La responsabilità civile nell’arrampicata
a cura della redazione di Sestogrado.it (già pubblicato nel loro sito)
E’ un argomento spinoso che può sembrare incredibile a chi, come è giusto che sia, vive il rapporto con i compagni di cordata in reciproco spirito mutualistico, condividendo le gioie che l’arrampicata sa dare ed assumendosi consapevolmente i rischi derivanti dall’attività alpinistica.
Ma è un dato di fatto: ogni anno per le conseguenze derivanti da un incidente ci sono climber (o familiari di climber infortunatisi seriamente) che si rivolgono ad un aula di tribunale ritenendo, a torto o a ragione, di aver subito un danno causato da comportamento altrui e di aver diritto ad un risarcimento.
Essendo questo un argomento non banale, con varie sfaccettature ed interpretazioni, poco studiato dalla dottrina giuridica, cercheremo di farne una sintesi essenziale.
Di cosa NON ci occupiamo qui:
– incidenti che possono occorrere in attività svolta con guide o in scuola alpinismo;
– incidenti che possono occorrere nel corso di uscite CAI;
– conseguenze legate ad aspetti di carattere penale.
Di cosa ci occupiamo qui:
– incidenti che possono verificarsi in uscite tra compagni, amici o comunque persone non legate da interessi professionali / associazionistici;
– responsabilità civile, risarcimento del danno.
Questo tipo di uscite vengono definite dalla giurisprudenza come “Accompagnamento per amicizia o per cortesia” (proprio perché prive di qualsiasi aspetto di remunerazione che altrimenti le farebbe appartenere ad un rapporto professionale, disciplinato diversamente) e nel caso si dovessero verificare degli infortuni o incidenti si possono distinguere due situazioni piuttosto diverse tra loro e con interpretazioni giuridiche differenti:
1) caso in cui vi è affidamento tra accompagnatore ed accompagnato
2) caso in cui NON vi è affidamento tra accompagnatore ed accompagnato
1) il caso dell’affidamento si verifica quando c’è un accompagnatore che possiede, rispetto all’accompagnato, maggiori competenze, esperienza, capacità nel condurre l’uscita, tali che l’accompagnato vi fa totale affidamento per il compimento e gestione dell’uscita stessa. In questo contesto l’accompagnato si affida all’accompagnatore seguendone le direttive legando così l’accompagnatore ad un “dovere di protezione” nei confronti dell’accompagnato.
Esempio: capocordata che ha esperienza, rilevabile da precedenti corsi svolti con CAI, guide alpine, testimonianze che provano che arrampica da anni, etc. porta ad arrampicare amico alle prime armi.
In questa situazione, nel verificarsi di eventuale incidente/infortunio, la giurisprudenza impone all’accompagnatore un onere superiore in termini di responsabilità.
2) non vi è affidamento quando i membri della cordata/uscita hanno più o meno pari capacità e si affidano l’uno all’altro per la gestione dell’uscita. In questo caso la giurisprudenza tende a “spalmare” gli oneri di responsabilità in maniera più proporzionata su entrambi.
Approfondiamo la responsabilità in caso di affidamento tra accompagnatore ed accompagnato: in caso di incidente è onere dell’accompagnato danneggiato provare l’esistenza di tale rapporto di affidamento (deve dimostrare che lui non era capace, era inesperto, alle prime armi e che invece il compagno aveva l’esperienza e le capacità per guidarlo).
La valutazione della colpa dell’accompagnatore è legata al tipo ed al grado di affidamento, ossia dal divario che esiste tra i due soggetti in termini di capacità. Tanto più alto è il divario tanto minore è la responsabilità dell’accompagnato danneggiato in caso di incidente.
Un incidente in simile contesto vede valutare con rigore le colpe dell’accompagnatore il quale è responsabile di varie potenziali situazioni causa dell’incidente: imprudenza, imperizia, negligenza nell’aver valutato le difficoltà tecniche dell’itinerario, le capacità dell’accompagnato, lo stato del terreno e delle condizioni climatiche, ecc.
In parole povere quand’è che un accompagnatore esperto è chiamato a risarcire i danni per un infortunio subito da un accompagnato inesperto?
Quando in primis l’incidente è dovuto a comportamento negligente dell’accompagnatore.
Ma anche quando l’incidente è dovuto a un comportamento dell’accompagnato frutto di sua imperizia, o di sua imprudenza derivante dal fatto di non avere un’esperienza adeguata alla gita in corso. L’idoneità dell’accompagnato alla gita dev’essere preventivamente valutata dall’accompagnatore, che ne assume perciò la responsabilità.
Quand’è che un accompagnatore esperto NON è chiamato a risarcire i danni per infortunio subito da accompagnato inesperto?
Quando l’accompagnato compie atto di macroscopica imprudenza frutto di inosservanza a ordini dell’accompagnatore: per es. compie una manovra così evidentemente e notoriamente rischiosa che non è ragionevole pretendere che fosse stata fatta oggetto di un divieto espresso dell’accompagnatore, come per esempio lo smontare la sicurezza di una sosta senza il previo consenso dell’accompagnatore, che sale in cordata per primo.
Il caso del rapporto tra membri di cordata, mancante dell’elemento dell’affidamento, viene valutato in maniera diversa.
Questo tipo di rapporto è così definito: non è accompagnatore ai fini dell’attribuzione della responsabilità corrispondente il semplice compagno di cordata o di gita: qui l’affidamento consiste soltanto nell’ordinario aiuto reciproco, che permette di diminuire consistentemente i pericoli, proprio solo per il fatto di essere in compagnia invece che da soli, tanto più se legati in cordata. In ogni caso non si ha un rapporto di accompagnamento se la differenza fra le capacità dei due o più compagni di gita è scarsa e la capacità complessiva del più debole è comunque ben sufficiente per affrontare le difficoltà e i pericoli della gita in condizioni di ragionevole sicurezza.
Conclusioni
L’arrampicata è uno sport pericoloso ed il fatto stesso di svolgerla coscientemente e volontariamente implica l’accettazione da parte di chi la compie di un qualche grado di rischio. D’altra parte la suddetta accettazione del rischio non permette di per sé di escludere ogni responsabilità dell’arrampicatore.
Il grado di consapevolezza e quindi accettazione del rischio varia a seconda dell’esperienza e delle capacità tecniche. In caso di incidente/infortunio che si verifichi in cordata nel quale uno dei soggetti sia chiamato a risarcire i danni, la giurisprudenza valuterà in maniera differente casi di non affidamento a casi di affidamento. Nei primi sarà più raro e difficile riuscire a provare una diretta responsabilità civile di uno dei compagni, nel secondo caso invece sarà più facile e probabile attribuire la responsabilità all’accompagnatore esperto.
Nota
Per scrivere il nostro articolo ci siamo basati su due testi:
– La responsabilità dell’accompagnamento in montagna, di Vincenzo Torti, CAI, Milano, 1994;
– La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive della comparazione, di Umberto Izzo e Giovanni Pascuzzi, Giappichelli, 2006.
Note di Redazione
– la sintesi in diritto civile che Sestogrado.it ha fatto corrisponde in sostanza all’approccio tradizionale al caso della responsabilità (civile) per l’infortunio alpinistico, che è quello a nostro parere da difendere.
Il problema odierno è che da qualche anno si sta facendo strada un approccio alla materia per il quale quella responsabilità tende ad aggravarsi a carico del danneggiante (vedi ad esempio l’articolo https://gognablog.sherpa-gate.com/la-corte-di-cassazione-e-la-naturale-pericolosita-della-montagna/ su questo Blog). Vi è quindi il rischio che la sintesi qui proposta da Sestogrado.it venga letta dal non esperto come certezza piuttosto che come auspicio e cosa da sostenere in massa.
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ma se vado sul Monviso per la normale, se porto un altro alpinista iscritto al cai, devo chiedere il curriculum? è escursionismo o alpinismo? se ha un incidente non provocato da me mi colpevolizza?
la mia idea è che dovrò andare in montagna da solo. se uno cade è sempre, comunque, colpa sua! si prenda le sue responsabilità.
la regolamentazione della vita, nel settore dello svago, è esattamente l’inverso delle aspettative del montagnino. ma vadano al mare!
ma se cadi in acqua e non sai nuotare, è colpa del sindaco che non ha prosciugato?????
Circa l’escursionismo la risposta è problematica, di certo maggiori informazioni si possono trovare in “La responsabilità penale nell’alpinismo e nell’escursionismo in montagna” di S. Rossi, in “La Montagna”, Volume I (Trattato, La responsabilità civile e penale negli sport del turismo, diretto da G. Fornasari; U. Izzo; L. Lenti; F. Morandi), Torino: G. Giappichelli Editore, 2013.
Attenzione! Come già detto nel post, circa Umberto Izzo (e C.), la nostra impressione è che da tempo stiano procedendo per normarlo, l’alpinismo. Non vanno nella direzione della libertà.
Per quanto posso pensarne io a spanne, le soluzioni dovrebbero essere (come si dice: mutatis mutandis) analoghe a quelle indicate per l’arrampicata: le differenze principali mi paiono dipendere dal fatto che in arrampicata normalmente vi sono elementi di maggior tecnicità (quindi ricorre più facilmente il rapporto di affidamento) e che tradizionalmente (almeno in ambito CAI) l’ambito escursionismo era meno “normato” rispetto a quello delle Scuole di alpinismo e sci-alpinismo; occorre considerare però che ormai anche gli escursionisti si sono regolamentati (secondo me un errore!) e che addirittura in qualche regione c’è chi si è fatto fare la professione di “Maestro di escursionismo” – vd. legge Regione Abruzzo 16 settembre 1988, n. 86 – quindi con maggior formalizzazione della posizione di garanzia e dunque maggiori responsabilità.
Ricordo che in una gita uno se ne era andato per contro proprio ed era caduto morendo, credo in un crepaccio: il capo gita fu assolto stante la disobbedienza. Gli estremi sono: sentenza giudice istruttore del tribunale di Trento 06 dicembre 1949, in Archivio di ricerche giuridiche 1950 pag. 482.
La domanda posta è “classica”, come in generale la mancanza o fumosità o erroneità delle risposte che vengono date, compreso questa. Il libro di Izzo/Rossi di sicuro è più esauriente, anche se temo la filosofia di fondo. In effetti, su questo tema, occorrerebbe scrivere per bene un libro, ma con tesi quasi opposte a quelle di Izzo e Rossi. Potrebbe essere un utile strumento in sede di giudizio.
Si applica anche all’escursionismo?