Etica, Sicurezza e Tradizione
di Nicola Tondini e Alessandro Baù
(pubblicato su Annuario Accademico 2019)
Al giorno d’oggi è fondamentale per l’etica, la sicurezza e la tradizione dell’attività arrampicatoria e alpinistica avere chiarezza nella comunicazione e tenere in considerazione la storia di una falesia o di una parete.
Chiarezza nella comunicazione
Chi va ad arrampicare in una falesia o a ripetere una via deve sapere esattamente cosa lo aspetta. Sapere se sta andando in una falesia controllata e mantenuta con regolarità o invece in una falesia in cui dovrà valutare lui i rischi ambientali e i problemi di sicurezza legati al livello di protezione dei monotiri. Parlando di multipitch, sapere se si sta avventurando su una parete con pochi rischi ambientali, con facile accesso e rientro e su un itinerario ben protetto oppure se si troverà su una parete con molti rischi ambientali, accesso e/o rientro complesso e su vie con tratti non proteggigli e molto pericolosi in caso di caduta. La necessità di chiarezza, in questo momento storico, è fondamentale per due motivi:
1) Tipologie di situazione ambientale
50 anni fa un appassionato di arrampicata poteva praticamente fare solo vie alpinistiche e al massimo frequentare per allenarsi falesie attrezzate in modo più sistematico che una via multipitch. Al giorno d’oggi, per fare alcuni esempi, un appassionato può arrampicare:
• In strutture indoor boulder;
• In strutture indoor con la corda;
• Su massi;
• In falesie progettate e costantemente manutenute a scopo turistico dalle amministrazioni locali;
• In falesie storiche da sempre frequentate e in qualche modo “gestite”;
• In falesie di facile accesso e con rischi ambientali molto contenuti, ma appena chiodate;
• In falesie con rischi ambientali presenti, arroccate su cenge o alla base di alte pareti;
• Su vie multipitch plasir chiodate sistematicamente a fix ogni due metri;
• Su vie multipitch chiodate a fix, ma in cui serve saper utilizzare friend e nut;
• Su vie multipitch chiodate a fix, ma con lunghi tratti non proteggibili e pericolosi;
• Su vie multipitch tradizionali (senza fix) ben protette;
• Su vie multipitch tradizionali tutte da proteggere;
• Su vie multipitch tradizionali con tratti non proteggibili e pericolosi.
Questo è un piccolo elenco delle centinaia di combinazioni che si possono trovare. Basta provare a suddividere le 6 tipologie di vie multipitch descritte, ciascuna in 7 livelli di rischio ambientale.
2) Percorso formativo dello scalatore
L’arrampicata sportiva, considerata per molto tempo un metodo di allenamento per l’alpinismo, è diventata oggi una specialità fine a se stessa, con moltissimi praticanti di tutte le età. Si è passati quindi da un’attività praticata da pochi, considerata sport estremo ed elitario, ad un’attività di massa. 30 anni fa chi frequentava le falesie arrivava per la maggior parte dall’alpinismo o comunque era conscio di praticare un’attività in cui c’era una serie di pericoli da valutare. Oggi molti dei praticanti imparano nelle palestre indoor e sono abituati a determinati standard di protezione, con un alto livello di affidamento rispetto all’attrezzatura di un sito naturale per l’arrampicata «sportiva» (ovvero danno per scontato che tutto sia ben posizionato e controllato). In Francia da tempo le “falesie” (pareti di bassa quota) vengono attrezzate da professionisti che si sono imposti degli standard di attrezzatura per garantire una frequentazione da parte degli arrampicatori con rischio residuo basso. Anche in Italia iniziano a esserci falesie attrezzate e gestite secondo determinati canoni (es. outdoor park ad Arco) per rispondere alla nuova tipologia di frequentatori e turisti.
Fatta questa analisi della situazione d’oggi, nasce la necessità, già partendo dalle falesie, di classificare i siti naturali per l’arrampicata in base a:
• Livello di rischio ambientale presente;
• Livello di protezione e controllo degli itinerari presente.
Il rischio ambientale di un monotiro è molto diverso se arrampico:
• Su blocchi in mezzo a un prato, su una falesia di sommità (senza niente sopra), su una falesia di versante, alla base o in mezzo ad una parete più grande;
• Su una falesia raggiungibile in 30’ dal parcheggio con facile cammino, rispetto alla necessità di dover fare passaggi alpinistici per raggiungerla (ferrata, tratti di I-II grado, cenge esposte);
• Su una falesia che parte da un prato, o invece sospesa a metà parete o ancora su un pendio in cui si resta appesi a un cavo metallico per fare sicura;
• In un luogo non raggiungibile dal soccorso, oppure su una falesia in cui può arrivare un’ambulanza.
Ugualmente il livello di protezione del sito per l’arrampicata può avere varie sfumature:
• Struttura artificiale (indoor o outdoor), che rispetta una precisa normativa sulla distanza delle protezioni, sui controlli periodici e sui dimensionamenti;
• Protezioni certificate, correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo e periodicamente manutenute (AZZURRO – CE);
• Protezioni certificate, correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo, ma senza controllo periodico nel tempo (AZZURRO);
• Protezioni non certificate, ma correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo, e senza controllo periodico nel tempo (VERDE);
• Protezioni non certificate o non correttamente dimensionate o non posizionate in modo corretto o a distanza pericolosa (GIALLO);
• Protezioni con più caratteristiche fuori controllo (ROSSO);
• Non presenza sistematica di tasselli meccanici o fittoni resinati (ALP).
La figura sotto riportata può dare un’indicazione della varietà di situazioni che si possono riscontrare.
Nella «classe A» rientrano i siti naturali per l’arrampicata su monotiro:
• Con un rischio ambientale basso (necessaria relazione geologica);
• Con livello di protezione alto dato da:
protezioni certificate, correttamente dimensionate, posizionate alla giusta distanza e nel corretto modo e periodicamente manutenute (necessaria relazione progettista).
Nella classe B rientrano tutte le altre tipologie di falesie.
Per quanto riguarda i monotiri parzialmente o totalmente “trad” e tutte le tipologie di multipich, ciascun itinerario può essere classificato con l’unione delle due scale, presentate 15-16 anni fa da Tondini, Oviglia e Svab:
• Lettera S (da 1 a 6) oppure R (1-6) oppure RS (1-6) per il livello di protezione;
• Numero romano da I a VII per i rischi ambientali.
Storia di una falesia o di una parete
Anche in questo caso è necessario distinguere le due situazioni: monotiri (falesia) e multipitch.
Nel riattrezzare una falesia bisogna per prima cosa capire se si vuole renderla di classe A o meno (ammesso che i rischi ambientali consentano tale scelta). Se si fa questa scelta, è necessario comunque tener conto della sua storia e della logica utilizzata dai primi chiodatori, evitando il più possibile di snaturarla, a meno che ciò comprometta la sicurezza della scalata. A tal riguardo è auspicabile coinvolgere i vecchi chiodatori e i frequentatori abituali per condividere le scelte progettuali.
Ancor più, nel caso di falesie che rientrano nella classe B, si dovrebbe sempre tener conto della logica utilizzata dai primi chiodatori. Se poi ci si sposta sulle vie multipitch, l’apertura di nuovi itinerari e l’eventuale manutenzione di quelli storici necessitano di un rispetto totale della storia della parete e della via. La manutenzione di itinerari storici e molto frequentati è sicuramente auspicabile, ma occorre evitare di snaturarli. Scelte di questo genere dovrebbero coinvolgere una comunità molto ampia di alpinisti. Un itinerario classico a protezioni tradizionali, ad esempio, può rimanere molto frequentato restando a protezioni tradizionali, se correttamente descritto. Spesso si vorrebbe far diventare tutti gli itinerari classici “plasir”, ma una tale scelta non fa crescere la cultura alpinistica e non insegna nulla: se si facesse così, infatti, ci sarebbero in circolazione solo vie “plasir” o vie fortemente alpinistiche, senza soluzioni intermedie che permettano una crescita graduale del praticante.
Per quanto riguarda l’apertura di nuovi itinerari la parola d’ordine è il rispetto di chi è venuto prima di noi. Per fare ciò è indispensabile:
• conoscere gli itinerari che sono stati aperti prima;
• capire come lo stile di chiodatura che si vuole utilizzare possa impattare rispetto a tali itinerari (vicinanza e incrocio con vie precedentemente aperte);
• valutare se lo stile di chiodatura utilizzato valorizzi o meno la tipologia di roccia su cui si apre la via.
Per spiegare meglio questo ultimo punto è necessario sottolineare che la bellezza del mondo “arrampicata” sta anche nella varietà di stili: fessure di granito scalabili anche solo trad; placche di granito o pareti di calcare compatto proteggibili solo a fix; pareti di dolomia proteggibili a chiodi. Si tratta solo di alcuni esempi di quello che la roccia può offrire all’arrampicatore e che ha contribuito a definire stili legati a specifiche aree geografiche. Quello che si può fare tradizionalmente in Dolomiti (uso dei chiodi a lama) non si può fare in modo sistematico nelle gole del Verdon; per contro in Dolomiti non si può utilizzare, come stile preminente, il clean climbing usato a Indian Creek. Gli esempi al riguardo sono davvero infiniti.
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..o di natalità?
Signori…anche la mia è una battuta.
di battuta in battuta…ma si parla di arrrampicata o di tennis?
Appunto Benassi, l’ho scritto io e non ci vedo nulla di tragico, era soltanto una battuta, tra le tante che ho letto.
Egr. signor Benassi solo per la precisione il testo riportato non è mio ma di Crescenzo. Io poi gli sono andato dietro per amore dell’ironia che come ho già detto non fa male a nessuno ma alleggerisce la vita.
Per quello che mi riguarda, la scalata in falesia è una cosa completamente diversa dall’alpinismo: in montagna l’imperativo è non volare, in falesia se non si vola vuol dire che non si è tirato abbastanza. In falesia il volo fa parte del gioco e dunque deve essere sicuro il più possibile; tale risultato si ottiene con una chiodatura corretta, un assicuratore attento e una gestione complessiva del volo corretta. E’ ovvio che quando invece vado in montagna scelgo attentamente la difficoltà per ripristinare il “in montagna è vietato volare”. Su vie a Spit, regolo la difficoltà in base al livello di spittatura della via. Io faccio così.
Sig. Pasini questoclassica risposta E’ un finale TRAGICO .
Lei in qualità di FORMATORE ci sguazza nella classificazione e nell’inquadramento.
Era il 1964. Come dimenticarsi quel brivido in fondo alla schiena. Ogni tanto bisogna tirare fuori dallo scaffale il 33 giri e riascoltarlo, ma senza nostalgia, guardando avanti.
Come mothers and fathersThroughout the landAnd don’t criticizeWhat you can’t understandYour sons and your daughtersAre beyond your commandYour old road is rapidly agin’Please get out of the new oneIf you can’t lend your handFor the times they are a-changin’
eh si Roberto, siamo un paese da svecchiare, e parecchio anche.
Ottima idea Davide. Visto che questo è un paese di vecchi e per vecchi e lo sarà sempre di più, potrebbe avere molto successo un giro di luoghi d’arrampicata vintage, completamente schiodati e con quei requisiti di accesso che hai detto. Aggiungerei anche nel promo una convenzione con l’outlet del funerale per non pesare sulle famiglie e sulle pensioni di reversibilità. Potrebbe anche essere un buon metodo per eliminare in modo naturale e volontario fasce che pesano sul sistema sanitario e pensionistico.
Ma si, basta con ste pretese dei ggiovani, direi di riesumare camicie di Carlo Mauri, braghe alla zuava in velluto a coste larghe, calzettoni di lana rigorosamente rossi, scarponi di cuoio con suola carrarmato Vibram, corda di canapa in vita, tanto per tener sveglia la mente ricordandosi che è meglio non volare, e vinca il migliore. Ne resterà uno solo.
Fuori tema, purtroppo tragico. Forse sarebbero da certificare i genitori non i bambini. Dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 85 bambini con meno di un anno: 90% dalle madri. 😢
A quando, anche i neonati verrano certificati prima di essere consegnati alle mamme ?
altro che cartelli d spiegazioni, schiodiano tutto e chi se la fa sotto vada a fare altro
X Michele Guerrini
Io penso che il teorema spittare corto=spittare sicuro è sbagliato. Ceuse è un tipico esempio: spittatura lunga ma generalmente sicura.
Spittare pericolosamente (male) = spittare male la partenza o dove si può andare a sbattere oppure moschettonaggi da posizioni sbilanciate, in mezzo al movimento o cose di questo tipo. Una spittatura sbagliate può rovinare una linea.
Per questo penso che in fase di manutenzione vanno riviste le spittature pericolose; da sotto è difficile intuire una spittatura pericolosa soprattutto se si va a vista.
Concettualmente e praticamente la spittatura di una via è un altro pianeta rispetto a quella delle sale: nessuna assimilazione.
Ps x Cominetti accidenti quanto ti invidio
Dino Marini
Avendo un’età ormai avanzata, diciamo sentendomi diversamente giovane ma stando a contatto spesso con arrampicatori di nuova generazione noto questo notevole divario generazionale nell’approccio mentale alla falesia. Non per questo alcuni giovani se informati sulla storia dell’arrampicata ( magari di quella falesia che stanno frequentando) non capiscono le differenze tra le generazioni e apprezzano il vecchio sistema dove non si usavano bastoni per salire, dove affrontare un tiro incuteva timore…(per non dire paura) e via dicendo.
Il discorso di classificare le falesie per me è del tutto relativo e di solo interesse informativo ( tra l’altro al giorno d’oggi si sa tutto di tutte le falesie esistenti..)
Il problema non è tanto la chiodatura delle falesie ma il saper valutare in modo critico quello che sto per fare.
Quindi la mia generazione ha avuto la possibilità di formarsi (per forza di cose) su falesie che costringevano ad accendere il cervello ed alzare le antenne e mi ricordo ben pochi incidenti (se vogliamo parlare di sicurezza)
Togliere alcuni fattori mentali con una chiodatura da sala indoor anche in falesia vuol dire togliere la possibilità alle nuove generazioni di farsi questa esperienza che oltretutto ha formato nomi illustri dell’arrampicata mondiale (Manolo,Mariacher,Bassi,Edlinger,Moffat, Berhault, ecc)
Nella richiodatura di falesie storiche bisognerebbe mantenere la distanza degli ancoraggi originali e solo nelle falesie nate ex novo per scopi didattici proporre una chiodatura più vicina alle capacità dei frequentatori ma MAI come una sala indoor….
Mi ripeto ma forse è la mia ossessione: il maggior numero di protezioni non fa aumentare la sicurezza ma solo il numero dei frequentatori poco consapevoli, aumentando così il margine di incidenti mentre una cultura ed una formazione attraverso esperienze (con rischio calcolato) e falesie che necessitino non solo dei muscoli ma anche del coraggio e del cervello (chiamato “ pelo”) forse servirebbero di più.
Quando si va in una nuova falesia bisogna saper valutare da subito il tipo di manutenzione, il tipo di chiodatura, il tipo e lo stile di arrampicata ecc ed a quel punto ogniuno puó decidere se lanciarsi o meno su determinati tiri o difficoltà…ma se non possiedo questa capacità critica (ed un pó di umiltà che ai giovani manca…), è logico che il rischio di farsi male aumenta trattandosi di ARRAMPICATA e non del gioco delle bocce…
Saper rinunciare a salire un tiro chiodato lungo pur sapendo che la difficoltà è alla mia portata non è una sconfitta ma la consapevolezza che per farlo dovró migliorare il mio autocontrollo.
Provare un tiro chiodato corto, azzerabile dove arrivo in catena con un resting ogni spit mi fa dire che sono riuscito ad arrivare in catena ma che devo allenarmi di più per salirlo rotpunkt.
Il primo esempio da più fastidio ai giovani abituati a fare ormai gradi alti, mentre il secondo esempio gli fa fare centinaia di tentativi per poi dire di averlo fatto…
La parola chiave è MENTALITÀ non tanto sicurezza…
Come: buona Domenica? Oggi non è Venerdì? E il Sabato? Che ci facciamo?
Ciao a tutti da El Chaltén…
Ma siete pazzi a battere il record di commenti??? Il precedente, di 115, era dei commenti al mio articolo sul Tor (11/11/19). Lo considero un atto di insubirdinazione! Cmq tutto ciò confetma che non sono io l’hater del blog. Fuor di ironia, tutta la materia del presente articolo ai miei occhi non ha nessuna rilevanza. Se uno ha davvero voglia e piacere di arrampicare, lo fa anche senza tabelle e bacheche. Senno’, non è arrampicare, è un’altra cosa… Cosa non lo so, ma certamente un’altra cosa, una cosa diversa, per capire lza quale ci va una mentalità diversa rispetto a quella degli alpinisti-arrampicatori tradizionali. Buona domenica!
Mamma mia Benassi, quanta ostilità senza ragione e quante costruzioni/interpretazioni a partire da parole innocenti. Va bene. Purtroppo è così. E pensare che ho arrampicato per qualche anno con un Benassi. Un caro amico, ma come molti professori universitari lui certamente più selettivo di me.
eccerto!! Roberto le hai viste solo te…
hai detto te che hai fatto il formatore. Sicuramente mi sbaglio, sicuramente sei diverso, sei il meglio di tutti, ma a me questa professione come quella del certificatore (vedi commento Cominetti) non mi sta simpatica.
Però non mi pare di averti dato dell’intollerante.
Ho imparato Matteo con fatica e l’alpinismo mi è servito tanto. Se nel mio lavoro non avessi mantenuto la calma sarei morto. C’è stato un periodo che a quelli come me sparavano, soprattutto se di sinistra. “Ho visto cose…..”
Caro Roberto, non mi ricordo dove Benassi ti abbia dato dell’intollerante e dell’irrispettoso, ma è un po’ come il bue che dà del cornuto all’asino…immagino facesse dell’ironia.
Tu al massimo fai venire voglia di insultarti aggratis solo per vedere se si riesce a farti inkazzare!
Lapsus freudiano, ho scritto rispettoso invece di irrispettoso. Pensa come mi fa fatica accettare questa cosa.
Matteo visto che siamo in fase di outing aggiungo solo una cosa personale perché un po’ mi è dispiaciuto. Sono un mediocre alpinista ma penso di essere stato un bravo professionista. Mi sono sempre occupato di gestione delle persone con vari ruoli (quella che si chiamava Direzione del Personale). Non sono un santo, ma ho sempre fatto del rispetto un valore, pagandone anche dei prezzi visto l’ambiente in cui ho lavorato, dicendo dei no che mi sono costati. Quando Benassi mi ha detto che sono intollerante, superbo e rispettoso facendo ironia sul mio lavoro, per altro non correttamente identificato, mi è molto dispiaciuto. Colpa mia. Evidentemente uso male il linguaggio scritto. Poi ho pensato che questo è il prezzo che si paga usando questo strumento. Si può migliorare ma c’è sempre il pericolo del fraintendimento. Ma altrimenti si rimane confinati nel giro delle persone che frequentiamo di persone, che nel mio caso farebbero un lungo elenco di colpe ma non sicuramente queste. Amen. Scusa lo sfogo.
Insomma, basterebbero 25 gocce di Alprazolam al mattino e altrettante alla sera e il figlio del polacco non sarebbe cosí esagitato? Tutto qui?
Ma allora perché non gliele date? 😂😂😂
A parte la discussione filologica / filmografica sono d’accordo. Infatti nessuno ha espresso valutazioni su nessuno. Infatti io lo seguo su PM. In internet c’è una componente di teatro, dove ognuno recita una parte, a volte coperta da un nickname non casuale. Le persone reali sono in parte diverse dal personaggio, ma bisogna conoscerle davvero per capirle. Nel caso in questione in non mi sono affatto offeso e si capiva bene che è un alpinista, veneto, non più giovanissimo che gioca anche con il linguaggio e a fare un personaggio che in parte coincide e in parte è volutamente esagerato. Tutto qui. Probabilmente se ci incontrassimo di persona intorno ad un tavolo ci faremmo quattro risate insieme, sebbene io sia astemio, nonostante le origini piemontesi. È un po’ il limite e il bello dei blog.
bravo Matteo !!!
Siete tutti fuori strada e di un bel po’.
“Drugo” è la traduzione italiana di “dude”, inventata perché il termine è privo di un efficace corrispettivo italiano.
Il Drugo nostrano invece non è un personaggio né un troll. Esiste, lo conosco e ci ho arrampicato assieme.
Nella vita reale è generoso, simpatico, incazzoso, acuto, iperattivo, intelligente, beone e mangione, curioso, testardo,dotato di una cultura eclettica e notevole. E rompicoglioni. Il tutto preferibilmente in dialetto veneto.
In campo alpinistico ha un curriculum impressionante, arrampica molto bene su roccia e ghiaccio e ha una conoscenza della storia dell’alpinismo seconda solo a quella del Capo, col quale va d’accordo (soprattutto nella scelta dei vini); una discussione tra loro sulla prima salita della est del Stratschakugelhorn nel Unterer Drunken Kaiser raggiunge vette di lirismo epiche (particolarmente dopo la terza bottiglia)
Si è scelto un nickname quanto mai adeguato, perché sembra il fratello più piccolo del Dude del film, tanto che si fa fatica a usare il suo vero nome, cosa che lo fa incazzare moltissimo (ed è uno dei motivi principali per chiamarlo Drugo, almeno ogni tanto!)
Hai ragione Sebastiano. I Cohen probabilmente non facevano riferimento ad Arancia meccanica. Ma il traduttore italiano si. I Drughi sono gli “amici” di Arancia meccanica nello strano linguaggio inventato per il romanzo da Burgess, il Nadsat. Infatti Drug/Druz’ja vuol dire amico, come dude appunto. Fonte Wikipedia. Spero dunque in un 18 come voto. Ps: Cerco di rimediare. hai presente il costume bianco dei Drudi cosa valorizzava ? Il nostro Drudo non ha capito che caxxone era un complimento. Forse non frequenta You Porn a sufficienza dove questa è una delle chiavi di ricerca più apprezzate. Così cambiamo registro e torniamo un po’ in caserma e scandalizziamo qualche animo gentile che mi ha già rimproverato.
Vidi Arancia Meccanica da adolescente e mi lasciò turbato: troppa violenza. Piú precisamente, troppa violenza gratuita, cioè per pura cattiveria. Per di piú non credevo che ciò fosse realisticamente possibile; ora invece quella violenza idiota c’è pure nelle nostre città e ormai perfino in paese.
… … …
Comunque, tornando a noi e volendo usare un gergo calcistico, il risultato al momento è:
Italia – Polonia ⚽️ ⚽️ ⚽️ ⚽️ – 0
Ed è un risultato assai stretto…
Se poi dovessimo valutare soltanto l’apertura mentale, la capacità di dialogo e la tolleranza verso chi ha idee differenti dalle nostre, mamma mia! Servirebbe il pallottoliere: roba da Milan (quello dei tre olandesi, eh!) contro Abbiategrasso Football Club.
Perciò, ricordalo bene, tu sarai forse vecchio come numero di anni, ma per il resto no!
E rammenta pure, come ho scritto qui ieri in una lettera aperta a Reinhold Messner (boom!), in vetta all’Everest sono andati anche due ultraottantenni. Affila le piccozze!
Infatti.
Per i Coen è “Dude” Lebowski.
“Drugo” è solo nella versione italiana.
Pasini rimandato.
drug, in serbo e in croato: compagno, amico
Ho amato e amo il cinema. Devi vedere o rivedere anche Arancia Meccanica.?E’ li che nasce l’espressione Drugo, che deriva da una strana lingua slava inventata dallo scrittore Anthony Burgess, al cui libro si ispira il film. I Cohen non hanno chiamato Drugo a caso il personaggio.
Il Drugo non lo sa ma io lo segue da molto su PM perché sono curioso e amo il cinema e la comunicazione. Così come seguo Callaghan. Sono personaggi e infatti non cambiano mai registro e linguaggio personale e usano infatti nickname ispiratori. Se il sito consentisse i doppioni si potrebbero scrivere i testi in anticipo. Questo non lo dico per superbia o stronzaggine arrogante come pensano loro, ma perché mi diverto e lo trovo interessante sopratutto nel linguaggio e negli scambi tra i personaggi, che a volte sono più rilevanti dei contenuti. Sono vecchio ma la modernità mi incuriosisce e mi hanno insegnato da piccolo che giudicare impedisce di capire.
Roberto, ammetto la mia ignoranza: non ho mai visto il film! Sarò condannato alla fustigazione? Venti nerbate sulla schiena: nerbate di robuste braccia polacche? 😂😂😂
Comunque tutta questa faccenda del figlio del polacco mi ha incuriosito: vedrò il film. E scoprirò cosí se cotanto nome è meritato. Tu che dici?
e qui il DRUGO, vero pilastro di P.M. , quando scrive “CULTURA” è la pura verità!!
Alberto, ben detto! 👍👍👍