Il CAI lascia l’UIAA
di Vincenzo Torti, presidente generale del CAI
(editoriale di Montagne360, agosto 2018)
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)
Ricordo il testo di una canzone di Giorgio Gaber: “L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso ad un’apparente aggregazione, appartenenza è avere gli altri dentro di sé“. Nella non casualità è insita una scelta che, per mantenersi consapevole nel tempo, impone costanti verifiche, per non trasformarsi nel consenso a qualcosa che appare in un modo, ma che in realtà potrebbe essere divenuto altro. Quando confermiamo l’iscrizione al CAI, ad esempio, operiamo una precisa scelta di appartenenza, convinti che la nostra individualità possa arricchirsi ed esprimersi ancor più compiutamente all’interno dell’Associazione e, altrettanto, con la medesima convinzione, deve accadere ogni qualvolta il CAI sia chiamato a confermare la propria partecipazione a realtà associative internazionali. E quanto più l’adesione sia risalente nel tempo, tanto più è doveroso verificare se la stessa corrisponda ancora alle motivazioni per cui è sorta o che si sono formate nel tempo, o se, invece, non si tratti di un’appartenenza rinnovata in modo acritico e abitudinario, rispetto a quella che, al di là della mera apparenza formale, potrebbe essersi trasformata in qualcosa di profondamente diverso.
Ed è con questo spirito che, anche sulla scorta delle segnalazioni succedutesi nel tempo da parte dei nostri rappresentanti, sia nel Board che nel Management Committee, di concerto tra CDC e CC, abbiamo riesaminato con cura l’andamento e la gestione dell’UIAA (Union Internationale des Associationes d’Alpinisme), alla cui fondazione, avvenuta in Chamonix il 27 agosto 1932, il Club alpino italiano ha preso parte. Ci siamo così resi conto che gli sforzi profusi da Paola Gigliotti, Silvio Calvi, Stefano Tirinzoni, Lucia Foppoli e, in quest’ultimo periodo, da Piergiorgio Oliveti, all’interno degli Organi di vertice, nel tentativo di recuperare una gestione trasparente e rivolta prioritariamente alle finalità per cui l’UIAA era stata costituita, sono stati vani e che, in realtà, è intervenuta una profonda e inarrestabile deriva, che ha condotto a quella che ben può definirsi una mutazione genetica. In altri termini: l’UIAA di oggi, per la mancanza di trasparenza su come opera ed è gestita, per le inesistenti progettualità da parte del Board e per la creazione di priorità estranee all’essenza della Federazione stessa, al punto da vanificare quelle originarie, si è trasformata in una struttura nella quale il Club alpino italiano non si riconosce e dalla quale ritiene di dover prendere le distanze. Qualche esempio varrà più di molte parole. I soli costi di gestione della sede di Berna, dello staff (dipendenti) e dell’Office, sono superiori al complesso delle entrate degli associati e i tentativi di aumentare, anche di poco, i contributi associativi, sono stati respinti dall’Assemblea Generale benché, per la maggior parte delle federazioni, si trattasse di pochi CHF (franchi svizzeri, moneta di riferimento dell’UIAA), a fronte dei ben più rilevanti costi delle trasferte delle delegazioni in giro per il mondo.
Ciò nonostante, il budget 2018, a dispetto della chiusura in perdita dell’esercizio 2017, ha previsto un ulteriore aumento di spesa per il solo staff di CHF 41mila (35mila euro circa), connesso a un’assunzione aggiuntiva.
Ora, è a dir poco inconcepibile che, a fronte della cronica insufficienza delle risorse associative e nonostante le diverse indicazioni fornite, ogni volta, dai nostri rappresentanti, i direttivi succedutisi nel tempo si siano orientati, anziché al contenimento delle spese, verso l’acquisizione di maggiori contributi da parte di sponsor, fatto di per sé non negativo, ma che si è rivelato destabilizzante per come è stato attuato.
Infatti si è perfezionato un contratto con un noto produttore di abbigliamento sportivo che, però, ha preteso e ottenuto, con il superficiale avallo dell’Assemblea Generale (partecipare per credere!), che il contributo versato fosse destinato interamente ed esclusivamente all’organizzazione di attività nel settore di suo interesse, vale a dire l’Ice Climbing Competition.
Queste le conseguenze: lo sponsor, imponendo il totale reimpiego in tale settore, ha chiesto e ottenuto, altresì, l’inserimento dell‘organizzazione di competizioni di Ice Climbing tra le finalità statutarie dell’UIAA, il cui staff, pagato con i contributi degli associati, si trova, così, prevalentemente impegnato nell’organizzare ciò che serve allo sponsor che, in tal modo, riceve un ulteriore beneficio. Di rimando, alle Commissioni che si occupano delle finalità storiche, al cui interno hanno operato e operano, con grande competenza e dedizione nostri soci (ricordo, attualmente, Vittorio Bedogni, Enrico Donegani, Claudio Melchiorri e Mattia Sella), il budget 2018 ha riservato risorse irrilevanti, come nel caso dei 1000 CHF (860 euro circa) all’Alpinismo, rispetto ai quali stridono i 209mila CHF (poco meno di 180mila euro) per Ice Climbing Competition. Ma non basta: l’unica soluzione correttiva individuata dall’attuale Board (nonostante le resistenze del nostro Oliveti) per ovviare al crescente fabbisogno prodotto dagli aumenti dei costi della struttura, è costituita dal tentativo di reperire ulteriori sponsor, così perdendo definitivamente quel poco di autonomia che, forse, era rimasta. In questo contesto il CDC, affiancato dal Consigliere Centrale delegato ai rapporti internazionali, Renato Veronesi, si è incontrato nel 2017 a Milano con il Presidente del Board, Frits Vrijlandt, sollecitando una pur graduale, ma concreta e significativa, inversione di tendenza, ottenendo assicurazioni al riguardo, risultate, però, totalmente disattese dalle strategie riflesse nel budget 2018, destinato a provocare, come si è visto, un ulteriore aggravamento della già precaria situazione. Il tutto, va sottolineato, con una gestione priva di trasparenza e rispetto alla quale l’organo deputato ai controlli (Management Committee) si vede assegnato un tempo risibile per svolgere la propria funzione: l’ultima riunione convocata a Katmandu (!) prevedeva al mattino l’audizione delle relazioni delle Commissioni e, al pomeriggio, una riunione di poche ore per le attività istituzionali, destinate, in tal modo, a risultare inattuate. Ecco perché, su unanime richiesta del CDC, nella seduta del 23 giugno 2018 il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo, con voto parimenti unanime, ha deliberato il recesso del Club alpino italiano da “questa” UIAA che, del tutto dimentica delle finalità per cui è sorta, presenta una gestione, oltre che totalmente priva di trasparenza e deficitaria come detto, improntata ad assicurare a pochi una accogliente sede a Berna, viaggi internazionali pagati e contatti personali, senza progettualità che abbiano al centro l’alpinismo, la libertà di accesso, la tutela dell’ambiente montano, la formazione delle federazioni meno strutturate, l’avvicinamento dei giovani alla montagna e le attività di soccorso. E pensare che i cambiamenti climatici, lo sfruttamento commerciale delle montagne più alte, le criticità per accedere ad alcune aree, le potenzialità di collaborazione da parte di realtà come il CAI, che dispone di una manualistica d’eccellenza, a favore di Federazioni che hanno minori disponibilità, rappresentano altrettanti temi sui quali un’Associazione internazionale avrebbe potuto far sentire, forte e coesa, la voce di tutto il mondo alpinistico. Ma di ciò non vi è riscontro alcuno, né si intravvedono all’orizzonte possibili inversioni di tendenza. Da qui la sofferta, ma non più procrastinabile, decisione di recedere dall’UIAA, con effetto dal 2019. L’auspicio è che ciò possa costituire un segnale forte e smuovere la sensibilità di quanti hanno ancora a cuore i temi e le criticità dei quali, soli, ci si sarebbe dovuti occupare. In ogni caso, non potremo essere considerati osservatori passivi, né superficiali e, ancor meno, conniventi: questo, per il nostro CAI, è sicuramente un passo eticamente imposto dalla realtà dei fatti.
APPROFONDIMENTI
Un punto di vista diverso
di Claudio Melchiorri, presidente della UIAA Mountaineering Commission, INA, Scuola Centrale di Alpinismo, Csmt
(pubblicato su Montagne360, novembre 2018)
Il CAI ha deliberato di uscire dall’UIAA, dopo mesi di riflessioni da parte del Presidente Generale e del Consiglio Centrale. Pur unendo il mio “obbedisco” a quello di altri, sento però di dover riportare un punto di vista sulle attività dell’UIAA un poco diverso rispetto a ciò che traspare dalle motivazioni, pur condivisibili, sottese alla decisione del CAI. A spingermi è anche il rispetto per chi, per anni, ha operato per conto del CAI nell’UIAA e nelle sue Commissioni (tra i tanti Carlo Zanantonì e Giancarlo Del Zotto) e per il ruolo che esse hanno a livello mondiale in tema di diffusione dei valori e delle pratiche dell’alpinismo e di salvaguardia e rispetto delle montagne. Attività che l’UIAA gestisce attraverso le sue commissioni: Safety, Mountaineering, Youth, Mountain Protectìon, Access, Ice Climbing, Anti-Doping, Medical. Posso parlare con cognizione di causa solo delle prime due, anche se voglio ricordare come da diversi anni le Commissioni Scuole e Alpinismo Giovanile del CAI organizzino in Italia eventi per ragazzi di ogni nazionalità in collaborazione con la Youth Commission, o come la Mountain Protection proponga iniziative internazionali per la protezione dell’ambiente alpino.
La Safety Commission è l’organo che ha redatto le prime norme tecniche internazionali sulla progettazione dell’attrezzatura alpinistica ed è l’unico ente nel quale si ritrovano tutti i costruttori e i rappresentanti di associazioni come il CAI che, con la propria esperienza e le proprie strutture, ha contribuito in modo determinante a studi e norme oggigiorno adottate, e altissimo valore è riconosciuto al lavoro svolto da Zanantoni prima e da Vittorio Bedogni ora, unitamente al Centro Studi Materiali e Tecniche di Padova.
La Mountaineering Commission, alla quale collaboro da una decina di anni dopo Del Zotto, è l’equivalente internazionale della Commissione Scuole con il compito di valutare le migliori tecniche per una pratica corretta dell’escursionismo e dell’alpinismo in tutte le sue forme (roccia, ghiaccio, scialpinismo, ecc.) e di aiutare le associazioni nella costituzione di “scuole” per la formazione alpinistica. Si occupa quindi non solo di individuare tecniche (per una sosta o per la ricerca in valanga), ma anche di “formare i formatori” di tutte le associazioni alpinistiche mondiali. Il CAI, con i suoi 75 anni di esperienza nelle scuole, ha tradizione e competenza uniche al mondo, da me rappresentate con orgoglio, e grazie alle quali abbiamo agevolato organizzazioni meno avanzate nel raggiungimento di alti standard di sicurezza. Un esempio tra i tanti: nel 2016 l’UIAA ha adottato la “scala delle difficoltà” per vie ferrate in uso in Italia (proposta dalla Commissione Scuole e dal Csmt).
Pur condividendo in parte le motivazioni che hanno portato il CAI a uscire dall’UIAA, quindi, non posso fare a meno di rammaricarmi del fatto che la decisione presa avrà come prima conseguenza l’impossibilità per il CAI stesso di offrire il proprio contributo al miglioramento della conoscenza del mondo alpinistico nel confronto internazionale, con conseguente impoverimento di entrambi.
Quello che mi auguro è che possa esserci ancora un tempo per il CAI e l’UIAA di riprendere insieme quel cammino di mutua collaborazione iniziato molto tempo fa, uniti dal giusto spirito di condivisione che accomuna tutti gli amanti della montagna.
Le braccia e la testa
di Mattia Sella, rappresentante CAI nella Mountain Protection Commission UIAA, Past-president del Comitato Scientifico Centrale
(pubblicato su Montagne360, novembre 2018)
Pur concordando con la decisione presa dal Presidente Generale vorrei chiarire che l’UIAA si occupa della tutela dell’ambiente, del rispetto della montagna e del coinvolgimento di giovani. Questi sono gli obiettivi della Mountain Protection Commission, la quale attraverso i due progetti Mountain Protection Award e Respect the Mountains sta cercando di realizzarli. Mountain Protection Award è un premio che incoraggia e sostiene tutti quei progetti che hanno come obiettivo la tutela dell’ambiente, una fruizione sostenibile della montagna, il coinvolgimento delle popolazioni locali nel rispetto delle tradizioni e della cultura, i problemi connessi ai cambiamenti climatici. Nel 2017 su 26 progetti presentati da tutto il mondo, 6 erano italiani; nel 2018 i progetti proposti sono stati 18, di cui 4 italiani. Ho avuto modo di conoscere direttamente alcuni dei progetti italiani che, a mio avviso, sono tutti di grande interesse. Respect the Mountains è un progetto che si realizza attraverso degli eventi che coinvolgono, soprattutto, i giovani e ha come obiettivo l’educazione. Insegna a rispettare la montagna, a riconoscere i propri limiti e i pericoli oggettivi, e cerca di dare a chi la frequenta gli strumenti per affrontare con più responsabilità i rischi dovuti all’impatto del cambiamento climatico. Presidente della MP Commission è Carolina Adler, ricercatrice ambientale e geografa, direttrice di alcuni istituti di ricerca internazionali, che la guida con professionalità, efficienza e serietà. Ma, in realtà, come sottolinea il Presidente Generale, c’è un problema molto grave anche per quanto riguarda le Commissioni. In questo settore l’UIAA non investe quanto sarebbe necessario se volesse rispettare le finalità per cui era stata costituita (il budget 2018 della Mountain Protection Commission è meno della metà del budget del Comitato Scientifico Centrale del CAI, nell’ultimo anno della mia presidenza). Bisogna, poi, rendersi conto che un organismo non può funzionare se sono operative solo le braccia (le Commissioni) ma non la testa (il Board).
L’impossibilità di operare concretamente
di Vincenzo Torti
(pubblicato su Montagne360, novembre 2018)
Le considerazioni di Claudio Melchiorri, ove possibile, rafforzano ancor più, proprio per il ruolo da lui ricoperto, le motivazioni sottese alla decisione di non riconfermare la nostra appartenenza all’UIAA. Tutte le attività e gli eventi ricordati da Claudio, infatti, lungi dall’essere stati frutto di progettualità o investimento da parte del Board, cui pure tale compito sarebbe spettato, sono state ideate, progettate e realizzate da Soci CAI e, se svolte in Italia, finanziate dal CAI, con l’unica “internazionalità” data dal fatto che la partecipazione al progetto era aperta a iscritti alle Federazioni Internazionali.
Anche quando vengono sottolineati i risultati conseguiti dalla Safety Commission o dalla Mountaineering Commisssion, appare evidente che non si è trattato di traguardi ascrivibili a forme di collaborazione coordinata e promossa dai vertici dell’UIAA, quanto piuttosto del riverberarsi in ambito internazionale dei risultati propri di quanto realizzato da Soci, Commissioni e Strutture operative del CAI, con risorse nostre (eccezion fatta per minimi rimborsi del costo di materiali) o, come ben sa Claudio, reperite a iniziativa dei singoli e senza il benché minimo apporto dell’UIAA e dei suoi organi di governo che, a tali Commissioni, hanno riservato importi risibili di poche centinaia di euro, come viene confermato da Mattia Sella.
Onestamente mi sembra che il finale rammarico espresso sia legato piuttosto alla constatazione di quanto si sarebbe potuto fare, reso, però, impossibile dall’incapacità dei vertici UIAA di operare concretamente, utilizzando le risorse associative per le finalità che ci avevano visti tra i fondatori e non già per tenere in piedi una (inutile) sede a Berna, dai costi proibitivi, e per finanziare viaggi per lo più ingiustificati. Mi riferisco, in particolare, a quelli dell’attuale presidente Frits Vrijlandt, sempre pronto a inseguire ogni cenno di disappunto, precipitandosi da uno Stato all’altro per incontri durante i quali promettere cambiamenti, confronti e approfondimenti destinati, ogni volta, a restare lettera morta, come testimoniato dalla recente presa di posizione, con una nota indirizzata a tutte le Federazioni, da parte di Josef Klenner (DAV) e Robert Renzler (OAeV).
In ogni caso le eccellenze espresse dal nostro Club in molti settori avranno modo di proiettarsi ancora in ambito internazionale, grazie alla costituzione di uno specifico punto di riferimento per i futuri contatti con le Federazioni che, proprio come sottolineava Claudio, potranno avere necessità di collaborazione.
1