Flash di alpinismo
Citazioni, impressioni e immagini – parte 12 (12-13)
di Massimo Bursi
Attrezzatura
“Bene tu potrai vivere di più, ma almeno io morirò con tutta la mia attrezzatura” (Craig Smith, discutendo di ancoraggi di corda doppia con un compagno che voleva aggiungere un altro ancoraggio).
E’ certamente noto e risaputo l’attaccamento morboso che i climber hanno verso la propria attrezzatura alpinistica, ma arrivare al punto di rischiare la vita per non potenziare una sosta durante una discesa in corda doppia sembra eccessivo anche a me.
Eppure anche io sono uno di quelli, che si affezionano al proprio materiale da arrampicata.
Ammetto che grazie ai donatori accidentali, quelli che non riescono a finire una via e sono costretti a calarsi lasciando in parete sempre qualcosa, grazie a loro, io non ho mai dovuto comprare una “maglia rapida” e grazie a loro io ho potuto, negli anni, rinnovare il mio set di rinvii.
Non si tratta di tirchieria o di braccino corto ma di un sano senso di attaccamento, una sorta di gratitudine verso quell’attrezzatura a cui hai letteralmente affidato la tua vita in diverse occasioni: moschettoni che hai tenuto stretto fra i denti, raggiungendo a fatica un chiodo, mentre le tue gambe tremavano e simulavano il movimento di una vecchia macchina da cucire Singer, cordini kevlar che hai dovuto slegare diverse volte ed infilare in minuscole clessidre osservando sotto di te la corda che correva libera.
Questo è l’attaccamento del climber verso la propria attrezzatura!
Claudio Barbier accarezzando la sua cassetta di chiodi era solito affermare che quella era la sua banca! In tempi di crisi, quali quelli che stiamo vivendo, forse non si sbagliava.
Immagine bucolica del dopo arrampicata, in Scozia, dove la pioggia fa sempre parte del gioco. Si mette ad asciugare la biancheria “alpinistica”
Paura creativa
La paura si rivelò come un enorme elemento creativo, poiché chi ha molta paura ragiona molto. Il coraggio è spesso solo stupidità o costrizione (Reinhard Karl).
Tutti noi, scalatori paurosi, abbiamo un approccio molto complesso e contorto con la roccia. Alcune pareti ci spaventano ed allora ci costruiamo, nella nostra mente, nei giorni precedenti, percorsi alternativi di fuga o ci immaginiamo situazioni dove poter mettere chiodi od altre protezioni salvifiche.
Il logorio mentale raggiunge il suo apice la notte prima della salita, notte in cui il cervello elabora spunti creativi ed immagina situazioni possibili di salvezza o di minor pericolo.
Spesso l’azione della salita dissolve queste nuvole opprimenti.
Chi non prova la nostra paura non riesce a capire il continuo e snervante logorio della nostra fervida immaginazione.
Con il coraggio tutto è semplice, piatto e senza storia.
Coltiva la tua paura ed avrai garantita la fervida fantasia per i tuoi racconti d’avventure.
Reinhard Karl sulla cima del Capitan. Il fatto che Karl fosse un alpinista estremamente timoroso come ha lui stesso evidenziato in molti passaggi del suo libro Montagne vissute: tempo per respirare, non gli ha impedito di essere un alpinista completo con avventure che spaziavano dai primi settimi gradi tedeschi, alle salite classiche del Monte Bianco, all’Eiger, al Cerro Torre e all’Everest
Bivacchi previsti
Ricordati: se prendi il materiale da bivacco, bivaccherai… (Yvon Chouinard).
L’arte dello scalatore sta anche nello scegliere quanta e quale attrezzatura portare via con sé.
Se non ti porti il materiale da bivacco, rischi di dover batter i denti tutta la notte o forse sei così determinato da salire di corsa senza perdere tempo per arrivare in cima prima del buio.
Se parti pesante, sicuramente arrampichi goffo e lento.
No non c’è una regola certa, c’è l’esperienza, il fiuto e l’intuito delle vecchie volpi che formano strati geologici di conoscenza e serate passate in parete a battere i denti.
Io in generale preferisco salire leggero e correre il rischio di soffrire il freddo, ma ognuno decida per sé!
In ogni nuova avventura accumulo esperienza utile per il mio bagaglio personale.
Bivacco organizzato sulle Pale di San Lucano per Lorenzo Massarotto
Think different – pensa diverso
Ecco i pazzi. I disadattati. I ribelli. I contestatori. Quelli sempre al posto sbagliato. Quelli che vedono le cose in modo diverso. Non amano le regole. Non rispettano lo status quo. Puoi citarli, disapprovarli, glorificarli o denigrarli. Ciò che non potrai fare è ignorarli. Perché sono quelli che cambiano le cose. Fanno progredire l’umanità. Se alcuni vedono la pazzia noi vediamo il genio. Perché le persone cosi pazze da pensare di cambiare il mondo, sono quelle che lo cambiano davvero (Steve Jobs).
A Steve Jobs il pensare diverso ha decisamente portato fortuna. Se le cose fossero così semplici, anche al barbone dietro l’angolo, che pensa sicuramente “diverso” dovrebbe essere toccata la fortuna di Steve Jobs, ma vedendolo si capisce che il clochard ha avuto una sorte meno propizia.
Eppure, a prescindere dalla fortuna, in ogni attività bisogna sforzarsi di vederla e pensarla con occhi diversi.
Nell’arrampicata e nell’alpinismo allontaniamoci dalla media, cerchiamo la nostra via ed il nostro modo di agire, non faremo soldi ma sicuramente ci saremo divertiti di più in un’attività che senz’altro sentiremo più nostra.
I pazzi spiritati, con la musica rock che martella loro le orecchie, lasciano le solite vie per tentare di aprirne di nuove, inseguendo i propri ideali.
Gary Hamming a passeggio a Chamonix nel 1966 dopo il rocambolesco salvataggio di una cordata tedesco sul Dru. Gary Hamming è stato uno dei primi beatnik e figlio dei fiori nel mondo alpinistico. Mirella Tenderini ne ha scritto la biografia ed ha inseguito le tracce che questa persona inquieta ha lasciato in giro per il mondo
Sottile paura
Tutti conoscono la paura sottile che ci coglie a volte nel pieno di una placca levigata e senza protezioni, dove la forza muscolare vale ben poco. E’ bene dunque che esistano vie dove si può misurare la propria forza fisica, ma è bene che ve ne siano anche altre in cui si può comprendere fino a che punto si è a posto con la mente. Voler rendere “sicure” queste ultime, mi ricorda un po’ il celebre Assassinio dell’impossibile di Reinhold Messner e mi fa un po’ sorridere, se penso che lo si farebbe con la giustificazione di valorizzare la scalata libera (Gian Piero Motti).
L’eterno dibattito fra chi vuole le vie sicure per giocare sulla sola dimensione atletica e chi invece vuole anche la dimensione psichica per esplorare la paura, è un tema dove non si troverà mai un accordo e dove ci saranno sempre due diverse concezioni e visioni.
Io vedo che nello stesso scalatore convivono queste due concezioni a seconda del proprio stato d’animo o degli anni di esperienza.
E’ naturale pensare che un ragazzo sia portato a rischiare di più rispetto ad uno scalatore maturo e magari con famiglia, che dovrebbe preferire di giocare fra gli spit.
Invece non è sempre così e numerosi esempi rovesciano questa falsa credenza.
Ci sono abbastanza pareti e montagne per accontentare sia chi vuole tante protezioni e sia chi cerca il viaggio psichico senza troppe protezioni.
Alex Huber in solitaria sulle pareti strapiombanti delle Cime di Lavaredo. Lui la paura l’ha vinta
Debolezze
La difficoltà del passo esigeva nel modo più assoluto un’assicurazione e perciò, dopo 25 metri, piantai un chiodo (Emil Solleder).
Leggere questa frase e specialmente la precisazione dopo 25 metri, di Emil Solleder, alpinista esponente della scuola alpinistica di Monaco fra il 1920 ed il 1931, anno della sua morte, mi fa senz’altro sorridere e pensare.
Sorridere perché oggi noi scalatori moderni e fortissimi ci lamentiamo che la via è chiodata lunga, se dopo 3 o 4 metri non troviamo il chiodo; pensare perché dal punto di vista psicologico di controllo dei proprio corpo e della propria mente, lui era un precursore dei tempi.
Emil Solleder è passato alla storia per tre vie: la Solleder al Civetta, la Solleder al Sass Maor e la Solleder alla Furchetta sulle Odle: si tratta dei primi veri e propri itinerari di sesto grado che ancora oggi non sono stati addomesticati o addolciti dalla presenza di tanti chiodi.
Rileggendo la frase mi sembra quasi che Solleder si senta in dovere di scusarsi per avere piantato un chiodo.
Prima o poi ti capiterà di piantare un chiodo, ma non devi scusarti per questa tua debolezza.
In Dolomiti la maggior parte degli itinerari presentano ancora oggi una chiodatura pericolosa e specialmente sugli itinerari estremi cadere non è mai consigliato. Qui Reinhard Schiestl, nel 1979, sta aprendo la via Mephisto al Sass dla Crusc: VIII- grado (oggi 6c) con soli cinque chiodi
Una vita
L’alpinismo ha il potere di distillare l’intero spettro dell’esistenza individuale e scalare le montagne è l’unico modo per comprendere tutto questo.
La sera prima della scalata provo paura e mi rannicchio in posizione fetale come un bambino piccolo.
La mattina cammino sul sentiero che mi porta alla parete incosciente di quello che mi aspetterà, come da bambino sui banchi di scuola, ancora ignaro del percorso della vita.
Poi consapevolmente attacco la parete e vedo le difficoltà, studio i passaggi, metto a punto un piano che mi permetta di salire tenendomi un margine di sicurezza che a volte si assottiglia, ma in fondo mi diverto poiché sono qui per questo. E’ la stessa gioia intensa che si prova nel lasciare la scuola, lavorare, trovare la compagna, mettere su casa e divertirsi con i figli.
Piano piano, verso la fine della giornata la parete si abbatte e le difficoltà si spianano e poi arrivo in cima dove tutto è più basso di me. Mi sembra di stare a parlare con il vecchietto della panchina al giardinetto, lui è tranquillo, in pensione, con i figli a posto e che si gode beato il sole mattutino.
Ogni scalata è come vivere una intera vita.
Franco Perlotto, l’inventore del “free-climbing” italiano, icona vivente della trasformazione alpinistica fra gli anni ’70 e ’80, durante la scalata di Devil’s Tower
Perché
A chi mi chiede “perchè vai in montagna?” rispondo: se me lo chiedi non lo saprai mai (Ed Viesturs).
Perché scalare? Perché rischiare? Perché alzarsi presto alla mattina? Perché sottoporsi a fatiche estenuanti? Perché?
Si può rispondere con lunghi giri di parole oppure con poche frasi che non lasciano spazio a replica, oppure si può ignorare la domanda.
Qualsiasi sia la risposta, il nostro interlocutore non avrà soddisfatto altro che la propria curiosità e basta, poiché se già noi fanatici facciamo fatica a spiegare il fenomeno a noi stessi, figurarsi spiegarlo agli agnostici.
Poi spiegare, spiegare… ma perché? Prendi uno zaino e prova ad andare in montagna… ti accorgerai che spiegare non serve più.
Se ti chiedono il perché tu vai in montagna, rispondi a caso con parole sconnesse come di solito risponde una rockstar alle domande dei giornalisti.
Kurt Albert alla domanda perché arrampicare, rispondeva così
Passato e futuro
La roccia non la ereditiamo dai nostri padri ma l’abbiamo in prestito dai nostri figli.
Questa alla fine è l’unica vera e triste certezza che ho: la roccia è una risorsa finita, limitata e che stiamo velocemente consumando. Se non la teniamo con cura ai nostri figli non rimarrà più nulla.
E’ un po’ come il petrolio.
Ai nostri eredi rimarrà una sostanza consumata e lisciata da innumerevoli passaggi, sforacchiata con tanti buchi di trapano, profanata da tante scritte di spray, appigli martellati per aumentarli di dimensione e soprattutto nulla di nuovo su cui far galoppare la propria fantasia.
Chi arrampica sa il piacere che si prova nello scalare sulla rugosa roccia nuova e che non sia stata scalata in precedenza o che sia stata ripetuta soltanto raramente. La magnesite praticamente non serve e le scarpette riescono a dare un’aderenza perfetta.
L’alpinismo ha una lunga storia sulle spalle ed il suo passato è segnato dai nostri avi mentre il suo futuro sta a noi inventarlo.
Per il futuro prendiamo solo fotografie e lasciamo solo impronte.
Ecco la risposta a chi vuole riempire la tua via con una serie di spit, a chi vuole segnare con vernice tutti i sentieri, vendere mappe sempre più dettagliate e pubblicare lunghe e dettagliate descrizioni di ciò che si è fatto.
Basta, invertiamo la rotta!
Non comunichiamo dove siamo andati, non distribuiamo relazioni di vie e difendiamo il lato selvaggio di questa piccola porzione di mondo.
Lasciamo che usino la magnesite solo i fanatici delle palestre indoor.
Salviamo l’ignoto, l’incertezza e l’avventura.
Mi auguro che tu riesca sempre a provare le sensazioni fisiche di librarti su una parete nuova dove gli appigli sono ancora taglienti come ai tempi della creazione del mondo.
Lo scalatore che si muove agile sulle tracce di magnesite lasciate da chi è arrivato prima di lui ad un certo punto si trova una lavagna nera dove la sua futura evoluzione è tutto da inventare
Caos
Io accetto il caos (Bob Dylan).
Poichè Bob Dylan ha scritto alcune canzoni quali We shall overcome o Blowing in the wind che divennero l’emblema del movimento pacifista e libertario degli anni sessanta, tutti si aspettavano da lui, idolo delle folle, risposte ed impegno politico.
Bob Dylan era sempre diverso, altro da sé stesso, pronto ad una nuova vita musicale e a chi gli chiedeva coerenza lui rispondeva “io accetto il caos”.
Siamo arrivati in fondo a questi “passaggi” ed ancora non so o forse non so più cosa sia l’alpinismo, perché si arrampica e cosa è sbagliato o cosa sia giusto.
Non so se sia meglio continuare a rischiare la vita o giocare tra gli spit.
Non so se il masso da scalare è un primo passo per andare poi in Himalaya o sia un gioco fine a se stesso.
Non so se tutto questi pericoli oggettivi e soggettivi siano da accettare o meno.
Non so neanche se la coerenza sia una virtù o uno stupido recinto mentale.
Qui attorno a me c’è un gran caos.
Quello che facciamo in montagna sta generando un gran caos.
L’arrampicata è perfezione ma anche caos.
Il caos va senz’altro inteso come ciò a cui noi non sappiamo dare un nostro ordine.
Infatti secondo alcune cosmogonie il caos è l’originaria mescolanza degli elementi che esisteva prima della creazione, quindi non è detto che sia un concetto negativo o limitante.
Se non capisci bene cosa stai facendo, ma comunque ti diverti, non ti preoccupare.
Caos in parete. Sicuramente ci deve essere un ordine in questo apparente caos
CONTINUA
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per essere efficaci nell’arrampicata bisogna salire leggeri e rapidi un po come nella bella scrittura: grazie Massimo
Grazie a Massimo Bursi. E’ stata una lettura
interessante e piacevolmente istruttiva
Divertente e istruttiva lettura! 😉
Ormai so quasi a memoria tutto il Flash! Credo sia il miglior modo per partire nell’anno nuovo con il piede giusto! Buon 2015 al buon Massimo, ad Alessandro e tutti gli spiriti liberi!