Emilio Comici e la sicurezza interiore
di Franz Heiß
(pubblicato su arrampicata-arco.com)
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
I mezzi d’assicurazione nell’arrampicata sono soprattutto chiodi, fix, friend e dadi oppure anche mezzi naturali come clessidre, spuntoni oppure anche alberi. Questa assicurazione si può dire, è per la sicurezza esterna. Con un chiodo vicino, l’arrampicatore si sente sicuro e arrampica senza paura.
Oltre a questa sicurezza esteriore c’è una sicurezza interiore, che viene dall’arrampicatore stesso (vedi, su questo stesso blog, https://gognablog.sherpa-gate.com/serata-a-canzo/ o anche https://gognablog.sherpa-gate.com/il-giusto-mix-delle-due-sicurezze/). Penso che ogni arrampicatore abbia già fatto questa esperienza: ci sono giornate dove ci si sente sicuri e familiari con la roccia e i movimenti scorrono agili e mirati. E ci sono giornate dove non ci si fida degli appigli e appoggi. I movimenti sono insicuri e paurosi. Per questa sicurezza interna è importante la relazione dell’arrampicatore con l’ambiente. Rispetto, attenzione e modestia portano l’arrampicatore in relazione, mentre irriverenza e arroganza non lo portano in una relazione vera ma in pericolo.
Per Emilio Comici, che viveva in un’epoca in cui la sicurezza materiale nell’arrampicata era ancora molto modesta, la prudenza era della massima importanza nell’arrampicata: «Però a tutte queste giovani promesse devo una raccomandazione e un monito: non bastano in montagna soltanto la grande bravura dell’arrampicare, l’allenamento superbo che consenta uno sforzo intenso e prolungato, e nemmeno una buona tecnica, se a tutto ciò non si accompagna una forte dose di prudenza (Emilio Comici – Alpinismo Eroico, pag. 74)».

Prudenza significa che si inizia la salita con rispetto, grande attenzione e consapevolezza dei pericoli. D’altra parte l’arroganza e la mancanza di rispetto portano all’imprudenza e all’incuria.
Un altro punto importante è il rapporto e la collaborazione tra gli arrampicatori. Durante la prima salita della Via della Collaborazione allo Spiz di Lagunaz nelle Pale di San Lucano abbiamo dovuto fare un bivacco scomodo e insonne. La faticosa scalata di una giornata intera aveva consumato le nostre forze. Tuttavia il giorno dopo abbiamo salito in sicurezza e con facilità, quasi come trasportati dalle ali, l’ultimo terzo della parete, che offriva ancora qualche difficoltà. Intuitivamente trovavamo la linea ideale e ci siamo visti in cima nel primo pomeriggio. Com’è stato possibile?
La solidarietà e la attenzione del compagno d’arrampicata sulla sosta dà all’arrampicatore fiducia e sicurezza. Se gli arrampicatori non sono solo collegati dalla corda, ma hanno la stessa reciproca attenzione e percezione, se l’arrampicatore alla sosta pensa e partecipa all’amico che sta arrampicando, lo osserva nei suoi movimenti, richiama l’attenzione sui pericoli, allora questo può dare una sensazione di sicurezza. L’arrampicatore si sentirà più legato, non solo al suo compagno di corda, ma anche alla roccia e all’ambiente. Non sente più fortemente quel peso che tira verso il basso. Purtroppo questo aspetto della sicurezza, che porta a movimenti leggeri e ritmici, riceve poca attenzione.

Emilio Comici scriveva in una relazione sulla prima salita della via dello Spigolo Giallo sulla Cima Piccola di Lavaredo (8 settembre 1933):
«Un fatto desidero notare: il grande per non dire principale elemento, per la riuscita di una di queste ardue scalate, è rappresentato dalla scelta dei compagni di corda. In questo caso il merito principale io lo rendo alla mia compagna Mary Varale. Non si creda che io dica ciò per sentimento di cavalleresco omaggio a una donna, o perché essa forse sia avanzata in testa e con un colpo di audacia abbia superato il pezzo in cui consiste, come si suol dire, „la chiave della salita“. No. Utilissima essa ci è stata durante l’estenuante ascensione mantenendosi sempre vigile ed attenta; ma il suo maggior merito è stato l’incoraggiamento affettuoso e tempestivo nei momenti più critici. Forse senza il suo continuo ausilio morale, noi avremmo battuto in ritirata sfiduciati.
Il merito poi del secondo di cordata, in ascensioni simili, non solo è grandissimo, ma è decisivo. Quando si ha la fortuna di avere a compagno un Renato Zanutti, il quale oltre alla tecnica perfetta possiede la intuizione del momento e capacità morali e atletiche superbe, si può avanzare con l’animo tranquillo.
Se egli non fosse un arrampicatore di classe superiore, non sarebbe salito per ultimo, facendo certe traversate lunghissime sulle quali la punta del piede poggiava appena su esili liste di roccia, e poi sostenendosi a forza di braccia sui gradoni sporgenti. Quale aiuto ha mai il secondo di corda, quando questa non proviene dall’alto, bensì di fianco, e per effetto degli strapiombi è distaccata di qualche metro dalla parete? Guai, se io avessi tirato la corda: lo avrei strappato dalla parete! Egli sarebbe andato a sbattere sul filo dello spigolo ammaccandosi o ferendosi, col risultato di rimanere sospeso nel vuoto senza la possibilità di essere tolto dalla disperata posizione. Tutti coloro che vogliono provare la soddisfazione delle grandi scalate, è bene pongano massima cura nella scelta dei compagni! Questi devono possedere al più alto grado possibile qualità atletiche e morali.
Il compagno deve avere sempre pronta una parola d’incoraggiamento, che possa rinfrancare il capocordata negli sforzi tremendi che deve sostenere, e deve essere in ogni frangente disposto a qualsiasi sacrificio.
È solo così che si rinsalda il vincolo che di due o tre uomini, legati alla medesima corda, fa un essere solo, più forte della morte che guarda ad ogni passo.
È solo così che fra tutte quelle rupi aspre e selvagge, nella severa solitudine della montagna, può sbocciare e vivere il fiore della bontà e della fratellanza».

In modo ammirevole, queste parole mostrano la comprensione e l’attenzione di Comici per i suoi compagni. L’attenta partecipazione, la comprensione e il pensiero unico al compagno di corda possono ispirare e danno sicurezza. L’effetto opposto si ha se il compagno di corda ha molta paura. Se questa viene trasmessa si sale in modo instabile e tremolante. Come il rispetto appropriato può dare sicurezza all’arrampicata, la paura o l’arroganza possono portare pericolosità e insicurezza.
Paul Preuss ha postulato una sicurezza data dalla superiorità del corpo fisico. Un arrampicatore, ben allenato, che è all’altezza delle difficoltà, si sente più sicuro di quello che supera le difficoltà con la sua ultima forza. Ma al di là di questa capacità atletica, la cautela, la modestia e l’attenzione reciproca degli arrampicatore sono decisive per la sicurezza.
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Ieri ho scalato con un quasi medico per me proprio molto, molto bravo: volevo conoscerlo. Da secondo su un chiodo mi sono soffermato prendendo il cordone perché non avevo visto un buco e pensavo di stancarmi se non l’avessi fatto, dopo un attimo ho proseguito: mi son detto che avevo stupidamente rovinato la mia salita.Poi lui mi ha detto meravigliato delle mie esternazioni: ma il passo duro era prima!Allora ho riso di me stesso.
È strano come ci siano giorni in cui si parte per un’ arrampicata assai fiduciosi per non dire convinti 0di riuscire a scalare molto bene , se non ha superare un passaggio che la volta precedente, ci ha respinto.
Invece niente da fare, questa convinzione non riflette la realtà: siamo lenti, incerti, insicuri.
Altre volte invece si parte incerti ma sorprendentemente, si scala sicuri, veloci, con divertimento.
Panzeri: sante parole!
Per me gli alpinisti sono prima di tutto uomini e donne.
Nella vita di tutti i giorni è molto difficile comprendere la natura delle persone e perché agiscano in differenti maniere: le persone si camuffano.
Però è molto più facile conoscere le persone se praticano alpinismo, perché è molto difficile che riescano a camuffarsi difronte al rischio della propria vita.
Mi piace molto cercare di conoscere quelli che secondo me eccellono.
E non è difficile trovarli, basta partire dalla “aurea mediocritas”, che ora standardizza tutti con il dovere della condivisione e dell’immagine e spinge ad assomigliare ai suoi miti (quelli più a lungo strombazzati dai media).
Riva, anche le guide alpine sono alpinisti e fanno categoria a sé, perché mentre lavorano si legano alla corda con chiunque e perseguono l’obiettivo di portare a casa la pagnotta, magari anche facendo una bella via con qualcuno simpatico, in gamba e appassionato, che è più importante che preparato.Ecco, credo che cambiando compagno/i ogni giorno, o quasi, si arrivi a una visione del lato psicologico dell’andare in montagna che difficilmente si raggiunge nell’alpinismo dilettantistico.
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Gli alpinisti sono divisi in tre categorie: I solitari. Quelli che cercano un compagno che permetta loro di realizzare il programma che hanno in mente. Sono disposti a tutto, anche ad arrampicare con cani e porci. E quelli che cercano un compagno per lungo tempo con cui realizzare un’esperienza umana tramite l’alpinismo, che sarà quel che sarà. Diversamente rinunciano anche all’alpinismo.
ridurre tutto alla sola tecnica sarebbe alquanto sterile.
Ma per fare certe cose ci vuole tecnica, senza la quale o non si riesce o non si riporta la pelle casa.
forse senza freni…
Giorgio, non ho voluto affatto “contrapporre” al rispetto, umiltà e modestia gli elementi che invece ho voluto aggiungere perché, secondo me, imprescindibili.
Analizzando l’argomento ho cercato di esserne imparzialmente coinvolto, sollevando sfaccettature di non poco conto, che sono però inopinabili e reali. Non ho voluto contrapporre, ma aggiungere.
Ti ringrazio per pormi su un piedistallo alpinistico sul quale non sento affatto di stare a mio agio, ma nelle mie parole cerco sempre di fare capire al lettore, spesso non riuscendoci, che i miei pensieri sono filtrati sempre dal vissuto, visto e analizzato più o meno profondamente.
Lungi da me ridurre l’alpinismo a una sola questione tecnica dimenticando quella umana, ma io sono convinto che per fare un discreto alpinismo occorra fondere entrambe. Anche per riportare possibilmente la pelle a casa. Possedendo una sola delle due doti è come essere su una bicicletta senza ruote.
L’articolo di Heiss parla di qualcosa che non è tangibile, un atteggiamento culturale più che di tecnicismo arrampicatorio. Dice bene Merlo che se riuscissimo a capire e mettere in pratica questi concetti cambieremmo l’umanità. L’autore ha esposto queste idee mutuando le parole di Comici non il suo vissuto. Mi pare che nei commenti si guardi il dito invece che la luna. Cioè si parla di tutto fuorché delle idee espresse. La sicurezza interiore passa certo per un ottimo rapporto umano tra compagni di cordata, ma anche sui valori richiamati nell’articolo: rispetto, umiltà, modestia.
Pare che Cominetti non conosca queste parole. A ragione, forse, dato che è su uno dei gradini più alti dell’Alpinismo. Egli vi contrappone motivazione, orgoglio, necessità di affermazione.
Per me, misero camminatore della domenica, è sentir bestemmiare. Come dicevo sopra, può essere che Marcello abbia le facoltà di pensarla a quel modo visto l’alto scranno della sua esperienza e io, poverino, non arriverò mai a comprendere gli dei. Comprendo però il messaggio di questo articolo ché è alla mia portata: solidarietà, comprensione, attenzione, cautela, bontà, fratellanza (tutte cose da femmine, dice Merlo), prudenza, rispetto, umiltà, modestia.
Prima di ulteriori fraintendimenti ci tengo a precisare che nel mio commento precedente non intendevo mettermi al di sopra di Comici come alpinista. Oltretutto il Comici uomo-alpinista mi ha sempre affascinato e sicuramente ispirato. Purtroppo è morto giovane (39 anni) e se penso all’incremento esperienziale che ho vissuto negli ultimi miei vent’anni di alpinismo (ne ho 58, quindi alpinisticamente, perciò di esperienza fatta nel tempo, sono 20 in più), posso dire di essere maturato molto. La mia visione della vita e quindi dell’alpinismo hanno vissuto in tanti anni (ho iniziato da bambino) di pratica, un’importante metamorfosi proprio grazie alla costante analisi degli elementi di cui sopra. Non c’è maniera diversa dal tempo per fare esperienza e nel mio esempio volevo sottolineare che ne ho avuto molto più di Comici. Oltretutto faccio la guida alpina da 35 anni e quindi ho potuto, come molti miei colleghi, affiancare alla mia esperienza personale quella professionale, vivendo non poche emozioni attraverso tutti quelli che si sono legati alla mia corda. Non vorrei apparire come autoriferito ma è della mia esperienza in funzione dell’argomento trattato, che voglio parlare, quindi, mio malgrado e comunque anche per comodità, sono costretto a parlare di me. Cercherò di non farlo più, perché non è che mi piaccia tanto.
..poi c’è una bella ragazza con la quale , magari involontariamente , “istintivamente”, pavoneggiarsi, ed ecco che tutte la precauzioni vanno a farsi benedire, e ci si appende ad un cordino vecchio e marcio, e si cade, come successo a Comici. Amen
Giorgio, (dai mettici un cognome, darebbe così bello) non volevo offuscare con il mio essere pragmatico, tutti gli aspetti romantici e culturali. Anzi, donano al fare alpinismo, tutta l’essenza che lo rende un’attività unica. Mi hai frainteso. Volevo però andare oltre, perché di sola Accademia non si arriva oltre la cattedra e le cime, i ghiacciai e le pareti richiedono muscoli ben collegati a menti pensanti. In questo “yoga” io ci vedo la completezza a cui ho sempre teso come in un limite matematico. Tale viaggio, per me rappresenta la vita stessa in cui infilo anche figli, casa, amici e amori terreni, che si interromperà solo con la morte. Rappresentando per me l’alpinismo dia un concreto che un metafisico sistema di vita, ho sempre voluto analizzarlo alla luce di ogni più piccolo condizionamento o dettaglio per darmi costantemente spiegazioni. Tutto ciò necessita tempo. Si chiama volgarmente esperienza e personalmente ne ho avuto più di Comici.
La voce che qui Comini spende per l’altra sicurezza è apprezzabile in sé, storicamente e emblematicamente.
In sé in quanto quella dimensione è infinitamente profonda e altrettanto tralasciata.
Storicamente perché certo a quell’epoca eroica, già figlia di quella ardimentosa, fare cenno ad aspetti così femminili e spietatamente nudi è aganguardistico e coraggioso.
Emblematicamente perché, sebbene espressa in parole semplici, si riferisce a quella dimensione che la nostra concezione materialistica e oggettivistica del mondo ordinariamente occulta alla nostra consapevolezza.
Quando ognuno di noi potrà riempire di significato le parole semplici di Comici; quando sapremo usare le nostre parole per alludere e trattare la dimensione del sentire, avremo realizzato un’altra società.
Bello questo richiamo all’aspetto sociale/comunitario dello scalare, ma ritengo sia marginale nell’alpinismo e per i solitari quasi non esista.
Ora nel tempo dello pseudo alpinismo del divertimento in sicurezza, questo aspetto ha molto significato, crea condivisione e identificazione, ma con bassi contenuti sia intellettuali che realizzativi… serve a fare business, commercio e immagine.
Cassin per me era un uomo con una coscienza della vita molto chiara.
Da ragazzo, stritolandomi la mano per un premio, mi ha detto con la sua semplicità: sei stato bravo, ma ricordati di non morire, perché diventi un pirla.
E un’altra volta mi ha spiegato che portava sempre il cappello, per proteggersi dal sole e dal freddo, e lo zaino, per metterselo sulla testa se sentiva cadere dei sassi.
Comici è uno dei miei miti dell’arrampicata sia in verticale che in orizzontale.
Ma per me sono alpinisti talmente superiori alla maggioranza e ai bravi che mi risulta molto difficile comprendere il loro agire e pensare: li ammiro come eccezioni umane…. per fortuna le eccezioni creative sono poche, altrimenti sarei proprio nella confusione totale 🙂
Marcello sei decisamente una persona pragmatica e logicamente “sicurezze” (di questo si parla) basate sui rapporti interpersonali e su un proprio atteggiamento culturale ti sfuggono, o meglio li vedi come poetica, romanticismo.
Questo articolo dimostra che qualcosa d’altro c’è oltre alle tue incrollabili certezze; non è giusto che le qualifichi come superficiali.
Poi.
Se è vero che Preuss e Barbier sono morti per un’etica autodistruttiva quanti sono quelli morti per “motivazione, orgoglio, necessità di affermazione”?
Interessante cambio di prospettiva, Marcello. Attendo altri interventi.
Poetico ma anche superficiale. In realtà credo che alla sicurezza del capocordata concorrano, nel bene e nel male, moltissimi elementi che qui non sono stati menzionati. Mi vengono in mente: motivazione, orgoglio, necessità di affermazione, pensieri negativi o che comunque occupino la mente, capacità di astrazione, tempo a disposizione, capacità economica, concentrazione delle energie, digestione e evacuazione. E non sono di certo tutti. In ogni caso un buon allenamento infonde sicurezza morale.
Preuss non lo prenderei a esempio perché la sua etica l’ha ucciso, segno che non funzionava. Molto pragmaticamente parlando con Riccardo Cassino molto tempo fa, mi diceva che essere bravi e morire non serviva a niente. Mi fece l’esempio di Barbier: arrampicava benissimo ma si vedeva che prima o poi sarebbe caduto. E infatti…