Etica, Sicurezza e Tradizione

Etica, Sicurezza e Tradizione
di Nicola Tondini e Alessandro Baù
(pubblicato su Annuario Accademico 2019)

Al giorno d’oggi è fondamentale per l’etica, la sicurezza e la tradizione dell’attività arrampicatoria e alpinistica avere chiarezza nella comunicazione e tenere in considerazione la storia di una falesia o di una parete.

Chiarezza nella comunicazione
Chi va ad arrampicare in una falesia o a ripetere una via deve sapere esattamente cosa lo aspetta. Sapere se sta andando in una falesia controllata e mantenuta con regolarità o invece in una falesia in cui dovrà valutare lui i rischi ambientali e i problemi di sicurezza legati al livello di protezione dei monotiri. Parlando di multipitch, sapere se si sta avventurando su una parete con pochi rischi ambientali, con facile accesso e rientro e su un itinerario ben protetto oppure se si troverà su una parete con molti rischi ambientali, accesso e/o rientro complesso e su vie con tratti non proteggigli e molto pericolosi in caso di caduta. La necessità di chiarezza, in questo momento storico, è fondamentale per due motivi:

1) Tipologie di situazione ambientale
50 anni fa un appassionato di arrampicata poteva praticamente fare solo vie alpinistiche e al massimo frequentare per allenarsi falesie attrezzate in modo più sistematico che una via multipitch. Al giorno d’oggi, per fare alcuni esempi, un appassionato può arrampicare:

• In strutture indoor boulder;
• In strutture indoor con la corda;
• Su massi;
• In falesie progettate e costantemente manutenute a scopo turistico dalle amministrazioni locali;
• In falesie storiche da sempre frequentate e in qualche modo “gestite”;
• In falesie di facile accesso e con rischi ambientali molto contenuti, ma appena chiodate;
• In falesie con rischi ambientali presenti, arroccate su cenge o alla base di alte pareti;
• Su vie multipitch plasir chiodate sistematicamente a fix ogni due metri;
• Su vie multipitch chiodate a fix, ma in cui serve saper utilizzare friend e nut;
• Su vie multipitch chiodate a fix, ma con lunghi tratti non proteggibili e pericolosi;
• Su vie multipitch tradizionali (senza fix) ben protette;
• Su vie multipitch tradizionali tutte da proteggere;
• Su vie multipitch tradizionali con tratti non proteggibili e pericolosi.

Questo è un piccolo elenco delle centinaia di combinazioni che si possono trovare. Basta provare a suddividere le 6 tipologie di vie multipitch descritte, ciascuna in 7 livelli di rischio ambientale.

2) Percorso formativo dello scalatore
L’arrampicata sportiva, considerata per molto tempo un metodo di allenamento per l’alpinismo, è diventata oggi una specialità fine a se stessa, con moltissimi praticanti di tutte le età. Si è passati quindi da un’attività praticata da pochi, considerata sport estremo ed elitario, ad un’attività di massa. 30 anni fa chi frequentava le falesie arrivava per la maggior parte dall’alpinismo o comunque era conscio di praticare un’attività in cui c’era una serie di pericoli da valutare. Oggi molti dei praticanti imparano nelle palestre indoor e sono abituati a determinati standard di protezione, con un alto livello di affidamento rispetto all’attrezzatura di un sito naturale per l’arrampicata «sportiva» (ovvero danno per scontato che tutto sia ben posizionato e controllato). In Francia da tempo le “falesie” (pareti di bassa quota) vengono attrezzate da professionisti che si sono imposti degli standard di attrezzatura per garantire una frequentazione da parte degli arrampicatori con rischio residuo basso. Anche in Italia iniziano a esserci falesie attrezzate e gestite secondo determinati canoni (es. outdoor park ad Arco) per rispondere alla nuova tipologia di frequentatori e turisti.

Fatta questa analisi della situazione d’oggi, nasce la necessità, già partendo dalle falesie, di classificare i siti naturali per l’arrampicata in base a:
• Livello di rischio ambientale presente;
• Livello di protezione e controllo degli itinerari presente.

Il rischio ambientale di un monotiro è molto diverso se arrampico:
• Su blocchi in mezzo a un prato, su una falesia di sommità (senza niente sopra), su una falesia di versante, alla base o in mezzo ad una parete più grande;
• Su una falesia raggiungibile in 30’ dal parcheggio con facile cammino, rispetto alla necessità di dover fare passaggi alpinistici per raggiungerla (ferrata, tratti di I-II grado, cenge esposte);
• Su una falesia che parte da un prato, o invece sospesa a metà parete o ancora su un pendio in cui si resta appesi a un cavo metallico per fare sicura;
• In un luogo non raggiungibile dal soccorso, oppure su una falesia in cui può arrivare un’ambulanza.

Ugualmente il livello di protezione del sito per l’arrampicata può avere varie sfumature:
• Struttura artificiale (indoor o outdoor), che rispetta una precisa normativa sulla distanza delle protezioni, sui controlli periodici e sui dimensionamenti;
• Protezioni certificate, correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo e periodicamente manutenute (AZZURRO – CE);
• Protezioni certificate, correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo, ma senza controllo periodico nel tempo (AZZURRO);
• Protezioni non certificate, ma correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo, e senza controllo periodico nel tempo (VERDE);
• Protezioni non certificate o non correttamente dimensionate o non posizionate in modo corretto o a distanza pericolosa (GIALLO);
• Protezioni con più caratteristiche fuori controllo (ROSSO);
• Non presenza sistematica di tasselli meccanici o fittoni resinati (ALP).

La figura sotto riportata può dare un’indicazione della varietà di situazioni che si possono riscontrare.

Nella «classe A» rientrano i siti naturali per l’arrampicata su monotiro:
• Con un rischio ambientale basso (necessaria relazione geologica);
• Con livello di protezione alto dato da:
protezioni certificate, correttamente dimensionate, posizionate alla giusta distanza e nel corretto modo e periodicamente manutenute (necessaria relazione progettista).

Nella classe B rientrano tutte le altre tipologie di falesie.

Per quanto riguarda i monotiri parzialmente o totalmente “trad” e tutte le tipologie di multipich, ciascun itinerario può essere classificato con l’unione delle due scale, presentate 15-16 anni fa da Tondini, Oviglia e Svab:
• Lettera S (da 1 a 6) oppure R (1-6) oppure RS (1-6) per il livello di protezione;
• Numero romano da I a VII per i rischi ambientali.

Storia di una falesia o di una parete
Anche in questo caso è necessario distinguere le due situazioni: monotiri (falesia) e multipitch.

Nel riattrezzare una falesia bisogna per prima cosa capire se si vuole renderla di classe A o meno (ammesso che i rischi ambientali consentano tale scelta). Se si fa questa scelta, è necessario comunque tener conto della sua storia e della logica utilizzata dai primi chiodatori, evitando il più possibile di snaturarla, a meno che ciò comprometta la sicurezza della scalata. A tal riguardo è auspicabile coinvolgere i vecchi chiodatori e i frequentatori abituali per condividere le scelte progettuali.

Ancor più, nel caso di falesie che rientrano nella classe B, si dovrebbe sempre tener conto della logica utilizzata dai primi chiodatori. Se poi ci si sposta sulle vie multipitch, l’apertura di nuovi itinerari e l’eventuale manutenzione di quelli storici necessitano di un rispetto totale della storia della parete e della via. La manutenzione di itinerari storici e molto frequentati è sicuramente auspicabile, ma occorre evitare di snaturarli. Scelte di questo genere dovrebbero coinvolgere una comunità molto ampia di alpinisti. Un itinerario classico a protezioni tradizionali, ad esempio, può rimanere molto frequentato restando a protezioni tradizionali, se correttamente descritto. Spesso si vorrebbe far diventare tutti gli itinerari classici “plasir”, ma una tale scelta non fa crescere la cultura alpinistica e non insegna nulla: se si facesse così, infatti, ci sarebbero in circolazione solo vie “plasir” o vie fortemente alpinistiche, senza soluzioni intermedie che permettano una crescita graduale del praticante.

Per quanto riguarda l’apertura di nuovi itinerari la parola d’ordine è il rispetto di chi è venuto prima di noi. Per fare ciò è indispensabile:
• conoscere gli itinerari che sono stati aperti prima;
• capire come lo stile di chiodatura che si vuole utilizzare possa impattare rispetto a tali itinerari (vicinanza e incrocio con vie precedentemente aperte);
• valutare se lo stile di chiodatura utilizzato valorizzi o meno la tipologia di roccia su cui si apre la via.

Per spiegare meglio questo ultimo punto è necessario sottolineare che la bellezza del mondo “arrampicata” sta anche nella varietà di stili: fessure di granito scalabili anche solo trad; placche di granito o pareti di calcare compatto proteggibili solo a fix; pareti di dolomia proteggibili a chiodi. Si tratta solo di alcuni esempi di quello che la roccia può offrire all’arrampicatore e che ha contribuito a definire stili legati a specifiche aree geografiche. Quello che si può fare tradizionalmente in Dolomiti (uso dei chiodi a lama) non si può fare in modo sistematico nelle gole del Verdon; per contro in Dolomiti non si può utilizzare, come stile preminente, il clean climbing usato a Indian Creek. Gli esempi al riguardo sono davvero infiniti.

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Etica, Sicurezza e Tradizione ultima modifica: 2020-01-02T05:03:40+01:00 da GognaBlog

136 pensieri su “Etica, Sicurezza e Tradizione”

  1. 136
    Davide Crescenzio says:

    ..o di natalità?

  2. 135
    Alberto Benassi says:

    Signori…anche la mia è una battuta.
    di battuta in battuta…ma si parla di arrrampicata o di tennis?

  3. 134
    Davide Crescenzio says:

    Appunto Benassi, l’ho scritto io e non ci vedo nulla di tragico, era soltanto una battuta, tra le tante che ho letto. 

  4. 133
    Roberto Pasini says:

    Egr. signor Benassi solo per la precisione il testo riportato non è mio ma di Crescenzo. Io poi gli sono andato dietro per amore dell’ironia che come ho già detto non fa male a nessuno ma alleggerisce la vita.

  5. 132
    DinoM says:

    Per quello che mi riguarda, la scalata in falesia è una cosa completamente diversa dall’alpinismo: in montagna l’imperativo è non volare, in falesia se non si vola vuol dire che non si è tirato abbastanza. In falesia il volo fa parte del gioco e dunque deve essere sicuro il più possibile; tale risultato si ottiene con una chiodatura corretta, un assicuratore attento e una gestione complessiva del volo corretta. E’ ovvio che quando invece vado in montagna scelgo attentamente la difficoltà per ripristinare il “in montagna è vietato volare”. Su vie a Spit, regolo la difficoltà in base al livello di spittatura della via. Io faccio così.

  6. 131
    Alberto Benassi says:

    Ma si, basta con ste pretese dei ggiovani, direi di riesumare camicie di Carlo Mauri, braghe alla zuava in velluto a coste larghe, calzettoni di lana rigorosamente rossi, scarponi di cuoio con suola carrarmato Vibram, corda di canapa in vita, tanto per tener sveglia la mente ricordandosi che è meglio non volare, e vinca il migliore. Ne resterà uno solo.

    Sig. Pasini questoclassica risposta  E’ un finale TRAGICO .
    Lei in qualità di FORMATORE ci sguazza nella classificazione e nell’inquadramento.
     

  7. 130
    Roberto Pasini says:

    Era il 1964. Come dimenticarsi quel brivido in fondo alla schiena. Ogni tanto bisogna tirare fuori dallo scaffale il 33 giri e riascoltarlo, ma senza nostalgia, guardando avanti.
    Come mothers and fathersThroughout the landAnd don’t criticizeWhat you can’t understandYour sons and your daughtersAre beyond your commandYour old road is rapidly agin’Please get out of the new oneIf you can’t lend your handFor the times they are a-changin’
     

  8. 129
    davide crescenzio says:

    eh si Roberto, siamo un paese da svecchiare, e parecchio anche. 

  9. 128
    Roberto Pasini says:

    Ottima idea Davide. Visto che questo è un paese di vecchi e per vecchi e lo sarà sempre di più, potrebbe avere molto successo un giro di luoghi d’arrampicata vintage,  completamente schiodati e con quei requisiti di accesso che hai detto. Aggiungerei anche nel promo una convenzione con l’outlet del funerale per non pesare sulle famiglie e sulle pensioni di reversibilità. Potrebbe anche essere un buon metodo per eliminare in modo naturale e volontario fasce che pesano sul sistema sanitario e pensionistico.

  10. 127
    Davide Crescenzio says:

    Ma si, basta con ste pretese dei ggiovani, direi di riesumare camicie di Carlo Mauri, braghe alla zuava in velluto a coste larghe, calzettoni di lana rigorosamente rossi, scarponi di cuoio con suola carrarmato Vibram, corda di canapa in vita, tanto per tener sveglia la mente ricordandosi che è meglio non volare, e vinca il migliore. Ne resterà uno solo.

  11. 126
    Roberto Pasini says:

    Fuori tema, purtroppo tragico. Forse sarebbero da certificare i genitori non i bambini. Dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 85 bambini con meno di un anno: 90% dalle madri. 😢
     

  12. 125
    Alberto Benassi says:

    A quando, anche i neonati verrano certificati prima di essere consegnati alle mamme ?

  13. 124
    antonio massettini says:

    altro che cartelli d spiegazioni, schiodiano tutto e chi se la fa sotto vada a fare altro

  14. 123
    DinoM says:

    X Michele Guerrini
    Io penso che il teorema spittare corto=spittare sicuro è sbagliato. Ceuse è un tipico esempio: spittatura lunga ma generalmente sicura.
    Spittare pericolosamente (male) = spittare male la partenza o dove si può andare a sbattere oppure moschettonaggi da posizioni sbilanciate, in mezzo al movimento o cose di questo tipo. Una spittatura sbagliate può rovinare una linea.
    Per questo penso che in fase di manutenzione vanno riviste le spittature pericolose; da sotto è difficile intuire una spittatura pericolosa soprattutto se si va a vista.
    Concettualmente e  praticamente la spittatura di una via è un altro pianeta rispetto a quella delle sale: nessuna assimilazione.
    Ps x Cominetti accidenti quanto ti invidio
    Dino Marini

  15. 122
    Michele Guerrini says:

    Avendo un’età ormai avanzata, diciamo sentendomi diversamente giovane ma stando a contatto spesso con arrampicatori di nuova generazione noto questo notevole divario generazionale nell’approccio mentale alla falesia. Non per questo alcuni giovani se informati sulla storia dell’arrampicata ( magari di quella falesia che stanno frequentando) non capiscono le differenze tra le generazioni e apprezzano il vecchio sistema dove non si usavano bastoni per salire, dove affrontare un tiro incuteva timore…(per non dire paura) e via dicendo.
    Il discorso di classificare le falesie per me è del tutto relativo e di solo interesse informativo ( tra l’altro al giorno d’oggi si sa tutto di tutte le falesie esistenti..)
    Il problema non è tanto la chiodatura delle falesie ma il saper valutare in modo critico quello che sto per fare.
    Quindi la mia generazione ha avuto la possibilità di formarsi (per forza di cose) su falesie che costringevano ad accendere il cervello ed alzare le antenne e mi ricordo ben pochi incidenti (se vogliamo parlare di sicurezza)
    Togliere alcuni fattori mentali con una chiodatura da sala indoor anche in falesia vuol dire togliere la possibilità alle nuove generazioni di farsi questa esperienza che oltretutto ha formato nomi illustri dell’arrampicata mondiale (Manolo,Mariacher,Bassi,Edlinger,Moffat,  Berhault, ecc)
    Nella richiodatura di falesie storiche bisognerebbe mantenere la distanza degli ancoraggi originali e solo nelle falesie nate ex novo per scopi didattici proporre una chiodatura più vicina alle capacità dei frequentatori ma MAI come una sala indoor….
    Mi ripeto ma forse è la mia ossessione: il maggior numero di protezioni non fa aumentare la sicurezza ma solo il numero dei frequentatori poco consapevoli, aumentando così il margine di incidenti mentre una cultura ed una formazione attraverso esperienze (con rischio calcolato) e falesie che necessitino non solo dei muscoli ma anche del coraggio e del cervello (chiamato “ pelo”) forse servirebbero di più.
    Quando si va in una nuova falesia bisogna saper valutare da subito il tipo di manutenzione, il tipo di chiodatura, il tipo e lo stile di arrampicata ecc ed a quel punto ogniuno puó decidere se lanciarsi o meno su determinati tiri o difficoltà…ma se non possiedo questa capacità critica (ed un pó di umiltà che ai giovani manca…), è logico che il rischio di farsi male aumenta trattandosi di ARRAMPICATA e non del gioco delle bocce…
    Saper rinunciare a salire un tiro chiodato lungo pur sapendo che la difficoltà è alla mia portata non è una sconfitta ma la consapevolezza che per farlo dovró migliorare il mio autocontrollo.
    Provare un tiro chiodato corto, azzerabile dove arrivo in catena con un resting ogni spit mi fa dire che sono riuscito ad arrivare in catena ma che devo allenarmi di più per salirlo rotpunkt.
    Il primo esempio da più fastidio ai giovani abituati a fare ormai gradi alti, mentre il secondo esempio gli fa fare centinaia di tentativi per poi dire di averlo fatto…
    La parola chiave è MENTALITÀ non tanto sicurezza…

  16. 121

    Come: buona Domenica? Oggi non è Venerdì? E il Sabato? Che ci facciamo?
    Ciao a tutti da El Chaltén…

  17. 120
    Carlo Crovella says:

    Ma siete pazzi a battere il record di commenti??? Il precedente, di 115, era dei commenti al mio articolo sul Tor (11/11/19). Lo considero un atto di insubirdinazione! Cmq tutto ciò confetma che non sono io l’hater del blog. Fuor di ironia, tutta la materia del presente articolo ai miei occhi non ha nessuna rilevanza. Se uno ha davvero voglia e piacere di arrampicare, lo fa anche senza tabelle e bacheche. Senno’, non è arrampicare, è un’altra cosa… Cosa non lo so, ma certamente un’altra cosa, una cosa diversa, per capire lza quale ci va una mentalità diversa rispetto a quella degli alpinisti-arrampicatori tradizionali. Buona domenica!

  18. 119
    Roberto Pasini says:

    Mamma mia Benassi, quanta ostilità senza ragione e quante costruzioni/interpretazioni a partire da parole innocenti. Va bene. Purtroppo è così. E pensare che ho arrampicato per qualche anno con un Benassi. Un caro amico, ma come molti professori universitari lui certamente più selettivo di me. 
     

  19. 118
    Alberto Benassi says:

     “Ho visto cose…..”

    eccerto!! Roberto le hai viste solo te…
    hai detto te che hai fatto il formatore. Sicuramente mi sbaglio, sicuramente sei diverso, sei il meglio di tutti,  ma a me questa professione come quella del certificatore (vedi commento Cominetti)  non mi sta simpatica.
    Però non mi pare di averti dato dell’intollerante.

  20. 117
    Roberto Pasini says:

    Ho imparato Matteo con fatica e l’alpinismo mi è servito tanto. Se nel mio lavoro non avessi mantenuto la calma sarei morto. C’è stato un periodo che a quelli come me sparavano, soprattutto se di sinistra. “Ho visto cose…..”

  21. 116
    Matteo says:

    Caro Roberto, non mi ricordo dove Benassi ti abbia dato dell’intollerante e dell’irrispettoso, ma è un po’ come il bue che dà del cornuto all’asino…immagino facesse dell’ironia.
    Tu al massimo fai venire voglia di insultarti aggratis solo per vedere se si riesce a farti inkazzare!

  22. 115
    Roberto Pasini says:

    Lapsus freudiano, ho scritto rispettoso invece di irrispettoso. Pensa come mi fa fatica accettare questa cosa.

  23. 114
    Roberto Pasini says:

    Matteo visto che siamo in fase di outing aggiungo solo una cosa personale perché un po’ mi è dispiaciuto. Sono un mediocre alpinista ma penso di essere stato un bravo professionista. Mi sono sempre occupato di gestione delle persone con vari ruoli (quella che si chiamava Direzione del Personale). Non sono un santo, ma ho sempre fatto del rispetto un valore, pagandone anche dei prezzi visto l’ambiente in cui ho lavorato, dicendo dei no che mi sono costati. Quando Benassi mi ha detto che sono intollerante, superbo e rispettoso facendo ironia sul mio lavoro, per altro non correttamente identificato, mi è molto dispiaciuto. Colpa mia. Evidentemente uso male il linguaggio scritto. Poi ho pensato che questo è il prezzo che si paga usando questo strumento. Si può migliorare ma c’è sempre il pericolo del fraintendimento. Ma altrimenti si rimane confinati nel giro delle persone che frequentiamo di persone, che nel mio caso farebbero un lungo elenco di colpe ma non sicuramente queste. Amen. Scusa lo sfogo.

  24. 113
    Fabio Bertoncelli says:

    Insomma, basterebbero 25 gocce di Alprazolam al mattino e altrettante alla sera e il figlio del polacco non sarebbe cosí esagitato? Tutto qui?
     
    Ma allora perché non gliele date? 😂😂😂

  25. 112
    Roberto Pasini says:

    A parte la discussione filologica / filmografica sono d’accordo. Infatti nessuno ha espresso valutazioni su nessuno. Infatti io lo seguo su PM. In internet c’è una componente di teatro, dove ognuno recita una parte, a volte coperta da un nickname non casuale. Le persone reali sono in parte diverse dal personaggio, ma bisogna conoscerle davvero per capirle. Nel caso in questione in non mi sono affatto offeso e si capiva bene che è un alpinista, veneto, non più giovanissimo che gioca anche con il linguaggio e a fare un personaggio che in parte coincide e in parte è volutamente esagerato. Tutto qui. Probabilmente se ci incontrassimo di persona intorno ad un tavolo ci faremmo quattro risate insieme, sebbene io sia astemio, nonostante le origini piemontesi. È un po’ il limite e il bello dei blog.

  26. 111
    Alberto Benassi says:

    bravo Matteo !!!

  27. 110
    Matteo says:

    Siete tutti fuori strada e di un bel po’.
    “Drugo” è la traduzione italiana di “dude”, inventata perché il termine è privo di un efficace corrispettivo italiano.
    Il Drugo nostrano invece non è un personaggio né un troll. Esiste, lo conosco e ci ho arrampicato assieme. 
    Nella vita reale è generoso, simpatico, incazzoso, acuto, iperattivo, intelligente, beone e mangione, curioso, testardo,dotato di una cultura eclettica e notevole. E rompicoglioni. Il tutto preferibilmente in dialetto veneto.
    In campo alpinistico  ha un curriculum impressionante, arrampica molto bene su roccia e ghiaccio e ha una conoscenza della storia dell’alpinismo seconda solo a quella del Capo, col quale va d’accordo (soprattutto nella scelta dei vini); una discussione tra loro sulla prima salita della est del Stratschakugelhorn nel Unterer Drunken Kaiser raggiunge vette di lirismo epiche (particolarmente dopo la terza bottiglia)
    Si è scelto un nickname quanto mai adeguato, perché sembra il fratello più piccolo del Dude del film, tanto che si fa fatica a usare il suo vero nome, cosa che lo fa incazzare moltissimo (ed è uno dei motivi principali per chiamarlo Drugo, almeno ogni tanto!)

  28. 109
    Roberto Pasini says:

    Hai ragione Sebastiano. I Cohen probabilmente non facevano riferimento ad Arancia meccanica. Ma il traduttore italiano si. I Drughi sono gli “amici” di Arancia meccanica nello strano linguaggio inventato per il romanzo da Burgess, il Nadsat. Infatti Drug/Druz’ja vuol dire amico, come dude appunto. Fonte Wikipedia. Spero dunque in un 18 come voto. Ps: Cerco di rimediare. hai presente il costume bianco dei Drudi cosa valorizzava ? Il nostro Drudo non ha capito che caxxone era un complimento. Forse non frequenta You Porn a sufficienza dove questa è una delle chiavi di ricerca più apprezzate. Così cambiamo registro e torniamo un po’ in caserma e scandalizziamo qualche animo gentile che mi ha già rimproverato.

  29. 108
    Fabio Bertoncelli says:

    Vidi Arancia Meccanica da adolescente e mi lasciò turbato: troppa violenza. Piú precisamente, troppa violenza gratuita, cioè per pura cattiveria. Per di piú non credevo che ciò fosse realisticamente possibile; ora invece quella violenza idiota c’è pure nelle nostre città e ormai perfino in paese.
    … … …
    Comunque, tornando a noi e volendo usare un gergo calcistico, il risultato al momento è:
    Italia – Polonia     ⚽️ ⚽️ ⚽️ ⚽️ – 0
    Ed è un risultato assai stretto…
     
    Se poi dovessimo valutare soltanto l’apertura mentale, la capacità di dialogo e la tolleranza verso chi ha idee differenti dalle nostre, mamma mia! Servirebbe il pallottoliere: roba da Milan (quello dei tre olandesi, eh!) contro Abbiategrasso Football Club.
     
    Perciò, ricordalo bene, tu sarai forse vecchio come numero di anni, ma per il resto no!
     
    E rammenta pure, come ho scritto qui ieri in una lettera aperta a Reinhold Messner (boom!), in vetta all’Everest sono andati anche due ultraottantenni. Affila le piccozze!
     

  30. 107
    Sebastiano Motta says:

    Infatti.
    Per i Coen è “Dude” Lebowski.
    “Drugo” è solo nella versione italiana.
    Pasini rimandato.

  31. 106
    lorenzo merlo says:

    drug, in serbo e in croato: compagno, amico

  32. 105
    Roberto Pasini says:

    Ho amato e amo il cinema. Devi vedere o rivedere anche Arancia Meccanica.?E’ li che nasce l’espressione Drugo, che deriva da una strana lingua slava inventata dallo scrittore Anthony Burgess, al cui libro si ispira il film. I Cohen non hanno chiamato Drugo a caso il personaggio. 

  33. 104
    Roberto Pasini says:

    Il Drugo non lo sa ma io lo segue da molto su PM perché sono curioso e amo il cinema e la comunicazione. Così come seguo Callaghan. Sono personaggi e infatti non cambiano mai registro e linguaggio personale e usano infatti nickname ispiratori. Se il sito consentisse i doppioni si potrebbero scrivere i testi in anticipo. Questo non lo dico per superbia o stronzaggine arrogante come pensano loro, ma perché mi diverto e lo trovo interessante sopratutto nel linguaggio e negli scambi tra i personaggi, che a volte sono più rilevanti dei contenuti. Sono vecchio ma la modernità mi incuriosisce e mi hanno insegnato da piccolo che giudicare impedisce di capire.

  34. 103
    Fabio Bertoncelli says:

    Roberto, ammetto la mia ignoranza: non ho mai visto il film! Sarò condannato alla fustigazione? Venti nerbate sulla schiena: nerbate di robuste braccia polacche?  😂😂😂
     
    Comunque tutta questa faccenda del figlio del polacco mi ha incuriosito: vedrò il film. E scoprirò cosí se cotanto nome è meritato. Tu che dici?
     

  35. 102
    Alberto Benassi says:

    quei consessi disumani di demenza, ma anche di cultura (SI PORCOZZIO! CULTURA) in ambito “robedimontagna” (non oso dire alpinismo)

    e qui il DRUGO, vero pilastro di P.M.  , quando scrive “CULTURA”  è la pura verità!!

  36. 101
    Fabio Bertoncelli says:

    Alberto, ben detto!  👍👍👍
     

  37. 100
    Roberto Pasini says:

    “E quelli pisciano sul mio tappeto. Hanno pisciato sul mio tappeto !!”
    Devi rivedere il film se vuoi capire Fabio. La sceneggiatura è rigorosa. I personaggi la devono seguire. Non ci sono margini.

  38. 99
    Alberto Benassi says:

    colpevole di avere detto, scritto e firmato sempre quello che penso, qui e su P.M.
     
     

  39. 98
  40. 97
    Fabio Bertoncelli says:

    Ah, Alberto! Drugo Lebowsky (di padre polacco?) ti ha accusato, come ex utente del forum di Planet Mountain (PM), di collaborazionismo con il nemico (il GognaBlog), di tradimento, di attività anti-PM.
    Praticamente, attività antisovietica.
    … … …
    Ti dichiari colpevole o innocente? 
     

  41. 96
    Matteo says:

    Standing ovation for Drugo Lebowsky!!!
    …ma fallo girare, però!

  42. 95
    Roberto Pasini says:

    Sensibili i drughi. Manco un po’ di ironia ogni tanto, che non è mancanza di rispetto ne superiorità, non fa male, non insulta, non fa illazioni sbagliate e allevia le durezze della vita, Make joke, not War.

  43. 94
    Prof. Aristogitone says:

    Anonimi, falesie certificate, i 30 ottomila, che palleeeee!!!

  44. 93
    Alberto Benassi says:

    Quanto al condividere…mi sembra di condividere ben poco e di essere invece assai controcorrente.
    PM. è stata una bella storia, dove si è riso , scritto bischerate, nate amicizie e fatta anche tanta cultura di montagna.

  45. 92
    Alberto Benassi says:

    Si caro DRUGO hai ragione qui c’e chi piscia fuori dal vaso e scrive cazzate . A Pasini glielo già  detto che dovrebbe avere più rispetto delle opinioni altrui ma lui e troppo superiore,  sembra facesse il formatore .
    E dei formatori bisogna diffifare.

  46. 91
    Roberto Pasini says:

    Drugo, guarda che caxxone è un complimento. Dovresti saperlo.

  47. 90
    DinoM says:

    Grazie Nicola per la precisazione. In ogni caso, il mio timore è che anche in una falesia  dichiaratamente “non controllata” un incidente anche stupido possa indurre qualcuno a chiudere il sito. Solo chi conosce la fatica e l’impegno che occorre per chiodare una falesia comprende che un banale incidente potrebbe buttare alle ortiche molta fatica e impegno. A chi arrampica non vengono richiesti contributi o lavori ma credo sia giusto pretendere che non vengano fatte manovre assurde (salti di protezione, spostamenti di rinvio tra un bolt e l’altro etc etc ) perchè chi ha chiodato ha utilizzato una logica anche relativamente alle protezioni. Quando vedo fare queste manovre, anche in falesie dove non ho lavorato, mi arrabbio molto.

  48. 89
    Drugo Lebowsky says:

    Roberto Pasini says:
    4 Gennaio 2020 alle 0:54
    Mamma mia Davide stiamo diventando un blog di bisbetici tignosi: io mi ci metto per primo infatti adesso chiudo per un po’. Stiamo imitando con molte più parole quei caxxoni di Planet
    Roberto Pasini??? MAPPORCOZZIO????ti piace copiare quelBertoncellieunpreteaspararecazzate????ma chi sei?ma cosa vuoi?ma dove vai???allora, ormai bazzico raramente quell’ultima piazzama ne sono stato un partecipantea quella come ad altree avevano il loro porco perchèergo mi cogliano i gironi quando uno che, io sappia, non ha mai partecipato a quei consessi disumani di demenza, ma anche di cultura (SI PORCOZZIO! CULTURA) in ambito “robedimontagna” (non oso dire alpinismo) si permetta il lusso di eticchettare gratuitamente altri consessi di umani scriventi.Recentemente mi sono permesso di mandare a quel paese chi critichi sul forum le dotte disquisizioni del gognablog.Altrettanto mi pregio di invitare te, il cognonimo di un (competente peraltro) vecchio critico musicale a farvi una sattollante spadellata di cazzi vostri, aglio, olio e peperonzolo.GraziePS: ciò… HAlberto Benassi???Guarda che anche TU sui forum c’hai pasturato alla grande.Ma non ti girano le palle a sentirli sputtanare aggratis e con non poca puzza sotto al naso? Almeno per una ragione affettiva…Porcamadosca! Ma puoi fare presente anche tu quando la gente piscia fuori dal vaso? O condividi lo sputtanamento gratuito e (pateticamente) fuori tempo massimo? Daiiiii!

  49. 88
    Roberto Pasini says:

    L’intento pragmatico dell’articolo era evidente, andando oltre il linguaggio nato per un altro contesto, ma la forma blog polarizza. Succede su quasi tutto. Come la mappa non è il territorio, il blog non è la realtà. Fuori le cose evolvono e impongono agli uomini di buona volontà di trovare soluzioni pratiche e di buon senso. La cartolina a colori di Cassin ad un alpinista delle origini sarebbe sembrata un’offesa all’avventura e alla scoperta del mondo ignoto della montagna popolato da strane creature. Il bisogno di controllo del territorio procede parallelo al bisogno di avventura, due facce della stessa medaglia, e utilizza le tecnologie disponibili secolo dopo secolo. Il glauco mare e Itaca. Calipso e Penelope.  Più aumenta il controllo, più l’avventura si sposta in avanti. Questa è anche la storia dell’alpinismo e andrà avanti così probabilmente. Difficile prevedere tra cento anni. Chissà cosa avrebbe detto Balmat di Jornet sul Bianco di corsa o di Messner. Più si allunga la vita più ogni generazione vede il nuovo come perdita. Ci vuole un grosso sforzo di volontà per vederlo anche come opportunità.

  50. 87
    lorenzo merlo says:

    Condivido.
    Tende ad alzare la dipendenza dai dati cognitivi, a ridurre l’autonomia creativa.
    Tende a separare dalla natura e da noi stessi.

  51. 86
    Alberto Benassi says:

    certo che lo so !
    Quindi è “l’imprintig” come lo chiami te che è sbagliato. E in seguito, questo errore iniziale, deve essere compensato con sempre più dettagliate  informazioni che tendono ad annullare l’iniziativa personale e a settorizzare sempre di più.
    Questo sistema è per me sbagliato, oltre che ingiusto perchè crea DIPENDENZA.

  52. 85
    Sebastiano Motta says:

    Alberto Benassi, non siamo né più bravi né più scemi, è l’imprinting che è cambiato.
    Prima si imparava direttamente sulla roccia, con una attrezzatura (intendo quella fissa) di un certo tipo, mentre oggi la maggioranza dei nuovi arrampicatori muove i primi passi nell’ambiente protetto delle sale di arrampicata.
    Ammetterai che non è la stessa cosa.

  53. 84
    Alberto Benassi says:

    A me, ovviamente tutto questo è chiarissimo, ma ai tanti che si avvicinano a questo sport, che informazioni arrivano? Io e i miei colleghi facciamo costantemente questo lavoro di comunicazione. Se lo facessimo tutti e ci aiutassimo a vicenda sarebbe utile.

    come qualcuno ha ben chiaramente scritto: il mondo sta cambiando. Quindi bisogno di informazioni sempre più precise, dettagliate che non lascino nulla al caso, sicurezza (di non farsi male ma anche di fare la via) .
    Poi a qualcuno non basta nemmeno questo….!!!
    Nessuno è nato imparato, tutti noi quando abbiamo iniziato abbiamo fatto un gavetta, abbiamo rischiato, abbiamo chiesto informazioni ed insegnamenti a chi aveva più esperienza. Nel passato  quando ho iniziato io le informazioni non erano certo quelle di oggi, eppure non ci siamo fatti spaventare e con calma e tanto rispetto siamo andati avanti, facendo la nostra esperienza, ripetendo vie ed aprendone di nuove.
    Ora il mondo sta cambiando, vero !
    Ma mi domando: perchè tutto questo bisogno di dover dare queste informazioni dettagliate?
    Noi eravamo più bravi o più scemi?
    Noi siamo dei sopravvissuti?
     

  54. 83
    Matteo says:

    Sono assolutamente d’accordo con l’approccio di Nicola…in realtà mi pareva già chiaro l’articolo, ma con la precisazione diventa inoppugnabile.
    Mi piace anche la preoccupazione di un fortissimo per coloro che forti non sono e che per mancanza di esperienza e/o di testa possono cacciarsi nei casini perché non capiscono; credo che ogni sforzo per la chiarezza della comunicazione sia giusto.

  55. 82

    Ciao a tutti,
    ho letto tutti i numerosi commenti. L’articolo pubblicato in questo blog è sicuramente tecnico/accademico.
    Era stato chiesto a me ed ad Alessandro Baù di partecipare ad un convegno del CAAI e preparare una relazione su questo tema per stimolare il successivo dibattito. Il tema che ci è stato chiesto aveva il titolo in oggetto: “Etica, sicurezza e tradizione”. Se guardiamo a quanto sviluppato nel nostro intervento, il titolo corretto sarebbe: “Sicurezza possibile? Tradizione ed Etica”.
    Preciso subito cosa intendo per Etica: un comportamento coerente da parte dell’arrampicatore/alpinista tra quella che fa e quello che dice di fare + rispetto da parte di un apritore/chiodatore della storia che c’è stata su quella parete alpina / falesia.
    Provo ad entrare in modo meno accademico, sul tema tanto dibattuto.
    Come forse qualcuno fa, io (ma anche il mio collega Alessandro) nel nostro fare alpinismo cerchiamo volutamente l’incognita maggiore possibile su quello che andiamo ad affrontare. Ripetiamo spesso vie “irripetute” e con pochissime informazioni. Spesso lo faccio anche nel lavoro di Guida Alpina, andando a scovare con i clienti/allievi itinerari pressoché abbandonati. Mi piace, mi dà il senso della libertà e mi permette di accompagnare le persone che vengono con me in un percorso tutto particolare, che li addentra nel mondo dell’alpinismo in modo diverso e altrettanto affascinante, come quello di ripercorrere gli itinerari storici e classici dell’alpinismo (che vorrei rimanessero tali). Apriamo itinerari nuovi usando spesso meno protezioni di quelle utilizzate da chi è passato prima di noi su quelle pareti. E di certo non vorrei che nessuno standardizzasse quanto facciamo.
    Ogni tanto mi capita, però, di andare a ripetere con clienti/allievi vie che vanno di “moda”. Vie che rimbalzano nei social, che tutti tendono a consigliare (magari perché le difficoltà sono contenute e morbide come gradazione) e mi domando: ma se qui ci viene uno impreparato, come va a finire? Io generalmente se trovo roccia comunque su cui prestare attenzione, protezioni comunque da saper integrare, rischi oggettivi comunque da saper valutare, mi diverto e anzi sono più contento. Però non posso chiudere gli occhi davanti alla realtà, che vedo intorno a me. Gestendo da 11 anni un centro di arrampicata indoor (King Rock),, sento come le voci corrono nelle sale. Spesso mi trovo a parlare con qualcuno, che so avere poca esperienza in fatto di alpinismo, che mi dice:” sai, nel weekend vado a provare la tal via… l’ha fatta il mio amico e dice che è bella, gradi soft e siura”. Di fronte a quel termine “sicura” impallidisco. Cos’è sicuro? Magari per lo standard di un alpinista con esperienza, che sa valutare, roccia, protezioni, rischi oggettivi, una via può essere più “sicura” di un’altra. Ma non potrà mai esserlo a prescindere dal proprio percorso conoscitivo e di crescita in ambito alpinistico. E non vorrei mai che una via “multipitch” posso diventare “sicura” in modo oggettivo. Quindi lungi da me voler classificare, catalogare questo terreno. Chiederei solo a chi ha più esperienza in questo ambito di usare termini appropriati, per comunicare in modo corretto. Non parlare di vie “multipitch sicure” a far comprendere agli arrampicatori sportivi che c’è un abisso tra la falesia e le multipitch. Le salite multipitch (di qualunque stile siano: chiodatura a fix, corti o lunghi, trad, mista ecc) sono sicuramente (non ditelo a me, appunto) un terreno affascinante, ma che necessita di preparazione e conoscenze completamente diverse dall’arrampicata sportiva. Ovvio mi direte. Io, vedendo come affrontano queste salite molte cordate, mi faccio molte domande.
    Così entro nel tema falesie. Nell’articolo, alla fine, si propongono solo 2 categorie. O meglio: proponevo una distinzione macro fra:
    – tutto ciò che non è falesia “sportiva” (multipitch e monotiri trad)
    – falesie libere, senza controlli “ufficiali”. Quelle su cui spesso arrampichiamo.
    – falesie “controllate”: gestite spesso da amministrazioni comunali (in tal caso si può arrivare alla certificazione come in alcune di Arco) o che comunque per tradizioni hanno una costante manutenzione più o meno volontaria.
     
    Quindi le falesie avrebbe solo due categorie: quelle senza alcuno standard imposto e quelle che per volontà di qualcuno vengono gestite e quindi dovranno rispettare degli standard (pur rimanendo falesie in ambito naturali e quindi comunque non assimilabili ad una struttura indoor) o per volontà di una comunità si vogliono mantenere determinati standard.
     
    Faccio un esempio concreto. Nei nostri corsi di arrampicata sportiva (XMountain guide alpine), prevediamo un certo numero di lezioni indoor (King Rock) e a seguire delle lezioni outdoor. Nota: già dalle lezioni indoor insegniamo che non bisogna mai spegnere il cervello. Anche se in un sale d’arrampicata si spegne il cervello, il rischio di farsi male è alto e ne ho viste le conseguenze (anche su persone navigate). Quando portiamo gli allievi ad arrampicare su roccia, mettiamo subito i puntini sulle “i”. Il primo puntino è che siamo in ambiente naturale. Che anche se torneranno esattamente sugli stessi itinerari, nessuno potrà garantire loro che le condizioni non siano cambiate (roccia, protezioni, manomissioni). Nelle prime uscite, ad esempio, andiamo quasi sempre nella falesia di Alcenago (falesia non certificata e non gestita da nessuno ufficialmente, dove però da sempre alcuni “santi” chiodatori (a Verona uno in particolare, il Beppo, che non finiremo mai di ringraziare) e alcune guide danno un occhio, sistemano, richiodano quando serve). Subito specifico agli allievi, che la situazione che hanno davanti agli occhi non è uno standard delle falesie. Gli dico che quando cominceranno a girare ne troveranno sia di attrezzate così o ancora meglio (vedi alcune di Arco), sia altre in cui dovranno imparare a valutare una serie di rischi oltre a quelli che ho esposto loro da subito. Ad esempio: la potenziale pericolosità in caso di caduta in funzione della distanza delle protezioni; la bontà degli ancoraggi (ci sono ancora falesie frequentate, con itinerari obsoleti e dimenticati, con spit messi a mano più di 30 anni fa); i possibili pericoli oggettivi sulla via (roccia in parte friabile) o intorno ad essa (pilastri incombenti, pendii più o meno scoscesi sopra la falesia, essere o meno alla base di una parete più alta, passaggio di animali sopra, ecc); l’attenzione particolare da porre alle protezioni in falesie vicino al mare; ecc.. Rischi che ad Alcenago in molti settori non ci sono, ma altrove ci potranno essere.
     
    A me, ovviamente tutto questo è chiarissimo, ma ai tanti che si avvicinano a questo sport, che informazioni arrivano?
     Io e i miei colleghi facciamo costantemente questo lavoro di comunicazione. Se lo facessimo tutti e ci aiutassimo a vicenda sarebbe utile.
     
    Se si parlasse un linguaggio comune, si eviterà, secondo me, che in futuro, chi non ne sa nulla, decida di considerare tutte e tre le categorie alla stessa stregua e voglia imporre standard su tutto. Il nostro intento, nell’articolo e nel successivo dibattito è stato dire: se ci sono da imporre standard, imponiamolo solo a certi siti. Negli altri lasciamo libertà di azione. Facciamo capire a che i terreni per l’arrampicata sono 3:
    – falesie gestiste per tradizione da CAI, enti parco, semplici arrampicatori o falesie prese in gestione da amministrazioni comunali (con certificazione); saranno sempre poche rispetto al totale di un territorio (a Verona sono potenzialmente da 3 a 5 su 40)
    – falesie libere, senza controllo dove ciascuno ha la libertà di fare quello che vuole o l’utilizzatore sa che si può aspettare qualsiasi situazione (stile, materiali, pericolosità logistica, ecc); saranno sempre la maggior parte
    – il mondo delle multipitch: dal trand più spinto al plasir. Ma sempre di terreno d’avventura si parla.
     
    Nota finale: anche in falesie certificate, questo non significa mettere le protezioni ogni metro ovunque. L’attenzione per ridurre al minimo i rischi, va posto sulle prime protezioni, che dovrebbero evitare l’arrivo a terra dell’arrampicatore che cade. Poi come qualcuno a scritto, la chiodatura deve seguire la via, la sua logica e può avere anche run-out impegnativi, se questi comportano eventuali voli lunghi ma senza il  rischio di arrivare a terra o di andare a sbattere si cengie.
     
    Nicola Tondini
     

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  56. 81
    Carlo Crovella says:

    Chi persegue quanto scritto in questo articolo ha proprio l’obiettivo di trasportare la filosofia delle sale di arrampicata anche alle falesie all’aperto. E’ per questo che io sono fermamente contrario.

  57. 80
    Sebastiano Motta says:

    Quando apparvero le prime grandi sale di arrampicata (cioè non quelle “casalinghe”, ma quelle industriali, con un certo numero di vie con un certo sviluppo), si diceva che erano come “falesie al coperto”.
    Oggi siamo arrivati a vedere le falesie come “impianti sportivi all’aperto”.
    Andiamo bene.

  58. 79
    paolo says:

    Qua da noi controllano e multano gli sciatori che si fanno uno spinello.
    Per fortuna poca gente va in parete, ma mi piacerebbe vedere delle squadre di controllo dello stato costituite (chissà da chi) per controllare e multare gente sulle grandi pareti.
    Anche in falesia sarebbe divertente osservarli… gli istruttori già mi rimproverano, ma ho un’età esente. 🙂 

  59. 78
    Davide Crescenzio says:

    ..oppure investono per adeguare le falesie agli standard migliori del momento per renderle il più possibile sicure, se il gioco vale la candela come ha fatto Arco.  Intanto le falesie attrezzate di proprietà pubblica, cioè gestite da un ente locale (comune o parco naturale o cos’altro) sono poche, e mi verrebbe da dire “magari” avessero questo status, perché i grossi problemi nascono dalle falesie in terreni privati, dove i proprietari sovente si indispettiscono per il viavai di una folla colorata che si palesa tutto ad un tratto e che spesso se ne frega di tenere pulito, ordinato, se ne frega di evitare di bestemmiare a squarciagola se vola sul passaggio chiave o a far casino. A Lumignano Classica il proprietario  del terreno ha minacciato la chiusura della sua proprietà se si introducono i cani, “perché cagano”. Capisci? Ma soprattutto qualcuno si pone il problema dell’incidente; di questi tempi chi ti assicura che non ti arrivi una lettera dell’avvocato dei parenti di un morto dove ti chiedono i danni per una ipotetica incuria della struttura in questione? Ho visto parecchie discussioni in merito a questo aspetto, e non gli do torto se decidono, nel dubbio, di chiudere il passaggio. Tanto che gli frega a loro del nostro cervello “allenato” dal rischio? E allora, mi si apre uno scenario, di fronte ad una scala come questa proposta, una sorta di “patto reciproco”: << Vieni qui a casa mia ad arrampicare? Sappi che questo posto è classificato Classe B”rosso”, qualche bravo volenteroso ha attrezzato senza dirmi nulla ma io non ne voglio sapere se ti succede qualcosa. E ora passa pure, buon divertimento e auguri>>.

  60. 77
    Giacomo Govi says:

    Si sono d’accordo il problema non e’ l’esistenza in se delle ( inizialmente poche ) falesie certificate. Pero’ c’e’ un rischio: l’esistenza di gabbie normative potrebbe spingere i municipi a vietare la scalata in falesie non a norma, buttando via l’enorme lavoro di anni di attrezzatura a proprie spese dei volontari…

  61. 76
    Davide Crescenzio says:

    Giacomo Govi,  non mi sono informato sull’esistenza di una norma tecnica per le pareti di arrampicata in ambiente, non mi pare ci sia, mentre per le pareti artificiali c’è da parecchio. Mi pare evidente però che la strada sia comunque segnata, visto che l’hanno fatta per le ferrate.  E se ci sarà consideriamo che l’applicazione delle norme tecniche sono volontarie, a meno che non ci sia qualcosa dall’alto che impone l’obbligatorietà (per esempio una legge nazionale, regionale, provinciale..) ma risulta chiaro per una amministrazione locale tutto il vantaggio nell’applicarla dal momento che: investe soldi della collettività e in linea di principio sarebbero spesi nel miglior modo possibile, vuole il massimo della sicurezza possibile (parlo di costruzione e di gestione), vuole mettersi il più possibile al coperto di fronte alle responsabilità in caso di incidente.
    Dino, la Linea Guida del Collegio Nazionale Guide Alpine è stato redato nel novembre 2016, la EN 16869 è di febbraio 2018 (67,10€, li possino…e in inglese, stronzi), quindi ci sarebbero da fare degli aggiornamenti, tra cui la questione della  “persona competente” che fa l’ispezione, che ho detto “potrebbe” essere una guida alpina ma anche qualcun’altro, e non ha caso ho citato un ispettore di un organismo ispettivo certificato, basta che abbia dati per dimostrare la sua competenza sull’argomento. A me onestamente non disturba qualche falesia “certificata” (saranno poche, pochissime), non mi sento assolutamente privato della mia libertà di andare a cercare la mia libertà su una bella via di Dimai del 1898 quando mi aggrada e penso anche che ci sarà sempre qualcuno che vorrà uscire dal “recinto” protetto delle palestre certificate per navigare nell’ignoto, magari contattandomi  per avere un supporto iniziale per poi dispiegare da solo le vele, come mi capita e mi è capitato. Se uno è matto di passione non c’è falesia certificata che tenga. Inoltre vorrei ricordarvi che mentre qui si dibatte sull’argomento,  il comune di Arco di Trento, come hai ben ricordato tu Dino, ha da anni delle falesie attrezzate e gestite con un sistema di gestione non dissimile ad un sistema certificato; ci siamo già dentro a questo “futuro” (https://www.comune.arco.tn.it/Territorio/Informazioni-utili/Sport/Sport-Outdoor/Arrampicata-Sportiva-Le-Falesie). Su San Vito Lo Capo onestamente non so come e se hanno risolto qualcosa (ma forse cercando su internet..) certo quando ho letto dell’incidente devo dire che non sono rimasto stupito. Spero siano corsi ai ripari in qualche modo. 

  62. 75
    DinoM says:

    E’ opportuno però che io dica che sono totalmente d’accordo con Cominetti, salvo per poche e delimitate aree dove vengono fatti arrampicare bambini etc ovvero più siti ricreativi che altro. Però questo è il contesto in cui ci muoviamo ed è pericoloso ignorarlo.
    Tutto questo ambaradan normativo, la cui valenza è discutibile, rischia di paralizzare tutto.  C’è da dire che il documento delle Guide ha dato anche un po’ di dignità (a mio avviso marginale) ai volontari. Il documento Guide non prende in considerazione gli istruttori CAI che, a mio avviso hanno tutta la possibilità e capacità di operare, tant’è che il manuale CAI riporta una specifica parte con queste tematiche. Ne più ne meno delle Guide che non possono fare perizie geologiche, strutturali, sicurezza lavori o di collaudo. Possono fare delle relazioni di posa in opera di cui rispondono civilmente. Il penale è  discorso diverso e vale per tutti.
    Dino Marini

  63. 74
    DinoM says:

    X Davide
    Come dicevo, in Italia le uniche pubblicazioni che forniscono “indirizzi” per l’attrezzatura di siti d’arrampicata naturale sono i manuali delle Scuole Cai e successivamente le linee guida redatte dalle Guide Alpine, disponibili liberamente sul sito delle Guide e su questo blog. Il documento più completo è sicuramente “le linee guida” anche perché successivo e trattano tutta la materia; per inciso il documento mi sembra sia anche stato depositato presso il ministero del turismo.
    Essendo interessato alla materia (soprattutto falesia) ho riportato quanto scritto a pag.100, ovvero 

    è importante notare il termine «sito naturale»: indipendentemente dal livello di protezione degli itinerari, che li possono far connotare come «sportivi» o meglio adatti all’arrampicata sportiva, il sito in cui l’arrampicata sportiva si svolge rimane di tipo naturale, con la conseguente permanenza di rischi residui legati all’ambiente. Non sono, quindi, assimilabili ad impianti sportivi come le strutture artificiali
    Per quanto attiene le vie ferrate il documento riporta quanto segue:

    Manutenzione
    Per mantenere un buon livello di prestazioni nel tempo è di fondamentale importanza manutenere i sentieri attrezzati e le vie ferrate, in particolare per la Linea di sicurezza.Per fare ciò si dovrà rispettare scrupolosamente il piano di manutenzione dell’opera comprendente le prescrizioni minime indicate dai produttori dei dispositivi certificati.
    Documento di corretta messa in opera
    A completamento del lavoro, su richiesta del Committente ovvero dal Progettista potrà essere rilasciata dalla Guida Alpina una relazione di corretta messa in opera e la validazione, per quanto di competenza, del registro delle verifiche periodiche di cui al piano di manutenzione dell’opera.

    Quindi a differenza delle palestre indoor in corda ( vedi apposita normativa) dove i costruttori ma soprattutto gli assicuratori richiedono collaudi specifici, le uniche indicazioni esistenti (che io conosco) sono queste. Esistono poi leggi Regionali ( Lombardia e Veneto ) che trattano la materia. Le stesse Linee Guida danno poi dei criteri di classificazione delle falesie e danno suggerimenti di estremo buon senso per la compilazione delle pubblicazioni.
    Per le sale boulder non sono a conscenza di normativa specifica, salvo uno specifico lavoro Svizzero sul dimensionamento e struttura di tali impianti.
    Il limite a tutto questo è che la stragrande maggioranza delle falesie è stata fatta da volontari a spese e sacrifici loro quindi non si capisce bene come si possa mettere ordine in tutto questo. La Regione Lombardia ha stanziato un finanziamento e assegnato alle Guide la manutenzione delle falesie ma non penso che i soldi e il numero delle Guide possa far fronte alla manutenzione delle falesie lombarde (la mia è solo un ‘opinione altri sicuramente sono più informati di me). 
    In attesa però, nella stragrande maggioranza, tutti i lavori di manutenzione e attrezzatura sono fatti da volontari a spese loro o di associazioni o di illuminati Comuni che superando la proverbiale macchinosità burocratica mantengono viva l’arrampicata in falesia, con piccoli contributi. Che piaccia o meno questo è il quadro che risulta a me …. potrei sbagliare
    Dino Marini

  64. 73

    Le certificazioni, secondo me, deresponsabilizzano le persone e, nel caso dell’arrampicata e dell’alpinismo ancor più, le trovo totalmente inutili. Servono perlopiù a dare lavoro ai certificatori, che considero veri parassiti della società, a partire dall’edilizia per finire con la motorizzazione. Favoriscono corruzione e favoritismi, consumismo e l’apatia. In breve: limitano la libertà di molti per favorire pochi incapaci di trovarsi altri lavori. Pur avendo la massima stima per i colleghi che hanno redatto l’articolo ben fatto e chiarissimo, io vado per una strada totalmente divergente da questa. Ciao

  65. 72
    Giacomo Govi says:

    Davide, assumiamo quanto tu dici, cioe’ che una parete attrezzata per l’arrampicata sportiva possa essere considerata alla stregua di un impianto sportivo ( con un adeguato standard di sicurezza ). Immagino che tale approccio voglia essere adottato quando l’attrezzatura viene promossa dagli enti pubblici. Esistono gia’ casi di questo tipo? A San Vito si sta riattrezzando con questo’ottica?

  66. 71
    Davide Crescenzio says:

    Intervengo sull’ultimo scritto di DinoM (nr65). Dino, non so cosa tu intenda quando scrivi “una falesia non potrai MAI essere considerata un impianto sportivo”, forse perché non esiste  una norma tecnica specifica (esiste però per le strutture totalmente artificiali) ma in linea di principio non sono d’accordo e ti faccio due esempi: Parchi avventura, quasi sempre costruiti su elementi naturali quali sono gli alberi di un bosco, norma tecnica di costruzione e gestione EN 15567 parte 1 e parte 2; ma volendo fare un parallelo che a mio parere calza a pennello, Vie Ferrate, la UNI EN 16869 “Progettazione/costruzione delle Vie Ferrate”, dove specifica il requisiti di progettazione, ispezione e manutenzione applicabili ad una via Ferrata, norma tecnica elaborata sotto la competenza della Commissione Tecnica UNI “Impianti ed attrezzi sportivi e ricreativi”. Sicuramente saprai che queste norme dettano i requisiti minimi di costruzione (partendo dai permessi di costruzione, valutazione dei rischi, progetti,  certificati dei materiali utilizzati, canterizzazione, le istruzioni di ispezione, manutenzione e riparazione dei componenti redate dal costruttore)  nonché detta i requisiti di ispezione periodica che certifica che la posa ha seguito quanto richiesto dalla norma tecnica, previa esame dei documenti elencati . Possiamo definirla “certificazione” di corretta costruzione, ovvero “posa” come hai detto tu? Inoltre la norma dice una cosa interessante: la persona che esegue l’ispezione è una “persona qualificata” senza aggiungere altro. Non specifica chiaramente che debba essere un ingegnere. Per quanto posso capire può essere tranquillamente una guida alpina specializzata in “Allestimento percorsi attrezzati, vie Ferrate e siti di arrampicata” o un ispettore di un organismo ispettivo accreditato. 

  67. 70
    Carlo Crovella says:

    Evidentemente tutto è sempre relativo. Io non uso quasi il cellulare, anche in città spesso vado in giro senza (per scelta) e in montagna lo tengo spento nella patta dello zaino. Ugualmente mi infastidirebbeo i cartelli di “certificazione”: anziché un aiuto, li intepreterei come un’offesa alla mia capacità di analisi e valutazione. Ma come? Guardo e so capire da solo com’è l’ambiente. Semmai inizio da una via di IV e verifico la situazione degli ancoraggi di quella falesia. Avere tutto predigerito mi darebbe fastidio, mi toglierebbe il gusto che mi da’ il sapermi muovere in autonomia. La mia sicurezza dipende da me: quello che molti di voi fuggono come il diavolo è invece il bello dell’alpinismo.

  68. 69
    paolo says:

    Dalla discussione diventa evidente che il nostro sistema sociale abbia dei grandi problemi e non sappia più come organizzarsi.
    Forse il fatto che chiunque si senta in diritto di fare qualsiasi cosa e voglia essere garantito in questo diritto e voglia garantita pure la sua sicurezza indipendentemente dalle sue capacità, beh, questo stravolge qualsiasi senso dell’essere umano.
    E questo non può essere chiamato alpinismo, forse lo scalare attrezzato si potrebbe chiamare sport adrenalinico di basso rischio per infelici.

  69. 68
    Roberto Pasini says:

    Certo che è molto un problema di capirsi. Abbiamo tutti gli stessi valori di fondo. Ogni tanto ci sono però degli schizzi di aggressività che impediscono di farlo. Abbassiamo i toni come diceva Crozza in una sua famosa imitazione. Ho fatto riferimento alle donne non per cercare sponde esterne ma per dire che se ce ne fossero di più in questo blog probabilmente il clima cambierebbe. È un fenomeno che ho sempre visto in tutti i gruppi sociali. Infatti la specie ha due sessi che si compensano a vicenda, anche se oggi anche in questo campo il quadro è più complesso, ma certe caratteristiche rimangono, chiunque ne sia il portatore.

  70. 67
    Giacomo Govi says:

    Donne/Uomini non c’entra assolutamente nulla.  Semmai utopici ( per me illusi)/realisti.  Quindi buttarla in caciara trasformando l’opinione degli altri in “celodurismi” di bossiana memoria non funziona.  In parte voglio credere che non ci intendiamo. Chiariamo: Io come voi amo arrivare in sosta assumendo che quando mi ci calo tiene. Non sto difendendo il valore del rischio che pure per qualcuno conta. Dico solo che per diminuire gli incidenti la via NON e’ classificare e catalogare le falesie, ma formare correttamente le persone. In modo tale che sappiano accorgersi da soli che la distanza della prossima protezione e’ tale che se cadono, finiscono sul terrazzino e addio caviglie ( se va bene ). Eccetera. La certificazione per me, francamente, non serve a nulla. Le guide hanno da sempre speso tempo per mantenere e semplificare vie di tutti i generi dove portano i clienti. Bene, comprensibile anche se spesso fa storcere il naso a qualcuno ( non a me ). Ora vogliono addirittura la certificazione, per risparmiare il tempo speso a valutare il terreno? Beh mi pare troppo comodo.  Se davvero a Davide serve la certificazione per scegliere le falesie dove portare i clienti, mi spiace ma confermo la mia critica.

  71. 66
    Roberto Pasini says:

    A proposito di sicurezza indoor. Nella palestra che frequento io è successo un grave incidente. Un istruttore della Fasi, un ragazzo bravissimo, equilibrato e fortissimo, padre di due bambini piccoli si allenava nella zona degli auto-belay sentendo musica nelle cuffiette, l’area teoricamente a massima sicurezza, affidata a macchine certificate e ispezionate. Ha fatto quello che si chiama un atto mancato: era convinto di essere assicurato ma non lo era. È caduto da 8 metri. Non è morto ma ha avuto danni pesanti e adesso dopo quasi un anno sta cercando di riprendere con tutto la sofferenza che potete immaginare. Sono stati presi provvedimenti di prevenzione: divieto delle cuffiette, segnaletica forte, procedura obbligatoria di verifica di caduta, sorveglianza da parte di personale della palestra, sensibilizzazione alla sorveglianza reciproca, piccolo corso di induzione per i nuovi iscritti. Provvedimenti giusti e adeguati all’ambiente e alle responsabilità. In altri contesti ovviamente questi vincoli non avrebbero senso. Anche in un contesto iper-protetto entra poi in gioco l’individuo. Chi ha delle responsabilità legali, etiche o semplicemente umane agisce con buonsenso e poi ognuno segue la sua strada e gestisce le conseguenze.

  72. 65
    DinoM says:

    Andiamo sul pratico così posso esprimere la mia opinione. Soprattutto per quanto riguarda le falesie difficilmente ne esistono di uniformi poiché nel tempo non solo sono cambiati i chiodatori ma anche criteri,  materiali e certificazioni. Ricordo inoltre che le certificazioni valgono solo per i materiali ma non per la posa in opera che può essere certificata (solo da un ingegnere iscritto)  solo a particolari condizioni non sempre possibili e comunque a scadenza. Esistono le recenti linee guida delle Guide che ricalcano (con poche modifiche) il manuale Scuole CAI e le indicazioni COSIROC. Dico questo perché una falesia non potrà MAI essere considerata un impianto sportivo e quindi la testa deve essere sempre tenuta molto accesa (possibilmente col casco). Possono esistere zone ( Arco) dove la manutenzione (solo quella) viene fatta annualmente. Sul problema patacche concordo con Alberto; la patacca (qualunque essa sia) serve solo a garantire l’eventuale ente pubblico, che chi lavora per suo conto abbia determinata formazione ma sulla qualità del lavoro è un ‘altra storia. E’ anche doveroso dire che tutti possono commettere qualche errore.
    Una buona guida (intendo pubblicazione) si differenzia perché è in grado di informare correttamente sulla situazione complessiva del sito d’arrampicata.
    Altro punto essenziale sono le correzioni; le prime protezioni devono essere messe in modo da non arrivare in terra; su questo (per me e non solo) non c’è storia. Per le altre occorre capire la via. Per far questo occorre scalarla e sentire anche cosa dicono gli altri. Occorre essere sul proprio grado per “capire” la via e solo dopo, se necessario, agire. 

  73. 64
    Riva Guido says:

    E il ragazzino morto perchè ha utilizzato dei rinvii con il moschettone agganciato all’elastico e non alla fettuccia del rinvio?

  74. 63
    Davide Crescenzio says:

    Benassi, confermi il fatto che se San Vito lo Capo fosse in classe A sapresti: chi gestisce, chi ha chiodato, chi fa manutenzione e le certificazioni, compreso la pulizia. E se tu avessi da lamentarti in merito sapresti a chi rivolgerti. Le cosiddette “certificazioni “ (chiamiamole così per ora) servono a fare una regolata al tutto, compreso la certezza delle responsabilità. E su questo ci sta bene anche il tuo sfogo finale; quale miglior modo di tutelarsi dai lavori fatti male da un professionista che si ritiene competente nel l’installazione di ancoraggi? 
     
     
     
     
     

  75. 62
    Roberto Pasini says:

    Massimo rispetto e libertà Alberto. Il primo matusa sono io. Ogni tanto faccio dell’ironia per sdrammatizzare e cercare di ricordare, prima di tutto a me stesso, le vere priorità della vita che a volte paradossalmente si capiscono tardi e non quando si è nel pieno dell’azione. Quando si hanno dei dubbi il confronto con i nostri cari, qualunque sia il loro sesso, è poi sempre un esame di realta’ e un bagno di concretezza, questa è almeno la mia esperienza. A volte la passione per un’attività, montagna mare o altro, rischia di renderci unilaterali. Ho appena riletto l’ “Ossessione dell’Eiger” e mi ha colpito la storia della guida morta a San vito lo capo. Sicurezza, etica, rischio, ambizione…cose complicate. Di solito non si fa mai parlare chi rimane, come dice Mirella Tenderini nell’introduzione. 

  76. 61
    Alberto Benassi says:

    Caro Roberto anche te dovresti rispettare il pensiero altrui che non coincide con il tuo, invece di dare a chi non la pensa come te dei vecchi matusa fuori dal tempo.
    Si sa benissimo che il mondo sta cambiando. Ma si può anche non essere d’accordo con certi cambiamenti e avere il diritto di dirlo.
     
    A San Vito lo Capo ho scalato e certe atttezzature facevano cagare è vero!! Oltre a questo faceva cagare anche la grande quantità di pattume un pò dovunque.
    Quanto a spiegarmi meglio , ho visto lavori fatti da gente titolata che facevano cagare. Per lavorare bene e fare le cose sicure non basta il patentito ci vuole cervello ed esperienza, oltre che senzo pratico e manualità.

  77. 60
    Davide Crescenzio says:

    Ah Roberto: tua moglie mi ha tolto di bocca una parola: gioco. Si, è un gioco. DinoM ha detto stra-bene: Etica (e non solo nell’arrampicata) non barare (onestà e correttezza), il che mi permette di esultare se faccio al primo colpo un 8b con la corda dall’alto, dichiarandolo però, e rispetto per il prossimo (educazione e buon senso) compreso il fatto che c’è chi pensa alla salute e non vuole perdere il piacere del gesto dell’arrampicata senza cagarsi sotto. Penso sia più che sufficiente, tutto il resto sono chiacchiere da tifosi al bar.
    Buone vacanze piccioncini

  78. 59
    davide crescenzio says:

    Giacomo Govi, tu hai il telefono in tasca quando vai ad arrampicare? No perché sai, avere un mezzo che ti garantisce il soccorso rapido in caso di incidente ti fa un po’ spegnere il cervello, lo capisci questo no? Questo era l’argomento degli anni 90, quando si criticava l’uso del cellulare in montagna, ritenendo che molti alpinisti ne fossero influenzati negativamente. Perché non vi scagliate contro i telefonini che, tra l’altro, permettono il vostro controllo costante anche all’app sulle ricette in cucina (notizia dell’altro giorno)? Il mondo sta cambiando, c’è chi vuole la sicurezza (al netto del comportamento dei frequentatori, Carlo Crovella, perché il cervello va usato anche nelle palestre indoor) e chi come voi, e anche io alle volte, non la vuole, lo capite? Il mondo è vario, come sono varie le tipologie delle vie elencato nell’articolo, che non esclude nessuno, anzi; rileggetelo per favore. Non avete finora considerato una cosa piuttosto; fate uno sforzo: siete il sindaco di San Vito lo Capo, un climber, una guida alpina in questo caso mannaggia, con la famiglia, finisce in rianimazione perché il blocco dove hanno posizionato improvvidamente l’ancoraggio si è staccato e gli arrivato addosso dopo averlo fatto cadere a terra. Grande risalto nelle cronache e nelle riviste del settore, blog, forum e quant’altro; cosa fate? Chiudete tutto, una bella ordinanza, e mandate via i climbers, chiudendo tutto il settore economico che si è sviluppato attorno, oppure dite “qui si rischia la pelle perché cedono gli ancoraggi e dovete essere adeguati” e quindi cavoli vostri (tutto da verificare, visto le responsabilità dei sindaco riguardo quello che accade nel suo territorio)? O forse c’è una terza via? San Vito lo Capo è pubblicizzato come un paradiso dell’arrampicata (e lo è), con una spiaggia tra le più belle di tutto il Mediterraneo, luogo per famiglie, in cui ogni anno ci fanno un festival, servito da due aeroporti che accolgono voli da tutta Europa, dove sotto funziona un camping enorme, B&B che qualche anno fa se lo sognavano di affittare a dicembre, ristoranti e quant’altro, e mi vieni a dire che sono i frequentatori che sono in un posto sbagliato? Non ti viene il dubbio che forse è la falesia che è stata attrezzata e gestita (sempre che sia gestita) in modo sbagliato?
    Riguardo la mia professionalità, caro Giacomo  non so che lavoro fai, non mi interessa e non ho richiesto il tuo giudizio. Me lo darai se sarai mio cliente o un giudice davanti ad una mia responsabilità. Ho molto onestamente (dal basso della mia patacca) spiegato una situazione problematica (di cui non mi ritengo responsabile ne potevo sapere) riguardante la sicurezza che ho dovuto affrontare, con buon esito alla fine, confidavo in una maggiore maturità in chi legge. Non voglio andare oltre con questo discorso, rispetto tutti e pretendo di essere rispettato.
    Roberto: Viva le donne! 

  79. 58
    Roberto Pasini says:

    Siamo in vacanza al mare e ho sottratto mia moglie alle sue letture per farle vedere questa discussione. Provate a farlo, senza rischiare troppo mi raccomando. La risposta è stata molto semplice. Roba da maschi. Ma se qualcuno mette a posto quei posti li’ dove andate a giocare e scrive da qualche parte magari usando i colori che cosa deve aspettarsi, dov’è il problema? Tanto poi voi siete zucconi e diffidenti e volete comunque decidere voi come farvi male. Però così magari evitiamo di restare vedove troppo presto, che è già il nostro destino. Poi ha aggiunto alcune considerazioni sui nostri problemi col pisello ma qui violerei la privacy. Questo è il problema. Qui siamo troppi maschi e anche in età adulta restiamo attaccati a quell’attività che tanto ci occupava da giovani quando ci allenavamo da soli.
     
     
     
     

  80. 57
    Giacomo Govi says:

    Chi non si rende conto “del problema”, mi spiace, e’ nel posto sbagliato. Quando hai la certificazione tu spegni il cervello? Buona fortuna. E tra l’altro, se sei guida, parte del motivo per cui ti si paga, e’ di effettuare valutazioni per gli altri. Tu vuoi che qualcun altro lo faccia per te. Non esattamente professionale…
    Riguardo a Stefan Ross. Per quanto terribile sia, ti ricorda che l’arrampicata e’ uno sport pericoloso. Che gli incidenti accadono. Ripeto, ben venga a chi lavora per migliorare la sicurezza ( nei limiti dei diritti di autore ).  Ma avere la sicurezza garantita e’ una chimera.

  81. 56
    davide crescenzio says:

    Benassi, forse è meglio che spieghi a cosa ti riferisci.

  82. 55
    Alberto Benassi says:

    Se non hai la capacità tecnica di fare certi lavori garantendone l’ottima qualità, non li fai.
    Anche chi ha le “patacche” non sempre ha queste capacità. Non è solo un fatto di avere i titoli. Ci vuole ben altro.

  83. 54
    Alberto Benassi says:

    Chiaramente anche per le falesie ci sono le relazioni che ci danno le informazioni generali sul tiro, sulla difficoltà, sulla storia e sullo stile della falesia. È anche bello leggere queste cose e non solo leggere di freddi  numeri e sigle.
    Ma non mi si verrà mica a dire che con una semplice occhiata da sotto non si riesce a capire se siamo o non siamo, piu o meno, capaci di salire da li?!?!
    E per farlo ci deve essere un “ENTE SUPERIORE” che ce lo certifica….che ce lo garantisce.
    E perchè dovrebbe essere garantito quello che andiamo a fare !?!?
    Diverso è il discorso sulla sicurezza dell’ attrezzatura con la quale e stata attrezzata la falesia. 
    Ma da li in poi basta. Si fa da noi con il nostro di cervello.

  84. 53
    davide crescenzio says:

    <<Il 16 novembre in Sicilia è caduto Stefan Rass (Austria), senza alcuna sua colpa, da 25m fino a terra insieme ad un masso sul quale era ancorata la sosta. (da Planet Mountain)>>. Allora, io faccio la guida alpina, porto i clienti in una falesia attrezzata, ritenendola un luogo sicuro dove svolgere uno stage per principianti, in un luogo splendido e attorno alla quale ruota tutto l’indotto legato al turismo sportivo di quella zona. Mi spieghi con quali mezzi risolvo il problema che mi si palesa nella salita del primo giorno sulla prima via, dove trovai tutti, tutti, i codini di porco delle soste che si muovevano perché resinati a capocchia e senza possibilità di saperlo prima di questo problema? Mi arrangio, sono lì anche per garantire la sicurezza e prendermi tutte le responsabilità, è il mio “business” (come ricorda qui qualcuno),  ma penso a tutti quelli che erano lì per i fatti loro e ne vedevo di imbranati; pensi se ne fossero tutti resi conto del problema? Stefan Rass era lì con la famiglia, una guida alpina che da quanto dici tu non ha bisogno di classificazioni per andare in una falesia, che aveva voglia di rilassarsi con i suoi bimbi dopo un periodo di lavoro rischioso e s’è schiantato a terra. Mi spieghi perché non può esistere una classificazione delle falesie che dica “Protezioni certificate, correttamente dimensionate, poste alla giusta distanza e nel corretto modo e periodicamente manutenute (AZZURRO – CE);”? 

  85. 52
    Carlo Crovella says:

    Fare qualcosa all’aria aperta significa correre, scalare, sciare…ma soprattutto far lavorare il cervello. Se il modello anche all’aria aperta fa tutto lui, tanto vale vivere senza cervello. Pretendere di “appianare” tutto significa volerci ridurre tutti a popolo bue (io li chiamo cannibali). Viceversa l’andar in montagna è nobile, eletto, selettivo proprio perché stimola le sinapsi cerebrali, non perché fa guizzare i muscoli: per quest’ultima cosa, basta andare in una sala pesi con bilancieri e macchine, non è neppure necessario recarsi in una palestra indoor. Viceversa allenare il cervello è la vera ricchezza dell’andar in montagna. E, se alleni costantemente il cervello, cresci come persona, come lavoratore, come genitore, come cittadino. Questo è il valore etico della montagna (vedi anche commento 51 all’articolo sulla Scuola di scialpinismo). “Sicurizzare” il tutto per consentire al popolo bue di mettere una mano davanti all’altra sulle rocce, anche all’esterno, è solo figlio delle esigenze della società consumistica: tanti che scalano significano più acquisti di materiale, più scarpette, più moschettoni, più corde… solo questo.

  86. 51
    Giacomo Govi says:

    Ultimo tentativo, poi chiudo. A Davide. Nessuno te lo impedisce “per principio”. Te lo impedisce la pratica.  Non sara’ mai come desideri. E supponiamo che arrivi in una falesia di cui non sai la classificazione. Che fai? Non scali? Non dai un’occhiata e cerchi di farti un’idea ? Se la risposta e’ no, allora – mia opinione personale – e’ meglio, per la tua sicurezza, che abbandoni la scalata.  Se e’ si, come spero, significa sostanzialmente che non hai bisogno della classificazione. Punto. Il discorso e’ tutto li. Se qualcuno si sbatte per aumentare la qualita’ della’attrezzatura, nel rispetto degli “autori” delle vie, ben venga.  

  87. 50
    Alberto Benassi says:

    scalare in falesia richiede capacita’ personale di valutazione.

    Appunto.
    Perchè creare un sistema che ci dice ogni cosa, anche quanti respiri dobbiamo fare. E annulla ogni interpretazione personale, cancella ogni possibilità di metterci del nostro, anche di sbagliare nella valutazione.
    Personalmente non sono nato imparato, ma proprio perchè non mi hanno sempre suggerito tutto, ho fatto le mie esperienze  che mi hanno  arricchito un pò alla volta senza togliermi il fascino dell’ignoto.
    Quando ho alcune informazioni generali di un luogo, poi basta. Da li in poi ci metterò del mio e prenderò le mie decisioni in base a quello che trovo.
    Ma non agisco alla lettera in base  a quello che mi suggerisce  una classificazione che toglie ogni possibilita di pensare.

  88. 49
    Davide Crescenzio says:

    Perché dovrebbe essere impedito di avere la massima sicurezza tecnica delle palestre indoor (al netto dei comportamenti dei praticanti) anche all’aria aperta, questo non lo capisco proprio. Dove sta scritto che all’aria aperta bisogna rischiare di più? E chi ha detto che tutte le palestre Outdoor devono essere “ridotte” a un livello di sicurezza delle palestre indoor? Non mi pare che l’articolo proponga due sole gradazioni di scale, sicure o insicure. Mi sbaglio? E chi ha detto che si toglie il diritto, sacrosanto per quanto mi riguarda, di rischiare di ammazzarsi? Quello ce lo gestiamo tra noi e i nostri cari, quando decidiamo di salire slegati una via anche di classe A. A me basta non mi caschiate in testa e non mi obbligate a vedere una scena raccapricciante.

  89. 48
    Giacomo Govi says:

    Siamo sempre li, tra il “va corretto” e la pratica c’e’ un mare di sfumature e discussioni infinite. Vedasi per esempio l’intera falesia del Totoga, ma ce ne sono molte altre. Il principio “puoi andare a scalare altrove” e’ sempre valido. Ma il punto vero, quand’anche si ammetta che “andrebbe corretto” e’ che bisogna essere capaci di accorgersi sul momento ( = scalando ) che ci si e’ messi in una situazione pericolosa. E agire di conseguenza. Invece a leggere questo testo sembrerebbe che se la falesia e’ classificata di categoria A il gregge scalatorio puo’ spegnere il cervello.  E che per ogni falesia qualcuno sia in grado di dirti di che categoria e’ – assumendo naturalmente che lo stile e il livello di sicurezza applicato a tutte le vie della falesia sia omogeneo…  Per me de tutto irrealistico.  Mia conclusione: per quanto si faccia, per quanto ci siano anime pie che si dedicano al restyling e alla manutenzione, di loro tasca o pagati da municipi illuminati o coi ricavi delle guide ( “topo” ), scalare in falesia richiede capacita’ personale di valutazione. Le categorizzazioni sono il modo migliore di diseducare a tale essenziale pratica. 

  90. 47
    Carlo Crovella says:

    mah…io continuo a non capire proprio il tema. Se a qualcuno piace l’assoluta sicurezza delle palestre indoor (muri in cemento, prese in silicone, soste bombate, materassi alla base…) perché va in luoghi outdoor e poi “pretende” che siano resi uguali alle palestre indoor??? Vada direttamente in quelle indoor e avrà quello che gli piace. E’ come se uno dicesse: a me piacciono le donne bionde, però voglio sposare una bruna e obbligarla a tingersi i capelli per diventare bionda. Se ti piacciono le bionde, sposati direttamente una bionda e avrai quello che cerchi…

  91. 46
    DinoM says:

    Etica: per chi scala=non barare. 
    Esempio=un amico a 44 anni ha liberato al primo giro un 8b+ di oltre 30m. ma siccome aveva fatto sicura all’amico, ha relazionato la via come flash.
    L’unica osservazione ( mia opinione) che faccio è che occorre sempre agire con educazione e buon senso; ma se un tiro è pericoloso e/o spittato male (capita anche ai migliori) va corretto preferibilmente con il consenso dei primi chiodatori ma corretto.

  92. 45
    Davide Crescenzio says:

    Ciao Roberto. Lungi da me polemizzare con gli autori dell’articolo, molto apprezzato dal sottoscritto. Peraltro sono molto in linea con il tuo pensiero.. La mia domanda era rivolta alla platea che ha ben chiaro il concetto di etica in questo campo, tanto per mettere, come dire, dei punti fermi,

  93. 44
    Roberto Pasini says:

    Mamma mia Davide stiamo diventando un blog di bisbetici tignosi: io mi ci metto per primo infatti adesso chiudo per un po’. Stiamo imitando con molte più parole quei caxxoni di Planet, Hanno usato Etica nel titolo in senso generico. Ma poverini gli ing. volevano solo dire: in giro c’è un gran casino , qui finisce che qualcuno si fa male, forse è giunto il momento di mettere ordine nella comunicazione e di stabilire qualche criterio per chi vuole intervenire. Poi gli è un po’ scappata la mano sui dettagli e sulle definizioni ma questo è tipico della categoria che ho imparato ad apprezzare nel lavoro e in montagna, avendo quasi sempre arrampicato con ing. Poi come al solito si è scatenata la tenzone guelfi e ghibellini di cui mi sono davvero stufato. Guardiamo la sostanza e cerchiamo di avere un po’ di senso pratico e comunitario. Amen

  94. 43
    Davide Crescenzio says:

    Wikipedia: “L’etica (termine derivante dal greco antico ἔθος (o ἦθος)[1]èthos, “carattere”, “comportamento“, “costume”, “consuetudine“) è una branca della filosofia che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale (ad esempio una data morale).” Quale sarebbe il “ideale modello di comportamento”?

  95. 42
    Roberto Pasini says:

    Lo so. Per te è difficile. Prova solo un momento. Te lo chiedo per favore. Non valutare e non pensare a quello che piace a te e che ritieni giusto anche per gli altri. Sei un antropologo che osserva cosa succede in posti limitati che chiamano crag o falesie o palestre di arrampicata outdoor tipo Arco, ma allarghiamoci pure anche alla Sbarua, mi voglio rovinare. Osservi un flusso crescente di gente che di arrampica su quelle pareti, distrugge i sentieri, defeca ovunque, fa correre il soccorso alpino, parcheggia in modo selvaggio. Poi prevedi che il flusso forse aumenterà in seguito a strane cerimonie che vengono trasmesse in Tv. Una parte viene da capannoni industriali dove hanno appiccicato della plastica sulle pareti per far giocare molti ragazzini. A quel punto ti domandi cosa faccio? 1. Basta mi hanno rotto le palle, sono dei perversi. Gli chiudo tutto e gli faccio pagare 1000 euro di multa (siamo in uno strano paese, ce la farò? E poi riuscirò a far rispettare il divieto? 2. Caxxi loro, tanto io vado oltrove. Forse sono un po’ egoista? E se poi San Pietro mi fa il mazzo al momento del giudizio? 3. Metto un telepass ed entra solo chi passa un esamino. Certa è dura, hanno appena revocato la concessione ad Autostrade e poi figurati la battaglia sui patentini e i criteri 4. Chiamo una ditta di demolizione e faccio togliere tutte le soste, i chiodi, lascio crollare i sentieri e ci va chi ha le palle. Certo poi si ammazzano un paio di ragazzini poi magari faccio fatica a dormire e magari mi denunciano 5. Chiamo un’impresa e metto tutto a regola ; chiodi, posacenere, cessi, scritte luminose alle partenze, filmini didattici, app. per smart phone con simulazione delle vie. Forse è troppo e poi magari non escono più dal capannone 6. Uso il buon senso: cerco di preservare il luogo, faccio un po’ di manutenzione, metto un cartello di legno alla base con delle indicazioni, costruisco qualche cesso non brutto ecc. Poi magari creo un’associazione, raccolgo dei fondi, responsabilizzo i frequentatori a tenere pulito. Si tratta di scegliere. 

  96. 41
    Carlo Crovella says:

    Ho provato a seguire i ragionamenti esposti nei vari commenti, ma non mi oriento minimamente. Non riesco nemmeno a focalizzare i dati del problema. Mi sembra di esser finito in un uno spazio web dedicato ad “altro” rispetto all’andata in montagna. Andar in montagna non puo’ coincidere con la certezza del rischio zero garantita dalle steutture. Il succo dell’andare in montagna e’ gestire il rischio col proprio cervello  esponendosi di volta in volta al rischio in funzione delle variabili più disparate, fra le quali rientrano anche le proprie condizioni psico-fisiche del momento. Se oggi non sono i  forma (magari per i postumi della festa di ieri sera…),  il succo NON è avere il luna park a prova dei miei fumi alcolici. Il succo è che, se oggi sono “stordito”, mi limitero’ a fare il 2 grado oppure saprò starmene a casa a smaltire per bene. Se, nonostante tutto, inizio ad arrampicare solo perché c’è un contesto di “assoluta” e artificiale sicurezza, quello non è andare in montagna. Anchd perché allora tanto vale arrampicare in stutture indoor, di cemento, con prese in silicone… che bisogno avete di rocce “naturali” se poi le volete trasformare in strutture simil-artificiali?

  97. 40
    Roberto Pasini says:

    La sicurezza non si può garantire da nessuna parte. Neppure nei cantieri. Si può solo fare della prevenzione a livelli diversi a seconda delle situazioni. Forse non mi sono spiegato bene o non conosciamo gli stessi posti. Quelle che ho citato non sono falesie ma vie medie alpine che arrivano a cime sopra i 2500. Il Salbit o il Gross Furkahorn non sono certo palestre. I rifugisti hanno poi attrezzato delle palestrine vicino ma questa è un’altra storia. Infatti le vie non sono attrezzate da falesia. Mettono protezioni ogni 5/10 metri a seconda delle difficolta’, a volte meno quando ci si avvicina al 6a e poi mettono catene alle soste e ai punti di calata. La benedette guide di Von Kanel ne descrivono decine. Ho ricavato il dato sui praticanti quello che viene chiamato sport climbing sul sito della International Federation of sport climbing. Fino a dicembre dicevano 25 milioni, adesso hanno aumentato le stime in modo sproporzionato. Effetto pre-olimpico? Stimano più del 30% sotto i 18. Quanti di questi vanno anche fuori? Difficile dirlo.Ho trovato vari rapporti in internet ma le cifre sono ballerine. In Italia ci sono circa 80 palestre indoor. Per stare in piedi economicamente possiamo ipotizzare una media di 400 iscritti. Si arriva al totale di circa 30/35 mila che è la cifra stimata anche dalla Federazione Italiana arrampicata sportiva e si tratta prevalentemente di giovani. Non sappiamo quanti vanno fuori. Poi dobbiamo aggiungere quelli che vanno in falesia senza andare in palestra. Se qualcuno ha dati li faccia conoscere. Sarebbe interessante. Mettendo insieme queste informazioni e il fatto che si scala fuori ad un livello sempre più elevato, non mi pare peregrino stimare che la quota di giovani è alta o comunque è destinata ad aumentare. Non penso che l’effetto Olimpiadi resterà confinato indoor ma magari mi sbaglio. Le riviste americane come Rock and Ice pensano ad un aumento significativo della frequentazione di quei luoghi che chiamano “crag” , tipo Arco per intenderci. Con le dovute eccezioni ho visto pochi sessantenni/settantenni (quest’ultima è la mia categoria) scaldarsi sul 7a. Quando ne incontrerò un numero adeguato gli chiederò con umiltà  in quale fonte vanno a bere.

  98. 39
    Giacomo Govi says:

    Allora. Qui si parla di arrampicata in generale. Qual’e’ la definizione di sportiva? Si basa sulla dignita’ piu’ o  meno grande della parete? Quando gli autori parlano di multipitch con protezioni tradizionali, potenzialmente anche vie in montagna ci ricadono dentro.  
    Sulla manutenzione delle falesie. Il punto e’, quand’anche sia desiderabile che l’attrezzatura sia a regola d’arte e mantenuta con continuita’, che nessuno lo potra’ garantire. Quindi e’ inutile che si cerchi di far passare il principio della sicurezza garantita, e’ solo ingannevole e porta ad ancora piu’ incidenti. Che le falesie in Svizzera frequentate  da Pasini abbiano questi standard di qualita’ non vuole dire che valga per tutte. Potrei fare elenchi di falesie svizzere “dove e’ meglio stare all’occhio”.  Ma poi questo deve valere sempre.  
    Infine. L’arrampicata sportiva outdoor praticata in prevalenza da giovani sotto i 25 anni? Fuori i dati please. Non corrisponde assolutamente alla mia esperienza, in Francia, Italia e Svizzera. 
    Provare ad andare in una qualche falesia del finalese o di Albenga. Semmai i giovani vanno in prevalenza indoor, quello si.  

  99. 38
    Roberto pasini says:

    Lo so bene. È il terreno che oggi frequento io. Gli svizzeri nelle zone che frequento io, prima e dopo il Gottardo (Bedretto, Salbit…,per interderci) sistemano le vie intermedie ( 5c  max passaggi di 6a azzerabili) in modo ragionevole: soste, ancoraggi per doppie, sostituzione di vecchi chiodi con spit a distanza alpinistica che richiedono concntrazione e trovare comunque il passaggio (infatti ho trovato cordate di ragazzi fortissimi un po’ a disagio). Mi sembra un buon compromesso svizzero: ridurre gli interventi della Rega ma lasciare comunque spazio all’esercizio di competenze più ampie che non solo il gesto atletico ed esperienze più appaganti, almeno per gente come me. Ma qui si parlava di altri luoghi.

  100. 37
    DinoM says:

    A me sembra un ottimo articolo e un’ottima proposta. Per capire quanto distante sia il mondo dell’alpinismo da quello dell’arrampicata ( e anche farvi 4 risate) vi invito a leggervi sul forum di planet mountain il blog “leggi postulati assiomi in  verticale ” su Rock general.
    La verità è che tutti parlano di falesie di qua, spit di su, piastrine di giù. In realtà sono sempre i soliti 4 gatti che si danno da fare ( gratis, anzi a spese loro) a pulire, manutenzionare e lavorare,  mille che arrampicano e duemila a dire come e cosa si dovrebbe fare.
    Dino Marini

  101. 36
    Alberto Benassi says:

    Stiamo parlando di arrampicata sportiva, non di alpinismo d’alta quota

    tra l’arrampicata sportiva e l’alpinismo ad alta quota… nel mezzo c’è uno spazio enorme.

  102. 35
    Roberto Pasini says:

    Stiamo parlando di arrampicata sportiva, non di alpinismo d’alta quota. Il canale di accesso a questa specialità è oggi quello delle palestre e delle falesie e meno delle scuole classiche, che pure continuano il loro ruolo. L’arrampicata sportiva indoor e outdoor è praticata prevalentemente da giovani sotto i 25 anni. Vedi dati nel sito della IFSC. “Zucca e melone a ciascuno la sua stagione” diceva mia nonna che non era una studiosa delle caratteristiche del ciclo di vita degli umani. A quell’età è normale la spinta all’azione, alla sfida, al miglioramento continuo, alla competizione, compresi gli eccessi. Non puoi pretendere un equilibrio e una riflessività tipiche di altre fasi del ciclo di vita. Le persone più mature, istruttori, gestori di palestre (sono 80 in Italia e i gestori possono giocare un ruolo importante, alcuni che conosco ne sono consapevoli) parenti e amici  possono certamente educare, cercare di evitare gli eccessi, e mettere dei semi che poi matureranno quando sarà il momento. E anche imparare da chi porta il nuovo. Un ruolo importante è anche impedire che si facciano troppo male, senza esagerare ovviamente con il protezionismo oggi imperante. Un po’ di rischio e di paura fanno bene per crescere. Ma qui è una questione di misura e di chiarezza come sempre. Credo che l’approccio degli autori possa essere utilizzato con buon senso a supporto di un approccio minimalista di questo tipo. 

  103. 34
    Guerrini Michele says:

    AL GIORNO D’OGGI È FONDAMENTALE PER L’ETICA,LA SICUREZZA E LA TRADIZIONE DELL’ATTIVITÀ ARRAMPICATORIA E ALPINISTICA AVERE CHIAREZZA NELLA COMUNICAZIONE E TENERE IN CONSIDERAZIONE LA STORIA DI UNA FALESIA O DI UNA PARETE.
    Direi che al giorno d’oggi sarebbe fondamentale per l’etica, tornare a mettere i rinvii all’imbrago togliendoli dalle pareti (fissi),togliere dalle mani di molti il bastone telescopico, togliere i segni di magnesio dagli appigli e appoggi; per la sicurezza direi di NON affidarsi ciecamente dell’attrezzatura e chiodatura (s1, s3, r5, fix, nut, resinati ecc) ma di affidarsi più delle proprie capacità (consapevolezza) scegliendo itinerari in base a quelle e non alla moda o alla ferraglia esistente in loco.
    Sulla tradizione direi che si basa tutto quello che fino ad ora ci ha permesso di arrivare fin qui…chi ci sputa sopra non fa altro che sputare sul proprio piatto, chi la rispetta (o vuole farlo) si deve adeguare a quello che trova e non PRETENDERE qualcosa di diverso.
    Nelle sale indoor si dovrebbe fare più cultura alpinistica invece di chiodare falesie adeguando la chiodatura per quelli che escono dalle sale….le falesie certificate sono una scusa delle amministrazioni locali per aumentare l’inedito turistico e la propria offerta.
    La storia di una falesia o di una parete dovrebbe essere scritta ( e riconosciuta) e trasmessa da chi richioda o apre nuovi itinerari e avvallata dalle amministrazioni locali come ASSOLUTO VALORE (quindi UNICO E DIVERSO DA ALTRI) rispetto il grado (o colore ) della chiodatura.
    Alla fine si torna sempre al solito discorso che chi arrampica si deve il più possibile ADEGUARE alla roccia, alla chiodatura ed alle proprie capacità e NON adeguare pareti e falesia ad una “richiesta” di mercato o di moda o di tendenza…. 
    …. ma questo è un altro discorso….

  104. 33
    bruno telleschi says:

    Altri mondi sono possibili? Per recuperare il senso della natura e della bellezza sarebbe fondamentale rinunciare al mito dello sport e della prestazione. Anche in filosofia sono noti i pericoli della montagna, come avverte Martin Heidegger che invita alla prudenza: “Qualcuno lascia, mentre il tempo è incerto, un rifugio alpino per scalare, magari da solo, la cima di una montagna. Ben presto si perde nella nebbia che è scesa improvvisa. Quell’uomo non ha idea di ciò che vuol dire muoversi in alta montagna. Non sa quali doti siano necessarie e quindi non sa che cosa bisogna saper fare e saper dominare”. Per questo Heidegger condanna l’esibizione della tecnica e preferisce la contemplazione della bellezza: “al sapiente resta ancora la cresciuta tranquillità della montagna, il risplendere raccolto dei prati alpini, il volo silente dei falchi, le nuvole rade nel grande cielo”.
     

  105. 32
    lorenzo merlo says:

    Altri mondi sono possibili, solo per chi li vede.

  106. 31
    Michele Comi says:

    Roberto le “foze inarrestabili” vadano un po’ dove gli pare. Per quanto posso, assieme ai miei compagni di salita, tento di stare nell’incertezza, non di rincorrere ogni strumento che ha la pretesa di alleviare ad ogni costo dubbi e difficoltà che, non dimentichiamolo,  sono il sugo dell’alpinismo. Andremo a rinunciare a più o meno insignificanti primati personali, ma sono certo porteremo a casa qualcosa di bello, a partire dal giardino di casa. Nessuna pretesa di verità, ma libertà di raccontare qualcosa di diverso.

  107. 30
    paolo says:

    Mi capita di guardare la serie di filmetti di istruzione sull’arrampicata di base e resto sempre esterrefatto per la superficialità assoluta.
    Questo è uno: https://www.montagna.tv/153298/la-salita-e-la-discesa-del-secondo-di-cordata-video-tutorial-arrampicata-base/
    Adesso insegnano così ?
    Solo ora capisco la necessità di certificati, corsi, patentini e quant’altro oltre al basso profilo per pararsi da azioni legali.

  108. 29
    Alberto Benassi says:

    Forse le intenzioni sono buone, ma troppo, troppo zelo.

    NO!!  le intenzioni non sono affatto buone.

    Ci sono in atto forze possenti. Inarrestabili. Che possono non piacere ma è così

    e allora??  dobbiamo stare zitti e non dire che la pensiamo e CI COMPORTIAMO !! diversamente !!
    dobbiamo stare tutti in fila, ben ordinati e zitti  comportandoci  come ci dicono i CLASSIFICATORI?
     

  109. 28
    Giacomo Govi says:

    “Chi va ad arrampicare in una falesia o a ripetere una via deve sapere esattamente cosa lo aspetta”
    Una promessa del genere, al di la’ del fatto che sia o no desiderabile ( e non lo e’ ), e’ destinata a non essere mantenuta.
    Perfino nelle falesie sportive non si puo’ pensare di garantire che le protezioni in loco siano sempre perfette e regolarmente mantenute. Si dovrebbe censire ogni paretina attrezzata, ispezionarla e certificarla. Ma siamo matti? Alla fine si tradurrebbe in autorizzare la scalata nelle sole falesie certificate. 
    Ora questi propongono anche la manutenzione delle vie multipitch a protezioni tradizionali. A parte il fatto che su molte viene gia’ fatta dalle guide ( per ovvi motivi di business ), ma dove si va a parare?
    Forse le intenzioni sono buone, ma troppo, troppo zelo. 

  110. 27
    Roberto Pasini says:

    Michele guardati un app. come Fatmap (o Wikiloc o Life Vertical). Ci sono in atto forze possenti. Inarrestabili. Che possono non piacere ma è così.  Tra qualche anno avremo ( nel mio caso avranno) in mano simulatori in 3D con foto dei passaggi, altro che classificazioni. Le relazioni di gulliver o planetmountain sembreranno preistoria. Come le vecchie guide del CAI “e per cresta si perviene alla vetta”. Rimarranno per una nicchia, come le penne stilografiche a stantufo. Non è ancora successo per le vie di arrampicata perché è un mercato piccolo per gli sviluppatori. Comincerà in USA dove ci sono 7.5 milioni di climber e poi da lì dilagherà. Il bisogno di libertà e di avventura si sposterà probabilmente su altri terreni. Di fronte a questi processi o cerchi di gestirli e indirizzarli o ti metti in un angolo e aspetti che passi il cadavere ma è probabile che schiatti prima tu o che la locomotiva della storia ti schiacci come si diceva ai miei tempi. 

  111. 26
    Michele Comi says:

    L’alpinismo e l’arrampicata sono una cosa importante, persino educativa.  Farsi risucchiare nel feticismo delle tecniche e delle classificazioni mi par che appesantisca anziché alleggerire e forse ci fa perdere occasioni preziose.

  112. 25
    Alberto Benassi says:

    Quanto a vedere minacce…alcune si sono rivelate fumo.
    Altre invece arrosto e bello bruciato.

  113. 24
    Roberto Pasini says:

    La montagna è come il sesso. Si può fare free solo, in casa, fuori casa, protetto, sprotetto, in Italia, in spedizioni all’estero (qui dove sono ora in america centrale e’ pieno di italiani che cercano l’avventura spero per loro protetta), cercando partner occasionali, pagando apposito personale specializzato….io sono per la linea svizzera…basta non fare confusione di aspettative su ciò che si offre e su ciò che riceve, in luoghi specializzati,  con discrezione ed educazione, rispettando le regole, pagando le tasse e senza rompere le palle a quelli che hanno altri gusti.

  114. 23
    paolo says:

    Per allargare il ragionamento che mi sembra si stia facendo, mi viene in mente il fortissimo Bassanini che era sempre a Courmayeur.
    Mi dissero che, da quando era diventato guida, il suo papà, grande politico ancora oggi con ruoli di potere, aveva fatto di tutto per legiferare e cercare di garantire alle guide una buona sistemazione nelle attività di montagna.
    Mi è difficile capire molte guide d’oggidì che vogliono fare di tutto, come fossero dei moderni Rebuffat.

  115. 22
    Alberto Benassi says:

    Caro Pasini se per te il 6c  è da marziani…allenati di più…scherzo😂
    Per me fare queste classifiche da ingegnari schematizzando tutto per non lasciare nulla al caso, con tutto il rispetto degli autori, ma  è quanto di peggio si posa fare.
     

  116. 21
    Roberto Pasini says:

    Benassi, di cosa stiamo parlando? Per fare esempi che conosco non si tratta di classificare e mettere in sicurezza la Grigna ma la palestra di Scarenna. Sono discussioni oziose. In certi posti si arrampica dal 6c in su e molti frequentatori di questo blog devono aspettare la prossima vita (io per primo) per andarci. Quindi smettiamola di gridare alla luna e di vedere ovunque minacce.

  117. 20
    lorenzo merlo says:

    Lo scientista è chiunque creda che la conoscenza derivi solo dalla scienza.
    Il pesce…

  118. 19
    Roberto Pasini says:

    Lo scientista appunto non lo scienziato. È come la differenza tra il mistico e il superstizioso. Sono il lato ombra di due componenti della nostra mente: analisi e intuizione. Due anime mi straziano il petto dice lo scienziato Faust prima di incontrare il diavolo mentre si tormenta nel suo studio. Più modernamente vedi le opere del premio Nobel Kahneman su pensiero lento e pensiero veloce. Mamma mia abbiamo perso la rotta! Torniamo al Luna Park!!
    Ps. Per chi aspetta di andare in Svizzera. Gli svizzeri da orologiai protestanti distinguono, dividono e gestiscono con precisione. Chiudono alle bici e alle auto l’altopiano della Greina e mettono i portacenere alle soste nella palestra di roccia di Bellinzona sopra la stazione, dove si paga il biglietto. Hanno in Ticino 27 bordelli sorvegliati dalla polizia, con defribillatore e corsi di rianimazione per il personale, dove gli italiani, principali clienti, possono pagare con fattura e carta di credito. 

  119. 18
    Alberto Benassi says:

    La sicurezza è per i parchi cittadini dove passano il tempo gli anziani e giocano i bambini.
    Alle montagne va garantita l’imprevedibilità . L’insicurezza fa parte del gioco, chi non la vuole faccia altro, anche nei confronti dell’ambiente.

  120. 17
    lorenzo merlo says:

    Come il pesce che non sa di nuotare, nessun scientista sospetta altro oltre al mondo che si è costruito.

  121. 16
    Carlo Crovella says:

    Personalmente, chissà perché, detesto i “park”. Mi ricordano il luna park, il circo, lo stadio, lo sport, quando invece muoversi nella natura dovrebbe sviluppare capacità intellettive, non di pancia. Ridurre anche solo spazi circoscritti allo sfogo degli sportivi, è contro la mia concezione. Se svellere gli attrezzi tecnici significa privare gli sportivi del loro diritto di “giocare” in montagna (o ambienti similari), beh…io non mi farei tanti problemi. #piu’montagnaperpochi

  122. 15
    Roberto Pasini says:

    Un mio maestro dei tempi dell’Universita’ così rispose ad un gruppo di contestatori che gli rimproveravano di non cogliere lo spirito delle cose con la sua analiticita’ razionale e le sue formule” Mi sembra interessante: propongo di spegnere la luce così lo evochiamo”.

  123. 14
    lorenzo merlo says:

    Le leggi della fisica non bastano a contenere il mondo.
    La scienza è autoreferenziale e convenzionale, chi crede spieghi tutto corre i suoi rischi.

  124. 13
    Roberto Pasini says:

    Sono in centro america e scrivo al pomeriggio per me grazie all’aria condizionata. Ieri sono stato in una foresta pluviale ridotta a parco. Avrei voluto intervistare gli animali che ho visto e ammirato per le loro abilità su cosa pensano di noi. È andata così finora. Abbiamo avuto successo con tutti i nostri limiti e le nostre qualità. Secondo qualcuno perché siamo figli degli dei, secondo altri perché abbiamo avuto un gran culo. Adesso però sono caxxi nostri ad andare avanti, dobbiamo forse fare un salto di competenze e capire come gestire questa realtà che abbiamo creato anche in montagna, senza rimpianti per un passato che non torna. A meno che , abili come siamo, ci inventiamo come violare le leggi della fisica che conosciamo.

  125. 12
    lorenzo merlo says:

    Ritenerci dominanti e privi del Dna necessario è un bel timone per la concezione di noi stessi, del prossimo, dei limiti, per la direzione che si vuole dare al nostro fare.

  126. 11
    Roberto Pasini says:

    Noi non siamo rettili ne uccelli. Siamo un mammifero evolutosi da piccolo predatore opportunista a specie attualmente dominante sul pianeta e come tali abbiamo delle grosse responsabilità, anche nei confronti dell’ambiente montano e dei suoi abitanti (molti dei quali abbiamo allegramente sterminato per bisogno o per divertimento). come finirà non sappiamo. Non abbiamo nel nostro DNA le capacità di altre specie ma la nostra capacità simbolica e la nostra capacità di costruire strumenti di supporto alle nostre debolezze non scherza anche se potrebbe portarci alla rovina. Dipende molto da noi, da come sappiamo regolare le nostre azioni collettive anche nel nostro piccolo di amanti delle nostre montagne.

  127. 10
    Sebastiano Motta says:

    Sono d’accordo con Pasini, anche se a mio parere i “climbing park” sono diseducativi in quanto inducono il popolo bue a pensare che le strutture rocciose debbano uniformarsi ai livelli di sicurezza e comfort presenti nelle sale di arrampicata. Li ritengo diseducativi, ma riconosco che per molte persone sia utile un passaggio intermedio fra l’incubatrice delle sale e le “vere” strutture naturali per l’arrampicata.
    A questo proposito mi sembra che il testo di Tondini e Baù (che, mi sia concessa la battuta, è proprio un testo “da ingegneri”) possa essere utile proprio al popolo bue, tanto vituperato e deriso da molti dei commentatori di questo blog, perché non dia per scontato che tutto ciò che non è allineato al livello di sicurezza delle sale sia “pericoloso” e quindi da “sanificare” per essere così reso “sicuro”.
     

  128. 9
    lorenzo merlo says:

    Assuefatti non pare possibile.
    Disintossicati lo è.
    Chiedere alle testuggini e agli uccelli migratori o anche a Franco Micheli.

  129. 8
    Roberto Pasini says:

    Vela, equitazione,alpinismo nascono per fini pratici: esplorazione, trasporto, guerra…Poi diventano passatempo per ricchi, poi si espandono, si differenziano e producono anche  sport e business. Qui siamo negli anni 20 di questo secolo. Chi vivrà vedrà. I praticanti professionisti ci campano. Gli altri ricavano sensazioni piacevoli e sviluppano capacità e competenze utili anche in altri campi della vita. Poiché siamo diversi cerchiamo sensazioni diverse: qualcuno ama la libertà, altri la sicurezza, altri l’armonia, altri la sfida. Siamo tanti il problema è convivere. Ecco la necessità delle regole. PS. Io vado anche in vela: le coordinate come le classificazioni non esistono in natura, sono cose inventate dall’uomo per orientarsi di fronte a realtà complesse. La mappa non è il territorio, ma provate a navigare senza mappa.

  130. 7
    Fabio Bertoncelli says:

    Queste inutili classificazioni dal carattere burocratico scatenano in me il vivo desiderio di fuggire subito sull’Appennino, vagabondando tra boschi e crinali. In attesa della neve e in attesa dell’estate, quando partirò per l’Oberland Bernese e l’Aletschgletscher, dalla fronte fino ai bacini superiori: da lí salirò l’Aletschhorn alla faccia delle folle, di tutte le classificazioni, di tutti i regolamenti. In libertà. 

  131. 6
    lorenzo merlo says:

    Come per le scale di difficoltà, diversamente dalla modalità classificatoria (scientista), intenta ad attribuire al terreno la natura dell’impegno richiesto una volta per tutti, è proprio il suo opposto, la modalità più soggettiva, quella dedicata alla singola persona da parte di un’altra singola persona ad essere la più profondamente informativa per noi.
    Conoscendo le caratteristiche di uno scalatore amico e viversa ed avendo reciproco accredito, il mio vai tranquillo è alla tua portata, o su quel terreno non ti ho mai visto muovere a tuo agio, eccetera diviene la migliore informazione per valutare una salita.
    Il destinatario, se sa di non essere all’altezza delle mie migliori prestazioni, il vai tranquillo è alla tua portata, non contraddice il discorso.
    Saremo noi a compiere la scelta di andare o meno, e la riferiremo alla nostra condizione.
    Le caratteristiche del terreno, che qualche scala ha stimato, divengono utili e funzionali in quanto informazioni generiche e indicative.
    Tutto ciò tende a verificarsi a condizione di porre al centro ciò che sentiamo.

  132. 5
    Paolo Gallese says:

    Benché disorientato, ho trovato l’articolo interessante. Sotto un profilo puramente sportivo ha un senso molto preciso.
    E mi ricorda infuocate ma spassose discussioni di fronte a tagliatelle e funghi dopo giornate di arrampicate di allenamento qua e là sul Gran Sasso.
    Il fatto che il mio modo di vivere la montagna sia molto diverso (e non necessariamente corretto) non ha tolto il gusto per questa lettura.
    E una delle molte visioni delle regole che penso ognuno di noi si ponga ogni volta che se ne va (perdonate il dialettale) “pè nin’zú”.
    Leggerò con interesse i variegati commenti che spero numerosi 🙂

  133. 4
    Alberto Benassi says:

    Personalmente tutte queste classificazioni mi lasciano assai perplesso per non dire contrariato.
    Ognuno di noi dovrebbe avere dentro di se il valore del rispetto, della roccia e della storia di un luogo. Non dovrebbe essere  imposto da un regolamento che va bene per un parco. Ma un parco non e un luogo libero.
    Troppi schemi che non fanno altro che limitare la libertà,  la fantasia e classificare una attività che  non dovrebbere essere classificata ma dare totale spazio all’espressione personale.
    Se di limiti dobbiamo parlare dovrebbero  non essere scritti ma dentro di noi.
    La sicurezza va bene per i parchi di città.
    Queste classificazioni porteranno al patentino.

  134. 3
    Roberto Pasini says:

    Come successo in altri campi delle attività ricreative dell’uomo, l’andare per monti nel nuovo secolo si è esteso (e probabilmente si estenderà ancora di più) e si è segmentato: dai climbing Park alle spedizioni dure e pure. Ogni campo produce un’esperienza diversa e attrae pubblici diversi in cerca di sensazioni diverse. Non ci sono gerarchie ma problemi non banali di convivenza. Se poi uno vuole dare giudizi di valore, piacere suo. L’articolo è un contributo tecnico ad un tema specifico: se alcune zone devono essere Parco allora facciamolo bene, con rigore e professionalità e chiarezza comunicativa.

  135. 2
    paolo says:

    Bello e ricco scritto, ma scolastico, non va oltre.
    Tecnica, una spiegazione tecnica.
    Col fine della sicurezza, su come individuarla e rafforzarla tecnicamente.
    E’ il moderno modo quasi ludico/sportivo di andare in montagna, molto lontano dall’alpinismo attuale che viene praticato in giro per il mondo.
     
    Per me il fare alpinismo è un uso quasi esclusivo della mia mente e tutti i mezzi tecnici, mai invasivi, servono solo per rafforzarla nei momenti più difficili e impegnativi.
    Da ragionamenti come questo prende forma la propria etica, non dalla tecnica.
     
    Una osservazione.
    La tecnica himalayana dei campi e del sali e scendi è stata abbandonata dai forti alpinisti per aprire vie in alta quota, praticano lo stile alpino, mentre ora viene usata di continuo come tecnica per aprire vie sulle pareti alpine.
    Questa per me è una divertente soluzione contraddittoria e negazionista del passato, forse regressiva e forse soluzione a limiti personali non accettati, ma di certo frutto della società attuale.

  136. 1
    lorenzo merlo says:

    Ogni classificazione sembra renda un servizio, meno frequente riconoscerne il danno collaterale. 
    Soprattutto nel momento in cui la si fa definitivamente vera, portatrice di verità. 
    Il lato oscuro grossomodo corrisponde a una riduzione della relazione con l’ambiente/noi stessi.
    Ciò tende a verificarsi quanto più ci mettiamo in relazione con categorie, graduatorie, scale, cifre, ecc.
    Il punto di attenzione fa la realtà.
    Concentrati solo o prevalentemente sulla prestazione il rischio di uscire di strada si alza.
     
    Rimanendo invece sull’intenzione di distinguo, forse è da tenere presente anche la comunicazione, in quanto elemento di unione con il resto del mondo e quindi di sicurezza e condizione intima.
    Satellitari, social, meteo, info dall’esterno fanno variare la scala di purezza del by fair means e quindi della prestazione.
    Un ottomila in laboratorio, un 8a con gravità lunare, un concatenamento con rifornimenti di cibo paracadutati, sono alterazioni di pari valori spirituale.

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