Flash di alpinismo
Citazioni, impressioni e immagini – parte 08 (8-13)
di Massimo Bursi
Avventura
Non è un’avventura finché qualcosa non va storto (Yvon Chouinard).
Il termine avventura deriva dal participio futuro del verbo latino “advenire” e si potrebbe tradurre con ciò che accadrà e per traslato avvenimento singolare o straordinario, ma anche impresa rischiosa e affascinante.
L’avventura è un viaggio dal quale potresti non tornare e se ritornerai certamente non sarai la stessa persona.
L’avventura è un concetto abusato.
L’avventura è un ingrediente che va venduto all’interno di un viaggio.
L’avventura è un concetto che piace, che tutti vogliono raccontare, ma che pochi vogliono vivere.
Paradossalmente si cerca di ammazzare l’avventura o almeno di contenerla in limiti commercialmente ed umanamente accettabili, ma proprio per il suo significato più antico e autentico, ciò che accadrà, non si può legarlo alla prevedibilità o alla previsione.
Il quarantenne che vedi arrampicare non vuole vivere l’avventura: lui vuole solo salire quella via per arricchire il proprio curriculum.
Il ragazzetto che sale sicuro non cerca l’avventura, ma cerca solo la prestazione che quella parete e quella via può garantirgli.
Le avventure sono appannaggio di pochi superstiti sognatori che spesso prendono batoste in giro per il mondo e che non cercano né il successo, né il consenso, cercano qualcosa di primitivo e di ancestrale che sanno di non poter trovare in città.
L’avventura vuole sempre una certa dose di incertezza, di rischio e di aleatorietà.
L’avventura non si compra; nell’avventura ci si casca volontariamente o involontariamente.
L’avventura si annida nei giovani incoscienti. L’avventura si annida in chi non ha oramai più nulla da perdere.
Cerchi l’avventura? Arrampica senza la relazione topo-guida.
Joe Tasker e Peter Boardman, due scalatori inglesi amanti dell’avventura. Purtroppo la loro avventura si è conclusa sulla cresta nord dell’Everest. Gli inglesi sono stati e sono tuttora maestri di avventure.
Esperti
Gli esperti muoiono sotto le valanghe, perché le valanghe non sanno che sei esperto (Andrè Roch).
Sono abbastanza vecchio di alpinismo per sapere che tutta l’esperienza e conoscenza non potranno mai garantire la tua vita.
Quello che ti serve per diventare vecchio è anche una sana e buona dose di fortuna – spesso chiamata fattore C.
Non conosco nessuno che non abbia usufruito del fattore C in situazioni potenzialmente pericolose.
Puoi controllare meticolosamente ogni volta il tuo nodo all’imbragatura e devi farlo, ma non ti preoccupare ti capiterà almeno una volta un nodo fatto male o una banale disattenzione nelle delicate manovre di corda.
Ti dici di stare attento e controllare l’operato del tuo compagno e che il tuo compagno a sua volta controlli le tue azioni – double check si chiama questa operazione preventiva – eppure il pericolo è sempre lì, in agguato.
Quando ti rilassi un attimo, ti senti in bocca il sapore amaro del pericolo.
Tu non vorresti mai leggere questa pagina né avere coscienza di quanti alpinisti famosi ed esperti sono morti in banali incidenti.
Eppure è bene sapere che l’attività che stai facendo è sempre pericolosa.
Sebbene il paragone non regga, ti dici che succedono più incidenti in automobile, ma ciò non toglie che l’alpinismo sia sempre intrinsecamente pericoloso.
Ricordati che il fatto che tu sia bravo non significa che tu sia meno esposto al pericolo.
Patrick Edlinger mentre studia attentamente una via. La preparazione meticolosa dell’itinerario aiuta a contenere il fattore rischio. Contenere si, annullare mai!
Perfezione e confusione
Quello che abbiamo è la perfezione dei mezzi e la confusione degli obiettivi (Albert Einstein).
Io penso che questa frase calzi esattamente alla condizione dell’arrampicata di questi giorni dove vige parecchia confusione.
Il successo e’ diventato più importante della correttezza. La difficoltà tecnica ha maggior importanza rispetto all’avventura audace. I grandi personaggi mentono o dicono le mezze verità per non rovinarsi l’immagine personale o il proprio tornaconto economico alimentato dagli sponsor. E’ difficile discutere di etica tradizionale con chi e’ abituato soltanto a muoversi fra gli spit, scalare il decimo grado e a percepire uno stipendio di parecchi milioni, mentre tu a malapena riesci a racimolare il denaro per far benzina e tornare a casa.
… così diceva Jim Bridwell, icona dell’alpinismo americano, che era stato negli anni settanta così innovatore e in rottura con l’alpinismo tradizionale e che poi negli anni 2000 è stato superato, in tutto, dai moderni climber, che portano un nuovo mondo in cui lui stesso non si ritrova più.
La nuova generazione di arrampicatori, figli della plastica, con gli sponsor fanno i soldi e i tipi come Bridwell, legati al loro vecchio mondo di scalata, fatica a tornare a casa poiché la benzina costa e non interessano più a nessuno sponsor.
La realtà è che ci sono tanti differenti alpinismi e modi di arrampicare. Le classificazioni che gli esperti tentano di fare sono fredde ed incomplete. Chi ama la roccia, ama passare da una specializzazione all’altra senza troppi problemi. Le classificazioni sono fatte per essere abbattute.
Regna la confusione poiché i grandi sanno mescolare la verità e vendere bene la propria merce al miglior sponsor offerente. Non tutti, ma alcuni si. Altri si sono stufati di questo mercato e fanno grandi imprese e grandi avventure senza dire nulla a nessuno.
Ciarlatani e “puri” vanno a braccetto nel mondo iper-mediatico e globalizzato dell’arrampicata.
Se non frequenti il circo mondiale dell’arrampicata ma solo una piccola falesia periferica, guardati comunque sempre dalla confusione dei ciarlatani.
Jim Bridwell è rimasto il rappresentante della beat generation americana degli anni sessanta. Hippy, individualista, figlio dei fiori, fortissimo scalatore, audace avventuriero col physique du role, ha rappresentato, nell’immaginario collettivo del piccolo mondo alpinistico, la rivoluzionaria alternativa e un modello a cui ispirarsi. Sono passati anni e lui è rimasto così, romantico sognatore e cavaliere solitario del granito yosemitico.
Jim Bridwell è come Mike Jagger dei Rolling Stones: una leggenda vivente ed intramontabile, un dinosauro sopravvissuto a diverse ere.
Equilibrio
Strike your balance, ovverossia trova il tuo equilibrio.
Ci vuole sempre il giusto equilibrio.
Quando sei sulla placca, devi dosare la forza e spostare braccia e gambe con attenzione per mantenere il giusto equilibrio.
Quando prepari lo zaino per una lunga salita, con equilibrio, selezioni cosa portare con te e cosa lasciare in rifugio: ti serve equilibrio per portarti le cose che possono servirti, ma devi stare attento a non avere uno zaino troppo pesante.
Nella vita devi dosare con equilibrio i momenti di arrampicata con gli altri momenti della vita.
L’equilibrio è fondamentale se oltre ad arrampicare avrai una famiglia con cui costruire una vita. L’equilibrio ti consentirà di vivere a lungo.
Ci saranno anche pazzi momenti della tua vita dove vivrai senza equilibrio, completamente sbilanciato nella dimensione verticale. Momenti brevi o lunghi, pieni di slanci adrenalinici, completamente squilibrati dove potrai provare l’ebbrezza del pericolo e delle avventure.
Eppure anche in questi momenti squilibrati dovrai trovare il labile e delicato momento di equilibrio fra la vita sulla cengia e l’affascinante vuoto mortale.
Ci vuole equilibrio anche nei momenti più intensi a cavallo del vuoto.
Fisico, psicologico o psichico, l’equilibrio accompagna sempre l’esistenza dello scalatore nelle diverse fasi della vita.
Durante una scalata di più giorni, spesso chiamata pomposamente big-wall, un momento delicato è costituito dal bivacco dove ogni cosa ed ogni componente della cordata deve trovare il proprio equilibrio. Una precarietà in sicuro equilibrio.
Inquietudine
L’alpinista è un inquieto inguaribile: si continua a salire e non si raggiunge mai la meta. Forse è anche questo che affascina: si è alla ricerca di qualcosa che non si trova mai (Hermann Buhl).
Chiunque abbia frequentato uno scalatore conosce bene l’insana inquietudine che attanaglia lo scalatore tipo. Uno non può essere un po’ scalatore. L’arrampicata è una idea fissa: qualcosa che coinvolge totalmente, appassionatamente. E’ difficile essere un po’ arrampicatori.
Spesso poi lo scalatore ha una grande meta da raggiungere: una montagna – simbolica, una cima – simbolica, una parete – simbolica.
Ci vogliono anni per accorgersi ed imparare che la meta non la raggiungerai mai. Ci vogliono diverse esperienze di vita in diversi campi per comprendere che le pareti che volevi salire servivano solo per nascondere la tua inquietudine.
Quando percepisci questo, ti senti maturo.
Dopo un po’ ti accorgerai che la meta, la cima, la montagna o la parete da raggiungere sono solamente dentro di te.
Pendio sottostante alla cima dell’Everest nel maggio 2012: una fila impressionante di alpinisti attende, spera e sogna di calcare la cima della montagna più alta del mondo.
Riusciranno a placare la propria inquietudine? Almeno per qualche mese.
Vertigine positiva
La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare (Lorenzo Jovanotti).
I vostri amici che non arrampicano vi guardano con ammirazione e dicono che loro non potrebbero mai arrampicare perché soffrono di vertigini.
Tutti quelli che non arrampicano sembrano soffrire di vertigini.
La vertigine nel nostro immaginario va associata alla paura, alla mancanza di stabilità.
Il cantautore Lorenzo Jovanotti rovescia il concetto di paura associato alla vertigine e associa alla vertigine un concetto più positivo: la voglia di volare.
Chi non ha mai provato l’esperienza di sognare di volare? Chi non si è svegliato con la sensazione adrenalinica di aver provato a volare, almeno in sogno?
E’ una sensazione di vertigine positiva.
A volte in parete bisogna auto-convincersi che la vertigine è una bella sensazione di leggerezza e non è un peso interiore, un fardello che si somma allo zaino.
In parete i pensieri, negativi o positivi, giocano un ruolo chiave nel vivere la tua esperienza di scalate.
E’ insita in te la capacità di trasformare le insidie dei pensieri negativi in positività che ti aiutano a salire.
Quando in parete provi la sensazione sgradevole di vuoto sotto i piedi, pensa positivo, pensa al volo, ma non volare!
Kurt Albert in arrampicata nel vuoto mentre il suo amico Wolfgang Gullich, al sole, si gode il piacere di ascoltare musica.
Piedi per terra
Chi ha detto che nella vita bisogna tenere i piedi per terra?
Il ragazzino che sull’orlo del tetto rimane appeso solo con le mani per sfidare la regola dei genitori che stare sospesi nel vuoto è sempre pericoloso.
Il cinquantenne che si ostina ad andare ad arrampicare sebbene gli amici continuino a chiedergli “ ma come, non hai ancora smesso?”
Arrampicare non è solo sfidare il vuoto, ma andare contro la mentalità ottusa e castrante di questa società che ti impone anche come impegnare il tuo tempo libero.
Allora viva la ribellione del ragazzo che scappa sulle pareti per sfuggire alle regole opprimenti dei genitori e dalla mediocrità della società… e magari si ascolta la hit dei Rolling Stones – it’s only rock’n’roll (but I like it)!
Cerchiamo di aiutare i ragazzi stimolandoli su nuove sfide, non blocchiamoli a terra!
Tenere i piedi per terra non è sempre un valore.
Patrick Berhault è stato il primo a specializzarsi nel superamento in piena arrampicata libera dei tetti che fino allora erano semplicemente impossibili o meglio non ancora possibili. Oggi questa sua lezione è stata ampiamente metabolizzata e gran parte delle scalate estreme sono in strapiombo.
Ipocriti e buffoni!
In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare. Non farò più niente in montagna che possa rendere onore al Club Alpino dal quale mi allontano disgustata per una ingiustizia commessa col rifiutarmi un’onorificenza (Mary Varale).
Così scriveva nel 1935 Mary Varale al presidente del CAI di Belluno.
Mary Varale era una donna decisamente controcorrente, valida scalatrice appartenente all’elite del periodo d’oro del sesto grado.
Scalatrice che si legò sia con Emilio Comici che con Riccardo Cassin, mettendo in contatto l’ambiente degli scalatori dolomitici con gli scalatori della Grigna.
Scalatrice che si è formata nelle Calanques per poi dare il meglio di sé stessa sulle Dolomiti, dove ricordiamo il suo Spigolo Giallo in Lavaredo aperto assieme a Renato Zanutti ed Emilio Comici. Ci piace immaginare che Emilio Comici le avesse lasciato il comando della cordata su questo splendido itinerario.
Eppure il fatto di essere donna non poteva essere accettato dalla mentalità dominante del CAI sempre troppo legato al potere politico imperante fascista, al mito del superuomo che s’identifica con il maschio.
Così forte fu la delusione per il mancato riconoscimento per la sua ultima salita sul Cimone della Pala assieme ad Alvise Andrich e Furio Bianchet, che scrisse questa lettera di dimissioni indirizzata al CAI di Belluno, da cui è stato tratto il pezzo iniziale. Infine, sdegnata, smise di arrampicare. Il suo mondo di sogni era andato in frantumi.
Se oggi molte ragazze arrampicano lo si deve anche alla tenacia, alla determinazione delle pioniere quali Mary Varale che hanno sfidato i pregiudizi e le costrizioni sociali dell’epoca.
Vai sempre controcorrente, sfida i pregiudizi e rompi sempre i vincoli asfissianti della tua epoca!
Mary Varale era così e così ci piace ricordarla: con un distinto giubbetto rosso, un foulard in testa, una sigaretta accesa sempre in mano e lo sguardo trasognato rivolto alla prossima scalata.
Crescere
Raggiungere la cima è facoltativo, tornare indietro è obbligatorio (Ed Viesturs).
Ed Viesturs è un forte scalatore himalayano e gli scalatori himalayani giocano con il rischio assai più degli alpinisti sulle montagne di casa.
In Himalaya bisogna pianificare con attenzione quando andare avanti o quando tornare indietro. Bisogna valutare le proprie condizioni fisiche e quelle del compagno. Il meteo, la tenuta della neve, la lontananza dalla vetta e i vari, diversi pericoli oggettivi sono alcuni degli elementi del rischio complessivo.
Anche se non andiamo in Himalaya ma “solo” sulle Alpi, ritroviamo esattamente questi elementi di rischio, sia pure in quantità minore. Anche qui, in caso di intoppi, dobbiamo scegliere cosa fare.
La regola è sempre quella: cerchiamo di tornare indietro prima che sia troppo tardi.
La rinuncia, il fatto di tornare indietro a volte ti costa più motivazione che non l’andare avanti che è una decisone sempre scontata.
Se ci sono delle complicazioni, è sempre difficile a spiegare ad un ragazzo che conviene tornare indietro anche se non si è finita la via.
Quando il ragazzo decide, di propria volontà, di tornare indietro, allora sta diventando un uomo.
Heinz Mariacher durante l’apertura di una via o di un tentativo di via su placche a sinistra della via del Pesce in Marmolada. Non sappiamo se questo itinerario sia poi mai stato terminato.
Per aprire itinerari estremi, Heinz Mariacher aveva escogitato la tecnica dei tentativi ripetuti dove si spezzava l’unità temporale dell’azione e la si sostituiva con una serie di puntate in cui si spostava il limite verso l’alto di 40, 80, 100 metri per volta per privilegiare lo stile assolutamente pulito. La rinuncia è diventata parte integrante dell’avventura alpinistica.
Commiserazione
Provo una grande commiserazione per i piccoli uomini, che penano rinchiusi nel recinto sociale che sono riusciti a costruirsi contro il libero cielo e che non sanno e non sentono ciò che io sono e sento in questo momento. Ieri ero come loro, tra qualche giorno ritornerò come loro. Oggi sono un prigioniero che ha ritrovato la sua libertà. Domani sarò un gran signore che comanderà alla vita e alla morte, alle stelle e agli elementi (Giusto Gervasutti).
Ci sarà anche del vero in quello che scrive Giusto Gervasutti, ma questo sentimento snobistico e di superiorità nei confronti di tutti gli uomini normali è veramente odioso.
Solo perché non arrampicano non significa certo che vivano chiusi in un recinto sociale.
Tutte queste idee che hanno sostenuto il mito del superuomo e condotto all’affermazione dell’ideologia nazista e fascista, hanno contribuito a frenare l’alpinismo europeo, sclerotizzarlo e chiuderlo in una isolata torre d’avorio autoreferenziale. Ciò ha dato origine al club elitario degli Accademici del CAI e finché noi ci arroccavamo in questi circoli, oltreoceano se ne fregavano di tutte queste divisioni e cominciavano a spingere l’arrampicata veramente verso l’alto.
Ci vorrà la spallata del Nuovo Mattino a portare un po’ d’aria fresca in questa autoesaltazione.
Io commisero Giusto Gervasutti!
Royal Robbins, scalatore americano degli anni sessanta, contribuì ad innalzare il livello dell’arrampicata in Yosemite e poi di conseguenza nel mondo. Mentre gli altri scalatori americani erano dei parassiti sociali freak e figli dei fiori, Royal Robbins aveva uno stile di vita molto più regolare. E’ interessante notare come già cinquant’anni fa l’abbigliamento fosse molto diverso dall’abbigliamento usato sulle Alpi nei medesimi anni. Dai suoi scritti traspare un approccio all’arrampicata e alla vita totalmente diverso da quello professato da Gervasutti.
CONTINUA
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1
L’abbigliamento è diverso anche perché il clima di Yosemite non è certo quello delle Alpi.
Quando Robbins è venuto a scalare sul Dru non credo avesse gli stessi pantaloncini corti della foto.
E comunque Robbins è colui che ha troncato i chiodi a pressione della via di Harding al Cap. Non era poi così dissacratore.
…”Tutte queste idee che hanno sostenuto il mito del superuomo e condotto all’affermazione dell’ideologia nazista e fascista, hanno contribuito a frenare l’alpinismo europeo, sclerotizzarlo e chiuderlo in una isolata torre d’avorio autoreferenziale. Ciò ha dato origine al club elitario degli Accademici del CAI e finché noi ci arroccavamo in questi circoli, oltreoceano se ne fregavano di tutte queste divisioni e cominciavano a spingere l’arrampicata veramente verso l’alto.”…
Sarà anche vero… che l’alpinismo europeo era frenato e sclerotizzato. Ma quello che realizzarono in quel tempo uomini come Gervasutti, Vinatzer, Rebitsch, Carlesso, ecc, gli americani se lo possono solo sognare.
Aggiungo una citazione che mi piace molto, dall’autore di X Generation…
“Adventure without risk is Disneyland” [Douglas Coupland].
Grazie Massimo Bursi [& Gogna Blog] per questo scritto ispirante!