Vento dell’Ovest – 1 (1-2)
di Ugo Manera
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)
Premessa
Questo scritto nasce come una lezione della Scuola Gervasutti per illustrare agli allievi vicende e curiosità dell’alpinismo torinese dalla scomparsa di Giusto Gervasutti (1946) all’avvento dell’arrampicata sportiva con le gare di arrampicata (1985), una specie di Amarcord, illustrato a chi inizia ad inoltrarsi nell’avventura complessa che è l’alpinismo.
1) L’importanza di Torino nella storia dell’alpinismo
Torino si trova in un angolo estremo dell’Italia eppure negli ultimi 150 anni molti avvenimenti importanti hanno avuto avvio dalla nostra città. Limitatamente alla nostra attività è doveroso notare che il Club Alpino Italiano è stato fondato a Torino nel 1863 da Quintino Sella, che qui è nato il Club Alpino Accademico Italiano nel 1904, che a Torino hanno sede la Biblioteca Nazionale e il Museo della Montagna e che a Torino è nata la Rivista del CAI e qui è rimasta fino al 1976.
Sebbene, almeno nel dopoguerra, l’attività svolta dai torinesi sia stata meno voluminosa di quella svolta in altre città, soprattutto nel campo extraeuropeo, molte iniziative tra le più importanti hanno continuato a sorgere e a svilupparsi in ambito torinese, ad esempio qui sono nate le due riviste alpinistiche private (che purtroppo oggi sono scomparse): la Rivista della Montagna e Alp e qui sono state organizzate le prime gare di arrampicata in Europa nel 1985. Parlerò spesso di CAAI (Club Alpino Accademico Italiano), dedico perciò due parole per spiegare ai giovani che cosa é.
L’alpinismo nacque ad opera di esploratori che cominciarono a scalare montagne accompagnati da esperti montanari che divennero guide alpine, professionisti esperti che conducevano e avevano la responsabilità della cordata. Il CAAI venne creato per promuovere l’alpinismo senza guide, ossia emancipare gli alpinisti dai servizi dei professionisti. Negli anni l’Accademico divenne il gruppo di élite che raccoglieva gran parte dei migliori alpinisti non professionisti. Va osservato che dalla fondazione fino ad epoca recente l’Accademico era riservato agli uomini, le donne non erano ammesse: la motivazione era che il gentil sesso, per motivi di costituzione fisica, non era in grado di svolgere l’attività richiesta per l’ammissione. Dopo lunga ed ardua tenzone i progressisti, tra i quali il sottoscritto, riuscirono a vincere e questo anacronistico concetto venne eliminato. Ora il CAAI è aperto agli scalatori, femmine e maschi che, per farne parte, debbono presentare, all’atto della domanda di ammissione, almeno 5 anni di attività alpinistica ad alto livello condotta da primi di cordata.
2) L’alpinismo come avventura, raccontata, scritta e non scritta
Le motivazioni che spingono a scalare sono molte e variegate, dal fascino dell’ambiente alpino alla prestazione sportiva, ma non c’è dubbio che il motivo trainante è il desiderio di avventura abbinato al fascino della scoperta. Non è detto che avventura e scoperta siano prerogative dell’alta montagna o delle pareti lontane, si possono anche trovare su una parete posta sul fianco di una valle o su di un masso disperso tra i boschi. E’ naturale che ad attirare gli scalatori è stata in primo luogo la sconosciuta alta montagna ma poi, esaurito questo terreno come luogo di scoperta, ci si è rivolti ad altre strutture ignote fino ad arrivare ai massi di pochi metri, ma sempre con la stessa sete di avventura e con pari dignità.
Capita che chi vive un’avventura tenga tale esperienza per sé, ma il più delle volte la racconta e se l’avventura è stata grande e ha richiesto un coinvolgimento totale, il protagonista sente la necessità di raccontarla anche per iscritto in modo che non vada dimenticata nel tempo.
L’alpinismo offre delle grandi avventure e fin dal suo albore molti protagonisti hanno scritto perché le loro esperienze non andassero perse. E’ nata così una letteratura alpinistica, un po’ anomala, di tipo prettamente autobiografico che quasi mai ha offerto spunti a racconti romanzati. Io mi colloco tra quelli che, ritenendo le avventure alpine esperienze appassionanti, credono che non debbano andare perse, per cui amo raccontarle e mi adopero per fare sì che anche quelle che non sono state scritte possano essere recuperate.
Il periodo dell’alpinismo torinese che mi accingo a raccontare è stato denso di vicende interessanti a volte drammatiche ma spesso divertenti e curiose, con attori che non hanno mai scritto nulla, cercherò perciò di trasmettere agli allievi della scuola quanto è a mia conoscenza affinché queste vicende, vissute sotto la spinta di una passione irresistibile, non svaniscano nel nulla assieme al ricordo dei protagonisti.
Il Mont Blanc du Tacul con l’evidente, gigantesco,Pilier Gervasutti
3) La morte di Gervasutti – 1946
Il 12 settembre 1946 sul Mont Blanc du Tacul cadeva Giusto Gervasutti nel tentativo di aprire una via sul pilastro centrale della parete nord-est. Finiva così un’epoca di cui il Fortissimo era stato uno dei massimi rappresentanti, certamente il principale protagonista torinese nell’epoca dell’“alpinismo eroico”. Gervasutti aveva solo 37 anni e se fosse vissuto avrebbe ancora avuto molto da esprimere, magari nell’alpinismo extraeuropeo. Il mondo alpinistico torinese si sentì orfano ma in breve espresse una nuova generazione di scalatori diversi da quelli degli anni ’30.
4) Connotazione sociale dell’alpinismo torinese prima e dopo la guerra – Nascita del GAM (1947)
Nell’ambito torinese gli alpinisti dell’anteguerra provenivano tutti dalla media borghesia: avvocati, ingegneri, professionisti, artisti, studiosi. La cosiddetta “classe operaia” era quasi assente. Tra i giovani che dopo Gervasutti rilanciano l’alpinismo tale collocazione è invertita, essi sono in prevalenza operai e hanno vissuto da bambini o da adolescenti il dramma della guerra; le disponibilità economiche sono scarse ed essi raggiungono le grandi montagne a prezzo di pesanti sacrifici. Nel 1946 nasce il Gruppo Alta Montagna (GAM) e non a caso viene fondato nella sezione UGET che tra le due sezioni torinesi era quella dalla fisionomia più proletaria. Il GAM si propone di raccogliere gli scalatori con attività alpinistica rilevante al fine di promuovere la formazione di cordate in grado di affrontare le più difficili scalate dell’attualità. Ha come altro obiettivo di fornire un piccolo aiuto finanziario ai membri per l’acquisto dei materiali. Il regolamento rende il Gruppo molto dinamico, formato sempre da alpinisti attivi.
Per accedervi occorreva totalizzare un punteggio (1000 punti) per due anni e per rimanervi era necessario presentare una attività biennale non inferiore ad 800 punti per anno. Il punteggio era ottenuto valorizzando le salite tramite comparazione con una tabella standard molto razionale. Il GAM esce dall’ambito cittadino nel corso degli anni ’60 fino a raggiungere importanza e dimensione nazionale con l’ingresso di alpinisti di punta provenienti da varie regioni; poi lentamente si spegne fino a sciogliersi nel 1981.
5) Giuseppe Dionisi e la nascita della Scuola Gervasutti (1948)
Nel 1948 nasce la scuola Giusto Gervasutti al di fuori della Sezione di Torino del CAI in quanto nella sezione già esisteva una scuola di alpinismo: la Boccalatte. A fondarla sono Giuseppe Pino Dionisi e Giorgio Gino Rosenkrantz, due personaggi molto diversi tra di loro che si erano conosciuti attraverso la moglie di Dionisi che già scalava con i fratelli Rosenkrantz. Giorgio Rosenkrantz è un atleta, riserva della nazionale olimpica di ginnastica, eccelle nell’arrampicata su roccia e vorrebbe orientare la scuola più su scalate tecniche che verso l’alta montagna, ha poi probabilmente una visione più impostata sui rapporti amichevoli che sulla disciplina. Dionisi è invece, come si suole dire, un uomo tutto di un pezzo, ha una visione militaristica della scuola, è un fanatico della disciplina e dell’organizzazione ed ha una visione gerarchica delle responsabilità.
Dionisi fu ferito gravemente ad una spalla in una azione di guerra, dovevano amputargli il braccio a causa di un’infezione ma egli non diede il consenso, preferiva morire che perdere il braccio, ma sopravvisse perdendo però parte della mobilità della spalla. Questa menomazione lo condizionava nell’arrampicata su roccia quindi divenne uno specialista della scalata su ghiaccio, quando salire su ghiaccio significava creare un’infinita serie di gradini e tacche a colpi di piccozza. Pur essendo legati da grande amicizia, tra Dionisi e Rosenkrantz sorsero dei contrasti nella conduzione della scuola che culminarono con le dimissioni di Dionisi nel 1952, rientrate poi due anni dopo.
Nota di colore: la scuola nacque senza le donne, nel periodo dell’assenza di Dionisi vennero ammesse da Rosenkrantz ma poi un incidente ne causò la cacciata: in una uscita della scuola si pernottava al bivacco Gervasutti nel bacino di Fréboudze nel Bianco, nella notte si ritrovarono un istruttore ed una allieva nella stessa cuccetta a fare delle manovre un poco agitate, la brandina cedette e i due caddero su un’altra allieva che dormiva al di sotto. La poveretta ne uscì con un braccio rotto. Decisone conseguente di Dionisi: le donne sono causa di indisciplina, perciò fuori dalla scuola.
Anni dopo nacque una scuola di alpinismo femminile nell’ambito della sottosezione USSI del CAI Torino. Quando però, nel 1972 Dionisi uscì dalla scuola, subito avvenne l’unificazione e le donne ritornarono alla Gervasutti.
Giorgio Rosenkrantz nel 1954 partecipò ad una sfortunata spedizione himalayana al Monte Api e non fece ritorno, morì di malore su quella lontana montagna.
Dionisi ha avuto una grande importanza nell’alpinismo torinese per le vicende legate alla scuola Gervasutti, e con il suo entusiasmo ha avviato all’alpinismo nomi importanti come suo nipote Franco Ribetti e più tardi Gian Piero Motti. Sul piano dell’attività alpinistica nelle Alpi non espresse molto di importante anche se dobbiamo registrare un coraggioso tentativo alla difficilissima cresta nord dell’Aiguille Noire de Peutérey con Giorgio Rosenkrantz, conclusasi con un avventuroso ripiego lungo il versante nord. L’impresa non era in quel momento alla loro portata, la cresta venne poi vinta da due grandi dell’alpinismo internazionale: Jean Couzy e René Desmaison.
Notevole invece l’attività di Dionisi nelle spedizioni sulle Ande Peruviane: ne effettuò numerose conseguendo anche dei risultati importanti come le prime ascensioni del Pucahirca Central nella Cordillera Blanca ed il Trapecio nella Cordillera Huayhuash.
Dionisi era circondato da un gruppo di “fedelissimi” tra i quali Luciano Ghigo, Gino Balzola e Giuseppe Marchese che furono indubbiamente condizionati, anche nella loro attività individuale, dalla spiccata personalità del leader. Emblematico un suo articolo apparso sull’annuario Scandere del 1949 dal titolo Perché nacque la scuola di alpinismo G. Gervasutti. Un vero manifesto programmatico della scuola secondo Dionisi e nello stesso tempo un documento di rigido conservatorismo e, come tante posizioni conservatrici, destinato a venire stravolto nel tempo. Oggi i giovani scalatori possono sorridere leggendolo e probabilmente non capiscono la contrapposizione tra alpinismo e sport ma debbono sapere che fin dalle origini questa contrapposizione è esistita, i puristi conservatori consideravano sacrilegio considerare l’alpinismo come sport, esso era, per loro, un’attività ad alto livello morale che spingeva l’uomo a migliorarsi nell’eroica corsa verso l’alto.
L’arrampicata fine a se stessa con l’allenamento per migliorare le prestazioni, come in qualsiasi sport, era da molti considerata una degenerazione. Fortunatamente l’evoluzione ha sconfitto tale ideologia e più nessuno oggi prova nostalgia per queste posizioni.
6) Obiettivi alpinistici alla fine degli anni Quaranta
Dopo la parentesi della guerra l’orizzonte alpinistico è ancora dominato dall’eco delle grandi imprese degli anni ’30 che hanno dato una soluzione a quelli che erano ritenuti gli ultimi grandi problemi delle Alpi.
La parete est del Grand Capucin
Primo obiettivo è perciò confrontarsi con quelle grandi imprese che da anni attendono i ripetitori. In questa rincorsa primeggia la nuova generazione di scalatori francesi, le grandi vie di Gervasutti vengono ripetute per la prima volta dai francesi Pierre Julien e Michel Bastien; tra gli italiani, nel riprendere le tracce del passato, è molto attivo un gruppo di giovanissimi lombardi tra i quali primeggiano Walter Bonatti e Andrea Oggioni.
Presto però le ripetizioni non bastano più, ci si accorge che sulle Alpi di grandi problemi da risolvere ce ne sono ancora molti e che fuori dall’Europa ci sono le grandi montagne del mondo che attendono. Sulle Alpi quattro prime segnano marcatamente il superamento dei limiti raggiunti in precedenza: la parete est del Grand Capucin, la parete ovest del Petit Dru e nelle Dolomiti la via degli Scoiattoli a Cima Scotoni e il Gran Diedro della Su Alto di George Livanos e Robert Gabriel.
Alla soluzione del problema Grand Capucin partecipa un torinese: Luciano Ghigo come secondo di cordata di Bonatti. Luciano, diviene guida alpina, cessa poi tale attività ed entra nell’Accademico. Appare come persona calma e riflessiva ma poi anche lui ama lo scherzo e il divertimento, affianca presto Giuseppe Dionisi nella scuola Gervasutti e con Dionisi condivide gran parte della propria attività individuale, comprese le spedizioni nelle Ande.
7) La corsa al Pilier Gervasutti
Nei giorni 29 e 30 luglio 1951, cinque anni dopo la morte di Gervasutti, venne aperta la via sul pilastro del Mont Blanc du Tacul ove era caduto il Fortissimo. Tale salita era diventata l’obiettivo di varie cordate internazionali, ma ad aggiudicarselo furono due giovani torinesi: Piero Fornelli, capo cordata, e Giovanni Mauro, sorprendendo il mondo alpinistico di allora. Mauro è istruttore della scuola Gervasutti fin dalla fondazione oltre che membro del Gruppo Alta Montagna. Fornelli è giovanissimo, secondo di una famiglia di tre fratelli ed una sorella, tutti alpinisti.
Piero entra nella scuola proprio nel 1951, l’anno dell’impresa sul pilier del Tacul. E’ un fuoriclasse dell’arrampicata su roccia, forse il più forte tra i torinesi in quel momento. Nell’ambiente è denominato Peru Bel per distinguerlo da un altro Piero: Malvassora, apritore della celebre via su Becco Meridionale della Tribolazione, denominato invece Peru Brut. Fornelli svolge una notevole attività alpinistica aprendo varie nuove vie, nessuna però più al livello del Pilier Gervasutti.
Il versante est-nord-est del Tacul si può definire torinese: il pilier Gervasutti come abbiamo visto, venne vinto da due torinesi, la prima invernale fu appannaggio di un’altra cordata torinese: Gianni Ribaldone e Dino Rabbi (1965), infine la prima solitaria venne compiuta da Gian Piero Motti, 1969. Precedentemente il grande canalone era stato salito da Gervasutti e Renato Chabod nel 1934 e il pilastro ad est da Gabriele Boccalatte con Ninì Pietrasanta nel 1936. Successivamente il Pilier a Tre Punte venne salito per la prima volta da Andrea Mellano e Beppe Tron con gli altri due compagni Romano Perego ed Enrico Cavalieri, 1959 (prima invernale Grassi, Manera, Motti con il biellese Miller Rava, 1971) ed il Pilier Sans Nom venne salito per la prima volta da Gian Carlo Grassi e la prima solitaria, con concatenamento di questi ultimi due pilier, venne compiuta da Marco Bernardi nel 1980.
8) Giovani emergenti
Nel corso degli anni ’50 vi è un fiorire di giovani talenti che lasceranno il segno nell’alpinismo torinese e non solo, citerò i più rappresentativi che hanno espresso un’attività ad alto livello volta alla ricerca del nuovo sia sul piano tecnico che nelle realizzazioni, non limitandosi quindi alla ripetizione di salite importanti.
Corradino Dino Rabbi, classe 1930, rappresenta tutto quello che c’è di positivo nella visione classica dell’alpinismo: grande rispetto della tradizione e della storia senza scivolare nel conservatorismo, forte su tutti i terreni, il suo alpinismo si esprime in tutte le direzioni, dalle ripetizioni alla ricerca di terreni vergini, sia sulle Alpi che sulle montagne extraeuropee, è rispettoso delle istituzioni del CAI e non sfugge alle responsabilità: passa attraverso innumerevoli cariche sociali dalla direzione della scuola Gervasutti alla presidenza generale del Club Alpino Accademico Italiano impegnandosi sempre con tutte le sue forze e con la massima serietà. Nel 1954 vince la severa parete nord del Corno Stella nelle Marittime, uno dei problemi importanti di quel periodo. La sua attività ad alto livello è diluita in moltissimi anni, mai molto concentrata perché Dino non trascura la famiglia per privilegiare la sua passione e quando, nel mese di agosto, gli amici sono scatenati sul Monte Bianco o nelle Dolomiti, egli è in vacanza famigliare in Sardegna.
Ha arrampicato con quasi tutti i giovani emergenti degli anni ’60 e ’70 in prime ascensioni, prime invernali, ripetizioni importanti, lasciando sempre via libera ai più giovani compagni ma contribuendo in modo determinante con il peso della sua esperienza. Una delle sue caratteristiche è stata quella di dare enorme valore al sentimento dell’amicizia, raramente ho scorto in altri un dolore così intenso come in Dino quando un amico cadeva in montagna o quando Guido Rossa venne assassinato dalle Brigate Rosse. Rabbi rappresentava la serietà in tutti i campi e non veniva coinvolto nelle imprese della banda di disperati della Villa Pisolino che vedremo in seguito.
Io cominciai a scalare montagne il 29 settembre 1957, ma non venni subito a contatto con il mondo degli scalatori di punta, avevo iniziato con un gruppo che praticava la collezione di cime rifuggendo le ascensioni difficili; quando cambiai indirizzo notai subito che vi era un nome che fungeva da riferimento tra gli arrampicatori: Guido Rossa. Era riconosciuto da tutti come il più bravo e vi era un certo timore nell’affrontare i passaggi in libera delle vie da lui aperte. Si narra che la sua prima esperienza arrampicatoria avvenne sulla Parete dei Militi in valle Stretta a Bardonecchia, condotto da Umberto Prato soprannominato Tribula per le tante tribolazioni che accompagnavano le sue scalate; dopo aver superato “tribolando” e con dispendio di tempo il tratto iniziale, il capocordata comunicò all’inesperto compagno che era giunta l’ora di bivaccare e che avrebbero proseguito il giorno dopo.
Guido sulla Militi ritornò oltre trenta volte in tutte le stagioni ed anche in solitaria, tracciò delle vie che per quel tempo erano all’avanguardia e pochi avevano il coraggio di ripetere. Per rendere l’idea del livello e della sua determinazione basta osservare ciò che effettuò il 17 giugno 1956: salì lo spigolo Fornelli in 25 minuti, la via De Albertis in 40 minuti e la via Gervasutti di sinistra in un’ora.
Credo che da Gervasutti fino a Marco Bernardi nessuno a Torino abbia espresso un talento nell’arrampicata comparabile a quello di Guido Rossa. In gioventù era attratto dalla voglia di andare contro corrente rispetto ai canoni dell’autorità costituita e di scherzare a tutto campo, con il più giovane Franco Ribetti ne hanno combinate di tutti i colori, il loro motivo conduttore, riferendosi al prossimo, era: “an tuca feje giré le bale “.
Fece una breve comparsa nella scuola Gervasutti trascinato da Ribetti in quanto era in ballo una spedizione nelle Ande su un obiettivo con grandi difficoltà di roccia e loro due erano i più attrezzati in quel momento per l’arrampicata; poi Ribetti si fracassò all’Uia di Mondrone e Guido usci dalla scuola in quanto gli obiettivi e la disciplina che la caratterizzava non erano compatibili con la sua mentalità.
Ugo Manera in arrampicata sul Valsoera (fine Anni Sessanta)
All’inizio degli anni ’60 rallentò il suo impegno nell’alpinismo attivo, militava politicamente nella sinistra e nel sindacato e l’impegno sociale divenne più importante della montagna stessa.
Ci siamo incontrati varie volte nelle assemblee del CAAI, abbiamo discusso di alpinismo e di temi sindacali ma ormai egli arrampicava solo saltuariamente anche se sempre sorretto da una classe eccezionale.
Era la sua una dirittura morale che non conosceva compromessi così egli, paladino dei diritti dei lavoratori, venne assassinato dalle Brigate Rosse.
Compagno di Guido Rossa nell’arrampicare ma più ancora nello studiare e combinare casini era Franco Ribetti, nipote di Dionisi. Cominciò ad arrampicare a 13 anni e a 16 era istruttore della Gervasutti. Franco non conosceva la paura, affrontava passaggi in libera con una determinazione che rasentava la temerarietà e perciò chiodava pochissimo. Come suo zio era conformista e molto rispettoso degli ideali tramandati dalla tradizione dell’alpinismo, così Franco era dissacrante e completamente inattaccabile da ogni sorta di mito. Era però molto affezionato a Dionisi, affetto ampiamente ricambiato, e spesso hanno arrampicato insieme dove a volte il più anziano veniva messo a dura prova dallo scatenato nipote.
Ugo Manera sotto al Becco di Valsoera
Egli ha sempre preso molto sul serio la montagna per ciò che concerne rischi, preparazione e obiettivi, su tutto il resto si poteva scherzare e ridere. Con Franco arrampico da quasi 30 anni e ho capito che della notorietà non gliene è mai fregato nulla, scala perché gli piace e si diverte e perché ama fare gli sport di fatica. Non ha mai steso le relazioni delle vie che ha aperto ed ha scritto poche righe solo quando è stato costretto. Dice che se mai scriverà un libro il titolo sarà Stronzate alpine, perché egli è portato a dissacrare questo mondo così incline a mitizzare azioni e personaggi. Ma un libro non lo scriverà mai e spesso sono tentato io di raccontare quelle che lui chiama stronzate.
Andrea Mellano faceva gruppo a sé, pur appartenendo al GAM, aveva un gruppo di amici con i quali scalava abitualmente. Nelle più importanti delle sue imprese è quasi sempre in compagnia di un lombardo, Romano Perego e spesso con un genovese, Enrico Cavalieri. Andrea è un alpinista serio con le idee molto chiare, è un ricercatore e scopre i problemi per poi risolverli.
Altri scalatori torinesi di quel periodo erano probabilmente più forti di lui nell’arrampicata ma Andrea è stato un realizzatore, caratteristica tipica di chi, magari non sorretto da un talento naturale, impara a impegnarsi a fondo per raggiungere i propri obiettivi.
Il nome di Mellano è associato alla salita delle tre pareti nord, ultimi grandi problemi degli anni ’30: Cervino, Eiger e Walker alle Grandes Jorasses, impresa mai realizzata in precedenza da scalatori italiani; ma, a mio avviso l’importanza di Andrea va cercata in altre realizzazioni: vie nuove, scoperte e realizzate con intelligente lavoro di ricerca; dallo sperone Young alla Nord delle Grandes Jorasses e al Pilier a Tre Punte sul Tacul, dalle vie sulla Testata della Valle Grande di Lanzo alla Nord del Breithorn. Ma la perla più brillante di questa collezione è lo spigolo ovest del Becco di Valsoera. Questa magnifica cima era già stata in verità sdoganata nel 1955 da altri due scalatori dell’ambiente torinese: Lionello Leonessa e Beppe Tron che aprirono la celebre via della parete ovest ma il capolavoro è stato lo spigolo percorso nel 1960 da Cavalieri, Mellano e Perego.
Andrea, più degli altri torinesi di quel periodo, raccontava le sue ascensioni, numerosi sono i suoi articoli sulle riviste dell’epoca. La sua carriera come scalatore di punta non è stata molto lunga ma la sua opera è continuata con iniziative importanti e di ampie vedute: con il giornalista Emanuele Cassarà è stato l’inventore delle gare di arrampicata e uno del fondatori della FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana).
9) Scherzo e divertimento
Il gruppo che faceva capo a Guido Rossa, pur nel rispetto dei pericoli legati all’alpinismo e fedeli alla tradizione che impone di non barare millantando imprese inesistenti, aveva eletto lo scherzo, spesso molto incisivo, come motivo conduttore nei momenti di pausa tra le scalate. Guido congedandosi dalla naja si era portato dietro un po’ di esplosivi: tritolo, petardi da esercitazione, ecc. Con quel materiale combinarono un bel po’ di casini: sulla via Gervautti alla Sbarua, nel traverso del primo tiro, vi era una grande lama incastrata che si muoveva (visibile in una foto storica): Guido la fece saltare con una carica di tritolo.
La prima lunghezza di corda della via Gervasutti alla Sbarua (è visibile la lama poi fatta saltare con il tritolo)
Un giorno con Ribetti si trovavano alla capanna Gnifetti al monte Rosa per salire la Nord del Lyskamm. Per “caso” negli zaini, tra gli attrezzi di scalata, avevano delle cariche di tritolo. Saputo che doveva arrivare una delegazione di notabili del CAI e visto che esisteva un solo ponte di neve per accedere alle rocce, sempre fedeli al principio di fare girare le palle al prossimo, decisero di far saltare il ponte di neve. Al momento dello scoppio Ribetti si trovava troppo vicino e venne scaraventato in un crepaccio dallo spostamento d’aria: fortuna volle che esisteva un ponte di neve dentro il crepaccio che arrestò la sua caduta.
La più bella però avvenne a Villa Pisolino, era questa una grangia che faceva parte del campeggio Uget in Val Veny. Il gestore del campeggio, nonché presidente dell’UGET, Lino Andreotti, lasciava gratuitamente questa grangia ai membri del Gruppo Alta Montagna che erano abitualmente a corto di quattrini e questi avevano denominato Villa Pisolino la vecchia baita. Un giorno era ospite del campeggio un prete che doveva celebrare una messa in vetta al Bianco, era un tipo grande e grosso e molto alla buona che Andreotti sistemò nella “Villa”, dato che erano i disperati lì residenti che si erano offerti di accompagnarlo in cima al Bianco. Per le sue dimensioni venne sistemato in una branda collocata sul pavimento e mal gliene incolse; una notte decisero di farlo saltare in aria, collocarono sotto i piedini della branda 4 petardi da esercitazione e nel cuore della notte, mentre il reverendo dormiva profondamente, li fecero esplodere; il poveretto si svegliò mentre veniva proiettato in alto lui e la brandina. Per sdebitarsi, oltre che al Bianco, Franco lo portò anche al Dente del Gigante.
In cambio di buoni pasto e altre agevolazioni, quelli di Villa Pisolino si prestavano ad accompagnare abusivamente (non essendo guide) degli inesperti ospiti del campeggio in vari giri tra i ghiacciai del Bianco; una delle mete era la traversata Rifugio Torino-Chamonix attraverso la Mer de Glace. Capitò che Guido e Franco, giunti alla seraccata del Requin, anziché seguire la retta via portassero la numerosa comitiva in mezzo ai crepacci ove non si intravvedeva più possibilità di uscita. Lì giunti, fingendo grande preoccupazione, comunicavano di aver perso la strada e di non sapere più cosa fare, arrivavano persino a far finta di piangere per simulare disperazione; quando la disperazione vera cominciava a farsi strada tra i “clienti” Guido diventava serio e dicendo “abbiamo scherzato abbastanza, usciamo da qui” conducevano in salvo i malcapitati, e tutto si concludeva con grandi risate e qualche bevuta.
Un colpo micidiale lo fecero ad Arturo Rampini aspirante scrittore e giornalista, segretario della scuola Gervasutti e cantore delle glorie di Dionisi nella spedizione Ande 1961. Arturo era un gran rompiscatole e si lasciava andare a scherzi piuttosto cattivi; durante un corso per guide alpine al quale partecipavano istruttori della scuola e accademici, bisticciò con uno dei presenti e per ripicca gli pisciò nello zaino. Saputa la cosa, i più decisi gliela fecero pagare; tolsero la mollica ad una pagnotta, spalmarono l’interno di merda e la farcirono con abbondante prosciutto, poi chiamarono Rampini dicendogli che aveva dimenticato il panino che il rifugista aveva preparato per colazione. Allora non erano tempi di abbondanza, al vedere un panino così ben farcito il malcapitato si precipitò sopra e gli aguzzini gli comunicarono la verità quando ormai ne aveva divorato metà. Vi lascio immaginare la reazione del poveretto.
La Scuola Gervasutti nella seconda metà degli anni Sessanta
10) Spedizione CAI-UGET Al Langtang Lirung (Nepal, 1963)
Nel 1963 ricorreva il centesimo anniversario della fondazione del Club Alpino Italiano, la sezione UGET volle celebrare la ricorrenza con una spedizione himalaiana, l’obiettivo era il Langtang Lirung, una cima di oltre 7000 metri vanamente tentata da spedizioni giapponesi, era una occasione importante tenuto conto anche delle scarse iniziative del genere a Torino. Capo spedizione era Lino Andreotti e gli alpinisti, provenienti dal GAM, erano: Andrea Mellano, Giovanni Brignolo, Dino Rabbi, Alberto Risso, Guido Rossa, Giorgio Rossi con Cesare Volante medico. Non era un gruppo omogeneo, forse gli unici con la giusta determinazione in quel momento erano Mellano e Rabbi mentre Rossa cominciava a percepire altri interessi che stavano prevalendo sull’alpinismo; gli altri erano personaggi di secondo piano senza la mentalità vincente da protagonista. La spedizione venne funestata da una grave tragedia: Rossi e Volante morirono travolti da una caduta di seracchi e l’obiettivo principale venne abbandonato. Furono salite due cime sopra i 6000 metri e due oltre i 5000 metri.
11) Nuovi protagonisti
Nel 1963 entrano nella scuola Gervasutti due giovani che non erano torinesi di origine, uno è a Torino per gli studi di ingegneria, Gianni Ribaldone, l’altro è valsesiano ed ha come obiettivo la professione di guida alpina, è Giorgio Bertone. Sono due scalatori eccezionali, spesso arrampicano insieme e sono legati da grande amicizia. Gianni è una forza della natura con una resistenza fisica eccezionale, ha una grande determinazione e non ci sono ostacoli che lo fermano, arrampica spesso con un altro giovane brillante della scuola: Alberto Marchionni e tra i due esistono divergenze di vedute espresse spesso vivacemente. Ribaldone spazia dalle Dolomiti al Monte Bianco, nelle Dolomiti ripete alcune delle vie più difficili del momento, nel Bianco ripete grandi vie, ne apre di nuove ed effettua delle prime invernali importanti come il Pilier Gervasutti al Tacul e la via degli Svizzeri al Capucin. E’ un ragazzo intelligente e serio, che non trascura gli studi malgrado la travolgente passione per l’alpinismo; pratica anche la speleologia e gli viene assegnata la medaglia d’oro al valor civile per un salvataggio in grotta. E’ uno studioso e in grotta scopre un insetto sconosciuto che ora porta il suo nome. Nel 1966 durante un’uscita della scuola cade con due allievi sul canalone Gervasutti al Tacul.
Giorgio rimane alla scuola per due anni, scala con Ribaldone poi, conseguito il brevetto da guida, si trasferisce a Courmayeur. Diviene una delle più forti guide in attività, non scala solo con clienti e continua ad aprire vie estreme in estate e in inverno. Arrampica anche con Gian Piero Motti e ne diviene grande amico. Con Renzino Cosson, guida di Courmayeur, compie la prima italiana della via del Nose al Capitan. Ci fece ridere tutti quando, in una serata al teatro Regio organizzata dalla FILA e coordinata da Motti, ci raccontò in tono scherzoso, di come si erano presentati nel tempio degli scalatori americani da sprovveduti, con attrezzatura da alta montagna e scarponi rigidi. Diventò uno dei massimi esperti di soccorso alpino e di manovre di corda. Venne poi preso da una travolgente passione per il volo e divenne troppo audace per la breve esperienza in quel campo, si schiantò con il suo velivolo sul Monte Bianco.
(continua con www.gognablog.com/vento-dellovest-2)
10
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
molto interessante, ma non risponde a verità la frase;” l’arrampicata fine a se stessa con l’allenamento, per migliorare le prestazioni, come in qualsiasi altro sport era da molti considerata una degenerazioe”. Si è sempre fatta arrampicata in palestra per allernamento e per migliorare le prestazioni. Mai sentito parlare di Rocca Sella, Picchi del Pagliaio, Lunelle, Ddenti di Cumiana, Sbarua ecc. ecc….? L’arrampicata fine a se stessa è un’altra cosa!
Dubbi di Paolo Panzeri
L’impresa di Giuseppe Dionisi sul Pukajirca Central è consistita proprio nel vincere il fungo sommitale che aveva fermato in precedenza la forte guida svizzera Raymond Lambert. Ricordo che Dionisi si era preparato dei lunghi fittoni in alluminio da usare nel ghiaccio inconsistente dell’edificio di vetta. Scandere 1961 (curato da Arturo Rampini) è dedicato a questa impresa e ci sono delle fotografie sulla strana conformazione della vetta.
Effettivamente Corradino Rabbi si dimise dal CAAI in disaccordo con la delibera dell’ Assemblea Generale dello stesso che riammetteva come accademici a tutti gli effetti le guide alpine che in precedenza al brevetto di guida erano accademici.
quanto a scherzi durante i corsi…diciamo che certi regalini solidi nei cartocci, ogni tanto facevano sorpresa negli zaini….
Bello scritto, ho solo due dubbi irrilevanti, solo importanti per me.
La cima del Pukajirka Central a tutt’oggi credo non sia stata raggiunta da qualcuno, tutti fermi poche decine di metri sotto.
Mi sembra che Dino Rabbi si sia dimesso da qualche anno dall’accademico.
Grazie se me li dissipate