Flash di alpinismo
Citazioni, impressioni e immagini – parte 09 (9-13)
di Massimo Bursi
Aria fresca e rock music
La gita finisce solo quando si entra in casa.
Il ritorno a casa è l’ultimo vero passaggio della via.
Non è la cima il vero obiettivo.
Terminata la via, c’è la discesa che può essere insidiosa. Spesso ci si rilassa e quindi nella discesa si corrono molti pericoli.
Terminata la discesa, un altro passo importante è ritrovare le chiavi della macchina: passaggio facile ma non scontato.
Infine c’è il ritorno in macchina, lungo o corto, di giorno o di notte, ma spesso stravolti dalla stanchezza, dal sonno, dalla fame; a tutto questo si aggiungano i discorsi sconclusionati con il tuo amico ed i progetti di nuove vie, discorsi fatti tanto per rimanere svegli.
Chi non si è ritrovato, almeno una volta, a guidare in autostrada con le palpebre che si stanno chiudendo mentre tutti i compagni in macchina dormivano tranquillamente?
Aria fresca, finestrino aperto e martellante musica rock ti aiutano ad arrivare a casa.
Stefan Glowacz ed il suo furgone per vivere, dormire ed allenarsi. Alex Honnold ha deciso di vivere in un furgone per poter essere libero di spostarsi e vivere liberamente le aree dove poter scalare.
Ma dove credi di andare?
Uno dei regali che mi venne fatto dai miei genitori nel giorno di un compleanno fu un altimetro. Era molto bello e preciso ma con un difetto; misurava fino a 4000 metri. Allora non pensavo ancora all’Himalaya e ai suoi Ottomila, ma certamente era già ben vivo in me il desiderio di scalare almeno il Monte Bianco. Il mio altimetro poteva andare bene in Dolomiti, non sulla più alta cima delle Alpi. Timidamente feci osservare a mio padre e a mia madre che l’altimetro arrivava “solo” fino a 4000 metri.
“Figurati, perché? Dove credi di andare?” fu la loro sorpresa risposta (Marco Bianchi, salitore di sette ottomila metri).
I figli, con la loro testolina, spesso sono più lungimiranti dei genitori. I figli spesso sono più ambiziosi dei genitori. I figli spesso coltivano sogni che i genitori neanche possono pensare.
Le rivoluzioni vengono fatte dai giovani e mai dai vecchi. I giovani cambiano il mondo.
I nuovi gradi di arrampicata, le novità vengono portate dai giovani.
E’ fondamentale che i meno-giovani non frenino mai le ambizioni dei ragazzi.
E’ fondamentale che i meno-giovani imparino dai ragazzi.
Quando regali un chiodo da roccia ad un figlio, non puoi mai sapere su quale parete verrà piantato.
Questo giovanissimo ragazzo diciassettenne ancora imberbe e con ancora lo sguardo da bambino sta apprestandosi ad aprire un itinerario leggendario che farà storia per molti anni: Jindrich Sustr e la via del Pesce. Alcuni genitori a quell’età reputano i propri figli ancora immaturi.
Dentro la natura
Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai (Reinhold Messner).
Forse il fine ultimo di tutto questo nostro scappare nella natura è proprio quello di gustarsi una stellata all’aperto o quello di camminare in silenzio nel bosco e sentire le foglie scricchiolare sotto i piedi.
Ti accorgi allora che i gradi e le salite competitive più o meno difficili sono un’infrastruttura, un di più che rischia di allontanarti dalla vera natura.
Quando ti senti così scappa dai centri di arrampicata in plastica, fuggi dalle altre persone.
Nella vita mi è capitato di dover ritrovare la natura ed il senso profondo di me stesso e della mia vita e per fare questo ho dovuto fare il silenzio dentro di me: camminare da solo nella natura per ore ed ore fino a stordirmi per sentire altre voci e mettere a tacere la mia coscienza sempre vigile e allerta.
Riprenditi i tuoi spazi ed i tuoi tempi, prendi un paio di scarponi ed un vecchio zaino e cammina fino a notte e poi continua a camminare ancora per trovare nella natura il tuo vero io.
A volte è necessario scappare su qualche montagna solitaria per ritrovare se stessi in un rapporto con la vera natura selvaggia e solitaria. Nell’immagine Lorenzo Massarotto su qualche gendarme dolomitico “minore”.
Stile
La prima cosa che si deve curare nell’arrampicamento è lo stile, perché, come in tutti gli sport, lo stile dà maggior rendimento con un minor spreco di energie. A questo si può giungere soltanto quando si proceda sulla roccia con disinvoltura e pienamente sicuri di sé (Emilio Comici).
Emilio Comici, alpinista degli anni trenta, è stato uno scalatore fortemente innovativo ma ancora più moderne sono le sue idee di arrampicata. Emilio Comici ha introdotto, nel concetto dello stile di arrampicata, il concetto di efficienza.
Se arrampichi meglio, risparmi energie e puoi spingere il tuo limite più in là.
Sono idee molto moderne riprese da tanti fuoriclasse che hanno capito che è importante allenarsi, ma lo è ancor di più arrampicarsi con stile e con la giusta tecnica che ti fa risparmiare forze e, si sa, la forza in arrampicata non è mai troppa.
Conviene investire più tempo nello stile di arrampicata che nell’allenamento poiché lo stile farà per sempre parte del tuo bagaglio di alpinista.
Cerca che il tuo stile di arrampicata sia quello di una macchina 4×4 che sa adattarsi al tipo di terreno – non essere uno scalatore a trazione anteriore che arrampica sugli strapiombi solo a forza di braccia – non essere uno scalatore a trazione posteriore che arrampica solo di gambe sui diedri ad appigli svasati o su placche appoggiate.
Emilio Comici in una delle sue tante pose plastiche: braccia tese per fare meno fatica, bacino in fuori, controllo perfetto dell’utilizzo dei piedi ed infine scarpette al posto dei rigidi scarponi.
Denaro inutile
Non puoi comprarti un settimo grado (Rob Robinson).
Ci sono cose nella vita che non puoi comperare, la soddisfazione di una bella scalata e la paura di una placca senza chiodi: sono sensazioni che non hanno prezzo.
Puoi comperarti la miglior attrezzatura, puoi assicurarti i servigi della miglior guida della valle, ma quando sei sul passaggio sei solo tu, te stesso, nudo.
A nulla valgono le tue carte di credito e il poco o tanto che possiedi.
Lo sport estremo e le difficoltà creano la vera democrazia, il merito vince sul bene materiale.
E’ una delle rare situazioni in cui i soldi non fanno la differenza.
In più quando sei su una lunghezza particolarmente impegnativa e ti accorgi che stai perdendo la preziosa macchina fotografica, lì per lì la cosa non ti disturba poiché è un aggeggio voluttuario che non ti serve per progredire sulla parete: le cose materiali perdono di significato.
Non puoi comperarti la felicità.
Igor Koller e compagni accampati alla base della Marmolada durante una delle loro tante campagne estive prima che diventassero famosi e fossero ricoperti di attrezzatura ed abbigliamenti delle famose case produttrici occidentali.
La mancanza di denaro non ha impedito loro di lasciare un segno indelebile sulle Dolomiti.
Opere d’arte?
Saper ideare la via più logica ed elegante per attingere una vetta disdegnando il versante più comodo e facile, e percorrere questa via in uno sforzo cosciente di tutti i nervi, di tutti i tendini, disperatamente tesi per vincere l’attrazione del vuoto e il risucchio della vertigine, è una vera e qualche volta stupenda opera d’arte: vale a dire il prodotto dello spirito e dell’estetica, che scolpito sulla muraglia rocciosa durerà eternamente, finché le montagne avran vita (Emilio Comici).
A lungo si è discusso se l’atto di apertura di una via sia paragonabile ad un’opera d’arte, allo scolpire un blocco di pietra per trarne una scultura oppure alla creazione di un quadro.
No, io non penso che aprire una via sia paragonabile allo sforzo creativo di fare un’opera d’arte, in fin dei conti aprire una via è scoprire un modo intelligente, facile, difficile o geniale o maledettamente stupido e faticoso di passare sulla parete.
La via, con le sue fessure, le sue caratteristiche placche o appigli nascosti, c’era già ed era stata creata da Dio o dal caso o dalle forze caotiche della natura in un lontano Big-Bang, ma sicuramente non da noi che passavamo guardinghi in apertura.
Chi apre una via, altro non fa che visualizzare e percorrere un itinerario che già esisteva.
Comici, scalatore amante del bello ed innamorato dell’estetica la pensava diversamente.
Se frequenterai le falesie ti accorgerai che ci sono pochi veri artisti, tanti artigiani e tanti nerboruti atleti.
Oggi aprire una nuova via è molto spesso un lavoro artigianale sottoposto al giudizio critico di tutti i ripetitori che vogliono tanti chiodi o pochi chiodi, vogliono certezze ed in generale riflettono tutti l’ansia e l’insicurezza dei tempi in cui viviamo. Il creatore ispirato dell’opera d’arte a cui faceva riferimento Emilio Comici sembra davvero distante.
A memoria
Visitiamo la palestra di roccia ai Gaillands.
Un ragazzo arrampica usando i nut, Claudio scherza: “Questo e’ barare!”.
Il ragazzo replica: “Perché? Sei della polizia?”. Poi rifà la via senza i nut. “Allora? E’ barare questo?”.
“No” sfotte Claudio, “questo e’ conoscere a memoria” (Anna Lauwaert, a proposito di Claudio Barbier).
Arrampicare a memoria è esattamente l’opposto che arrampicare a vista. A vista ti muovi guardingo sulla roccia poiché non sai cosa ti aspetta quando alzi un braccio e cerchi sempre di prevenire il passaggio. A vista ti muovi con circospezione e il tuo cervello produce adrenalina in quantità.
Quando invece sei un cosiddetto local e ti muovi nella tua falesia di casa conoscendo esattamente il passaggio e sai che il tuo cervello si aspetta esattamente certe sensazioni, anche estreme, che nascono dal piacere, o dall’ansietà, di conoscere in anticipo il passaggio che ti aspetta, allora è sicuramente un altro arrampicare: non meno bello, non meno piacevole, ma certo più scontato.
A volte ti servono le sensazioni scatenate dall’arrampicata a vista ed altre volte ti serve riposare con un’arrampicata conosciuta.
Cristophe Profit arrampica a memoria e senza corda sulla Diretta Americana al Petit Dru. Spesso le solitarie riportate dai mass-media sono vie provate e riprovate diverse volte fino a conoscere a memoria i passaggi chiave al fine di contenerne il rischio. Ciò non toglie che siano imprese veramente estreme.
Barare
Un otomila con ozigeno è come ciro d’Italia con motocicletta (frase apocrifa attribuita ad Hans Kammerlander).
Sia che si arrampichi su roccia che si salga su una parete himalayana o su una cascata di ghiaccio è sempre possibile trovare delle scorciatoie per arrivare in cima o per migliorare le proprie prestazioni.
Recentemente ho visto un ragazzo con una specie di canna da pesca allungabile a cui era agganciata corda e rinvio per raggiungere un chiodo distante ben tre o quattro metri: un aggeggetto professionale chiamato “il furbo” o “il bastardo”.
Anni fa si usava un rinvio con un’anima in fil di ferro per raggiungere il chiodo irraggiungibile.
Il concetto è sempre quello, arrivare là dove non potresti: usare gli spit per ammorbidire un tratto per te impossibile, usare l’ossigeno per spostare in su il tuo limite, usare le staffe o un semplice cordino per passare laddove non riusciresti.
Non c’è nulla di male nell’usare queste perverse attrezzature tecniche, l’importante è di essere consapevoli di quello che si sta utilizzando, di non montarsi la testa e di ricordarsi di portarle sempre con sè nello zaino.
Se arrampichi senza corda non puoi barare né a te stesso né agli altri. Lorenzo Massarotto senza corda sul diedro Casarotto allo Spiz de Lagunaz sulle Pale di San Lucano nel 1982.
Dio denaro
Gente come Jerry Moffatt, che alla fine degli anni Settanta viveva per mesi in una stamberga nelle zone di arrampicata, ora sfreccia in Porsche fino alla base delle falesie (Heinz Zak).
All’inizio ci si era illusi che un’attività estrema da individui ai margini della società quale l’arrampicata, grazie ai mass-media, al boom del free-climbing e alle nascenti gare d’arrampicata, potesse diventare uno sport di massa. Gli sponsor mettevano ingenti finanziamenti per fare si che gli hippy parassiti altresì chiamati climber potessero vivere agiatamente senza far nulla.
Nessuna illusione fu più falsa di questa.
Ci furono pochissimi pionieri che riuscirono a vivere ingegnosamente di arrampicata come Jerry Moffatt, Wolfgang Guellich, Patrick Edlinger, ma tutti gli altri dovettero industriarsi ad arrotondare la propria attività preferita con lavoretti ai margini: chi disegna nuove scarpette d’arrampicata come Heinz Mariacher, chi lavora come disgaggiatore per mettere in sicurezza le strade ed i più hanno trovato lavoro come guida o come istruttori indoor nei capannoni d’arrampicata.
Così rimanendo in Inghilterra assistiamo ad un fortunatissimo Jerry Moffatt che, nato negli anni giusti, riesce a fare fortuna anche economica, mentre Ron Fawcett, di qualche anno più vecchio, vive continuamente con l’incubo economico ed è stato costretto a compiere furtarelli per soppravvivere.
Se vuoi continuare a divertirti separa il denaro dall’arrampicata.
Una pubblicità della fine anni settata relativa alle prime scarpette di arrampicata de La Sportiva, un modello che precedeva le mitiche Mariacher. Si noti l’abbinamento vincente con la Formula 1 anche se non ci capisce perché la macchina debba essere verticale! Interessanti e soprattutto utili sono anche gli schizzi su come utilizzare le scarpette, visto che si passava dagli scarponi ad una calzatura più morbida.
Un appiglio per amico
Quando guardi in su sembra di vedere appigli dappertutto, poi ti concentri. Allora scopri che quelli veri, quelli su cui vai avanti, sono soltanto due o tre. Gli appigli sono come gli uomini. Quel che ti sembra di vedere è sempre tanta gente, ma se ti concentri scopri quei pochi con cui entri davvero in rapporto (Andrea Gobetti, a proposito di Manolo).
Non c’è dubbio che a volte per passare su una parete ti servono due o tre appigli giusti ed è fantastico scoprire che gli appigli effettivamente ci sono, anche quando pensavi di essere oramai approdato su un tratto assolutamente liscio! Gli appigli risolutori e chiave sono pochi, ma è proprio grazie a questi che passi.
A volte ho le visioni e scopro appigli risolutori su falesie che conosco da trentanni e mi chiedo stupito come mai mi sia accorto solo oggi che grazie a quest’appiglio riesco a risolvere il passaggio.
Per me la vera prova dell’esistenza di Dio è quando trovo una fantastica sequenza di appigli su una parete laddove oramai mi vedevo sconfitto!
Un appiglio è una certezza nella fragile vita dello scalatore.
Mago Manolo impegnato su una placca verticale estremamente difficile. E’ questa la sua specialità su cui non molla malgrado abbia superato i 50 anni.
CONTINUA
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