Un ponte verso il nulla

Un ponte verso il nulla
di Carlo Alberto Pinelli

Molti anni fa, di fronte al proliferare sregolato delle piste per lo sci di discesa, con il corollario delle loro aggressive e devastanti infrastrutture speculative, qualcuno di noi – al culmine della frustrazione – arrivò ad augurarsi che l’arrivo di un clima sempre più tropicale finisse per rendere l’innevamento così scarso e saltuario da scoraggiare investimenti indirizzati all’ulteriore sviluppo delle stazioni sciistiche. Un paradosso, naturalmente, ma non privo di una sua amara logica. Oggi che effettivamente quelle condizioni climatiche si stanno avverando (diciamolo francamente: purtroppo!) e il mantello nevoso da cartolina natalizia cede spazi sempre maggiori alle margherite – malgrado il costoso utilizzo dei cannoni spara-neve – i messaggi che ci giungono dai principali centri invernali sono tutt’altro che rassicuranti e anzi si allontanano sempre più da quelle che dovrebbero essere riflessioni sensate e saggi ridimensionamenti. Poco rassicuranti soprattutto per chi difende il valore etico e culturale di un sano rapporto tra gli esseri umani e la montagna. Tralascio di accennare qui allo scandalo del progettato collegamento funiviario tra la valle d’Ayas e Cervinia, perché di ciò si parlerà in altra sede e assai presto. E mi concentrerò su “scandali” diversi, forse meno macroscopici ma alla radice altrettanto inquietanti.

Punta Helbronner come sarà Ponte-nulla-01

Per far fronte al progressivo calo delle presenze degli sciatori gli operatori turistici europei stanno escogitando affannosamente nuove proposte alternative, capaci di riempire di un pubblico pagante, comunque vada la stagione, le migliaia di alberghi sovra-dimensionati, frutto della speculazione e dell’avidità consumistica. Purtroppo le proposte non vanno in direzione della riscoperta (e riproposizione in forme appetibili) del fascino della “frequentazione dolce”: passeggiate nei boschi a piedi o a cavallo, visite culturali, trekking con ciaspole verso le zone più alte, corsi di cucina tipica, incontri con i saperi tradizionali, ecc. ma insistono a offrire il miraggio patinato di una montagna da operetta, vissuta sempre più come una ludoteca in cui, senza pericolo e con limitata fatica, si possono gustare forti e volatili pseudo-emozioni, anche in mancanza di neve. Insomma, una squallida parodia, ricalcata sui peggiori stereotipi urbani.

Ho visto recentemente che la pubblicità delle stazioni sciistiche dell’alta Provenza invita il pubblico a visitare “Il paese della Cuccagna”. Qualcuno da quelle parti deve aver letto molto superficialmente Pinocchio!

Due o tre altri esempi chiariranno meglio il senso di quello che sto scrivendo. A Titlis, in Svizzera, è stata costruita una funivia con cabina rotante per raggiungere un ponte “tibetano”, sospeso nel vuoto e lungo ben 107 metri. A Solden in Austria, e all’Aiguille de Midi in Francia sono in funzione piattaforme protese sul vuoto, con pavimento di vetro: il brivido della vertigine è garantito! Perfino in Cina, nelle montagne Tien Amen, c’è ora un ponte-giocattolo, disteso tra una guglia e l’altra, a quota 4700 metri. Alla Punta Helbronner, sul confine tra Italia e Francia, entrerà in funzione un ristorante vero e proprio, gestito da Eataly. Anche in questo caso gli infreddoliti frequentatori lo raggiungeranno servendosi di una avveniristica cabina rotante. Non sarebbe male organizzare picchetti con striscioni di denuncia di fronte agli sfavillanti locali di questa tanto lodata catena di ristorazione. Qualcuno si candida?

Ferrata Tridentina
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Con un filo di ironica esagerazione potremmo parlare di un concentrico tentativo di circonvenzione di persone alle quali, volutamente, non vengono forniti gli strumenti conoscitivi e culturali necessari per comprendere le dimensioni dell’inganno che stanno subendo e per accostarsi con piacere e curiosità a un rapporto con la montagna davvero alternativo.

Quando noi di Mountain Wilderness in un recente passato denunciavamo il rischio che l’esperienza dell’incontro con la montagna venisse ridotta a un infantile divertimento da luna park, davamo ingenuamente alle nostre affermazioni un significato soltanto analogico. Ora invece ci troviamo di fronte ad una realtà letterale. I ponti “tibetani” oscillanti, i passaggi su corda “alla tirolese”, le carrucole, ecc. offrono gli stessi identici brividi a buon mercato della grotta delle streghe dei vecchi luna park. Parchi tematici per frequentatori “mordi e fuggi”, di bocca buona.

Ricordate la campagna che la nostra associazione fece per arginare lo sviluppo delle vie ferrate? Allora moltissimi tra i frequentatori delle Alpi ci accusarono di estremismo elitario. “Perché” ci chiedevano “ve la prendete proprio con chi si impegna a raggiungere una vetta accettando di venire aiutato nell’impresa da qualche cavo metallico e da poche scalette? Non ci sono misfatti più gravi contro i quali puntare il dito?” Sì, in effetti c’erano allora e ci sono anche oggi. E tuttavia, con il senno di poi, bisogna riconoscere che la ragione stava già in quegli anni dalla nostra parte. I principi apparentemente innocui – o quasi – che giustificano le vie ferrate si sono rivelati semenze infide dalle quali è sbocciata la malapianta delle attuali macroscopiche aberrazioni. Il brivido della verticalità e della vertigine, il fascino di paesaggi ammirati dall’alto, il divertimento atletico, tendono a divenire gusci vuoti quando vengono conseguiti artificialmente, eliminando o riducendo al minimo il rischio calcolato, l’intelligenza nella scelta dei vari passaggi, l’intuizione dell’itinerario migliore, in una parola l’immersione nella montagna autentica, affrontata contando solo sulle proprie forze fisiche e energie psichiche. Non è un caso, ma piuttosto una deriva inevitabile, se il modello delle vie ferrate, esportato nel resto dell’Europa, si sia degradato a una grottesca caricatura. Un gioco da kindergarten per adulti di fronte al quale non si sa se piangere o ridere! Basta scorrere, ad esempio, la guida “Randoxigene-Via Ferrata”, edita dal Consiglio Generale delle Alpi Marittime francesi per rendersene amaramente conto.

Sento già la solita voce che esclama indignata: “Ma allora voi condannate ogni forma di divertimento all’aria aperta! Se pensate che divertirsi sia una colpa assomigliate troppo ai Telebani!” Cosa rispondere? Intanto premettendo che ciascuno può comportarsi come meglio credere purché (sottolineiamolo!) quei suoi comportamenti non interferiscano negativamente con le aspettative e i desideri di altri esseri umani. E poi il termine divertimento possiede diversi e anche opposti significati. C’è un divertimento epidermico, esclusivamente ludico, che ci allontana da noi stessi; e c’è un divertimento che può aiutarci a entrare più profondamente in noi stessi. Sinceramente non riesco a individuare molta dignità in un divertimento che altera, anche visivamente e in modo indelebile, il messaggio della montagna e allontana i suoi adepti dalla possibilità di aprirsi all’esperienza della natura incontaminata; non solo, ma rende anche impraticabile la fruizione degli stessi luoghi per chi fosse interessato a viverli in modo diverso. Il veleno che il modello delle vie ferrate secerne è sottile, inavvertito, facilmente sottovalutabile. Proprio per questo può essere assai pericoloso.

A conti fatti credo che dovremmo avere il coraggio di riprendere – magari in forme nuove e con parole d’ordine più articolate – questa nostra vecchia battaglia. Senza tema di scandalizzare qualcuno e di andare, come sempre, coraggiosamente contro-corrente.

Ristorante girevole dello Schilthorn
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Un ponte verso il nulla ultima modifica: 2015-01-20T07:00:03+01:00 da GognaBlog

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13 pensieri su “Un ponte verso il nulla”

  1. Come non essere d’accordo alle considerazioni di Betto e con alcuni commenti, ma vorrei fare un paio di considerazioni. Quanti di noi e di voi sarebbero disposti a fare a meno della funivia del Monte Bianco per andare a fare una via al Tacul o per scendere la Valle Blanche? e questo può valere per i rifugi, le ferrate ecc. la seconda considerazione riguarda una aspetto che spesso ci scordiamo che in nemmeno 150 anni siamo riusciti, nell’occidente, a riempire le nostre Alpi, Appennini ecc. di impianti di risalita, cannoni per la neve programmata”, strade inutili, ferrate, parchi avventura, rifugi, alberghi e chi più ne ha più ne metta che hanno oggettivamente ridotto gli spazi vergini ma la cosa più straordinaria è che ci mettiamo in cattedra perchè gli altri paesi nei vari continenti non facciano lo stesso. Dobbiamo però fare i conti con le aspirazioni delle popolazioni e non credo sia facile proporre modelli alternativi che possano portare benessere economico e rispetto dell’ambiente. Certo siamo dei pessimi maestri. Si predica bene ma abbiamo razzolato e continuiamo a razzolare molto, ma molto male
    Carlo Barbolini

  2. Brevemente, la mia posizione, non di oggi ma consolidata in almeno trent’anni di “osservatorio” sulla montagna, le sue culture, le sue grandezze e fragilità.
    Impossibile negare che il turismo, e soprattutto quello invernale basato su impianti di risalita e piste di discesa, tra gli anni ’60/’80 del secolo scorso abbia contribuito allo sviluppo economico di molte aree montane (ma non tutte, infatti quelle non toccate da questo “progresso”, circa il 30/40% dell’arco alpino, hanno subito nello stesso tempo un pesante spopolamento, abbandono e degrado).
    Tuttavia, già da tempo – 20 anni almeno – è chiaro in qualsiasi conto economico serio il disequilibrio negativo derivato dalla costruzione di nuove strutture (impianti, piste, collegamenti, alloggi, strutture ricettive, etc). Perciò, non potendo neppure volendo “riverginizzare” questi territori, la scelta di mantenere, migliorare, ottimizzare l’esistente, EVITANDO QUALSIASI ALTRO INTERVENTO INVASIVO può essere, in aree già in gran parte “degradate” dal turismo industriale, una scelta coerente per continuare a garantire lo sviluppo economico del territorio montano, con l’obbligatorietà – sottolineata dalle nuove tendenze del turismo – di affiancare allo sci pratiche in maggior armonia con l’ambiente (escursioni con e senza ciaspole, sci “accompagnato” che lasci oltre al divertimento anche qualche pillola di conoscenza del territorio e di tutte le sue valenze, etc).
    Qualsiasi altro intervento è folle, e sempre giustificato da speculazione immediata di pochi, che lascia al futuro l’onere di coprire costi e riparare i danni. Purtroppo il nostro potere legislativo, asservito all’economicismo, invece di tutelare con leggi ad hoc quello che resta del territorio, lavora, in modo più o meno occulto, per allargare sempre più le maglie della tutela e permettere a chi fa parte del “club” di usare per il proprio interesse quanto dovrebbe, per diritto naturale, appartenere a tutti.

  3. Mi piace sciare in pista e servirmi dei mezzi di risalita, così come mi piace inserire qualche ferrata logica nei miei lunghi giri di montagna (come già detto su queste pagine) ma davanti alla foto che hai postato non posso che dire CHE SCHIFO, CHISSA’ CHE VENGA GIU’ TUTTO

  4. La nuova stazione d’arrivo delle Funivie Monte Bianco (3400 m ca.) In basso il Rifugio Torino Vecchio, a dx il Torino Nuovo. pic.twitter.com/OgGKZU1TU7

  5. GIUSEPPE PENOTTI sono d’accordo con te! sono pure del CAI e nel CAI…se può servire questa lettera la metterò nelle mani del Presidente Generale Umberto Martini che verrà sabato pv all’evento VETTE IN VISTA organizzato a Terni….

  6. A proposito di Punta Helbronner: non propriamente commento al post, ma di certo inerente al contenuto, è questa lettera aperta ricevuta dalla redazione (con preghiera di massima diffusione).

    Roma 20 gennaio 2015
    Al dr. Anna Maria Tarantola
    Presidente della RAI – Radiotelevisione Italiana
    Gentile Presidente,
    abbiamo seguito con incredulità la puntata del 10/01/2015 della trasmissione televisiva Linea Bianca, andata in onda su Rai Uno, e in particolare il servizio sulla costruzione della nuova funivia che da Entreves raggiungerà la vetta della punta Helbronner (Valle d’Aosta), dove sta sorgendo una gigantesca costruzione con funzione di belvedere e di ristorante, in totale sprezzo dei valori culturali e ambientali del Monte Bianco e più in generale dell’alta montagna. È ben comprensibile che i responsabili di tale macroscopica aggressione ne difendano l’opportunità; meno accettabile è che il servizio pubblico si pieghi ad accreditarne supinamente le posizioni, senza sentire il bisogno di interpellare altri pareri nel rispetto di una articolata, seria e neutrale informazione. La società responsabile di quelle manomissioni avrebbe certo il diritto di tessere le lodi di quanto sta compiendo, ma solo acquistando precisi e espliciti spazi pubblicitari. Non è accettabile invece che tali messaggi pubblicitari vengano gabellati all’utenza come informazione, come sta palesemente accadendo nel programma Linea Bianca.
    Le nostre Associazioni, che da anni si battono in tutti i modi per preservare intatto il patrimonio naturale del paese, chiedono di conseguenza che la RAI apra su tali tematiche scottanti un confronto aperto e limpido. Sarà il pubblico a decidere da che parte sta la ragione.
    Fiduciosi nella Sua attenzione e in un Suo intervento equilibratore, Le inviamo i nostri migliori saluti.

    Marco Parini, presidente nazionale di Italia Nostra
    Carlo Alberto Pinelli, presidente di Mountain Wilderness Italia
    Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente
    Dante Fasciolo, presidente di Movimento Azzurro
    Mauro Furlani, presidente di Federazione Naz. Pro Natura
    Franco Iseppi, presidente del Touring Club Italiano
    Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF

  7. Un po’ come è successo allo sperone della Cima Su Alto (e non solo) che è venuto a valle, speriamo solo che la natura prima o poi faccia piazza pulita di questi “TROIAI” scrollandoseli da dosso.

  8. Uno dei posti più spaventosi, sotto questo aspetto, che io abbia visto è la vetta dello Zugspitze. Una immensa piattaforma di metallo che ha colonizzato la vetta della montanga, metà in Germania e metà in Austria. Sotto, una ferrata che si svolge in parte in un pericoloso campo di detrito, con una fila ininterrotta di persone che sembra fatta da questuanti. Per raggiungere la vetta vera e propria però si debbono fare, dalla piattaforma, 50 metri di un sentiero attrezzato molto esposto dove si intrecciano turisti del tutto inadeguati alla situazione, che risulta quindi per loro estremamente pericolosa, considerato che senza le funivie la maggior parte di loro mai sarebbe potuta mettersi in quella posizione.
    Nell’aria alea una puzza infame di olio di colza usato per friggere, senza interruzione, patate.
    Ora, io non sono così radicale e ideologizzato, ma un posto simile ha davvero oltrepassato ogni limite.

  9. Si può anche dissentire sul tema delle vie ferrate, ma Betto, l’Autore di questo articolo, sorprende per l’acume luminoso delle sue considerazioni, molte delle quali io condivido… i macroscopici esempi di attrattività ludico-edonistica sui picchi delle montagne sono in netto contrasto con quanto raccomanda l’Europa, a volte vecchio e saggio continente che sa dare delle direzioni al XXI secolo: i nuovi turisti del XXI secolo modello “4L”. I nuovi turisti del paesaggio sono quelli: 1) capaci di godere del paesaggio (LANDSCAPE), 2) capaci di divertirsi con intelligenza (LEISURE), 3) desiderosi di conoscere la realtà in cui si muovono (LEARNING), 4) consapevoli dei limiti di fruizione di un ambiente sempre più “mangiato” (LIMIT). Ci auguriamo che lo studio obbligatorio dell’EDUCAZIONE AMBIENTALE in tutte le scuole di ogni ordine e grado nella prossima Agenda del MIUR porti davvero ad una vera formazione dei cittadini del domani (compresi quelli che saranno progressisti e di “sinistra”). Educhiamo tutti a un nuovo turismo del paesaggio.

  10. Come non essere d’accordo??
    E se da una parte viene beffato il cittadino/turista/consumatore, e non sarebbe gran perdita se non corrispondesse a un insanabile danno ambientale(!!), dall’altra, cosa ben più grave, è la truffa ai danni dei residenti la montagna, i quali si trovano (a volte purtroppo consenzienti) a essere i giostrai di questo gigantesco Luna Park, con un evidente impoverimento sia economico, perché i grandi proventi non rimangono certo nelle valli, ma soprattutto culturale perché il modello “montanaro” viene relegato a risorsa museale, la capacità di percepire il respiro della montagna diventa piacevole letteratura e le tradizioni degradano ad attrazione delle sagre paesane…
    Eppure occorre essere ottimisti, perché gli speculatori prosperano tra chi ritiene che “tanto è lo stesso…”
    Se le nostre montagne non sono già state asfaltate, credo sia perché la gran parte di chi va per monti è in sintonia con la montagna… e allora buone battaglie a tutti!!!

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