Flash di alpinismo
Citazioni, impressioni e immagini – parte 11 (11-13)
di Massimo Bursi
Punti di vista
Contrariamente al danaro, la forza in Yosemite non è mai abbastanza. È interessante osservare gli arrampicatori, che hanno l’aspetto distrutto, paiono inabili per qualunque lavoro e per qualunque pensiero impegnativo. C’è qualcosa che tiene in regola la loro vita sregolata: la sbarra per le trazioni. Alcuni, come John Bachar, Ron Kauk, John Jablonski o Dale Bard, anche se in un giorno non fanno proprio niente, non tralasciano mai le loro cento trazioni, per acquistare l’aspetto e la forza di Tarzan, perfino dopo una notte di droga quando hanno gli occhi rossi come il tramonto (Reinhard Karl).
Il fatto di non avere alle spalle centocinquant’anni di alpinismo ha consentito agli americani di sviluppare un approccio all’arrampicata ed uno stile di vita considerato rivoluzionario per noi europei.
A loro non serviva un Nuovo Mattino, poiché loro erano nati nuovi, là il Mattino è sempre Nuovo.
Non esiste una verità precostituita ma solo modi consolidati di vedere la realtà: prova a cambiare il tuo punto di vista se vuoi vedere diverso.
John Bachar, Jim Bridwell e Dale Bard, ecco qui alcuni trasgressivi protagonisti della Yosemite Valley. Questa ed altre immagini simili hanno scatenato nelle fertili menti di noi giovani europei la voglia pazza di scardinare le consolidate regole dell’alpinismo classico
Parassiti sociali
I nostri modelli erano i frequentatori della Yosemite Valley: vivevano in tende logore o in miseri camper al Camp 4; andavano in jeans consunti e laceri, fouloard e occhiali da sole. Al mattino li incontravi al bar, dove alcuni di loro consumavano per colazione gli avanzi di altri clienti. Durante il giorno si arrampicava sodo, il più possibile; il pomeriggio ci si intratteneva con vari giochi e si bighellonava dalle parti del Mountain Bar. I cinque punti fermi fondamentali del climber erano: 1) arrampicare 2) prendere il sole 3) mangiare 4) droga 5) donne. Solo in casi di estrema necessità rientrava nel programma giornaliero la parola “lavoro” (Heinz Zak).
Chiaramente questo programma di vita dissoluto e disordinato spaventava i rappresentanti dell’alpinismo tradizionale da sempre più vicini ad un rigido approccio militare che ad una vita scanzonata ed anarchica sbandierata da questi cappelloni.
Eppure loro, gli americani, hanno innalzato i livelli dell’arrampicata ed hanno portato una ventata di novità nella vecchia Europa: le vie degli americani nel Monte Bianco, Aiguille du Fou del 1963, la direttissima al Petit Dru del 1965 sono il segno di novità di una nuova generazione che arrivava da oltre oceano.
La vera sfida è arrampicare ed innovare senza utilizzare droghe e senza essere dei parassiti sociali.
Un’immagine degli anni sessanta dal campeggio più scalcinato di tutta la Yosemite Valley: è il mitico Camp 4. Qui è nata anche la cultura beat e hippy
Trasgressioni
I jeans e la fascia nei capelli non erano l’unico simbolo di trasgressione; si trasgrediva di più con le dimenticanze: il casco lasciato a bella posta sul sedile dell’auto o lo zaino abbandonato come una zavorra ai piedi della parete. “Lo zaino è la casa dell’alpinista” dicevano i vecchi, dunque lo zaino restava giù. Velocità e leggerezza erano i nuovi segni di elezione, e allora si andava via in maglietta con una giacchina legata in vita “che tanto i bivacchi son fatti per chi non sa arrampicare” (Enrico Camanni).
I segni, i vestiti, gli atteggiamenti sono importanti se si vuole segnare una frattura ed una rottura con il vecchio mondo.
Scorrendo le vecchie foto si vedono volti ispirati di rivoluzionari che preferivano le pareti di roccia alla lotta di classe, ma tutti sognavano un mondo diverso e si aspettavano un futuro migliore del presente che stavano vivendo.
In queste foto vedo anche la voglia di sbalordire e di scandalizzare. Tutto è servito poiché è nato un abbigliamento più funzionale e materiali più leggeri che consentono prestazioni migliori e tempi di permanenza in parete più rapidi.
Se oggi arrampichi leggero con la tua bella imbragatura, i tuoi pantaloni che ti consentono movimenti agili e le tue scarpette che ti offrono aderenza quasi magica, voltati indietro e pensa, ringraziando, ai pionieri di qualche anno fa.
Giancarlo Grassi, ispirato, in una foto d’epoca. Giancarlo Grassi lasciò il lavoro della fabbrica per buttarsi a vivere di montagna inseguendo, come tanti, un sogno. Giancarlo Grassi aveva trovato nella montagna e nelle sue innumerevoli vie nuove di roccia e di ghiaccio la sua dimensione onirica
Banca di ricordi
Claudio ogni volta che accarezza con amore la sua collezione di chiodi ripete: “Questa è la mia banca!”. Poi comincia a fare i calcoli, un chiodo comperato tanti anni fa costa oggi tanto di più (Anna Lauwaert riferita a Claudio Barbier).
L’attaccamento feticistico al materiale di arrampicata è cosa nota nell’ambiente, ma soprattutto i chiodi utilizzati o recuperati diventano oggetto di leggende.
“Lo vedi questo chiodo? Mi è rimasto in mano salendo la Schiena di mulo della Costantini-Apollonio in Tofana”.
“Questo chiodo marchiato GR dovrebbe essere uno dei famosi chiodi di Gaston Rébuffat che ha utilizzato sulla Torre Rossa del Mont Blanc de Tacul”.
Insomma i chiodi costituiscono un investimento economico di valore assai limitato ma una riserva aurea ed inesauribile di ricordi, a volte veri a volte ingigantiti dalla solitudine, disperazione, rassegnazione di vedere l’età che avanza.
Ai racconti di un vecchio alpinista non credere mai!
Sulla via del Corno Stella aperta da Frank Ruggeri ed Didier Ughetto nel 1962, questi ingegnosi primi salitori hanno utilizzato dei friend primordiali per superare una ostica fessura strapiombante. Oggi questi aggeggi preistorici sono ancora in loco e sfruttando questi aggeggi Patrick Berhault riuscì a salire in libera tutta la via compresa questa fessura
Confusione
Vivevamo in uno stato di magnifica confusione (Andrea Gobetti).
Andrea Gobetti, un lucido pensatore, abile scrittore, esperto speleologo e mediocre scalatore, ma noto soprattutto per aver fatto parte del gruppo Mucchio Selvaggio del Nuovo Mattino torinese, così sintetizza quel periodo in cui la scalata si trasformò da attività alpina ben strutturata a giocoso e libertario approccio alla scalata senza apparenti regole.
Fu un periodo caratterizzato da confusione ma anche da magnifica creatività e come in tutte le rivoluzioni si mescolarono indissolubilmente il bene ed il male ed ognuno cercò di appropriarsi di quello che stava succedendo.
Furono solo pochi anni in cui cambiò tutto il modo di scalare ed andare in montagna.
È come nella vita: da ragazzo diventi uomo ed in pochi anni fai tante diverse esperienze creative, caotiche e confusionarie, a distanza di tempo i ricordi si smussano e tu non credi di essere stato quello che ti dicono eri.
Difficilmente in una vita ordinata ed ordinaria riesci a compiere imprese straordinarie.
Le spedizioni alpinistiche partono sempre da una grande confusione che serpeggia nel parcheggio delle automobili. Piano a piano tutto viene stivato negli zaini e si parte. Nella foto Heinz Mariacher e Luisa Iovane
Canto di gioia
lo quando arrampico da solo guardo sempre giù per inebriarmi del vuoto, e canto dalla gioia. Se non ho fiato per cantare, perché il passaggio difficile me lo stronca, allora il canto continua muto nel mio interno (Emilio Comici).
Io mi immagino l’Emilio Comici come un uomo gioioso quando arrampicava, ma malinconico quando giungeva in vetta.
Forse Comici era uno di quelli artisti che veramente riusciva a dare il meglio di se stesso in questa futile ed inutile attività che si chiama arrampicata.
Arrampicare, a lui come a molti di noi, gli dava gioia e serenità.
Di nuovo, immagino l’Emilio Comici, da quanto ha scritto molto diverso da quello stile fascista e ipocrita dell’epoca. I suoi scritti lasciano intravedere una freschezza da “Nuovo Mattino” che stento anche oggi a trovare in molte pagine delle riviste del CAI intrise di falso cameratismo pieno di retorica passata.
Se quando arrampichi non ti viene più voglia di cantare, allora forse è meglio smettere per un po’ di tempo!
Arrivare in cima ad una montagna può essere fonte di gioia e può anche venire voglia di cantare. Certo che l’effetto di tutte queste persone su questa cima così piccola crea un po’ di angoscia e passa la voglia di cantare! Notare l’alpinista all’estrema sinistra: che sia il capocordata?
Antichi attacchi
Quando saremo vecchi, mi guiderai ai nostri antichi attacchi e staremo lì a guardare in su (Dino Buzzati a Gabriele Franceschini).
Allora? Non è bello andare agli “attacchi” e osservare lo svilupparsi delle vie che un tempo si percorrevano?
Conosco un pensionato che ha bivaccato sotto tutte le grandi storiche pareti delle Dolomiti e delle Alpi: Civetta, Marmolada, Eiger, Grandes Jorasses, Cervino. Non potendo salirle era molto soddisfatto di poter fare l’avvicinamento e dormire dove dormivano i grandi alpinisti.
Il bello dell’andare in montagna è che ciascuno può fissarsi il proprio obiettivo secondo le proprie capacità.
Inoltre l’obiettivo può variare con gli anni: la gita che a vent’anni non ti dice nulla, a sessant’anni può diventare un traguardo molto importante per te.
Inevitabilmente con il passare degli anni, diminuendo la prestanza fisica, gli obiettivi diventano più limitati ma non per questo meno stimolanti. Lo stile e l’esperienza compensano la diminuzione della forza fisica.
Postulato: quando in falesia trovi una cordata la cui somma degli anni supera i cento, osserva il loro stile e impara.
Al centro della foto il mitico scalatore inglese, invecchiato ed irriconoscibile, Ron Fawcett. Ron Fawcett è stato uno dei primi scalatori ad applicare un allenamento scientifico all’arrampicata e facevano abbastanza scandalo le sue dichiarazioni che non poteva venire a scalare sulle Alpi poiché una perturbazione di due o tre giorni gli avrebbe impedito di scalare e avrebbe compromesso il suo livello di allenamento della stagione. Poi quando Ron Fawcett scendeva in Verdon, faceva vedere ai francesi come innalzare il livello di difficoltà nei vari itinerari estremi. Oggi Ron Fawcett dichiara che arrampica più o meno sulle stesse difficoltà di trentanni fa quando era un professionista squattrinato dell’arrampicata
Eterni sognatori
Tu vedi delle cose e ti chiedi: perché? Io sogno di cose che non ci sono mai state, e che forse non ci saranno mai, e mi dico: perché no? (Wolfgang Güllich).
Wolfgang Güllich riflette sul concetto di immaginare di poter fare e realizzare vie e pareti impossibili.
In fondo quei ragazzi, allenati e dotati di una capacità straordinaria, hanno il dovere di abbattere il muro e spingere i limiti un po’ più in là.
Noi sogniamo, andiamo e ripetiamo le pareti fattibili, ma loro pensano in anticipo itinerari che esistono solo nelle menti più fervide e poi si applicano e li realizzano.
Questa capacità di sognatori non è una prerogativa esclusiva dei fuoriclasse, tutte le persone che vanno in montagna o scalano devono poter riprendersi il concetto di essere eterni sognatori.
È bello addormentarsi alla sera e pensare, sognare, una cima, una parete, una via, un sasso ed un sentiero che si desidera percorrere.
Il vero alpinista ha uno zaino sempre pieno di sogni!
Avere dei sogni e riuscire a realizzarli non è da ingenui ma da persone con i piedi per terra!
I ragazzi spesso sognano pareti di roccia perfetta con linee di arrampicata magnifica che sembrano quasi impensabili come questa parete del Verdon
Conseguenze
In natura non ci sono premi o punizioni, ci sono solo conseguenze (Mick Halligan).
Spesso a fronte di qualche tragedia leggo sui giornali che la montagna si è vendicata o che si è svegliato l’orco o a volte alcuni scalatori si lamentano che la montagna, scatenando una slavina, si è ripresa la sua naturale tranquillità.
Fa bene umanizzare la natura e pensare che interagisca con noi seguendo la nostra logica umana, ma la realtà è molto più semplice e sicuramente meno romantica.
Quello che ci succede quando scaliamo sulle montagne è la conseguenza dei nostri comportamenti. Non ci sono logiche di premi o punizioni.
Può capitare anche un incidente.
A volte ci va bene, a volte ci va male. Non ho ancora capito chi devo ringraziare o con chi devo prendermela.
Se qualcosa va male o fortunatamente si risolve bene, prenditela con te stesso.
Alcuni incidenti ed alcuni rischi non sono proprio prevedibili, ad esempio la caduta di valanghe può essere aleatoria oppure molto prevedibile
Arrampicata indoor
Le palestre d’arrampicata indoor sono la feroce conquista di una società che porta l’aria aperta al chiuso per meglio recintarne gli abitanti (Fabio Palma).
Non potrei mai parlare male dell’arrampicata su plastica che consente di vivere l’esperienza della roccia anche in città, anche quando c’è brutto tempo ed anche quando non hai abbastanza tempo per la vera roccia.
Inoltre l’indoor è una formidabile e straordinaria modalità di allenamento, anzi è l’allenamento per eccellenza.
Eppure la roccia è tutt’altra esperienza, è una cosa completamente differente dalla plastica.
C’è meno puzza, c’è meno polvere di magnesite inoltre appigli ed appoggi non sono sempre evidenti.
Inoltre le palestre sono gestite da persone appassionate di scalate che cercano di spillare danaro ad altre persone fanatiche di roccia.
Io, conoscendomi, non potrei mai gestire una palestra di arrampicata indoor, perché farei entrare gratis tutti gli scalatori, gli amici, chi vuole provare e chi è venuto da lontano.
Trovo squallida l’idea di approfittare di una passione per chiedere del denaro ad altri appassionati.
Non mescolare mai il piacere con il dovere.
Le palestre indoor sono nate dalla necessità e dalla fantasia creativa degli scalatori estremi che avevano la necessità di arrampicare sempre, anche con il brutto tempo, per innalzare i propri limiti. Qui vediamo una palestra casalinga di Jerry Moffatt dove Mark Leach sta arrampicando sotto lo sguardo attento di Ben Moon e di Jerry Moffatt, sullo sfondo un poster della Yosemite Valley per continuare a sognare
CONTINUA
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