Tutto facile
di Veronica Balocco
(da Eco di Biella del 15 luglio 2017 e da facebook)
Sfoglio La Stampa. Leggo il bollettino di guerra degli ultimi giorni e mi fermo a pensare. Non capisco: cosa non funziona in questo strano mondo che è la montagna, nel quale tutti desideriamo emozione e tutti vogliamo farcela? Dov’è che il meccanismo si inceppa?
La morte di un giovane sul Cervino, salito in direzione della vetta dopo aver concluso una gara di corsa. I 25 turisti che nei giorni scorsi hanno vagato slegati sul ghiacciaio del Gigante, al Monte Bianco. I due ragazzi recuperati dopo essere stati sorpresi dal maltempo, senza equipaggiamento, in Valtellina. I soccorsi dovuti alla coppia che ha allertato il 118 per la pigrizia di non voler più scendere.
Ma cosa c’è che non va nelle nostre teste? Forse qualcuno, o qualcosa, ci ha messo nel cervello che ormai possiamo fare tutto. Che siamo invincibili, capaci. Che possiamo farcela. E’ l’ingordigia di frasi motivazionali che spopolano su Facebook a farci del male? E’ la voglia di apparire migliori di quel che siamo? E’ l’indifferenza verso un rischio che siamo convinti di non correre mai? O è solo ignoranza? Dura e pura?
Tutti ne siamo dentro, in montagna come al lavoro, e tutti faremmo bene a porci qualche domanda. Non dimenticando che la differenza che la montagna gioca nella difficile partita con la vita è esemplare. Se faccio un errore da sciocca seduta a una scrivania, rimedierò. Se sbaglio a 4000 metri, posso morire.
Eppure non ci pensiamo. Non abbiamo più limiti. La convinzione che ci hanno inculcato è che tutto sia a portata di mano. Carpe diem. Vai. Buttati. Quando ti capiterà mai di tornare al ghiacciaio del Gigante, tu che in montagna non ci vai praticamente mai?
I comportamenti più palesemente incoscienti sono la punta dell’iceberg. Ma tutti, in qualche modo, oltrepassiamo sempre qualche limite. Cosa buona e giusta, quando fatto con cognizione di causa. Cosa folle, quando trasgredisce regole fondamentali create apposta per salvaguardare un’incolumità che non si ferma a noi stessi. La domanda resta dunque senza risposta. Cosa non funziona in noi? In un mondo nel quale tutti cercano un senso, ma pochi sono pensatori veri, difficile capirlo. Ognuno ha forse la sua personale giustificazione.
Ma una cosa, forse, sarebbe bene ricordare a tutti. A noi stessi in primis. Quando non sappiamo fare una cosa, qualunque cosa sia, chiediamo a chi ne sa di più. Affidiamoci, perché non c’è nulla di umiliante nel sentirsi meno esperti di qualcuno.
Per diventare maestri, e viaggiare soli, bisogna sempre essere prima buoni allievi. A volte, addirittura, si resta allievi per sempre.
Alcuni commenti (da facebook)
Stefano Pesce (15 luglio 2017, ore 19.45) Non è un fenomeno nuovo. Chi ha qualche anno, ricorderà l’arrivo della funivia all’Indren e la corda tirata che vietava di avventurarsi oltre, allora c’era un ghiacciaio sino alle Roccette, i crepacci erano tantissimi. Anche a Punta Helbronner era lo stesso. La differenza, forse è che ora c’è più visibilità e che molte più persone frequentano la montagna. Materiali innovativi ed iperleggeri, consentono a persone, con allenamenti precari di poter tentare salite difficili, il ritiro dei ghiacciai permette di salire slegati per percorsi che anni fa erano percorribili solo in cordata. Niente di nuovo. Purtroppo.
Marco Blatto (15 luglio 2017, ore 21.45) Cos’è cambiato? Proporzionalmente all’evoluzione dei tempi e dei costumi assolutamente niente! Leggetevi Samivel o ancora meglio: “La montagna presa in giro” di Mazzotti che è del 1931. Le situazioni che oggi media social e giornalisti portano all’attenzione di tutti erano esattamente quelle di 80’anni fa! Tutti quanti, si accorgono di più dei cosiddetti “idioti” perché abbiamo una capacità di farglielo sapere un milione di volte superiore di quella dei tempi di Mazzotti, che doveva scrivere un libro sarcastico rivolto a un “mondo” di appassionati o semplici avventori che era un milione di volte esponenzialmente più piccolo di quello odierno. E se qualcosa è davvero cambiato, lo si cerchi nella logica delle facilitazioni della montagna che è corsa di pari passo con una società che pretende di decidere unilateralmente per il bene e la sicurezza altrui, attuando di fatto un controllo sull’individuo. Ci si scagli contro chi permette a chiunque di arrivare lassù in poco tempo e con qualsiasi tipo di preparazione, attrezzatura, abbigliamento. E anche negli ambienti dei cosiddetti addetti ai lavori, ci si faccia un sano mea culpa, perché sono tantissimi coloro che hanno preteso di facilitare la riuscita a chiunque, mitigando il rischio con chiodi o spit che non dovevano essere messi, con vie di discesa rapide, facilitate o attrezzate, laddove un tempo ci si muoveva solo se si era in grado di muoversi. Eppure, tutti volevano le vie plaisir a due passi dal loro rifugio, le classiche attrezzate per portarci i clienti, e chi più ne ha più ne metta. In pratica la logica che la montagna deve essere in qualche modo adattata all’individuo e non il contrario. Si è preteso a tutti i livelli di rendere la montagna più “veloce”, spendibile e redditizia, così oggi può essere una funivia a “tentarmi” di salire e andare a scorrazzare sul ghiacciaio, al pari di una via più attrezzata o che può essere discesa in caso di necessità, magari dove 100 anni prima si saliva con gli scarponi e la corda di canapa in vita! Poi attenzione: con questa logica di denuncia poco chiara (perché necessariamente diventa difficile tracciare un confine) si tende a confondere l’imprudenza dell’omino della strada con quella di chi aspira a realizzare qualcosa in montagna, a qualsiasi livello o con qualsiasi preparazione. Nessuno e dico nessuno, anche degli alpinisti più capaci, può dire oggi di non aver rischiato oltre il limite della semplice imprudenza. Cosa c’era di diverso? Semplicemente che è andata bene! Se fosse andata male, oggi, avremmo meno di un terzo delle persone che hanno scritto la storia dell’alpinismo! E oggi continuano a essere vittime d’incidenti mortali alpinisti esperti e guide con clienti, per fatalità qualche volta ma per errore di valutazione o “sopravvalutazione” tante altre. Questo perché così è il gioco! Un principio però deve essere sacrosanto, contro ogni divieto, polizza di assicurazione che qualcuno vorrebbe obbligatoria, folli patentini: che ciascuno dev’essere libro di andare dove vuole e come vuole! Così è sempre stato e così dovrebbe continuare a essere.
Luca Giugliano (15 luglio 2017, ore 21.50) La gente non crede ai medici, figurarsi che cazzo gliene frega di una guida alpina. Probabilmente credono che le guide alpine siano il frutto di un complotto per estorcere soldi agli escursionisti…
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Paolo,
tu sei solo invidioso perché hai un telefonino anteguerra che non prende campo da nessuna parte…
Ammettilo!
Sentita ieri.
E’ bellissimo andare in montagna e mi diverto moltissimo.
Ma non ho nessuna intenzione di fare troppa fatica e impegnarmi, ci pensano già tanti altri, ci sono tante organizzazioni al mio servizio, io le chiamo col mio telefonino e talvolta mi va di pagare una guida, come pago un rifugio quando ci vado.
Io voglio essere libero di fare quello che voglio.
Una cultura un po’ distruttiva.
Fabio, il tuo commento ci ha stroncati!
Smettila!
Ahahahahah
Ragazzi, leggo sempre con molto piacere le nostre confessioni di montagna e di vita.
Aprirsi agli altri è molto umano (qui Fantozzi non c’entra!).
Chi va in montagna anche a fare le salite più estreme non è un eroe. Gli eroi sono ALTRI !
Gli eroi sono quelli che sacrificano il loro tempo e non solo per gli altri!
In montagna si va per divertirsi o per lavorare. Chiaramente divertirsi in montagna non è come fare una partita a calcetto. Ma resta comunque divertimento, gioco . Almeno per me.
Per quanto mi riguarda mia moglie non mi ha mai impedito di fare la mia attività, perchè così mi ha conosciuto e mi ha apprezzato. Quindi perchè mi avrebbe dovuto cambiare? I rapporti umani sono fatti di compromessi ma pretendere di cambiare una persona per il solo fatto che adesso si sta insieme e quindi bisogna cambiare è sbagliato. Mia moglie mi ha anche spronato nella mia attività alpinistica anche nei momenti di crisi. Ad esempio quando era morto, in montagna, il mio amico di cui ho parlato negli interventi precedenti.
Devo anche dire che con mia moglie ho condiviso tante salite, quindi per lei sicuramente è stato facile capire. Anche se a volte, sinceramente ne ho approfittato. Ma questo approfittarsi è accaduto sopratutto negli anni più giovanili e ruggenti. Poi gli anni passano e si capiscono tante cose.
Come spesso accade siamo andati un po’ fuori tema però l’aspetto analizzato mi interessa particolarmente in quanto si sposa con un certo tipo di cultura.
E’ evidente come non si possa imporre una propria visione del mondo, tutt’al più si può cercare di condividere i propri pensieri e i propri stati d’animo, cercando di trovare in essi dei valori di riferimento.
Tutte le società inculcano, o quantomeno cercano di inculcare, ai propri appartenenti certi valori. Questi ultimi a volte vengono dal basso e altre volte vengono imposti dall’alto. Alcuni valori sono abbastanza comuni in quasi tutti i tipi di società, pur con le dovute varianti.
Fatte le dovute premesse ribadisco che secondo me la persona matura sa darsi le giuste priorità. Chiaro che andare poi a sindacare sulle singole priorità non so nemmeno quanto possa essere corretto. Se, per es., nell’ambito di una coppia alla donna va bene che il marito/compagno vada a fare le prime invernali sull’Himalaya (può essere anche il contrario, cioè che in Himalaya vada la donna, ma in genere non è così) mi domando come si possa andare a sindacare sul menage familiare. Cioè, di fatto si può dire e fare di tutto però bisognerebbe sempre porsi delle domande, soprattutto quando le persone e le situazioni in cui versano non si conoscono.
La cosa che invece mi da molto fastidio e che purtroppo incide, magari involontariamente (sebbene abbia qualche dubbio in merito), sull’immagine del personaggio è la sottocultura dell’eroe, la quale, pur con le dovuti varianti tipiche dei vari periodi storici viene costantemente strombazzata.
La retorica per me insopportabile vuole il personaggio di turno dedito ad un’attività indefessa, quasi religiosa, tesa al raggiungimento dell’obiettivo, enfatizzante il sacrificio della famiglia, degli affetti, del tempo libero e chi più ne ha più ne metta, per uno scopo che si vuol far passare per nobile.
Ecco, a me queste cose fanno incazzare e mi piacerebbe che il personaggio di turno, qualora venisse a conoscenza di chi scrive queste stronzate, avesse il coraggio di smentirle pubblicamente. Io vorrei che qualcuno di questi soggetti dicesse chiaramente “non è vero, io non sto’ sacrificando nulla, semplicemente faccio ciò che mi piace fare col consenso o meno delle persone che amo”. Basterebbe una frase di questo tipo per ricordare a tutti qual’è la verità.
Il punto è che secondo me su quest’immagine della purezza dell’eroe ci campano in parecchi, compreso l’eroe stesso il quale non può certo mettersi a leggere tutto quello che viene scritto sul di lui conto ma che comunque certe precisazioni le potrebbe ugualmente fare.
Siamo nel XXI secolo, il mondo ha visto due guerre mondiali intrise d’ideologia becera e continua a vederne di tutti i colori. I rapporti fra uomo e donna sono completamente diversi rispetto anche solo a quelli di cinquant’anni fa (parlo ovviamente dei paesi occidentali), le famiglie si basano su equilibri precari, la scuola fa quello che può con gli insegnanti privi di qualsiasi potere (forse una volta ne avevano troppo ma oggi non ne hanno per niente) e ancora ci tocca leggere articoli su finti eroi che mettono in secondo piano gli affetti per salire un cazzo di vetta? Credo sia ora di finirla di farci prendere per il sedere.
Cosa c’entra tutto questo con l’articolo in oggetto? Forse poco o forse tanto, dipende dai punti di vista. Quanto questa cultura dell’eroe influenza i giovani e anche i non giovani? Secondo me molto ed è portatrice di valori sballati, i quali non aiutano né ad avere un approccio corretto con la montagna né tantomeno ad avere un approccio corretto coi propri simili.
La cultura dell’eroe è quella che contribuisce, per es., a farsi i selfie nelle situazioni più assurde, ad affrontare situazioni al di sopra dei propri limiti, al rifiutare l’aiuto di chi ne sa di più, ecc.. Può anche contribuire al perseguimento di determinati obiettivi ma lo fa spesso in maniera malsana perchè comunque incarna uno spirito guerriero che non ha più senso di esistere se non incanalato nel modo giusto.
Marco, come ti ho detto non ho figli quindi non so dirti come mi sarei comportato se neavessi avuti. Magari avrei spesso totalmente di andare in montagna.
Certamente le responsabilità sono grandi e in fondo nessuno ti ha imposto di avere dei figli. Quindi bisogna pensarci bene.
Però credo che la verità, la cosa giusta stia un pò nel mezzo. Come quasi sempre.
Molti hanno smesso per il solo fatto di avere una compagna, per poi diventare delle persone diverse. Non mi sembra giusto.
Certo i figli sono un altra cosa: “so’ pezzi e core” e non hanno certamente chiesto loro di venire al mondo.
Quindi se la verità sta nel mezzo , si può scegliere di abbandonare l’alpinismo solitario e dedicarsi solo alle salite in cordata. Ma anche questo è pericoloso. Roberto Jannilli ha fatto tante solitarie e non gli e mai accaduto nulla. Poi purtroppo l’incidente gli è accaduto quando era in cordata .
Detto questo se uno vuol fare l’alpinista estremo sarebbe giusto fare una vita solitaria oppure smettere.
Ma non so cosa rispondere.
Alberto! Ma no, non credo di essere il solo a fare delle scelte, né pretendo tanto meno che le mie siano quelle giuste e quelle degli altri.
Forse mi sono spiegato male, forse invece non so spiegarmi.
In parole povere: davvero il soddisfare i propri impulsi per sentire e proprie emozioni può passare davanti alle responsabilità che abbiamo preso (i figli, come spiegavo)?
Per me alla fine si ritorna a un tema caro a Lorenzo Merlo: il mero totale individualismo che, secondo me, può valere quando sei libero e solo, non quando ti sei assunto delle (enormi) responsabilità con qualcun altro.
Questo è invece, per me, puro egoismo, e quasi quasi menefreghismo di quali emozioni possano provare gli altri (parlo di mogli e figli, ancor più se piccoli). Questo è alla fine quello che mi chiedo: c’è il rischio di lasciare una vedova e degli orfani (c’è il rischio eccome se c’è e più sei forte più rischi) e non lo metto in conto?
Bah.
Tutto qui.
Scusa Marco ma pensi che di scelte ne hai fatte solamente te nella vita? Che ne sai te se io o altri abbiamo fatto delle rinunce per cose (persone) più importanti?
Pensi che non ci siamo mai presi delle responsabilità?
Anche io ho dei genitori che oramai sono anziani, pensi che me ne freghi perchè devo fare quella determinata scalata?
Dai non mettere in bocca agli altri, che per altro non conosci, cose, fatti o parole che non hanno mai detto, pensato e fatto.
Solamente per te la montagna ha una importanza , per altri (me) ne ha un’altra.
E con questo non voglio affermare che io sono meglio di te. Ma neanche peggio!
Sono solo diverso.
Chiariamo: lo so che non mi dai del grullo!
Sono un sessantenne, con una compagna ma senza figli.
Però, quando mio padre ottantenne è stato operato al cuore, luglio/agosto la stagione dell’alta quota, non sono andato via un giorno per due mesi: per non lasciare solo lui e mia madre allora settantacinquenne.
Avevo 20 anni meno, e una forma fisica ottima, amici con cui andare, discrete capacità e nessun legame affettivo vincolante.
Ho scelto: mio padre e mia madre erano più importanti di me, in quel momento.
Ho scelto con il cuore, non con la testa, nonostante la mamma, papà convalescente, mi dicesse “vai, tranquillo, papà sta bene”.
Col cavolo: mi han dato la vita, e molto altro, ero loro riconoscente.
Nella vita si fanno scelte e come ha detto qualcuno se una solitaria ti dà più emozioni di un bambino magari di un anno cui TU hai dato la vita, beh, forse c’è davvero qualcosa che non va.
Non oso dire giusto o sbagliato, non sono un giudice, ma se hai scelto di dare la vita a qualcuno e metti in gioco la tua per soddisfare la tua “spinta” forse hai un sistema di priorità un po’ “deviato”.
Può anche essere, e sappiamo che tra i “professionisti” capita spesso, che ti sopravvaluti un po’ troppo (“a me non succede”) e come un pirla domenicale muori su un terzo/quarto/quinto quando di solito superi che solo, l’8a…
Penso, in contrappeso, alla felice storia di Nives Meroi e Romano Bennet, suo marito: una storia d’amore e condivisione, di affetti e di emozioni. Finché Romano non è guarito, Nives è rimasta a casa: questo, l’amore incredibile per l’alta quota e per suo marito, mi pare sia l’esempio più eclatante.
Quanti altri l’avrebbero fatto?
Senso del limite è fondamentale. In tutte le cose della vita sopratutto in alpinismo.
Giandomenico , penso di avere avuto senso del limite e di averlo messo in pratica nella mia attività di montagna. Forse se ne avessi avuto meno, avrei realizzato di più o forse adesso non sarei qui a parlare con te (voi) . Spesso me lo chiedo ma non so rispondere. Allora mi dico che quello che ho fatto è quello che sono stato capace di fare. Anche se una certe dose di culo penso ci voglia sempre.
Darsi delle priorità? Si è vero anche questo anche perchè ogni stagione della vita vuole il suo.
Comunque anche se ho 57 anni mi sento ancora tanta voglia di fare e darmi un freno mi brucia.
Marco capisco ciò che dici e lo condivido. Condivido anche quello che dice Alberto e tante cose che sono state fin qui dette. Oserei dire che questa è una delle rare volte in cui tutti stiamo dicendo cose molto interessanti, sensate e assolutamente condivisibili.
Credo che dovremmo imparare a darci delle priorità e a contestualizzarle. La vita cambia e con essa le priorità.
Le emozioni sono una parte importantissima della vita, forse tutto e se sposiamo una visione antropica dell’Universo può essere che siamo vivi proprio per provare delle emozioni. Al tempo stesso credo che dovremmo dare di volta in volta la giusta priorità anche a queste.
Sono un ventenne in cerca di emozioni, sono solo o magari ho una storiella che non sento essere importante, so che se mi va male al massimo do un grosso dispiacere ai miei genitori. Non è poco però sono nel pieno delle forze e sento di dovermi realizzare, non so come ma so che lo devo fare. Quindi rischio e magari anche di brutto. Ci può stare.
Ho quarant’anni, moglie e due figli piccoli, ho un lavoro, magari anche nell’ambito alpinistico, so di aver già realizzato molto o quantomeno abbastanza ma non mi sento pago. Nonostante un campanello interiore che suona continuo a rischiare di brutto perché se no non mi sento vivo.. Emozioni? Sì certo, viviamo di emozioni ma siamo sicuri che questa ricerca di emozioni non meriti di essere valutata sul lettino di uno psicanalista?
Cioè io credo che il senso del limite dovrebbe accompagnare sempre la nostra vita, in tutto quello che facciamo. Spesso è il senso del limite che ci mantiene vivi. Il senso del limite ci impedisce talvolta di vivere alcune emozioni consentendoci però di continuare a viverne altre. E’ un po’ come rinunciare all’uovo oggi per la gallina domani. Forse non ci sarà mai un domani ma se tiro troppo la corda potrebbe non esserci nemmeno un oggi.
Giusto per alleggerire un po’, fra un giorno da leone e cento da pecora ce ne sono cinquanta da orsacchiotto (tratto da un vecchio film di Massimo Troisi). L’orsacchiotto fa pure tenerezza e non mi pare che vivere così sia poi male, mi pare un giusto compromesso.
Intendiamoci, le mie sono considerazioni assolutamente personali. Esprimo ciò che sento, ciò che mi ha consentito di vivere fino ad ora senza rimpianti e ciò che insegnerei ai miei figli se ne avessi. Ciascuno ha una propria individualità da esprimere. Segno di maturità è esprimerla consapevolmente, contestualizzandola di volta in volta.
Marco non mi permetto di darti del grullo. Premesso che non ho figli quindi non so dire quanto potrebbe essere stata diversa per me se li avessi avuti.
Sicuramente avere dei figli è una grande emozione (non provata) certo che ci sono delle responsabilità. Posso dire che ho amici che fanno alpinismo, hanno fatto solitarie e hanno dei figli. Non gli ho mai chiesto se non sentivano il peso delle responsabilità verso di loro ma penso proprio di si. Anche se evidentemente non sono state sufficienti per farli ricredere da certi desideri.
Comunque anche se non ho figli ho una compagna verso la quale oltre all’affetto ho delle responsabilità e quando sono andato a fare delle solitarie gli ho promesso di fare “ammodino” e poi lei mi da una ranocchia da portarmi dietro che controlla quello che faccio e poi gli riferisce.
Te nella tua vita Marco ti sei sempre comportato da buon padre di famiglia? Hai sempre represso i tuoi bisogni per gli altri? Spero che sarai contraccambiato.
Bene sei da ammirare, noi invece siamo profondamente malati. Ma la vita è così , molto strana.
Ho avuto un amico che arrampicava è andato in pensione pieno di entusiasmo perchè finalmente poteva dedicarsi ancora di più alla montagna. Gli è venuto il cancro e nel giro di poco se ne è andato.
Un altro invece è morto in montagna assieme al suo compagno. Sono caduti tutti e due ancora legati alla corda. In quel tempo ero nel soccorso alpino e sono andato a recuperarlo.
Signori, cosí è la vita! Chi ci capisce qualcosa? È giusto oppure no? Mah…
Eppure, le emozioni che ho provato in alcune ascensioni solitarie rimarranno per sempre tra le piú belle e profonde della mia vita. Anche grazie a quelle, quando verrà il mio momento, potrò dirmi che è valsa la pena di essere vissuto.
Sulla traversata dei Lyskamm non incontrai anima viva. C’ero solo io e mi pareva di camminare sospeso nel cielo. Che bello!
Poi nacque mia figlia e a poco a poco è passata la determinazione di un tempo.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Chi può dirlo?
Però la responsabilità verso la propria compagna di vita e verso i propri figli si sentono, si debbono sentire. Una persona senza legami affettivi invece è responsabile solo verso se stessa.
E dunque? Non lo so…
La vita è un mistero. Noi siamo messi al mondo da madre natura (“matrigna natura”) solamente per perpetuare la specie. L’individuo non ha alcuna importanza.
Però come individuo posso almeno tentare di oppormi? Posso tentare di condurre un’esistenza con dignità? Certo che sí! Qualunque essa sia.
Alberto, non sono così grullo da non capire che esistano le emozioni.
Quello che io mi chiedevo, e che non capisco, è: mettere al mondo dei figli non è ugualmente un’emozione? Magari un po’ più grande?
Ovvero, so che a volte sì, esiste quello che chiamo, non saprei come altro, egoismo.
Ma è vero anche che nella vita si fanno, per forza, compromessi.
E ritorno al dunque: ho una compagna, faccio dei figli, e li lascio orfani quando hanno magari (è successo, e parlo del Nord Italia, chi vuol capire capisca) hanno due o tre anni.
Mi chiedo allora: il mio egoismo da alpinista è più forte del mio senso di padre, di compagno?
O forse, peggio, anche i figli li ho fatti per egoismo, perché si deve, perché la mia compagna/compagno li voleva e io in realtà no?
Ho conosciuto una guida alpina, Ragno di Lecco, che è stato al K2. Al ritorno mi diceva: “Cazzo, ho due figli piccoli a casa, non mi posso permettere che rimangano soli. Per un po’, stop”.
Non posso credere che a persone adulte (parlo di alpinisti, ovviamente) non capiti di porsi domande. Ma se non s le fanno, non credo sia solo questione di pulsioni o egoismo, ma un bel problema più profondo…
HERVE BARNASSE, nel suo libro LA MONTAGNA DENTRO elenca TRE REGOLE:
1 – NON SOPRAVVALUTARE MAI LE TUE CAPACITA’
2 – NON SOTTOVALUTARE I PERICOLI
3 – SE DECIDI DI INFRANGERE VOLONTARIAMENTE QUESTE DUE REGOLE, SEI RESPONSABILE DELLE TUE AZIONI E NE PAGHERAI LE CONSEGUENZE
Caro Marco ci sono le EMOZIONI . Siamo fatti per emozionarci e andare in montagna da soli da grandissime emozioni. Sul facile o sul difficile che sia. Ad ognuno la sua dimensione.
In Apuane sullo spigolo nord del monte Nona ho aperto (non da solo) una via nuova e l’ho chiamata “Cercatori di Emozioni” .
Da solo decidi tutto te. Sei solo te e la montagna. E’ una cosa bellissima. Ti prendi le tue decisioni, i tuoi tempi. E’ un rapporto tutto intimo tra te e la montagna.
Pericoloso, certo. Molto pericoloso! Non ho mai dato per scontato che non possa accadermi nulla. Infatti nelle mie solitarie mi autoassicuro (quasi sempre) e solo lento. Non è il record che cerco. Ma anche quando ti leghi in cordata con altri i pericoli ci sono.
In montagna non c’è nulla di scontato
“io l’alpinismo solitario non l’ho mai ben capito a fondo.”
Caro Marco perchè l’alpinismo in toto l’hai capito?
“Vale il solo tuo “egoismo”? ”
Si vale solo quello ! In quel momento vale solo quello. E’ un bisogno che hai perchè sei fatto così. Reprimerti ti farebbe solamente essere peggiore o comunque diverso da quello che veramente sei. Ti farebbe apparire un falso, un represso.
La vita non è fatta di sola razionalità.
E comunque alpinismo solitario o no : “memento mori”
Armando Aste, credente, dice che la vita è un dono e non si può giocare ai dadi. Ma faceva alpinismo e ha fatto parecchie solitarie.
Egoista? Può darsi.
Ma quante forme di egoismo che sacrificano gli altri ci sono nella vita? Solo quella dell’alpinismo solitario è da condannare?
Quante persone con il lavoro sacrificano la famiglia. Si gli danno soldi ma rapporto umano ???
In montagna sono andato da solo tantissime volte, in diversi casi anche per necessità in quanto sono una persona selettiva e non mi piace andare in giro con persone con le quali non sono in sintonia.
Oggi, che sono più vicino ai sessanta che ai cinquanta, preferisco la compagnia di amici di vecchia data coi quali ho molto da condividere e da solo faccio ben poco. Se però tornassi indietro farei le stesse identiche cose perchè le sensazioni e le emozioni che ho provato da solo sono state impagabili.
Io però non ho figli e non ho mai fatto cose estreme, anche se a cadere da una parete di terzo grado ci si fa male come a cadere da una di ottavo. Pertanto, faccio fatica a comprendere chi lascia a casa moglie e figli e s’imbarca in un invernale sull’Himalaya per provare a stabilire un record. Soprattutto mi dà fastidio leggere cose del tipo “sacrificando la famiglia bla bla bla”. Questa retorica del c….. francamente non la sopporto.
E’ vero, ormai è diventata una consuetudine cercare di dare delle risposte laddove delle risposte esaustive non ve ne sono. Anche questo rientra nell’ottica di una società improntata alla produzione e al consumo. L’individuo che perde la vita è un produttore/consumatore in meno e, pertanto, tutto questo va tradotto in termini monetari. Quella che una volta era la scena di una tragedia oggi diventa la scena di un crimine.
Ma l’apoteosi della schizofrenia la si riscontra nella pubblicizzazione esasperata dell’estremo, ventilato come sicuro. In questo modo si vendono materiali, avventura di bassa lega e puttanate varie.
Come rispondere a questa situazione di totale delirio? Non è possibile essere esaustivi. L’unica cosa che a mio avviso si può fare è cercare di essere e di insegnare ad essere sè stessi, sempre e comunque, coi propri limiti e i propri difetti. L’avventura è un qualcosa che si vive più a livello interiore che esteriore. Purtroppo queste sono cose che si maturano col passare degli anni, per un giovane non sono così facili da comprendere. Il senso di appartenenza al branco, alla tribù, è più forte in un giovane che in un cinquantenne.
Insegnare ai giovani ad essere sè stessi dovrebbe essere una delle più grandi sfide. Le tragedie continuerebbero ad esserci perchè tanto dobbiamo morire ma almeno aumenterebbe la consapevolezza con la quale si fanno le cose e gli errori grossolani verrebbero ridotti. La tragedia rientrerebbe sempre più nell’ambito dell’imponderabile, in quella percentuale di rischio ineliminabile. Forse questo contribuirebbe a farsene una ragione e ad accettare la morte e l’incidente come elementi in parte ineludibili. Credo però che le mie siano elucubrazioni da marziano. Non mi pare che la società si stia dirigendo in tal senso.
@marco vegetti
è quello che cercavo di dire nei miei due interventi precedenti.
c’è poco da capire o meglio è inutile. ovviamente, razionalmente hai ragione tu ma non siamo razionali pur essendo “alpinisti”. anzi è proprio l’opposto. pulsioni ancestrali, desideri, voglia di vivere intensamente ed altri stimoli ci portano a fare cose inutili e pericolose. lo sai per esempio quanti ingegneri praticano alpinismo? tantissimi!
Caro A.B.,
io l’alpinismo solitario non l’ho mai ben capito a fondo.
Eppure non sono un ignorante, sprovveduto, aperto di mente.
Eppure…
La mia domanda è sempre stata questa, magari per molti banale e ingenua:
ma se hai qualcuno a casa che ti aspetta (moglie, compagna, genitori, figli soprattutto) a loro non pensi? Vale il solo tuo “egoismo”?
Mi vengono in mente nomi vari, anche famosi, che per “togliersi lo sfizio” han lasciato a casa una vedova e due o tre orfani…
Sarò ingenuo, ma scusatemi non capisco.
Se qualcuno mi spiega… E senza dirmi “tanto in solitaria si arrampica/scala sotto il proprio livello massimo: si crepa anche sul facile per un nonnulla…
Grazie, scusate.
“Eppure andata e ritorno sul ghiacciaio slegati e ricordo bene al ritorno pure a torso nudo.”
anche chi fa alpinismo solitario sul ghiaccio si muove da solo. Però non è proprio il massimo.
Ma anche l’alpinismo solitario non è proprio il massimo della sicurezza.
Però è bello farlo.
Tempo fa, scalavo oramai da più di un decennio, andai a scalare sui satelliti del Bianco.
Di manuali ne avevo ben letti, di storie sentite raccontare pure e non era la prima volta che andavo su un ghiacciaio.
Eppure andata e ritorno sul ghiacciaio slegati e ricordo bene al ritorno pure a torso nudo.
Fesso? si certo. Qualche entitità avrebbe dovuto impedirmelo?
Al limite qualcuno più saggio avrebbe potuto dirmi “scolta fenomeno, non ti pare di star facendo una cazzata?”
Ed io lo avrei ascoltato?
Fatemi capire, ma con tutta la connessione in rete che c’è, se uno si avventura in qualche luogo a lui poco noto, invece che scrivere puttanate su faccialibro, non potrebbe informarsi con google?
“Memento Mori”
e
“Carpe Diem”
La società si è dimenticata della prima e ha preso ad esempio la seconda?
Concordo pienamente con il commento di M. Blatto.
E aggiungo, così è stato, così è, e così sarà.
La colpa è dell’uomo che è fatto così, ma siccome non si è fatto da solo, allora la colpa è del Creatore.
Questi articoli io non li reggo più, vogliono analizzare eventi non analizzabili.
Pochi giorni fa ha perso la vita una giovane madre su una giostra. Un mezzo che dovrebbe essere super omologato, certificato, “sicurizzato”, ha causato una vittima. Cerchiamo le colpe? sicuramente si troveranno, e poi? non accadrà più? accadrà di meno? chi lo sa?
Ma in sintesi, sulla giostra che cacchio ci vai a fare? e stattene buono lí a mangiare il gelato, no? o no!? no!
Tempo fa avevo avuto l’occasione di parlare con Abele Blanc, durante un viaggio stampa. Stavamo parlando della Grivola e gli chiesi: “Ma la Rossa della Grivola è facile, no?”
Mi fulminò con una frase: “In montagna non c’è niente di facile”.
Quanto è vero.
“Quindi, velocità di pensiero, d’azione, tempi d’apprendimento rapidi, consumo vorace, per andare dove? Boh.. Nessuno lo sa.”
I bimbi non fanno più i bimbi. Oggi devono imparare subito. Non si possono permettere di perdere tempo…
Lo sai Giandomenico che siamo decisamente in sintonia.
Indubbiamente la montagna, e più in generale la natura, viene sempre più mercificata ma la cosa che mi fa più paura, e non solo con riguardo alle attività cosiddette ludiche, è la cultura ormai imperante che tende da un lato a proporre dei percorsi formativi sempre più ricchi d’informazioni e dall’altro a ridurre drasticamente i tempi d’apprendimento.
Una volta esisteva il cosiddetto garzone di bottega, il quale iniziava a muovere i primi passi facendo il fattorino per poi via via evolversi, sempre che ne avesse le capacità, nell’apprendimento di un’arte o di un mestiere. Oggi si presenta della gente che è uscita dalla scuola, se non addirittura dall’università, con la testa zeppa di nozioni che al lato pratico servono poco o nulla.
Imparare a muoversi in ambiente è un’arte che non si può acquisire con qualche corsetto, per quanto ben fatto (semprechè venga poi fatto, perchè molti s’improvvisano senza alcuna minima conoscenza di base), ma necessita di un percorso formativo che dovrebbe dipanarsi negli anni, partendo dal basso per non dire dal sottosuolo.
Invece noto che c’è una tendenza, anche in altre attività, a partire da un livello abbastanza alto al punto che chi volesse prendere le cose con la dovuta calma rischierebbe dopo un po’ di sentirsi tagliato fuori perchè magari coloro con i quali ha fatto gruppo sono quasi spinti a fare cose superiori alle proprie reali capacità.
Le problematiche sono tante e non è possibile elencarle tutte. Molte di esse si sovrappongono al punto che diventa difficile stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina. Di fondo però c’è questa velocità allucinante in cui siamo costretti a muoverci, velocità d’apprendimento, d’azione, legata ovviamente al concetto che bisogna produrre e produrre sotto qualsiasi punto di vista, sul lavoro, nel tempo libero, in amore, ecc., dimenticando che per quanto possiamo esserci evoluti continuiamo ad avere un corpo ed un cervello che di base funzionano con gli stessi ritmi e alla medesima velocità di quelli del primo homo sapiens che viveva forse nella savana.
Ogni tanto c’è qualcuno che propone la lentezza ma alla fine sono in pochi coloro i quali fanno tesoro di tale proposta. Perchè in definitiva siamo in un vortice da cui non è facile uscire. Siamo anche degli animali sociali, le relazioni sono per noi estremamente importanti. Sono importanti i riconoscimenti, le gratificazioni, perchè ci fanno sentire vivi e danno un senso alla nostra vita. Bisogna essere molto forti per andare controcorrente.
Occorrerebbero altri parametri di valutazione. Bisognerebbe proporre dei riconoscimenti alternativi, per es. allo stile citato in un precedente post da Alessandro. Andrebbe premiato il come, cioè come si è fatto cosa. Invece alla fine prevale quasi sempre il risultato e quando si vanno a consultare i vari albi d’oro, i palmares, si consultano semplicemente una serie di risultati. Quanti sono ad avere il proprio personale palmares? Tanti, molti, più di quanto si pensi. Ciascuno ha il suo a seconda dei propri interessi personali. La regola è quella di produrre qualcosa, se non sono dei beni devono essere dei risultati ma comunque qualcosa bisogna produrre sempre. Quindi, velocità di pensiero, d’azione, tempi d’apprendimento rapidi, consumo vorace, per andare dove? Boh.. Nessuno lo sa.
vi invito alla lettura di questo breve articolo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/15/montagna-ok-alla-funivia-cervinia-monterosaski-perche-non-andarci-in-infradito/3728451/#disqus_thread
purtroppo la montagna sta diventando prodotto, pacchetto, semplice business. che sia un nuvo mega impianto di risalita, una app per smartphone o attrezzatura supermegatecnologica (per poi magari fare una passeggiata in pianura)
” Perchè per es. dei due fratelli Messner saliti sul Nanga Parbat uno solo è rientrato a casa? Nessuno lo sa. La vita è per molti aspetti insondabile.”
Già…forse perchè doveva esseri che doveva finiva il cammino di uno dei due…
chi lo sa ?
Forse se avessimo la risposta avremmo risolto il problema del senso della vita.
Concordo su molte cose riportate nell’articolo e nei vari commenti. Ritengo però si debbano fare alcuni distinguo.
La montagna è pericolosa ed andarci comporta dei rischi. Qual’è la differenza fra il pericolo e il rischio? il primo è oggettivo mentre il secondo è soggettivo.
Esisterà sempre il pericolo oggettivo del masso che cade ma l’utilizzo del casco può mitigare i danni. Ergo, se vado senza casco non annullo il pericolo ma riduco il rischio.
A livello scolastico tutto fila liscio come l’olio ma il problema è quando dalla teoria si passa alla pratica in quanto le variabili sono potenzialmente infinite. Se tenessimo conto anche di una minima parte di queste in montagna non ci andremmo mai.
Questo non significa che le cose si debbano fare con faciloneria, mai giustificabile, però è altrettanto vero che diversi mostri sacri hanno portato a casa la pelle dopo aver visto la morte in faccia e vi sono parecchi casi in cui alcuni ce l’hanno fatta ed altri no. Perchè per es. dei due fratelli Messner saliti sul Nanga Parbat uno solo è rientrato a casa? Nessuno lo sa. La vita è per molti aspetti insondabile.
Io credo che le cose, tutte, dovrebbero essere affrontate con una giusta dose di umiltà ed apprezzo molto la frase finale di Veronica Balocco la quale, secondo me, ha detto poche cose ma per niente banali (quante purtroppo se ne leggono..). Detto ciò rimane il fatto che se in qualche modo si vuol progredire dei rischi ulteriori bisogna prenderseli, non si può sempre calcolare tutto.
C’è un principio del Dalai lama che mi ha sempre colpito “Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio”. Ora, siccome il Dalai Lama non è certo l’ultimo arrivato, deduco che un fondo di verità questo principio ce l’abbia. In poche parole, ci sono incidenti e incidenti, tragedie tragedie, morti e morti. Forse non sarà bello pensare così, soprattutto per chi rimane, però bisognerebbe sempre entrare nel merito primo di condannare.
la “colpa” è degli impianti, che distruggono la percezione dell’ambiente e della montagna. Assicuro che raggiungere con le proprie gambe i 3000 e oltre metri di quota, dopo almeno 1000 m di dislivello o più, predispone chiunque ai più miti consigli.
Per quanto riguarda il ghiacciaio del Gigante e altre situazioni simili la risposta è facile. La colpa é di chi autorizza e di chi costruisce impianti assurdi come Skyway la nuova funivia dfl Bianco che scarica in 16 minuti da Courmayeur a Punta Helbronner dove si trova disvoteca e ristorante. Praticamente sul ghiacciaio.
Condivido tutto quello che è stato scritto da Veronica e da tutti gli altri nei commenti ma mi viene però da dire… pensavamo forse che la gente che va in montagna sia scesa da un altro pianeta che non sia quello terra? Probabilmente abbiamo voluto credere per anni che il nostro mondo fosse migliore a quello un po’ più sotto… io sostengo da anni che gli uomini sono come il vino… se sei “coglione” in città non puoi di certo diventare uno “scienziato” in montagna… anzi, come il vino in quota, acquisti e quindi diventi ancora più coglione… e comunque mi associo a Guido Azzalea … meno internet e più cabernet…
Azz è vero le guide alpine son una setta assatanata e assetata di soldi, ve lo dico io che ne faccio parte