Industrie patologiche
di Marcello Pamio
(già pubblicato il 27 Dicembre 2018 su disinformazione.it)
Spessore 5, Impegno 5, Disimpegno 0
“Se non capiamo le immagini dell’inconscio o rifiutiamo la responsabilità morale che abbiamo nei loro confronti vivremo una vita dolorosa” C.G. Jung
La paura è una emozione importantissima che ci avverte di un pericolo. In Natura la sua funzione è basilare perché, avvertendoci di una situazione rischiosa, dà l’opportunità per sopravvivere.
Ma mentre negli animali, una volta superato il pericolo, dopo aver lottato o essere fuggiti, la paura non serve più, nell’uomo avviene qualcosa di paradossale. L’uomo infatti è l’unico animale al mondo che 24 ore su 24 respira e trasuda paura da ogni mitocondrio cellulare.
I «pericoli» per l’uomo moderno però non sono le belve feroci nascoste nella foresta e pronte a saltargli addosso, bensì semplici pensieri originati dal cervello: paura dei virus, delle malattie, anche la semplice guida dell’auto può diventare fonte di tensioni; per non parlare del lavoro, del terribile titolare, degli esami a scuola o degli esami in ospedale. Proprio questi ultimi saranno il tema del presente lavoro.
Va ricordato che per il cervello umano pensare e immaginare una situazione o viverla realmente è la medesima cosa. Questo fa sì che la paura reale o la paura immaginaria attivi nell’encefalo le aree corrispondenti all’attacco o alla fuga, con cascate ematiche di adrenalina, cortisolo, glucosio e ormoni vari, come l’antidiuretico Adh.
La paura per esistere ha bisogno di un pericolo
Negli animali, come detto, la paura per esistere deve corrispondere ad un pericolo reale, altrimenti non ha senso per la Natura! Nel bipede umano invece, la paura può esistere anche se il pericolo è solo immaginato.
Quella che sembra una banalità risulta invece il punto nodale di tutto: se abbiamo timore di qualcosa (inesistente), creiamo noi stessi il pericolo (reale) così da giustificare il nostro timore!
Forse un esempio aiuterà a capire meglio questa situazione.
La medicina si avvale di esami specifici chiamati marker tumorali, i cui valori aumentano – secondo la visione ortodossa – quando c’è un cancro. I marcatori (spesso ormoni, enzimi o proteine dosate nel sangue) sono dei parametri fissi stabiliti da qualche comitato (i cui membri sono quasi sempre collusi con le industrie del farmaco) e per la medicina allopatica indicano la presenza o meno di un tumore. Il genio Pitagora insegnava la magia dei numeri, ma sicuramente non avrebbe mai immaginato che essi sarebbero stati usati dopo venticinque secoli per decidere la vita o la morte di milioni di persone: è proprio quello che sta accadendo al giorno d’oggi.
Un uomo di cinquant’anni in piena salute e con la gioia di vivere, consigliato dal proprio medico di fiducia, fa l’esame del Psa. L’esito da come valore 5 (il limite di «normalità» è 4).
Di punto in bianco la salute ferrea dell’uomo inizia a vacillare sotto i colpi devastanti del dubbio e della paura del cancro e in men che non si dica egli si ritroverà a girovagare terrorizzato tra ospedali, urologi e radiologi. La sua tragedia umana finirà con un dito medio nel didietro, oppure con la sua povera prostata massacrata da un ago lungo 18 cm ( foto sotto), usato per prelevare campioni di tessuto, eseguendo dozzine di piccoli buchi.
In questo ultimo caso la sua esistenza è stata letteralmente sconvolta da un semplice numero!
Paradossalmente se il Psa fosse stato 3, la sua vita sarebbe continuata alla perfezione e in totale salute.
Se infatti una persona con la paura del cancro credei n tali parametri, sta letteralmente mettendo a rischio la sua stessa esistenza.
Come dimostro nel libro «La fabbrica dei malati» i marker sono esami fallaci che non dicono nulla e proprio per questo non dovrebbero essere usati come screening di massa.
Ma per il pensiero collettivo dei medici e dei sudditi, i marcatori sono affidabili.
Questo per dire che se una persona ha PAURA del cancro e si sottopone agli esami di rito, potrebbe vedere i marker tumorali salire!
LA PAURA HA BISOGNO DI UN PERICOLO: la paura del cancro trova giustificazione quando i marker crescono.
Ed ecco il vero motivo per cui sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni esami, screening e tutta la diagnostica per immagini. Non servono mica a prevenire i malanni, anzi, lo scopo è proprio il contrario: più esami infatti producono più diagnosi, e quindi più malati, il tutto per la gioia delle lobbies farmaceutiche!
Non si tratta di medicina, ma di matematica e statistica: siamo nel marketing e non nella prevenzione.
Ed è per questo che i vari gruppi “panel” di esperti abbassano regolarmente i cosiddetti «valori di normalità»: colesterolo, ipertensione, trigliceridi, glicemia, psa, ecc.
Più li abbassano e più persone oggettivamente sane diventano malate!
Cosa sono realmente gli esami
Non entro nel merito dei singoli esami e/o screening perché sono stati dettagliatamente trattati nel mio libro citato prima, qui vedremo alcuni esami sotto la lente delle Leggi biologiche.
Prima però cerchiamo di rispondere alla domanda: come mai vengono eseguiti tali esami, non dal punto di vista biologico, ma da quello ufficiale.
Vengono eseguiti perché «definiscono» le alterazioni (colesterolo, glicemia, ecc.) biochimiche dell’organismo, ma essendo questo un banale fotogramma, una foto istantanea di un momento, non possono dire assolutamente nulla sulle cause o sullo stato emozionale della persona.
Poi «definiscono» lo stadio della patologia, ma in quanto istantanea, non possono dire nulla anche sullo sviluppo futuro. Infine stabiliscono la prognosi e «definiscono» la terapia, che ovviamente sarà a base di farmaci tossici (una delle prime tre cause di morte al mondo).
Da questo si può evincere che gli esami massificati, esattamente come vengono fatti oggi, NON possono prevenire alcuna «malattia», ma semmai aiutano a trovare il malato nel sano, facendo aumentare a dismisura le diagnosi.
Esami del sangue e il senso biologico di alcune «alterazioni»
Non si vuole dare nessuna indicazione sull’utilità o meno degli esami, a questo scopo rimando al mio libro. In questa sede si vuole solo osservare le «alterazioni» (chiamate malattie) dal punto di vista del senso biologico.
Colesterolo alto
Siamo nelle cosiddette «dislipidemie», cioè nelle alterazioni dei lipidi circolanti.
Come detto prima i «valori di normalità» per il colesterolo hanno subito infinite modifiche a ribasso. Basti sapere per esempio che negli anni Ottanta il colesterolo totale era considerato “normale” sui 280 mg/dL, mentre oggi si viaggia tra i 180 e i 190 mg/dL.
Valori a parte, il senso biologico dell’innalzamento del colesterolo risponde a precise esigenze e richieste biologiche del cervello.
Durante un forte stress, nel pieno di un conflitto, l’encefalo richiede sostanze basilari per superare l’enpasse, come l’ormone cortisolo (detto ormone dello stress e secreto dalle ghiandole surrenali), e quindi è biologicamente sensato l’aumento del colesterolo, visto che i due sono collegati.
Una delle funzioni del colesterolo è anche quella di riparare le alterazioni dell’endotelio vascolare di coronarie e tutti i vasi arteriosi.
Per le coronarie il conflitto è legato alla «perdita di territorio», dove nella fase attiva si ha ulcerazione dell’endotelio vascolare con lo scopo magistrale di aumentare l’afflusso vascolare al miocardio.
La lotta per la difesa del proprio territorio (lavorativo, casalingo, ecc.) è vitale in Natura e necessita di tanto sangue, ossigeno, glucosio, adrenalina, cortisolo (e quindi colesterolo)!
Una volta risolto il conflitto, l’intima delle coronarie viene riparata e interviene, tra le varie sostanze, anche il colesterolo che serve ad incollare e ridare robustezza alle arterie.
Per tanto il colesterolo non è la causa delle placche e dell’arteriosclerosi, ma è solo una componente riparativa. Ma la medicina, come spesso accade, confonde la causa con l’effetto.
Il colesterolo quindi non si alza a causa dell’alimentazione, ma per altri motivi, e non a caso interessa persone un po’ aggressive, ambiziose e competitive. Persone spesso abituate al comando, al dover prendere decisioni e quindi sottoposte a pressioni e tensioni durature. La competitività per esempio nell’ambito lavorativo è un buon motivo per far crescere il “pericoloso” grasso.
Ma le pressioni esterne possono dipendere da problemi economici, separazioni, perdita di una persona cara (che interessa sempre il territorio), attività lavorative ad alta tensione, sport molto competitivi, ecc.
In pratica dove c’è conquista e competizione, il colesterolo è alto, perché è funzionale alla situazione stessa!
Psa alto
Nell’esempio dell’uomo di mezza età fatto prima, non ho specificato che l’esame del Psa non è un esame qualsiasi, come la glicemia o l’ipertensione, ma un vero e proprio marcatore tumorale. Quindi ogni variazione del parametro fa accendere l’allarme rosso.
Il Psa indica l’attività metabolica della piccola e sensibilissima ghiandola prostatica e varia moltissimo in base a condizioni soggettive come l’età, l’attività fisica e quella sessuale.
Esistono anche altre condizioni che influenzano negativamente il suo valore: per esempio una recente eiaculazione, una esplorazione o una ecografia rettale, l’uso prolungato della bicicletta o della moto.
Il medico normalmente non prendendo in considerazione queste condizioni che non c’entrano nulla con la patologia, quando osserva l’innalzamento del Psa, parte con approfondimenti e accertamenti invasivi (biopsie, prostatectomie, ecc.).
Il senso biologico della prostata e quindi di qualsiasi sua manifestazione patologica, ha a che fare con il conflitto detto del «boccone sessuale».
Per cui impotenza o infertilità; disfunzione erettile; sentirsi rifiutato e/o indesiderato dalla compagna; tradito o solo il sospetto di tradimento, ecc.
Tutte queste condizioni, se vissute in maniera conflittuale, possono mettere sotto pressione l’identità e l’orgoglio maschile, andando a modificare la struttura fisica dell’organo in oggetto.
Il tutto perché la prostata è la ghiandola simbolo della “potenza” maschile.
Ferritina
La ferritina è una proteina che può contenere fino a 4.500 ioni di ferro, per cui la sua funzione principale è l’immagazzinamento del prezioso metallo.
Il sangue rappresenta simbolicamente il “clan familiare”, il nucleo della propria famiglia, e non a caso si dice «sangue del mio sangue» riferendosi ai figli.
Questa proteina è presente ampiamente in fegato, milza, midollo osseo e tessuto scheletrico.
Il livello di ferritina nel sangue permette di valutare le riserve di ferro presenti nell’organismo: il patrimonio del sangue!
Simbolicamente il ferro rappresenta la «solidità», la «durezza».
Il senso biologico della ferritina alta ci dice che siamo in fase riparativa, cioè abbiamo risolto un conflitto di inadeguatezza o svalutazione, il cui “sentito” è per esempio: «non riuscire ad essere abbastanza solidi e inflessibili», oppure «non riuscire ad essere tutti d’un pezzo». L’inconscio usa la metafora del «ferro» per comunicare al cervello e al corpo qualcosa che ha che fare con il «duro metallo».
Se la ferritina invece è bassa indica seria e importante svalutazione, ma in fase attiva, quindi in pieno conflitto: le riserve di ferro sono state svuotate, per cui non c’è più la capacità di resistere e/o combattere.
Conclusione
Gli esami proposti dalla medicina, con la scusa fittizia della prevenzione, sono sempre di più, ma il concetto di base è riuscire a comprendere il senso biologico delle alterazioni.
Detto questo va assolutamente ricordato che un esame non è l’Oracolo di Delfi.
Un freddo esame o un semplice numero nel cancro, è completamente diverso dal fatto di averlo il cancro, di viverlo!
Non esiste un solo test affidabile e perfetto nel cento per cento dei casi, e la dimostrazione sono le percentuali altissime di «falsi positivi» (l’apparecchio cioè vede qualcosa che in realtà non c’è) e di «falsi negativi» (la macchina non vede qualcosa che invece c’è).
I «valori di normalità» sono decisi a tavolino da “esperti” sulla busta paga delle case farmaceutiche, quindi in pieno conflitto d’interessi, e una serie di numeri non possono stabilire con esattezza matematica il nostro stato di salute o di malattia.
Le strumentazioni elettroniche per le misurazioni sono macchine costruite dall’uomo, per cui imperfette, con un tasso di errore intrinsecamente onnipresente. Un errore però, come spiegato prima, ha il potere di rovinare e sconvolgere la vita di una persona.
Infine ricordiamo che «LA PAURA UCCIDE PIU’ DELLA MALATTIA».
Per questo motivo a febbraio 2019 partirà un corso in 5 serate, organizzato dall’Associazione «Scienza e Arte della Salute», dedicato alla «Decodifica Biologica di organi e malattie», con l’intento di vedere le diagnosi e le malattie sotto una nuova luce, quella della consapevolezza.
www.artedellasalute.it
http://www.attivazionibiologiche.info/articoli/esami-e-referti.html
https://www.hackthematrix.it/?p=7713
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Michele, nel caso del nodo, non si tratta di segnalare se è stato compiuto giusto o meno, si tratta di partire dalla persona, dalla sua motricità, lateralità, dal suo stato del momento, dai suoi timori e concezioni del nodo e della vita, per capire l’origine della sua espressione, per scoprire in quali modi e momento provocarlo alla concentrazione utile allo scopo. Si tratta di dare per scontato che non è lui che sbaglia il nodo o qualunque altra cosa ma noi, io-e-lui, insieme. Che quindi la valutazione che noi diamo è una specie di inconsapevole vigliaccata; che quella valutazione la dovremmo riferire alla nostra didattica.
A causa di questo piano di lettura, ritengo le note che esprimo qui e generalmente anche altrove, le prime responsabili dell’incomprensione e degli equivoci che generano. Tuttavia siccome non sono mosso da intenti proselitici, l’insuccesso non mi frustra. Semmai mi motiva a cercare dove il discorso ha preso la tangente imprevista e a rimodulare la proposta.
Il modello esterno fa danno quando ci allontana da noi stessi. Quando impedisce di arrivare a conoscere la nostra personale misura e rispettarla, ovvero essere felici della propria progressione e non essere frustrati dalla propria prestazione così lontana da quei modelli.
Antonio, come puoi vedere da tutti i miei scritti, non c’è denigrazione della scienza in quanto tale ma solo attenzione verso una cultura che ha eletto a verità suprema la sua voce.
Una cultura non solo materialista, non concede l’intuizione come modalità di conoscenza e neppure la telepatia, non troverai questi due termini negli stessi scritti.
Concede invede di conoscere l’io come infrastuttra alla quale siamo identificati. Di riconscere l’origine dei malesseri personali; di vederne il legame con sentimenti, cibo e ambiente; di vedere le forze in campo in ogni relazione e quindi assecondarle o cavalcarle; di sapere l’origine dei limiti che crediamo costituzionali e trovare le modalità per emanciparsene.
L’integrazione tra le prospettive che citi è dunque la mia stessa. Ma non di coloro che ritengono la scienza la sola modalità di conoscenza. Nè di coloro che al cospetto di una meditazione accredita di guarigione non possono che sorridere quando non inquisire o decapitare.
Nessuna conoscenza migliore di altre dunque, ma soltanto critica della prevaricazione di una sull’altra.
Consiglio l’attualità di un piacevole libro: “la grande ascensione”.
È uno specchio di gran parte della realtà alpinistica italiana degli ultimi decenni.
È scritto e illustrato da due inglesi brillanti e ha una notevole spiegazione bibliografica finale del Crivellano.
Penso vada moderatamente bene anche per gli alpinisti che han sempre scalato in piccolo e sono ormai blasonati. 🙂 1910
Finalmente un pensiero di Lorenzo Merlo che ho capito perché spiegato con parole comprensibili per uno come me ( non ho fatto il liceo classico e poi filosofia o psicologia ma l’ i.t.i.s e poi scienze motorie…)
Comunque , dalla mia esperienza (misera), quando in un contesto didattico , i ragazzi ( o adulti che siano ), mi sbagliano a fare il nodo per legarsi alla corda, IO personalmente glielo dico !!! ( anche se magari si potrebbero offendere ) e lo faccio rifare ( ops ) lo faccio ri-creare ( per usare termini Merlo ) in modo corretto.
Purtroppo , secondo me , il momento della ” spiegazione ” ( parolaccia ) ha assunto molto piu’ valore rispetto ad una volta , in quanto le persone generalmente sono abituate al ” tutto pronto” e di conseguenza al non ri-elaborare mentre il fatto di metterle in condizioni di dover capire ( fase 1 non scontata ) e di ri-fare ( fase 2 con possibilità di ri-creare in modo personale ) offre alcuni vantaggi e qualche risultato.
Sono cresciuto leggendo “ghiaccio, neve e roccia ” di Gaston Rebuffat ed avevo in camera il poster di Berhault su “dancing dalle” tutti e due miei “modelli” ( parolaccia ? ) di riferimento : non ho mai avuto la pretesa di imitarli ma sono stati dei maestri che mi hanno OFFERTO dei sogni realizzati successivamente e ovviamente a modo mio.
Sono stato autodidatta nella sperimentazione alpinistica ( ma anche nella vita ) , spinto però da quelle misure,quantità e forme ( al contrario di Merlo )messe a disposizione per essere catturate…n’altronde la forza di gravità è una entità moolto fisica e poco interiore.
Creare la fiducia in quello che non si può inizialmente vedere è la forma migliore per rendere le persone ” ottimiste ” e quindi predisposte a proseguire il percorso di conoscenza e di ricerca personale …
Faccio parte della categoria insegnanti ( docenti forse andrebbe meglio per Merlo ) e se ogni tanto non faccio FISICAMENTE vedere una capovolta avanti ai miei alunni, questi arrivano alle superiori e poi all’università ed al matrimonio ( forse ) che non l’hanno mai fatta!!! Con questo non voglio dire che la didattica è tutto, anzi , mi sento piu’ educatore che docente ma bisognerà pur partire a saper fare qualcosa per migliorare e se un cliente guarda sempre e solo dove mette le mani quando scala, gli faccio notare ( sempre se non si offende ) che il suo corpo è dotato anche dei piedi e solo successivamente a questa presa di coscienza , lasciero’ che personalizzi la sua tecnica..
E’ questione di equilibrio e non parlo di quello necessario per camminare sulla slack ( si scrive cosi?) ma quello che impone a tutti una riflessione / valutazione ragionando sul contesto in cui è inserito il gesto o in questo caso l’argomento soggetto di discussione.
In questo devo dire che Marcello Cominetti è un maestro…. grande il post 20 !!!
Michele
Mi pare, Lorenzo, di non avere molta difficoltà a seguire i tuoi ragionamenti, forse perché ho una certa dimestichezza con le filosofie orientali, però, sebbene penso tu lo faccia in assoluta buona fede, di fatto contribuisci ad alimentare uno scontro, proponendo (sarebbe più corretto dire propagandando) una modalità di conoscenza che per me non deve essere vista come alternativa bensi come complementare, senza con questo voler attribuire un ruolo preminente all’una o all’altra delle due modalità.
Devi poi considerare un aspetto non secondario che deriva dal fatto che noi siamo proiettati, sensorialmente parlando, verso l’esterno e questo trova dimostrazione nel fatto che vediamo il sangue che esce da un taglio che ci procuriamo ma non vediamo il sangue che circola nelle nostre vene e arterie, salvo l’utilizzo di apposita strumentazione che ci permetta di vederlo indirettamente.
Ne consegue che il linguaggio utilizzato per rapportarci fra noi e tutto ciò che ci circonda è un linguaggio condivisibile a livello esteriore.
È possibile condividere e conseguentemente confrontarsi relativamente a conoscenze acquisite diversamente? Probabilmente si, come quando per esempio una persona intuisce cosa vuole fare un’altra ma anche in questo caso non possiamo mai essere sicuri se si tratti di una conoscenza diretta oppure mediata da altri fattori esterni, come i gesti, i movimenti del corpo, percepibili sensorialmente, magari anche inconsciamente, e successivamente elaborati ai fini dell’informazione.
D’altronde studi sulla telepatia se ne fanno e da quanto ne so vengono condotti con metodo rigorosamente scientifico.
Sul linguaggio condiviso ci sarebbe poi molto da dire perché quest’ultimo risente anche dei valori dominanti in una società.
Per esempio il linguaggio con cui l’oriente ha catalogato gli stati alterati di coscienza è estremamente variegato e questo dimostra che c’è stata un’epoca in cui il raggiungimento di questi stati è stato tenuto in grande considerazione (per chi vuole approfondire si legga La forza della meditazione di Goleman).
Io pratico yoga da oltre trent’anni, ho iniziato con l’hatha yoga e poi sono psssato alla meditazione.
Onestamente sono ben lontano dall’aver raggiunto il cosiddetto samadhi però nel mio piccolo alcune esperienze molto particolari le ho fatte e ho avuto accesso a livelli di conoscenza per i quali non esiste un linguaggio con cui esprimerli.
Posso solo dire che non sono andato in trance, sono sempre stato assolutamente lucido, cosciente e prsente, anzi molto più presente del solito.
Il fatto però di aver vissuto queste esperienze, e spero di viverne ancora, sebbene abbia contribuito a farmi vedere le cose da un punto di vista diverso non mi ha assolutamente portato a disprezzare il pensiero analitico e a vederlo in contrapposizione ad altre forme di conoscenza.
Per me non esiste una forma di conoscenza migliore di un’altra in senso assoluto, esistono semmai diverse forme di conoscenza aventi tutte pari dignità, ciascuna con le sue peculiarità, che le rendono più o meno adatte a vivere le varie situazioni e ad investigare sul mistero della vita.
Per chi poi non è interessato a queste argomenti c’è sempre il letto o il divano per schiacciare un pisolino 😉
In contesto didattico parto dal principio che arrampicare lo sappiamo già.
Per tutti gli anni in cui ho avuto a che fare con persone che volevano iniziarsi all’arrampicata su roccia e ghiaccio, al fuorispista, allo scialpinismo, all’alpinismo, al canyoning e precedentemente ad altre attività psicomotorie ho seguito la linea che non c’è proprio nulla da insegnare ma tutto da ricreare; che il ruolo fosse solo provocatorio; che la dinamica didattica fosse maieutica.
Non ho mai posto modelli di riferimento, non ho mai spiegato (aiuto, parolaccia) come si fa, non ho mai creato sicurezze tecniche, non ho mai detto giusto e sbagliato, non ho mi valutato, non ho mai fatto confronti, né preteso alcunché. Non ho mai posto la tecnica al centro del processo in corso. Tantomeno l’uso della ripetizione. Non ho mi adottato modalità meccancistiche.
Ho sempre invece mantenuto la concentrazione per cogliere nel loro dire e fare, la lettura del mondo e della materia in questione che avevano. Il lavoro sarebbe partito da lì. Ma non era tecnico, era ricreativo. Affinché fossero loro a ricreare la tecnica necessaria allo scopo, fosse un colpo di piccozza, una serpentina nella neve nuova, una soluzione in arrampicata. Affinché fossero loro a vivere il principio che è il terreno che dice la verità, che solo riconoscendola e ascoltandola possiamo sfruttare al meglio il gradiente di doti che abbiamo a disposizione (forza, resistenza, scarpe, esperienza, ecc, ecc). Affinché riempissero di significato la formula che la realtà è nella relazione.
Finché non demolivano i loro preconcetti (misure, forme, quantità) non avrebbero trovato se stessi, non si sarebbero mossi a loro misura, non avrebbero sentito ciò che facevano rigidamente bloccati dalle idee che avevano.
“Ho paura”. “Ho le vertigini”. “Non ce la farò mai”. Ho sentito spesso queste formule legate all’idea che quelle persone avevano su se stesse e sull’attività che si pretavanoo ad avvicinare.
“Sei perfetta/o per scoprire come scalare, sciare, ecc” ripondevo. Convinto tra l’altro che chi era in grado di ammettere timori e paure era già un bel pezzo più avanti rispetto a chi era lì per dimostrare quanto valeva a se stesso e a noi.
Le persone arrivavano con una faccia e andavano via con un altra. Avevano preso coscienza di quanto la cultura non agevola. Non erano più nel pensiero ma nel corpo. Non si muovavano secondo quanto credevano ma secondo quanto sentivano. Non si confrontavano più con modelli a loro esterni ma riferano a sé il loro esperito. Non si giudicavano più secondo le carenze ma secondo la soddisfazione dei passi compiuti.
In quelle giornate d’iniziazione non avevo mai detto nulla di tecnico, tuttavia se ne andavano sapendo scalare, sciare, ecc. Sapendo che erano ritornati sul punto utile per proseguire il loro apprendistato e quel punto erano loro stessi. Avendo esperito che attraverso l’ascolto si accede a dimensioni della conoscenza che il metodo i manuali e i professori non permettono in quanto forme, quantità e misure imposte da altri, alle quali ci si può attenere, ma che se prese come sola verità, sterilizzano la creatività, l’evoluzione.
Ma tutto questo non sarebbe accaduto se non fossi stato da loro accreditato. E così era inizialmente quando, senza avergli detto nulla li legavo e li facevo portar su la corda sotto l’egida che chi si fa male è un fesso.
Lorenzo Merlo per me si esprime in modo troppo involuto, e certo lui penserà che io lo faccia a mia volta in modo troppo semplicistico, ma la sua idea in sintesi è qui:
Se l’interlocutore non è accreditato il valore delle sue parole è nullo in funzione della nostra evoluzione. …Dando nome, misura e qantità o oggettivare, si perde l’Uno. A mezzo di nome, misura e quantità si resta nel Due. Addio all’allusione ad altre possibilità.
Io la penso al contrario: dedicare qualche spicchio di tempo alla allusione ad altre possibilità e ad ascoltare chi non è accreditato può far bene, ma dedicargliene troppo, col poco tempo che si ha, è fuorviante e fa spessissimo danni. La conoscenza senza dare misura ed oggettività non esiste e negarlo è oscurantista
Merlo, ma scrivere come si mangia…..no???
Prego Alessandro, se ne fosse mai capace, di compilare per noi comuni mortali un dizionario Italiano-Merlese e Merlese-Italiano.
Io fino all’ostrogoto capisco. Oltre ho qualche difficoltà. 😂😂😂
Condivido Luca. Alludo ad altre possibilità e non credo funzionale al discorso il suffragarle.
Il suffragarle implica forze, quali la dimostrazione e la forma.
Entrambe interessano la prospettiva storico-egoica delle parti, ma non riguardano l’ambito al quale dovrebbero riferirsi.
La dimostrazione è relativa al proselitismo. Essendo l’esperienza non trasmissibile, la dimostrazione tende ad avviare una dinamica di arroccamento delle biografie, le quali si sentono indotte a non vedere altro che il nemico da attaccare. Siamo terreno dell’orgoglio, dell’importanza di sé. I danni nella cristalleria della ricerca sono garantiti. Ma è anche quello dei saperi analitici, a mezzo dei quali nessun passo avanti è disponibile se non nel campo dell’amministrazione della vita.
La forma riguarda narrazioni personali che alzano molto il rischio di allontanarsi dal principio puro. Uno contro infinito. Il discorso si perderebbe, come detto, in derive storico-egoiche. Tutte legittime, tutte da superare se interessati alla via del salmone.
Un rischio che, come in occasione della dimostrazione, tende ad alzarsi tanto più le parti necessitano di difendere la propria posizione.
Dare forma è perciò una trappola semiotica in quanto essa – in ambito di scontro – è necessariamente letta dal destinatario secondo le categorie a lui utili a sostenere la propria posizione. Ovvero, non provoca alcuna ricerca autonoma. Questa deriverebbe invece accreditando di verità l’informazione estranea assunta.
Dare forma proietta la comunicazione nel terreno dell’equivoco. Cosa fruttuosa in ambito di dialogo, strumento letale in contesto dialettico.
Se l’interlocutore non è accreditato il valore delle sue parole è nullo in funzione della nostra evoluzione. Un po’ come costringere una persona disinteressata ad imparare a scalare portando a motivo qualcuna delle nostre belle ragioni.
Dando nome, misura e qantità o oggettivare, si perde l’Uno. A mezzo di nome, misura e quantità si resta nel Due. Addio all’allusione ad altre possibilità.
Dice semplicemente che ci sono altre possibilità. Poi non le suffraga, ma intanto ci stimola. Meno scontatamente di tanti altri.
Io Merlo non lo conosco e sinceramente, senza avere nulla contro di lui, non capisco una beata fava di quello che ci vuole dire.
Chi lo capisce lo dica. Dai, non abbiate vergogna…
P.S.: invece devo dire ammiocuggino, che a me le scelte redazionali di Lorenzo non dispicciono affatto.
Qualche volta perché sono interessanti (l’inchiesta/intervista sul noto incidente).
A volte perché mi fanno incazzare o mi rendono maggiormente conscio dell’unica cosa esistente realmente infinita: la stupidità umana.
Infine perché, raramente, è dato di leggere un intervento come quello di Umberto Pellegrini.
E comunque sono stato io il primo a sottolineare la mancanza di dati a supporto di questo genere di articoli.
“Marcello, nel senso del Cominetti, dove sei?”
Fuori, direi. Come un balcone.
In senso buono, intendo!
“Conoscere bene il proprio corpo per sopravvivere” ma quanti lo conoscono? Quante sono le indagini diagnostiche inutili? Quante analisi assurde? Bere, fumare, mangiare fino a scoppiare. Queste le parole d’ordine. L’articolo si basa sull’assurdità di voler negare gli screening che tante vite hanno salvato. Ma anche quanto si esagera dalla parte opposta. Quanta cieca fiducia nei protocolli e non nelle persone. La volontà di farsi curare e di affidarsi ai numeri dopo aver sbagliato per anni spesso prevale su un istinto autoconservativo considerato ascetico e fuori moda.
Marcello Pamio scrive su un sito il cui nome qualifica la sua produzione.
La prevenzione sul tumore al seno, ad esempio, ha dimostrato la sua efficacia, seppur piccola, ma efficacia. Negarla è inutile.
La cosa, però che mi rende estremamente diffidente nei confronti di tali modalità argomentative, ormai in esponenziale diffusione, è, come ha già sottolineato Arioti, la totale mancanza di dati statistici a loro favore, ovvero, estrapolando, la mancanza di un formalismo condiviso con cui analizzare i fatti.
Che poi è quello che Merlo continua a fare: confondere piani argomentativi in cui in alcuni è presente, per definizione, un linguaggio condiviso di confronto, ed altri in cui il linguaggio è propriamente soggettivo, e di conseguenza inutilizzabile ai fini di una condivisione comune di qualsivoglia tipo.
In tal senso fa bene Govi a ribadire che tra i fisici non esiste alcuna agenda relativa a questioni per le quali non esistono linguaggi condivisi che permettano la loro analisi in maniera costruttiva.
Questo non ha impedito di certo né ad Einstein ne a De Broglie di fare considerazioni filosofiche che con la fisica non hanno nulla a che fare, né, del resto, tali affermazioni hanno inficiato in qualche maniera la loro persona, anzi, semmai l’hanno contestualizzata al periodo. Semplicemente quando De Broglie ed Einstein si sono confrontati su problemi di fisica lo hanno fatto nel rispetto di un formalismo che ha permesso loro il confronto.
Se Merlo è confidente nella conoscenza energetica ed empatica, questo non lo qualifica in alcun modo: è libero di pensare quel che vuole. Ma se Merlo entra nel merito della sua cara “concezione meccanicistica” (che un giorno dovrà spiegare a tutti) e lo fa con un formalismo animista, ovvero per definizione non condiviso, diciamo che riporta i termini di confronto sul noto piano: “io so’ io e voi non siete un cazzo”.
Io lo ripeto, ma poi basta: la scienza non ha pretesa alcuna di conoscenza assoluta. Il suo unico fondamento non è credere, ma dubitare, ipotizzare e non decretare aprioristicamente; e per far ciò la scienza mette a disposizione un linguaggio (il formalismo) condiviso, ma non solo: tale formalismo è assimilabile da tutti, e quindi compartecipato. Tramite tale linguaggio ciascuno di noi può confrontarsi con la scienza, e può ad essa apportare il suo contributo che è positivo, non meccanicistico.
In tal senso fisica classica e fisica quantistica, ed, in generale, tutta la scienza sono un problema assolutamente aperto: la fisica classica ha prodotto il caos classico, quello dei sistemi non integrabili, non “meccanicistici” (immagino Merlo si riferisca a ciò), ad esempio il problema a n-corpi dove n>2, Terra-Luna-Sole, ad esempio, oppure quello dei gas (lo sapevi Merlo, che quel che tu stai adesso respirando non è “meccanicistico” ma “caotico”?), la fisica quantistica sta producendo il caos quantistico, quello delle funzioni d’onda non integrabili, ovvero oggetti quantistici caotici, e qualcuno sta osservando similitudini, ma lo sta facendo usando formalismi tali per cui io, Arioti, Govoni e chiunque voglia capire, lo può fare.
Le geometrie non euclidee sono un formalismo che permettono di partire da punti di vista diametralmente opposti alla geometria euclidea, apportando conoscenza e cultura positiva. La geometria riemanniana ad esempio è alla base del pensiero scientifico einstaniano, quello fatto di numeri, non quello delle sue inquietudini (ben vengano!). La geometria hilbertiana sta alla base della fisica dei quanti, e si stupirebbe il Merlo, se solo conoscesse tale formalismo, quanta difficoltà condivisa è presente in tale formalismo.
I risultati che il linguaggio condiviso ha portato sono davanti a tutti, valutabili con un altro linguaggio condiviso: la statistica. Marcello Pamio digita i suoi pensieri su un oggetto che è il tripudio della “concezione meccanicistica”, ed abita questo mondo, vive e respira grazie ai risultati della orrenda scienza (sperimentale) che è la medicina, statisticamente valutabile, e che sa benissimo, la medicina, che il problema aperto del secolo è il cancro.
Quando riuscirò io a capire i principi della conoscenza empatica e a farli capire a qualcuno, e a vederne i benefici condivisi? Ovvero quando mi sarà svelato il suo linguaggio, senza ritornare all’altro sketch: “la risposta è dentro di te epperò è sbagliata”?
Povero Galileo: i piani si sono ribaltati, ed è ritornato ad essere materiale combustibile. Ma del resto lo capisco, Galileo: la sua genialità è consistita non nella caduta “meccanicistica” dei gravi (problema a 2 corpi, con soluzione analitica, la quale descrive a meraviglia la traiettoria che compie Merlo quando gli appigli divengono inesorabilmente piccoli, e piaccia sempre al Merlo di sapere che comunque in quei brevi istanti egli assume stati energetici continui ed infiniti, che solo a pensarlo farebbe venire in mente una immagine armonica e non “meccanica” della fisica), bensì all’introduzione di un nuovo linguaggio, simile all’italiano, ma fatto da numeri, insegnabili, tramandabili, e con in quali costruire oggetti di tutti i tipi, e quando dico tutti, intendo tutti, quindi isotropici (cosa fondamentale).
Abbi pietà di noi, Gogna: fai qualcosa per Merlo, portalo a scalare, fagli conoscere delle donne o degli uomini, regalagli un trattatello di geometria hilbertiana, fagli scrivere un libro di storia dell’alpinismo assieme a Panzeri, fai qualcosa, diamine!
Scusami Salvatore ma, dormivo.
E ora vado a lavorare.
Ciao.
La caverna platonica e il Velo di Maya potranno anche ancheessere matematicizzati, così come una cosiddetta psicopatologia, ma solo dopo averne osservato empiricamente e personalmente la natura.
Presa di coscienza che non comporta fede.
Marcello, nel senso del Cominetti, dove sei?
Secondo me se non si riesce ad usare la matematica, come fanno sempre la fisica e altre discipline, è molto difficile fare delle congetture serie, tutto diventa fantasioso e di solito per ogni affermazione nasce subito il contrario.
Diventa tutto una fede e ci sono tantissime fedi che spesso si fanno guerra dicendo che vogliono difendere la propria fede.
Fermare in un giudizio un oggetto apparentemente esterno a noi, comporta una serie di inconvenienti, per esempio l’impossibilità di evolvere. Di aumentare l’invulnerabilità, di mantenere l’equilibrio, il benessere, la salute
Quella modalità è alla base della concezione della realtà come lì, in attesa di noi, nella quale riteniamo di muoverci.
Oggettiva.
Le sue dinamiche spariscono, soprattutto quelle che a noi sono legate. Tant’è che non riteniamo inconveniente credere al giudizio che esprimiano.
Avviare invece un processo che ci permetta di risalire come salmoni alla sorgente di quanto ci pare inaccettabile tende ad essere evolutivo.
Allora anche l’ortolano diventa un maestro e l’articolo scadente un grimandello dei lati oscuri o esaltati di noi stessi.
[comunque, grazie Antonio]
@Antonio Arioti
Sei male informato, non esistono ambiti della fisica sperimentale o teorica in cui si studino ( ma neppure si ipotizzino ) gli effetti della coscienza sul mondo esteriore. Tantomeno per il mondo microscopico, e neppure secondo la meccanica quantistica. Tu ritieni che un tale tema attenga al razionale, ma per il momento e’ area solo di sedicenti maghi ed illusionisti. O forse parli piuttosto di filosofia. Ma non e’ fisica.
Caro Marcello
Concordo con te purchè sia sempre tutto con scappellamento a destra….come fosse antani, ovviamente
@Lorenzo
L’ultimo tuo post è interessante, devi solo scegliere meglio gli articoli da commentare.
Sono aperte le votazioni sull’ultimo intervento di Marcello Cominetti, spessore, impegno, disimpegno.
È consentito andare oltre il 5, soprattutto per le considerazioni finali.
Scientemente e rifacendomi all’io cosciente che mai ho dimenticato, propendo per una volgare interpretazione meccanicistica ed esoterica della paleogenetica dell’antropoformismo universale palesata dal Merlo che si contrappone infelicemente, ma eloquentemente, a quanto dall’articolo sostenuto.
Essendo altresì nella fattispecie il cancro solamente una manifesta spaventa risucchiata, eloquio che nominalmente si possa creare un dissequio parallelo e quindi è meglio volarbassi per nonschiatarsi su terreni impervi dall’inclinazione ottocentesca nonché superbamente altruistici.
Auspico una flessuosa impollinazione ai convenuti purché fatta frontalmente e non da posteriore.
C’è una conoscenza empatica, una affettiva, una compassionevole, una energetica che sono al bando dai dictat meccanicistici della scienza proprio perché non riproducibili.
L’appicazione alla vulgata delle dimensioni esoteriche della conoscenza certo si riducono ad altro e sconveniente, rispetto a quanto le tradizioni esprimono. Si veda per esempio il cristianesimo e uno qualunque dei suoi caposaldi, il perdono per esempio. Se fa ridere è solo perché non lo si è riconosciuto nella sua salutistica e salvifica natura.
Alla pari la vulgata della scienza che viene qui maneggiata non ha a che vedere con i suoi principi intenzionalmente nobili. Tutti fanno ricorso a lei per sostenere il proprio argomento, per suggellarlo di oggettiva verità.
Gli uni perciò non in grado di ripercorrere le strade della ricerca umanistica si accomodano tra succedanei slogan che la richiamerebbero.
Gli altri non sono che soggetti alla medesima dinamica a favore della scienza.
Le due direzioni pure, tuttavia sono divise da un angolo fin dall’origine. In una resta il mistero accessibile con l’emancipazione dall’io. Nell’altra, il carattere squisitamente materialista e meccanicista concepisce il mondo e l’uomo alla pari di una macchina e ritiene di smontare il mistero stesso in pezzettini maneggiabili.
Al momento, come mai precedentemente, l’elaborazione della fisica quantistica ha messo in discussione l’interpretazione meccanicistica. Ha affermato che la realtà (sebbene di una particella) è legata all’osservatore. Filosoficamente, non c’è più alcun oggetto che si possa guardare dall’esterno. Realtà e osservatore sono corpo unico. La realtà è nella relazione.
Questa concezione ha molti legami con quanto elaborato dalle tradizioni di tutto il mondo, dalle tolteche, alle sciamaniche, dalle animiste, all’astrologia, dal taoismo, al buddhismo.
Accedere al piano di lettura in cui ciò che si denigrava in quanto scientificamente infondato si rivela nella sua potenza e verità è cosa di tutti, purché non incatenati al principio che sopra la scienza non vi sia altro.
Pardon, stavo rispondendo a Giacomo Govi.
Forse non si porranno il problema quando fanno scontrare le particelle negli acceleratori ma in altre sedi si.
In ogni caso non è assolutamente antirazionalista porsi il problema, anzi mi sento di dire che sia antirazionalista escludere la coscienza dalla ricerca scientifica come è stato fatto per molto tempo, relegandola ad un mero epifenomeno del cervello di cui non si ha certezza alcuna.
Per essere chiari, può essere che la coscienza sia un epifenomeno del cervello ma puo’ anche non essere cosi e fra coloro che ritengono che non sia cosi ci sono personaggi di tutto rispetto (per esempio il citato Pin Van Lommel e lo stesso Faggin).
Comunque in questo momento non mi interessa intavolare una discussione improbabile per i tempi e gli spazi a disposizione, dico solamente che chi vuole sostenere le proprie tesi deve farlo con argomentazioni serie che tengano conto dei risultati fino ad ora acqusiti, i quali, buoni o cattivi che siano, non possono essere confutati senza portare dei dati su cui ragionare.
E, guarda caso, i signori che scrivono articoli antiscientifici questi dati non li portano quasi mai.
Che l’industria farmaceutica sia collusa con una certa fazione medica è fuori discussione. Ho avuto per cognato l’amministratore di una casa farmaceutica tra le più imponenti al mondo e mi faceva paura sentire certe sue affermazioni a tavola (!). Per fortuna mia sorella ha divorziato.
Nell’articolo ci ho trovato delle verità ma anche delle superficialità. Leggendolo sembra che la malattia non esista mai e si tratti solo di superstizione o ipocondria. Invece le persone muoiono.
Credo anch’io che la paura alimenti le risorse del potere, ma in tutto occorre il buon senso e l’equilibrio.
I miei valori di colesterolo sono alti e cerco di alimentarmi con pochi grassi. Sto bene e se tengo una dieta ferrea riesco ad accontentare i parametri nazionali. Mi sono fatto visitare da un’amica medico argentina che mi ha detto che sto benissimo e che il mio colesterolo non è alto. I parametri argentini sono molto più alti dei nostri. Quindi ho deciso di farmi visitare sempre da lei, che oltretutto è pure carina e simpatica.
E’ difficile avere delle opinioni esenti dall’influenza nefasta del business, in ogni campo, e nella medicina è ancora più facile contare sulle paure collettive per vendere farmaci, esami e visite specialistiche specie se private.
Bisogna fare una media di opinioni e conoscere bene il proprio corpo per sopravvivere.
Dai ragazzi, va bene polemizzare con le verità precostituite, ma…Oso intervenire su una materia dove altri ne sanno molto più di me. La ricerca scientifica arriva, attraverso prove ed errori, a quella che in un dato momento appare essere lo stato della conoscenza. Questo stato della conoscenza può essere, ed è, in ogni momento messo in discussione da diverse e più accurate evidenze scientifiche. Significa forse questo che il nuovo stato stato delle conoscenze resterà tale in saecula saeculorum? O forse da’, questo, credibilità a teorie scientifiche prive di riscontri e di qualsiasi peer review?
No, ovviamente, ma la conoscenza attuale può essere smentita solo da chi sia equipaggiato delle conoscenze, non delle intuizioni, tali da poter smentire quella precedente. L’intuizione per essere valida deve essere corroborata dalle risultanze scientifiche che ne provano la fondatezza.
Fare ciò non è in alcun modo “Affermare la propria posizione a priori, giudicare il prossimo e identificarsi con quello stesso giudizio” il che, secondo Lorenzo, “comporta una modalità di scontro e arroccamento reciproco“.
Non sono d’accordo. Essere aperti alle idee nuove e non lasciarsi asservire da Big Pharma è giusto, cadere nelle reti degli sciamani, dei quali in Italia abbiamo visto una discreta fioritura, è però tutt’altro. Il rischio della posizione di Lorenzo, certo da lui non voluto, è di lasciare spazi a chi così facendo inganna i disperati, e magari ci fa pure su i soldi.
Il mondo è andato avanti per le invenzioni e la ricerca scientfica. Il fatto che essa abbia prodotto anche la bomba atomica e quella al napalm, che hanno incenerito intere città e nazioni causando morti e sventure umane indicibili non condanna la scienza, ma l’uso che se ne fa. Se poi pensiamo anche all’uso che dell’ignoranza fanno in così tanti vediamo che i danni possono essere ancora peggiori. Non credo che servano esempi, la storia dell’uomo ne è piena…
Caro Antonio, concordo su molte cose, ma certamente non quando affermi:
“l pensiero positivista è stato messo seriamente in crisi dagli studi sulle particelle subatomiche (meccanica quantistica) e quindi i fisici più seri iniziano a comprendere che non si possono studiare materia ed energia senza tener conto della coscienza, non si può studiare il mondo esteriore prescindendo dallo studio di quello interiore, ma ci vorrà ancora del tempo, forse non poco, per giungere ad uno studio integrato dell’Universo e dell’essere umano.”
Non so a quali categorie di fisici seri tu ti riferisca, ma lo studio della coscienza ( e della sua presunta influenza sul mondo microscopico) NON e’ attualmente ( ne e’ realistico che lo sia) nell’agenda dei fisici delle particelle. Siamo totalmente fuoristrada, credimi. Si tratta di una lettura della meccanica quantistica ancora una volta forzata ad uso e consumo dell’antirazionalismo.
La scienza di per sè non è nulla così come non sono nulla la religione, la filosofia, e quant’altro.
Ciò che conta è l’utilizzo che noi facciamo della scienza, della religione, della filosofia, ecc., e ciò che diventiamo attraverso esse.
I retaggi del positivismo sono ancora ben radicati ma questo non significa che dobbiamo sacrificarli sull’altare dell’oscuntarismo.
Il metodo scientifico è imperfetto e mal si presta a studiare fenomeni non misurabili come la coscienza ma ciò non significa che dobbiamo buttarlo in toto nella spazzatura, semmai dobbiamo integrarlo, poco alla volta, con nuove metodologie d’approccio perchè, fino a prova contraria, il metodo scientifico ci ha consentito di abbandonare teorie prive di fondamento come quella tolemaica.
Il metodo scientifico non è di per sè sbagliato perchè insegna ad approcciare i problemi in maniera seria e soprattutto verificabile.
L’errore consiste nel pensare che attraverso il metodo scientifico si possa fornire una spiegazione a qualunque cosa col risultato di utilizzarlo anche per studiare fenomeni i quali si manifestano in termini qualitativi.
Il pensiero positivista è stato messo seriamente in crisi dagli studi sulle particelle subatomiche (meccanica quantistica) e quindi i fisici più seri iniziano a comprendere che non si possono studiare materia ed energia senza tener conto della coscienza, non si può studiare il mondo esteriore prescindendo dallo studio di quello interiore, ma ci vorrà ancora del tempo, forse non poco, per giungere ad uno studio integrato dell’Universo e dell’essere umano.
Nel frattempo non possiamo farci riportare indietro di secoli per il semplice motivo che la sete di potere e denaro ha in parte piegato ai propri scopi la conoscenza.
Può essere che con la pratica dello yoga (io sono un praticante da oltre trent’anni) si possano prevenire e curare molte malattie ma per quanto concerne la mia esperienza bisogna essere molto avanti per ottenere dei risultati tangibili e questo lo diceva perfino il Maestro di cui cerco di seguire gli insegnamenti.
Nel frattempo che facciamo? Non andiamo dal dottore, buttiamo via tutte le medicine? Sarebbe una follia, un suicidio.
Come diceva un ingegnere, la ricerca sulle macchine a propulsione diversa da quella derivante dai derivati del petrolio è sempre andata avanti, non è stata bloccata dalle compagnie petrolifere come la vulgata vorrebbe farci credere.
Al limite possiamo dire che le compagnie petrolifere non hanno investito in quel settore di ricerca e sappiamo tutti quali siano i costi della ricerca, ma non c’è stato nessuno che col fucile in mano abbia impedito ai ricercatori indipendenti di continuare il loro percorso.
Quindi le cose vanno spiegate per bene, se no tanto vale che ci sediamo al bar e spariamo due tre minchiate giusto per far passare il tempo.
Dico solo che per fortuna ho fatto l’esame del PSA. Dopo le analisi invasive, mi han tolto la prostata dove si stava sviluppando un tumore e sei mesi dopo per caso, durante la riabilitazione mi hanno visto un neo, che dopo le analisi è stato asportato con successivo scavo, perché si è rivelato un melanoma.
E farò sempre esami vari di controllo, ora che so che esistono.
Qui si riassume il perche’ una discussione “vera” non e’ possibile:
“La scienza è una moda.
Come i liceali non possono rinuciare all’ultimo grido, così accade per la scienza, che oggi appare irrinunciabile e sola dimensione alla quale riferisi.
Le opzioni disponibili sono relative ai recinti che ci facciamo.
Che ci facciamo, non che ci sono di per sé.
È lì l’origine dei Totem e anche quella dei Tabù
Scappatoia molto facile per poter opinare e dottrinare su tutto e su tutti.
Per altro, in nessun periodo recente come in questo la Scienza e’ stata tutt’altro che di moda. La moda ( alla quale questo articolo si accoda ) e’ semmai quella di scegliere gli articoli solo basandosi sul fatto che sono “contro” la Scienza ufficiale.
Quale misuratore e intitolatore dei pezzi di realtà che mette sotto il vetrino avrebbe detto che saremmo potuti andare a -130 mtri sotto la superficie, a +8000?
Quale avrebbe previsto guardando il vetrino che avevamo le possibilità di creare il Cirque de Soleil.
Ci sono dimensioni che i misuratori non vedono e che per quella cecità, a causa della maggioranza alla quale appartengono, considerano ciarlatani.
La scienza è una moda.
Come i liceali non possono rinuciare all’ultimo grido, così accade per la scienza, che oggi appare irrinunciabile e sola dimensione alla quale riferisi.
Le opzioni disponibili sono relative ai recinti che ci facciamo.
Che ci facciamo, non che ci sono di per sé.
È lì l’origine dei Totem e anche quella dei Tabù
Grazie Lorenzo Merlo per la precisazione. Credo che quello affermi sulle 2 modalità’ di discussione sia generalmente vero. C’e’ un “pero’ “che dal mio punto di vista e’ molto difficile da ignorare. Per quanto ti possa sembrare estremo, io pongo le affermazioni di questo articolo sullo stesso piano del consiglio di curarsi una malattia recandosi da un mago o un santone. E, per quanto non abbia nessuna volontà’ di giudizio sulle persone che ne sono convinte, credo sia socialmente sbagliato cercare di diffonderlo. Tu liquidi la questione dicendo “la maggioranza impone a forza le sue idee”, ma il ragionamento e’ viziato in partenza ( si ritorna al tema di Baricco). La pretesa di capire e sapere tutto basandosi su informazioni superficiali e dicerie, per il solo scopo di mettere in discussione il sapere “costituito” ti sembrera’ forse un segno di evoluzione, per me e’ ritorno al medioevo.
Ok ma siccome nell’articolo di Pamio non vi è traccia di modalità uno i casi sono due, o si lascia perdere, accettando di fatto una posizione non condivisibile e generatrice di disinformazione, oppure si passa alla modalità due per manifestare il proprio pensiero.
Quindi, in soldoni, articoli come questo dovrebbero servire a comprendere quanto siamo arroccati oppure a comprendere quanto sono arroccati gli altri?
Servono a far emergere la compassione (in senso Buddhista)?
Volendo essere rispettosi, ma anche per prendere le distanze da chi fa informazione in maniera seria, faccio veramente fatica a considerare di spessore 5 (credo sia il massimo) un articolo come quello che stiamo commentando.
Provate a selezionare articoli di gente come Pin Van Lommel, Federico Faggin, Carlo Rovelli, Paul Krugman, gente che si occupa di medicina, informatica, fisica ed economia ad altissimo livello la quale oltre a possedere enormi capacità di collegamento e sintesi sa pure esprimersi a prova di tonto.
Operare per ricreare e ripercorrere la biografia di cui non comprendiamo le affermazioni è la sola modalità dialettica che implica un aggiornamento reciproco.
Affermare la propria posizione a priori, giudicare il prossimo e identificarsi con quello stesso giudizio comporta una modalità di scontro e arroccamento reciproco.
La modalità uno implica evoluzione.
La due mantenimento dello status quo o modifiche a suon di forza, dicasi anche maggioranza.
lorenzo merlo, selezionatore di molti articoli comparsi su Totem&Tabù
Io continuo a chiedermi. Ma Gogna e’ davvero cosciente e convinto dell’opportunità’ di veicolare idee del genere? Di chiunque sia stata la selezione di questo ‘articolo’, il blog porta pur sempre il suo none. Si tratta del peggiore tipo di disinformazione ( come dice molto bene la sorgente ) disponibile in internet. Per me e’ tutto molto semplicemente falso, quest’articolo non fornisce neppure spunti di riflessione che non siano il fatto di quanto potenzialmente sia dannoso il web nel dare spazio a tutto indiscriminatamente.
Tanto per cominciare nello Statuto dell’Associazione “Scienza e Arte della Salute” (reperibile su Internet) è scritto quanto segue:
tutte le informazioni date e qualsiasi materiale pubblicato o fornito dall’Associazione ha scopo puramente educativo/informativo e non può essere inteso quale suggerimento di diagnosi medica, prescrizione medica o istruzione di natura sanitaria, né potrà sostituire in nessun caso il consiglio e/o le prescrizioni del medico abilitato o di un medico professionista;
l’Associazione non esercita la pratica medica né fornisce consigli medici;
Chissà com’è ma fin quando si tratta di metterci la faccia son buoni più o meno tutti, quando invece si tratta di metterci il culo tutti prendono ben bene le distanze.
“Questo per dire che se una persona ha PAURA del cancro e si sottopone agli esami di rito, potrebbe vedere i marker tumorali salire!”
Non ho idea se sia vero e mi piacerebbe che l’autore suffragasse le sue affermazioni con un po’ di tanto vituperati numeri. Comunque nella mia esperienza ho incontrato semmai persone per cui i marker tumorali non indicavano nulla ma che poi ci sono morte di tumore…forse avevano un inconscio desiderio di morte?
Che quella della salute sia un’industria, che paghi più o meno sottobanco e che spinga per ottenere contratti o vendere prodotti o servizi (e quindi anche esami o medicine) è assolutamente certo, ma questo non autorizza a dire che il colesterolo non è correlato al rischio d’infarto o all’alimentazione.
Qvviamente “una serie di numeri non possono stabilire con esattezza matematica il nostro stato di salute o di malattia.”, però ne possono indicare la probabilità di insorgenza.
Se l’affermazione “I «valori di normalità» sono decisi a tavolino da “esperti” sulla busta paga delle case farmaceutiche, quindi in pieno conflitto d’interessi” è vera, credo che trarne la conclusione “gli esami non servano” sia un vera prova di imbecillità.
L’unica conclusione secondo me ragionevole dovrebbe essere potenziamo e finanziamo al massimo la ricerca e la cura pubblica
Esatto.
Insomma una tirata per sostenere che la medicina è solo un industria e vendere il suo corso. Bellissimo. Non comprate da loro, comprate da me.
La solita fuffa che mescola approcci irricibili l’uno all’altro e baggianate varie.
Ma chi scrive pensa che siamo tutti cretini?
Gli ipocondriaci sono sempre esistiti così come coloro i quali hanno l’intelligenza e la cultura per informarsi.
Esistono anche bravissimi medici della mutua, come il mio, e specialisti che interpretano i valori e spiegano al paziente il loro reale significato.
O vogliamo tornare agli sciamani?