portati correttamente.poi deve montare la corda e recuperare l allievo. Vedrai che così incidenti del genere anche se rari scomparirebbero.e poi credimi dire che potrebbe saltare la sosta della Mulinette oppure rompersi l imbrago o rompersi la corda mi sembra veramente esagerato. Ciao giovanni

  25. Sì c’è un po’ di confusione, tipica di queste situazioni. Si esprimono molti pareri e si traggono conclusioni senza però essere perfettamente a conoscenza di come si siano svolte le cose. Immagino, quanto meno vorrei sperare, che chi giudicherà abbia tutti gli elementi per poter emettere un verdetto corretto.
    In ogni caso credo che la responsabilità del produttore sia molto marginale perché non stiamo parlando di attrezzi di uso comune bensì di materiale il quale necessita, per essere utilizzato, di conoscenze specifiche. Non ci vuole Leonardo da Vinci per comprendere che quel gommino non può tenere e se i rinvii fossero stati montati in quel modo da Tito che aveva 12 anni è abbastanza evidente che la colpa debba ricadere su chi l’aveva in custodia e non ha fatto le opportune verifiche. Dispiace dirlo ma a quali altre conclusioni dovremmo arrivare?
    Il fatto che Tito si sia slegato o meno, a mio modesto parere di ex arrampicatore, è secondario perché a prescindere dalla manovra o dalla eventuale rottura della sosta (da alcuni commenti non mi pare sia stata fatta chiarezza in merito), gli altri rinvii, opportunamente assemblati, avrebbero dovuto tenere (fra l’altro immagino che il peso del ragazzo fosse modesto, non credo pesasse ottanta chili).
    Preoccuparsi dei commenti in rete e della possibile emersione di un’immagine distorta di Tito mi sembra un po’ esagerato. Era un ragazzino di 12 anni, semmai è più facile possano uscire immagini distorte di altre persone coinvolte. Chiaramente la comunicazione dovrebbe sempre essere precisa e corretta ma crocifiggere Alessandro Gogna mi sembra alquanto ingeneroso.
    Per quanto concerne i genitori non vorrei fare del moralismo spicciolo perché non li conosco, spero solo non siano usciti con la solita frase “vogliamo giustizia” perché se no mi vanno a finire sotto il menisco.
    Fare giustizia non significa infatti fare giustizialismo bensì comprendere bene come sono andate le cose e trarre le dovute conclusioni.
    In alcuni commenti è stato scritto che fino alla maggiore età si dovrebbe arrampicare solo con corda dall’alto. Potrebbe anche essere una posizione condivisibile però non risolutiva. Anche il rinvio a cui attacco la corda potrebbe staccarsi così come nei casi di massima sfiga potrebbe sbrindellarsi l’imbrago. Cioè, cerchiamo di essere seri, è l’attività in sè che comporta dei rischi, peraltro di gran lunga inferiori a quelli che si corrono girando in motorino per strada.
    Per farla breve, ci sono diversi livelli di responsabilità ma anche diversi tipi di responsabilità. Farsi prendere dal commento facile è in questi casi deleterio perché si rischia di fare un minestrone senza nè capo nè coda. Bisogna cercare di affrontare la cosa pacatamente partendo dal presupposto che questa triste vicenda deve costituire un monito per fare le cose bene e meglio ma con la consapevolezza che il rischio ZERO non esiste salvo impedire ai propri figli di arrampicare fino alla maggiore età.

  26. Cazzo ma quante idee ben cofuse…!
    Ma signor Panzeri… di che vergogna stai parlando? Anzi…di cosa stai parlando?
    Prima inveisci con chi discute l’argomento e poi trai le tue conclusioni con accuse conseguenti?
    Come papà forse (per quanto mi riguarda di sicuro) avresti l’obbligo di pensare a ciò che scrivi di getto e magari rileggerlo… tuo figlio potrebbe leggerlo e trarne conclusioni ( affrettate?), su chi tu possa essere … dare la colpa al sistema senza rendersi conto che ne facciamo parte integrante è estremamente comodo, critica ed auto-critica specialmente, possono essere modi per sfatarlo, ma bisogna essere in grado di abbandonare le proprie presupponenze! Nessuno è perfetto ma chi critica per partito preso anche meno…!
    PEACE AND LOVE

  27. Tornando al pratico….la foto ritrae uno dei rinvii usati in quell’occasione dal povero Tito o è solo “dimostrativa” di come quei rinvii erano stati assemblati? Penso la seconda ipotesi perchè il moschettone dove passa la corda è molto usurato e in genere quando il sistema fettuccia, gommino, moschettone viene composto poi resta tale fino alla dismissione dell’attrezzo.

  28. X Giorgio. Ti chiedo scusa. Ho risposto di getto e ho preso un granchio colossale. Non e’ mia intenzione litigare su un argomento simile.
    Credi se ti dico che vorrei argomentare meglio ma sul forum mi trovo molto in dif.ficolta’. Anche perche’ spesso si viene fraintesi. Forse un giorno ci incontreremo. Allora a voce sara’ tutto piu facile. Sono di Genova,

  29. Parliamo di un “bambino” di 12 anni. Pensare che la responsabilità sia sua mi sembra una follia.
    Quando si accetta di accompagnare un bambino in montagna, ci si assume precise responsabilità. Persino se quel bambino è tecnicamente più bravo di noi. Non credo che su questa cosa possano esserci dubbi.
    Chi lo ha preso in custodia dai genitori, chi lo ha accompagnato fino a li, have a il dovere di controllare che fosse equipaggiato per fare quello per cui li è stato portato a fare.
    Chi ha assemblato il materiale evidentemente non sapeva cosa stava facendo. E quindi a sua volta ha una responsabilità perché comunque non credo potesse ignorare che quel materiale serviva a fare un gioco molto pericoloso. Se non era in grado si doveva astenere.
    Sulle istruzioni non so. Non so se il materiale era venduto assemblato o da assemblare. Probabile comunque che la ditta sia in difetto, ma visto che ognuno dovrebbe conoscere come utilizzare correttamente i DPI, e che passare il moschettone nella fettuccia, e non nel ferma corda, è pratica corrente, penso la responsabilità del costruttore sia la più marginale.
    Se anche Tito avesse fatto una manovra sbagliata, vi sarebbe comunque una colpa di un adulto, perché i bambini vanno sorvegliati e l’omessa sorveglianza della sua attività sarebbe comunque una colpa.
    Possiamo ritenere tutto questo eccessivo (io no), ma questa è non solo la realtà del codice in molti paesi occidentali, ma anche la realtà del buon senso.

  30. State litigando su un fatto tristissimo, vergogna!
    La colpa è come sempre prima dei genitori, ma non si dice mai e poi dell’istruttore, dell’accompagnatore, del fornitore, del sindaco, del presidente…… è colpa del nostro sistema consumistico e del volersi sempre mettere in mostra e questo purtroppo non si può inquisire o condannare.
    Come papà posso solo tentare di non piangere quando ci penso.

  31. Gian Luca
    Risposta breve: dovresti scusarti anche con me 🙂
    .
    Risposta lunga:
    Peccato tu non abbia espresso nessun pensiero tuo ben definito sui temi trattati dall’articolo o dai commenti, a parte il tuo reclamo al totale silenzio ed il discorso sulla sicurezza della falesia nel tuo commento iniziale, che ripeto: non è chiaro cosa sottointendi.
    .
    Però hai portato uno spunto ulteriore. C’è una differenza comunicativa totale tra:
    – un commento su facebook (mi piace / non mi piace / gattino tu / scemo l’altro ),
    – un commento su un forum tematico con nickname anonimo,
    – un articolo, un commento su questo blog.
    .
    Fare “congetture”, è pensiero critico, che tutti gli esseri umani dovrebbero fare sempre, in ogni azione della vita, ed a maggior ragione nell’incontro con la morte (incidente o non incidente).
    Poi, l’attività congetturale di questo blog, sui temi dell’alpinismo e della libertà umana,
    è di particolare valore storico (lungo termine) e giornalistico (breve termine).
    Una operazione che nell’ambito dell’alpinismo, in Italia, ha poche altre proposte simili, purtroppo.
    .
    Allora, Il “giornalismo” dovrebbe dire solo “verità” ?
    “Deve dare informazioni corrette altrimenti tacere” ?
    Allora bisognerebbe chiudere:
    – giornali quotidiani,
    – televisioni,
    – siti web, forum, blog, social networks,
    – tutta la comunicazione sociale.
    Ma non la chiamavamo… ‘democrazia’, questa roba ?
    E la chiusura della comunicazione non ha mai portato niente di buono nella storia.
    La pensi diversamente ?
    Ti ascolto.
    .
    Però fin ora non ti sei confrontato rispetto ai punti che ho proposto, dopo aver ragionato sul tuo commento, invece, mi “attacchi” sul personale dicendomi che “parlo dietro”, affermazione che si commenta da sola, se leggi (quello che scrivo in) questo blog.
    .
    Il tuo è un argomentare di rispetto e difesa della “delicatezza” reclamata ?
    Legalità o umanità ?
    Silenzio o elaborazione del sentimento ?
    Legge o cuore ?
    Questo è il punto su cui ti invito a riflettere.
    .
    P.S. Quale sala frequenti ?
    Io non ne frequento nessuna, nemmeno più quelle cinematografiche.
    A proposito, questa storia mi riporta alla mente un film di Atom Egoyan che amo: “the sweet hereafter”.

  32. X giorgio. Ti ho confuso con altra persona. No non ci conosciamo. Cmq il succo del discorso non cambia. Chiedo scusa al tuo quasi omonimo.

  33. X Giorgio.
    Ci conosciamo quindi quando mi vedi in sala vieni pure a dirmi tutto in faccia. Sono pronto all’ ascolto. Ovviamente dovrai darmi ascolto anche tu.
    Qualche appunto pero’ voglio farlo anche qua’.
    Il sig Gogna ha il dovere di scrivere cose esatte e non di fare congetture su incidenti mortali. A me non interessa chi sia o cosa abbia fatto. Deve dare informazioni corrette altrimenti tacere.
    L’argomento e’ molto delicato. Ognuno e’ libero di scrivere cio’ che vuole salvo poi assumersene la responsabilita’. Vai a leggere le porcherie che certi personaggi hanno scritto sula pagina fb di Gogna in calce a questo articolo. Che vergogna.
    Ho capito che anche tu sei uno dei tanti rosiconi che parlano dietro. Quando mi vedi in sala vieni pure a dirmi quello che pensi…..
    I

  34. Ciao Luca,
    il fatto che l’articolo parli di “slegatura”, se questa non c’è stata, in tal caso è un errore, è vero, ma non toglie valore alle riflessioni che l’articolo propone. Invece nel tuo scrivere ci sono alcuni punti su cui sono in disaccordo totale:
    A. Il silenzio a seguito della morte
    Tu dici:
    > Di fronte a una tragedia simile ritengo si dovrebbe stare in silenzio
    No!
    Questo, alla stregua del “RIP” (Rest In Peace) è atteggiamento a cui mi oppongo fermamente.
    E’ deresponsabilizzazione. E’ Facile dire: “zitti tutti”, quando ci scappa un morto!
    Astraendo dall’episodio specifico, è successo a molti di noi di avere incidenti, e di perdere amici, scalando. Ma non ci dovrebbe essere nessun tabù nel condividere i fatti avvenuti, anzi è doveroso cercare di capire la dinamica di un incidente, e se non lo si fa è: o per convenienza personale interessata, o per paura di ritorsioni varie, psicologiche, legali, tecniche o quant’altro. Invece il vecchio proverbio dice: “dall’esperienza si impara”. Poi c’è spesso una distorsione dell’informazione, d’accordo, E so quanto sia orribile vedere la verità fattuale ofuscata da una informazione deviata, nei social networks, nei media, nei giornali, ma non mi sembra proprio il caso dell’articolo in oggetto.
    .
    B. La location della falesia
    Non ho capito tutto il discorso che fai sul luogo dell’incidente, che pare sottointendere una possibile sicurezza “attesa”, in una falesia protetta da tornelli all’ingresso, addirittura. Non sono assolutamente d’accordo che un luogo di arrampicata sportiva, controllato e monitorato da questo o quell’ente, sia per questo privo di pericoli (al CAI si direbbe: sia oggettivi e sia soggettivi).
    .
    C. Sul giornalismo
    Bacchettare Alessandro Gogna come uno di molti “giornalisti” disinformati che straparlano di disgrazie in montagna, è una inaccettabbile provocazione. Se c’è una persona che fa da decenni, analisi dei fatti storici con rigore e correttezza quasi maniacale, quello è lui. Definirlo “giornalista” poi, cn tutto il rispetto per il mestiere, va bene tutto, ma forse è un poco di più che un giornalista: è un intellettuale e storico dell’alpinismo (anche tralasciando le vicende alpinistiche personali…). Non è che costui è nato blogger, ma lo è diventato. Chiusa parentesi.
    .
    Vorrei dire però dire due cose in generale. Ci sono alcune riflessioni/temi che vengono fuori in questo articolo:
    .
    1. L’aspetto tecnico e di contesto nell’arrampicata sportiva:
    C’è un paradosso qui: da un lato si dice spesso che l’arrampicata sportiva non ha (o non dovrebbe avere) “nessun” pericolo. Bene. D’accordo.
    Nella mia piccola esperienza però vedo un atteggiamento, nelle falesie, chiamiamolo di “relax” per cui si abbandonano le “normali” cautele che si hanno quando si va per monti: è “vietato” usare casco (fa pirla ed io sono SEMPRE stato rpeso per il culo avendo lo messo su in falesia), poi raramente vedo controllarsi tra partner. Si ride e si scherza alla base. Bene, ma me sta cosa non mi ha mai fatto divertire. bho. Ma è un tema minore nella mia riflessione, ma forse il più importante nel caso specifico, perchè forse se qualcuno avesse controllato i rinvii del bambino, gli avrebbe salvato la vita. forse. Non mi interessa sindacare ora su responsabilità anagrafiche e tutoraggio. E’ un concetto generale. E’ il concetto di cordata. Amen.
    .
    2. L’aspetto legale: la ricerca della colpevolezza
    Nella nostra società rincoglionita dalla monetizzazione e deresponsabilizzazione, cerchiamo sempre un colpevole esterno per qualsiasi cosa (banca, medico, meccanico, istruttore di arrampicata, qualsiasi cosa). Cerchiamo sempre se c’è una copertura assicurativa a vale di un incidente. In montagna come in città: se c’è una cosa che mi fa incazzare sono quelli a cui è diagnosticato il cancro ma denunciano il medico di famiglia o lo specialista perchè non glielo hanno diagnosticato in tempo od hanno sbagliato diagnosi. Embhè?! Il punto è che hai il cancro e le tue poche energie umane le dovresti concentrare nella eventuale “salvezza” di te stesso e della tua situiazione umana, e non nell’intraprendere una causa legale a terzi, medici od aziende, per “rovinarli”. La cattiveria, appunto. Non paga. Farti altro sangue marcio, altro dolore, aumento della malattia. Spero che la metafora con la vicenda in oggetto si capisca.
    Certo in questo caso la persona era un cucciolo, come dice giustamente qualche commentatore qui.
    Ma allora quale può essere una giustizia della legge che eventualmente arrivasse ad imputare ai genitori la responsabilità di questa disgrazia ? E’ molto triste tutto ciò e vorrei difenderlo, il dolore dei genitori. Tralascio il punto e passo ad una ultima riflessione controversa:
    .
    3. La proiezione dei nostri desideri su quelli dei nostri figli.
    Mi astraggo di nuovo dal caso particolare, di cui non so quasi nulla, per un discorso generale:
    Negli ultimi anni, vedo molti alpinisti / arrampicatori fieri di portare i propri pargoletti a diventare eroi del gesto arrampicatorio, facendoli partecipare, i propri bambini, a gare e garette di arrampicata. Andandone fieri.
    Chiamo questa cosa:
    “proiettare il proprio ego sui propri figli”.
    Ogni essere umano deve trovare la propria strada, invece, e ci vuole il suo tempo: penso sia un fatto eccezionale che un figlio di un arrampicatore sia arrampicatore per talento anche lui…
    è più probabile che subisca un condizionamento e pressione dai genitori.
    Un errore genitoriale fatale, credo
    E prima o poi i nodi vengono al pettine.

    giorgio

  35. Gridare? Mi appare nuovo questo audio sistema del blog… Dici forse per i maiuscoli? Un tempo erano considerati come incisività nello scritto… Considerali così e non urla che in questo caso servono a nulla…! Il concetto in ogni caso non cambia!

  36. Trovo molto difficile continuare la discussione. Invito Stefano a non gridare e a leggere meglio quanto ho scritto nei miei due post precedenti. Evidentente non sono riuscito a spiegarmi. Mi spiace e mi scuso. Non ho altro da dire.

  37. Dopo gli incidenti si fanno sempre le verifiche si prendono provvedimenti e le varie attività diventano più sicure. Adesso dopo la disgrazia spero che i minorenni si facciano arrampicare solo con corda dall alto e casco in testa.

  38. “Maglia rapida o moschettone in sosta” se così fosse stato l’incidente non sarebbe successo! A meno che non fosse saltato l’impianto della sosta, che però da ciò che viene lasciato sapere a noi comuni mortali, non è la dinamica dell’incidente. Mi sembra oltre l’ovvio!
    Quale sia stata la manovra errata importa molto poco caro Biagini, importa che i rinvii erano stati montati in maniera errata e oserei dire, anzi lo dico e basta (lancia i tuoi fulmini pure contro chi parla) da chi evidentemente non lo sapeva fare, malgrado sia una pratica piuttosto semplice. Se come sembra sono stati montiati da un neofita (adolescente?), la responsabilità ricade su chi ne aveva la potestà in quel momento perché appare abbastanza chiaro che di responsabilità in questo caso ve ne siano e non sia affatto un incidente dovuto a fatalità. Se li avesse montati lo stesso Tito (che aveva 12 ANNI!!!) conta nulla in fatto di responsabilità degli adulti presenti! O siamo al livello di pensare che un dodicenne sia in grado di gestirsi come un adulto? Perché la cosa diventerebbe piuttosto inquietante in questo caso.
    Tito sapeva, Tito qua e Tito là… gravissimo su e gravissimo giù… La questione è che un ragazzino dodicenne si è fracassato al suolo e non per mera fatalità, ci sono delle responsabilità e la magistratura le potrà rilevare a fine indagine….PUNTO ESCLAMATIVO!
    Chi sta discutendo qui sulla base delle notizie note, lo sta facendo in primis per evitare che possano succedere altri incidenti simili, per evidenziare che una prtatica potenzialmente mortale come l’arrampicata, non sia vista come un giochino qualunque. L’atletica è sport ma non ha rischi intrinsechi ed inalienabili come l’arrampicata, più simile nei rischi probabilmente a quello sport della formula uno dove se qualcosa va storto sei orizzontale!
    La figura di Tito non viene lesa da nessun commento e sai perché? Perché era un ragazzino di dodici anni e quindi incolpevole della disgrazia occorsagli, campione o no fuoriclasse o solo oltre la media, importa nulla, perché a 12 anni si è solo bambini!!!
    NOON ERA UN EROE MA UN BAMBINO CHE GIOCAVA!!!

  39. Caro Gian Luca, sembri molto ben informato e questo mi fa piacere.
    Se è certo che Tito sia arrivato al suolo legato, allora rimane solo l’ipotesi dei rinvii che cedono uno per uno. Ma qualcosa deve aver provocato il volo iniziale: o è la sosta che ha ceduto, o è il moschettone magari mal chiuso o è uno dei famigerati rinvii (magari messo anche accoppiato con un altro).
    Non ho difficoltà ad ammettere, in questo caso, di aver “passato” un’ipotesi non rispondente alla verità.
    Quando però dici “E’ gravissimo scrivere su un blog seguitissimo supposizioni sul fatto che Tito abbia potuto slegarsi”, francamente non capisco. Per quale motivo tu ritieni così grave anche solo il pensare che Tito si sia slegato quando tutti sappiamo che è una manovra che si fa comunemente? Non comprendo.
    In questa vicenda così piena di errori di più persone non vedo affatto grave l’eventuale slegarsi di Tito. La sua figura non ne è sminuita.

  40. Alessandro come già scritto nel post precedente in qualità di giornalista tu hai il dovere di veicolare informazioni corrette. Il rischio è di essere lesivi nei confronti di Tito. Tito nonostante sapesse fare la manovra non la attuava mai per volere diretto di suo padre. Ripeto che Tito lasciava sempre un moschettone o una maglia rapida in sosta. I fatti di Orpierre sono noti a tutti. Tito è arrivato a terra ancora legato. I moschettoni si sono strappati uno dopo l’altro. Tito ha montato la via per delle successive ripetizioni. Presente al fatto anche la nota guida di Orpierre che manutiene le vie. Al momento del fatto stava lavorando sulla parete opposta, distante poche decine di metri. si era fermato a vedere Tito come scalava e ha assistito alla tragedia in diretta.
    E’ gravissimo scrivere su un blog seguitissimo supposizioni sul fatto che Tito abbia potuto slegarsi.
    Io personalmente sento il dovere di difendere Tito da quelle persone e da quelle notizie che ne creano una immagine distorta.
    Duole tantissimo leggere in rete commenti orribili che parlano di “selezione naturale”, che associano a questa vicenda preservativi, che coinvolgono la famiglia. La rete è popolata di idioti, lo sappiamo, ed è per questo che voi giornalisti dovete perlomeno evitare di foraggiare simili personaggi.
    Tito è stato e lo sarà ancora, lo sarà sempre, un modello e fonte di ispirazione per migliaia di ragazzi, anche al di fuori del mondo dell’arrampicata.

  41. Caro Gian Luca, se Tito, come tu dici, non effettuava mai la classica manovra per farsi calare, non vuole dire che non l’abbia fatto quella volta lì. Se, come tu dici, ha messo un moschettone in sosta ed era regolarmente legato, ammesso il cedimento del moschettone o della sosta, mi risulta difficile credere che non sia stato trattenuto dai rinvii posti durante la salita e ovviamente ancora in loco. Questo potrebbe avvenire sempre e solo per la stessa motivazione, cioè che TUTTI i rinvii erano montati male. Quando invece si sa (o si dice) che quelli mal montati erano otto su dodici.
    Ammetterai che è molto più facile supporre che sia slegato solo per quel momento necessario a passare il capo della corda nell’ancoraggio. E’ una cosa che molti fanno, restando appesi per qualche secondo a un rinvio. So bene che la manovra corretta si fa in altro modo, rimanendo sempre legati, ma questa è una supposizione molto credibile.
    Sarebbe pure interessante sapere se, dopo la risalita di Tito, qualche altro voleva salire. Di solito la “manovra” si fa quando si ha intenzione di sgombrare la via da tutti i rinvii.
    In ogni caso, noi non siamo nella commissione tecnica di valutazione dell’incidente né eravamo presenti al fatto. Il dubbio si scioglie facilmente sapendo (ma lo si sa?) se Tito al momento dell’impatto con il suolo era legato oppure no.
    Francamente poi non capisco perché bisognerebbe “stare in silenzio”. Per paura di dire cose inesatte? Allora dovremmo tacere in ogni momento della giornata, caro Gian Luca. Uno dei vantaggi dei blog d’informazione è proprio la facilità di aggiornamento. Se qualcuno sa qualcosa di più preciso, scriva. Qualcuno degli interessati ritiene che abbiamo scritto “cose cattive”? Lo dica, qui c’è il giusto spazio per tutti, non è il Corriere della Sera.

  42. Di fronte a una tragedia simile ritengo si dovrebbe stare in silenzio ma tant’è le riviste e i blog qualcosa devono pur scrivere e quindi ci si trova a leggere inesattezze e orribili cattiverie al seguito. Signor Gogna come titolare di un blog letto da migliaia di appassionati Lei ha il dovere di veicolare informazioni certe pena generare idee errate in coloro che leggono. Le chiedo da quale fonte Lei abbia appreso che Tito si sia slegato una volta giunto in sosta un attimo prima della caduta. Ritengo più verosimile pensare che il giovane Tito abbia montato il tiro sino in sosta moschettando anche la catena con uno dei rinvii a lui in dotazione, con l’intento poi di farsi calare su di esso. Manovra di routine per ogni arrampicatore sportivo che monta un tiro in falesia che deve essere ripetuto. So’ per certo che Tito non eseguiva mai la classica manovra in catena e quando il rinvio di calata non era presente lasciava sempre una maglia rapida o un moschettone.
    La questione la ritengo molto importante perchè leggendo in giro per la rete ho l’impressione che si sia generata un’idea distorta di quello che Tito faceva sulla roccia e di conseguenza del suo incidente. Tito non scalava pareti “impossibili” e non effettuava “strane” manovre in sosta.
    A tal proposito vorrei fare alcuni appunti per meglio inquadrare l’incidente occorso al povero Tito.
    Tito, benchè potesse scalare su difficoltà molto sostenute, è caduto su un tiro di 6b, grado che per un arrampicatore sportivo è considerato semplice.
    La falesia Orpierre dove è avvenuta la tragedia è un sito di arrampicata popolare, in particolar modo il settore teatro del dramma. Stiamo parlando di una serie di pareti situate a poche centinaia di metri dal centro del paese. Il sito è monitorato dalla FFME e quando viene rilevato un solo chiodo che muove la via in questione viene chiusa per la manutenzione necessaria. Addirittura sono stati posti due tornelli con contatore per rilevare il numero di passaggi sui due sentieri di accesso.
    E’ in questo contesto che è avvenuto l’incidente di Tito e non su qualche parete in una valle lontana.
    E’ difficile pensare ad una fatalità in un contesto simile come qualcuno invece vuol far crede. Tito non è morto per un crollo in parete e nemmeno per un sasso caduto dalla cima della falesia, questi si che sono degli eventi imponderabili.
    Tito è morto per un cedimento della catena di sicurezza. Cedimento dovuto a errore umano…..

  43. A Sandro: sono anche padre e a 12 anni di certo non si leggono i manuali di istruzioni ancor più se si è atleti campioni acclamati come in questo caso. A 12 anni si gioca e si corre lasciando agli adulti il compito semmai di vigilare su tutto quello che non diverte.
    E l’istruttore preposto sapeva benissimo, immagino, che il moschettone va agganciato alla fertuccia e non al gommino, solo che ha totalmente ignorato di controllare questo dettaglio perché probabilmente non immaginava che qualcuno avrebbe potuto compiere una tale assurdità.
    Se vogliamo una Società ipersicura dobbiamo educarci individualmente e non affidare questa benedetta sicurezza a oggetti, persone o polizze a pagamento. La sicurezza la si deve avere dentro prima di tutto e per fare qualsiasi cosa, anche un budino!
    Stiamo dimenticandoci la dimensione animale dalla quale proveniamo e crediamo di poterci comprare tutto con i soldi.
    I manuali d’istruzioni sui moschettoni sono apparsi pochi anni fa. Prima non esistevano, ma esisteva la possibilità di farsi l’esperienza necessaria ad usarli correttamente. L’alpinismo non é più sicuro perché ci sono più manuali e l’arrampicata però dovrebbe esserlo ma non in funzione di ciò, bensì di una coscienza che la modernità sta inesorabilmente appannando.

  44. Esiste anche un reale problema con i “gommini”, quando li montano sui rinvii capisci subito la relativa facilità di un errore fatale. Quando è in causa la sicurezza i sistemi debbono essere quanto più possibile “fail Safe” perché ogni sistema che si basa sulla necessità che l’operatore non commetta errore alcuno è molto pericoloso per definizione. Se basta un solo errore (non molto evidente nell’ispezione visiva, come in questo caso, parliamo di un sistema assolutamente ad alto rischio. Oltre che un arrampicatore per hobby sono un istruttore di sub professionista, lo dico contro i miei interessi ma difficilmente si può escludere la responsabilità dell’istruttore, supervisionare l’attrezzatura era un suo dovere ed è esattamente lo stesso per un istruttore di volo, di sub o di arrampicata. Legalmente non c’è nessuna differenza (sbaglia chi critica l’intervento dell’istruttore di volo). Sicuramente l’istruttore merita tutte le attenuanti poiché il fatto che il ragazzo fosse un campione ha comprensibilmente ma fatalmente fatto allentare la guardia, però la responsabilità c’è, era pur sempre un ragazzino.

  45. A Cominetti. Le istruzioni non sono destinate ai professionisti del settore ma alla massa che arrampica senza supervisione alcuna. Secondo me a chi ha comprato i rinvii sarebbero state sufficienti due illustrazioni su come montare o non montare fettuccia gommino e moschettone, una con scritto ok e l’altra con il teschio. Di sicuro l’avrebbe spinto a chiarirsi le idee con chi ne sapeva di più. Ripeto l’esempio del Gri: a fronte dei tanti incidenti la Petzl da anni sta facendo una campagna d’informazione a tappeto sul suo uso corretto ma è chiaro che si rivolge al poco esperto non al professionista

  46. Scrivevo il 13 luglio 2013.

    “Tito non c’è più….

    Maggio 2006, Orpierre.
    Arrivo alla sera, sono per lavoro a vendere scarpette. Conosco Thierry, che lavora all’unico negozio. Si parla. Si va a scalare la sera, ed in uno di quei momenti di grazia, “lo impressiono”; mi offre una birra. Mi racconta che il problema dei moschettoni e dell’usura a Orpierre è serio. Thierry è l’incaricato della manutenzione della falesia con i pochi fondi raccolti dagli scalatori.
    Thierry morirà due anni dopo, cambiando moschettoni di sosta. Armato di seghetto di ferro, si dimenticò di passare la corda nel moschettone nuovo quando disse “tira” a chi lo assicurava sotto.

    Luglio 2013, Orpierre.
    Tito arriva in sosta. Thierry è morto, e i moschettoni presumo non ci siano. Tito si attacca in sosta e ora non c’è più.

    Le mie sentite condoglianze a tutti.
    Emanuele”

  47. Da “istruttore” (sono una guida alpina e neppure di primo pelo) mi preoccupo di informare i miei allievi sul corretto uso di qualsiasi dispositivo ma di certo non faccio leggere a loro l’allegato manualetto tecnico perché l’ho già letto e buttato io da prima.
    Secondo me la colpa ce l’ha il fatto che l’arrampicata sia definita, giustamente, “sportiva” e nello sport il rischio è molto controllato quando non assente. Nel caso dell’arrampicata, specifico sempre, sia sportiva che alpinistica siamo contro la forza di gravità e l’impatto con il pavimento sottostante, sia una cengia o la base della parete, é indipendente dal grado o dalla morfologia della parete. Cisi schianta sul duro, punto!
    Nel caso di un ragazzino, anche se fenomenale come il povero Tito, chi ane aveva la responsabilità ne doveva controllare il materiale. Lui era troppo preso dall’arrampocare e basta e probabilmente si fidava del materiale ciecamente perché aveva sempre funzionato tutto, prima.
    Come dice Lanzavecchia, non facciamoci condizionare da leggi americane che scrivono sugli attrezzi che usarli é pericoloso e può provocare la morte. Anche sulle sigarette c’é scritto che fumare uccide ma i fumatori comprano e fumano come se la scritta non ci fosse.
    Mi sembra un facile lavarsi le mani totalmente deresponsabilizzante. Qualsiasi attrezzo che non si conosce va usato sotto la guida di chi lo conosce. Leggere il manualetto non basta assolutamente.
    Secondo me il produttore dei rinvii non ha nessuna responsabilità. È come se chi produce piccozze scriva che se conficcate nel cranio del compagno possono produrne la morte
    La mancanza del caso che ha portato alla caduta del povero Tito è talmente grave e lampante che va imputata unicamente a chi aveva la tutela del ragazzino, fermo restando il fatto che costui non ha fatto male un’operazione, cioé il controllo dei rinvii, ma proprio non l’ha fatta né bene, né male, l’ha saltata a piè pari per negligenza dovuta alla leggerezza che infonde il praticare sport con persone che lo fanno bene. É come tutto scontato in questi casi, ma é un errore pensarlo.

  48. Il mondo della montagna è diverso dal mondo della antinfortunistica, è inassimilabile. Una è un’attività lavorativa, l’altra è una attività ludica. Una inserita in una scala gerarchica di responsabilità, l’altra basata sulla propria libertà di valutare le proprie capacità e quindi i propri rischi, accettando le conseguenze dei propri errori.
    Vittorio Giovetti, da facebook 24 dicembre 2015 ore 15.04

  49. Non sono un istruttore di arrampicata, ma parlo da istruttore di volo. Non riesco francamente a comprendere come si possa in ogni caso non attribuire la responsabilità dell’accaduto agli istruttori. L’errore compiuto è paragonabile a partire con un aereo senza olio nel motore.
    Stefano Rinaldelli, da facebook 24 dicembre 2015 ore 14.44

  50. Il produttore invece ha responsabilità precise. Le istruzioni devono accompagnare il materiale al momento della vendita. Accompagna di regola singoli elementi come corda, casco, imbrago, moschettone, discensore ecc., a maggior ragione deve accompagnare i kit più o meno assemblati come per es. il rinvio o il set da ferrata. Che poi nei vari passaggi vadano perdute riguarda solo la responsabilità di chi usa il materiale. E soprattutto tutelano il produttore: provate solo a immaginare la Petzl che vende il Gri senza il manualetto d’istruzioni …

  51. Io ho insegnato a mio figlio a picchiare la testa da solo senza rompersela, quando lui era piccolo io ero però pronto con un cuscino e non gli ho mai posto dei paletti o dei limiti nella sua ricerca di se stesso.
    Non gli ho mai imposto regole o sicurezze decise da estranei, l’ho però motivato a studiarle.
    Gli ho spiegato che doveva essere lui a capire quali erano le regole adatte per lui, magari inventandole, e quale era il livello di sicurezza che doveva imporsi per fare ciò che voleva fare.
    Siccome mi piacerebbe capire perché in tanti sport succede ciò che è accaduto a Tito, non mi sembra sufficiente trovare dei colpevoli tecnici o organizzativi, penso anche alla colpevolezza culturale e formativa.
    Spesso a pallacanestro vedevo anche genitori e allenatori che incitavano ai falli!
    E nel calcio sentivo genitori e allenatori che urlavano: stendilo!
    Chissà, forse la voglia di riconoscimento di certi adulti insoddisfatti di se stessi, voglia che penso sia la caratteristica basilare dei nostri tempi, non faccia loro capire più nulla, giungendo fino a mettere a rischio la vita dei figli propri o altrui con i loro insegnamenti.

  52. Secondo me i minorenni dovrebbero arrampicare con corda dall alto casco in testa e Nodo controllato da un istruttore.Sarebbe bastata questa regola per avere tito ancora far noi. Mi rendo conto di essere quello del “dopo é facile parlare ” però secondo me le cose stanno così.

  53. Anche io concordo con le sagge parole di Massari. Insegnare ai minori sta diventando, purtroppo, una grande responsabilità per noi istruttori. All’ultimo corso, a malincuore, ho detto di no ad un 16enne, benchè il regolamento ne permettesse la partecipazione. Mi son ricordato quando avevo io la sua età, e persone di gran cuore mi hanno portato in montagna. Mia madre si fidava, bastava questo. Imperizia e negligenza c’erano anche allora, ma quando qualcosa andava storto, al 95 per cento era fatalità. Ma oggi sono altri tempi.

  54. Mio figlio ha dodici anni. Vuole che io lo porti in falesia e qualche volta ci andiamo. Su difficoltà elementari, ma sufficienti a farsi male, molto male. Quando sono con lui controllo i nodi una volta di più, e guardo la sosta con diversa attenzione, gli ricontrollo l’imbrago ad ogni salita per timore di errori. Io mi rifiuto di portare suoi amici che vorrebbero, non mi basterebbe il consenso dei familiari per zittire la mia angoscia di un eventuale mia mancanza.
    A forza di parlare di sicurezza, di protezioni a prova di bomba, di volare senza paura ci siamo scordati che è un gioco potenzialmente mortale anche in falesia. E giochi potenzialmente mortali non devono essere alla portata di un ragazzino pur espertissimo senza sorveglianza.

  55. concordo pienamente con le parole di Giovanni Massari.
    Il fatto che dei bimbi siano dei fenomenali climber non vuol dire nulla! Restano sempre dei bimbi che non hanno senso del pericolo e responsabilità . E’ dovere dei grandi controllarli a vista in tutto quello che fanno.
    Quindi eccome se ci sono delle responsabilità da parte degli adulti che li accompagnavano per quello che purtroppo è accaduto.
    Una fatalità? Fino ad un certo punto.

  56. Il commento di Stefano Maruelli è fine a se stesso. Ma che cavolo c’entra con il fatto in questione?

  57. Le parole di Giovannino Massari sono pacatamente sagge e totalmente condivisibili.

  58. Il primo responsabile è l’istruttore, credo che su questo punto non possano esserci dubbi, stiamo parlando di un ragazzino di dodici anni.
    Gli altri vengono chiamati in causa per il solito discorso della responsabilità oggettiva.
    I genitori possono sicuramente avere delle responsabilità di tipo morale non certo legale. Come dice Marco “E’ una cosa come quando vengono affidati ad un insegnante a scuola”.

  59. Senza entrare nel merito delle responsabilità della specifica vicenda ( ci penseranno le autorità competenti ) credo fermamente non si possa pensare di accompagnare ragazzini così piccoli anche se bravissimi pensando che, solo per il fatto che sono già esperti, abbiano il controllo della situazione e possano pertanto avere in dotazione o usare materiale proprio o altrui senza che venga visionato da un adulto facente funzione di responsabile.
    Questa vicenda più che essere una tragica fatalità evidenzia piuttosto il fatto che finora è sempre andata anche troppo bene a tanti e l’ incidente del povero Tito è la dimostrazione che accompagnando i minori ad arrampicare non sempre, purtroppo, si assistite al rispetto di un protocollo ( casco obbligatorio, uso di materiale normato e non personale, anticipo, prevenzione ed assistenza nelle manovre) lasciando quindi sempre troppo spazio a un potenziale rischio che, insidioso, è costantemente presente.
    Alle spalle di incidenti di questo tipo c’e’ sempre una presunzione eccessiva di sicurezza che spesso ho anche io nella mia attività, quando uso materiale datato o salto volutamente una protezione, ma sono maggiorenne, quindi “responsabile” o volutamente “irresponsabile” di me stesso.
    Questa tremenda tragedia spero abbia finalmente innescato un serio iter per un aggiornamento sulle modalità con cui si accompagnano i minori nelle attività di “sport climbing” che coinvolga istruttori e guide nella ricerca di un comportamento, che certo tanti avranno codificato personalmente, che venga ora condiviso e lasci il minor spazio possibile ad ulteriori incidenti; d’altra parte, come insegnante, sono responsabile come i miei colleghi, davanti alla legge ed ai genitori, di ciò che faccio fare ai miei alunni e, permettetemi il paragone, se avessi come alunno un Yuri Chechi dodicenne non mi sognerei certo di fargli provare un esercizio sugli anelli, spesso malconci, dei nostri istituti scolastici.
    Tito è stato messo nelle condizioni di muoversi su una parete come avrebbe potuto fare un qualsiasi forte climber, quale era, nel mondo dei climber ma lui era piccolo, troppo piccolo, per essere lasciato a giocare senza un protocollo strettamente definito a questo nostro gioco da grandi.
    E quando un bambino gioca con gli adulti che lo accompagnano a un gioco da adulti non esiste “shit happens” o “c’est la vie” che tenga come piace pensare a qualcuno, esiste, purtroppo, solo un tragico e devastante errore umano…

  60. Personalmente penso che entro certi limiti l’azione legale fosse inevitabile e anche pienamente giustificata e mi ricorderei che l’imputazione non è una condanna. Indubbiamente se si portano ad arrampicare dei ragazzini è necessario controllare quello che fanno e fare loro indossare il casco. Anche se sono degli arrampicatori d’eccezione. E’ una cosa come quando vengono affidati ad un insegnante a scuola. Esistono regole e buone pratiche credo condivise. Quindi l’imputazione all’istruttore presente ed al legale rappresentante del gruppo sportivo mi sembrano normali. Personalmente trovo un po’ sconcertante l’imputazione al produttore del materiale. Una cosa da “legge americana”. E’ ben difficile immaginare tutti gli usi scorretti e pericolosi che si possono fare di un prodotto. E una cosa simile rischia di innescare una spirale pericolosa.

  61. qui non si tratta di essere bravi e forti. Qui si tratta di bimbi, di cuccioli. E i bimbi come i cuccioli non hanno il senso del pericolo.
    Mamma orsa i suoi cuccioli li controlla a vista.

  62. Per la legge c’è una responsabilità data la minore età del ragazzo. Anzi, in passato in una normale cordata il più esperto, quando presente, è stato ritenuto implicitamente responsabile dell’incolumita’ del meno esperto. E’ da tener presente quando si porta qualcuno ad arrampicare e restiamo vittime della nostra vanità non proteggendo i tiri in maniera adeguata per far vedere quanto siamo bravi. In questo caso l’istruttore avrebbe dovuto controllare i rinvii come normalmente, nei corsi di roccia, si controlla che l’allievo si sia correttamente legato. Capisco che non sarebbe venuto in mente a nessuno considerata l’unicità del caso ma purtroppo non credo che la legge preveda questa possibile attenuante. In passato c’è stato qualche caso in cui l’istruttore era palesemente responsabile terminato in un nulla di fatto. Concordo sulla pericolosità di questa attività, ma questo richiederebbe una maggiore attenzione nel praticarla. E, ripeto, si era in presenza di un dodicenne, bravissimo, ma sempre dodicenne…
    Lorenzo Nobile, da facebook 23 dicembre 2015 ore 9.28

  63. Stefano chi produce DPI è tenuto per legge a produrre documentazione per il corretto uso degli stessi. A quanto pare questi rinvii venivano venduti senza… tutto qua. Per questo il produttore è giustamente iscritto tra gli imputati.
    Enrico Giammaria, da facebook 23 dicembre 2015 ore 9.04

  64. Con tutto il rispetto per il dolore dei genitori… Quando le parole sono importanti, e gli atti dovuti (e/o chi li riporta) sono “tracotanti”: “Guariniello inizialmente indagò cinque persone per omicidio colposo: il titolare dell’azienda produttrice dei rinvii causa della caduta fatale” QUESTA FRASE E’ FALSA IN ENTRAMBE I CASI: SIA CHE IL SOGGETTO SIANO I RINVII, SIA IL PRODUTTORE. Se perdi un appiglio cadi. Se non ti sei preoccupato di garantirti un’adeguata protezione rischi la pelle… Prima di fare l’8b+ si deve imparare questo, molto prima… E qui si apre un baratro in cui il primo colpevole è il “testosterone” in eccesso in persone che circondano una singola persona che cade vittima (quasi sempre) del suo protagonismo (alias del suo testosterone). Se non ti è mai morto nessuno accanto, un amico intendo, senza che tu potessi fare nulla pur essendo lì, ma un centimetro troppo lontano… lascia perdere, non tentare di fare polemica e continua a leggere che magari impari qualcosa… Quindi, purtroppo, quando si fanno attività pericolose il primo colpevole è chi le pratica: ed è colpevole di farle ben sapendo che se gli va male causerà parecchio dolore in chi gli sta vicino e gli vuole bene. Questa è la responsabilità che uno sportivo si porta dietro: fino a che limite posso spingere il mio divertimento per non farlo diventare dolore per gli altri. Ognuno sceglie il proprio limite, quando è adulto… Ma in molti restiamo bambini fino a quando è troppo tardi per capirlo anche se siamo in là con gli anni. Tragicamente la legge vuole dei colpevoli, se ci sono. Ma siccome non c’è una legge (purtroppo ne stanno facendo qualcuna… che avrà esiti devastanti…) per normare ogni singola fase delle attività sportive a rischio… sarebbe meglio che i giudici RIMANDASSERO LE DENUNCE AI MITTENTI. Molte delle volte che ho fatto il furbo per far vedere che fenomeno ero in bici, sugli sci, arrampicando, ecc… l’ho pagata, con più o meno danni fisici… Mi son dato una spiegazione del perché è successo e soprattutto del perché sono ancora vivo e ho cercato di darmi una regolata… Purtroppo qualcuno non ha questa fortuna. Se sei al limite, non importa chi tu sia, quando va male, va veramente male. Ora il punto che non si può risolvere in 4 righe: se tu genitore scegli di lasciare libero tuo figlio di fare certe attività hai un’unica reponsabilità davanti alla legge fin tanto che non è maggiorenne: accertarti che sia in grado di farlo autonomamente in sicurezza (con tutta l’aleatorietà che questa coraggiosa scelta da genitore comporta) o affidarlo a qualcuno che se ne prenda la responsabilità, cioè nel caso, una guida titolata, non un altro genitore qualsiasi. Non posso continuare ora, ma la responsabilità è solo nostra ora, di informare tutti i genitori in modo che ognuno faccia del suo meglio per fare le scelte più responsabili per i propri figli… ma come si fa a trovare (o voler cercare) un colpevole per una tragedia così ? E’ cinismo, è tracotanza, è l’altro lato della stupidità umana… E’ evidente che nessuno dei presenti, potendo scegliere, si sarebbe tirato indietro dal fare a cambio con lui in quella caduta… E ripeto, se non ti è mai caduto un ragazzino ai piedi non puoi capire… Cogne, una palestrina facilissima… un ragazzino che tirava ben oltre qualsiasi grado di qualsiasi via di quel posto… che rotola giù da una sosta e tu se lì impotente…
    Stefano Maruelli, da facebook 23 dicembre 2015 ore 8.42

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