L’imperativo della nostra economia è la crescita – continua, inarrestabile, vertiginosa. La realtà è molto diversa da quella raccontata dal Pil: trasformare l’economia in una gara a chi produce di più ha portato a conseguenze disastrose, alla devastazione dell’ambiente, allo sfruttamento di mezzo mondo, alla disoccupazione di massa; in una parola, all’infelicità. Con L’illusione della crescita David Pilling ci propone un’idea straordinariamente semplice e rivoluzionaria: le nazioni non devono scegliere tra la ricchezza e la felicità, l’una non esclude l’altra. Con un vero e proprio viaggio intorno al mondo Pilling si mette sulle tracce di nuovi parametri per calcolare e definire il concetto di ricchezza. Con proposte che spaziano dall’inserire nel bilancio di una nazione il valore delle risorse naturali al calcolare gli indici di felicità dei suoi abitanti, David Pilling consegna nelle nostre mani il libro che, se solo lo vorremo, potrà diventare il testo sacro per il nostro futuro.
Pubblichiamo il quinto capitolo di L’illusione della crescita. Perché le nazioni possono essere ricche senza rinunciare alla felicità di David Pilling (Il Saggiatore)(pubblicato su linkiesta.it il 3 marzo 2019)
La rete ha rubato il mio Pil – 1 (1-2)
di David Pilling
È una serata fredda e piovosa a New York. Siete nel vostro appartamento ad ascoltare jazz contemporaneo su Spotify, quando improvvisamente venite colti dal desiderio di sfuggire ai rigori dell’inverno per un weekend in Bassa California, un posto che volete visitare da quando un’entusiastica recensione su TripAdvisor ha attirato la vostra attenzione. Aprite il portatile e iniziate a cercare. Su skyscanner.com digitate gli aeroporti jfk e San José del Cabo, inserite le date del prossimo fine settimana e selezionate. Solo voli diretti. Nel giro di pochi minuti avete fornito gli estremi della vostra carta di credito e prenotato l’opzione più economica a disposizione.
La tappa successiva è Airbnb per trovare un alloggio. Dopo qualche ricerca vi imbattete in un appartamento dentro un condominio davanti al mare a un prezzo ragionevole, con quella che sembra una vista spettacolare sull’oceano. Vi collegate anche al vostro account Airbnb, per assicurarvi che chiunque guardi sappia che il vostro appartamento di Brooklyn sarà disponibile per il prossimo fine settimana. Infine, vi cautelate con qualche assicurazione online, nel caso qualcosa andasse storto. Il giorno stesso della partenza, andate sul sito web della compagnia aerea, inserite gli estremi del vostro passaporto, selezionate un posto accanto al corridoio, fate il check in e stampate la carta d’imbarco. Poi prenotate un taxi con Uber e vi accomodate sul sedile posteriore, diretti all’aeroporto. Finalmente un po’ di riposo: ve lo meritate, dopo tutta quella fatica. L’economia digitale ha reso sfumata la distinzione fra lavoro, tempo libero e faccende domestiche, spostando quello che chiamiamo «confine della produzione», fra le attività che conteggiamo e quelle che non conteggiamo, e rendendo il compito di misurare l’economia più difficile che mai. Da decenni le economie avanzate sono più incentrate sui servizi che sull’industria manifatturiera, ma nell’era di Internet questa tendenza verso l’etereo e il non calcolabile si è esacerbata. Will Page, direttore degli studi economici di Spotify, il servizio di streaming musicale svedese, afferma: «Il Pil è diventato uno strumento assolutamente inadatto al suo compito» perché «in origine era stato progettato per misurare beni materiali tangibili, che nell’economia moderna sono sempre meno rilevanti».
Quando sono andato a trovare Page negli uffici londinesi di Spotify – open space, frigo bar con bevande a disposizione, sala giochi d’ordinanza – mi sono dovuto stampare da solo il tesserino identificativo e attaccarmelo sul bavero, un compito che una volta sarebbe stato svolto da un addetto alla reception. «L’obiettivo delle aziende di tecnologia dirompenti, statisticamente parlando, è ridurre il Pil» mi ha detto Page quando l’ho trovato che si aggirava per uno dei corridoi. «Eliminare i costi di transazione, che vengono misurati, e sostituirli con la praticità, che non viene misurata. L’economia si contrae, ma tutti stanno meglio. Gran parte di quello che sta facendo la tecnologia oggi è distruggere ciò che non è necessario; il risultato è che avremo meno economia, ma più benessere».
Dal punto di vista dell’economia, stava dicendo che Spotify e aziende simili sono come la materia oscura: invece di pompare fuori Pil, lo risucchiano e lo fanno sparire. Eppure forniscono un servizio valido, che le persone sono disposte a pagare. Quale sia l’effetto che tutto questo produce sulla nostra economia, misurata secondo i sistemi tradizionali, è un argomento complesso e che suscita forti polemiche. Per questo vale la pena scomporlo in diversi filoni.
Il primo è la questione della produzione domestica. Abbiamo visto che lavare i vestiti dei vostri figli o cucinare la cena per Adam Smith non sono considerate attività economiche. Ma stamparsi da soli la carta d’imbarco? Oppure, come ho dovuto fare io l’altro giorno, attaccarsi da soli l’etichetta sul bagaglio in aeroporto e spedirlo al suo destino lungo il nastro trasportatore? (La prossima volta ci toccherà pilotare l’aereo). Fino a poco tempo fa queste attività sarebbero state eseguite da un addetto stipendiato del personale di terra e sarebbero state conteggiate nelle statistiche economiche. Ora queste mansioni sono state esternalizzate (a voi). Dal punto di vista dell’economia misurata, sono svanite.
Anche il lavoro che avete appena fatto per prenotare il vostro favoloso weekend in Messico una volta sarebbe stato eseguito da un impiegato retribuito. Per usare la terminologia della contabilità nazionale, si è spostato al di fuori del confine della produzione. Dal punto di vista dell’attività economica misurabile, stampare la propria carta d’imbarco equivale a grattarsi il naso: assolve a uno scopo, ma non fa più parte di ciò che chiamiamo economia. Ora la compagnia aerea non ha bisogno di un addetto alle prenotazioni e la società di taxi non ha bisogno di nessuno che riceva le chiamate e invii un’auto. D’altra parte, come succede ogni volta che c’è un progresso tecnologico, si spera che l’addetto alle prenotazioni e quello che smista i taxi trovino un lavoro più produttivo in un altro campo. C’è un altro modo in cui l’attività economica – anche quella intercettata dai parametri di misurazione convenzionali – viene incrementata: dal momento che la compagnia aerea in questo modo risparmia denaro, può ridurre le tariffe oppure pagare ai suoi azionisti dividendi maggiori, visto che realizza profitti più alti. In entrambi i casi, qualcuno avrà più soldi in tasca da spendere per i consumi, e questo dovrebbe far aumentare la crescita.
Il secondo filone è la tendenza dei prezzi a scendere verso lo zero. Ricordo le chiamate internazionali di mio padre da Londra, ai tempi in cui vivevo in America, negli anni Ottanta. La conversazione andava sempre allo stesso modo: «Non posso trattenermi a lungo» sbraitava mio padre dall’altra parte della linea gracchiante. «Mi sta costando una fortuna.» Praticamente tutta la conversazione verteva sul fatto che la chiamata gli stava costando un occhio della testa e che presto avrebbe dovuto riattaccare; le telefonate intercontinentali erano stressanti e insoddisfacenti. Al giorno d’oggi, se c’è una connessione Internet, le persone possono comunicare gratuitamente per un tempo illimitato. Servizi come FaceTime e Google Hangouts permettono anche di vedersi in tempo reale. La gente può navigare su Facebook e chattare con gli amici, può inviare messaggi su Twitter (particolarmente utile se siete stati eletti a una carica importante) o cercare informazioni su Wikipedia (idem). Wikipedia, che teoricamente può mettere a disposizione di chiunque abbia una connessione Internet tutto lo scibile umano, è valutata esattamente zero. Com’è possibile che cose così straordinarie non costino nulla? Significa forse che gran parte di ciò che apprezziamo veramente sta al di fuori di ciò che definiamo economia? Esistono sostanzialmente tre modi per pagare servizi digitali non tangibili come musica in streaming, YouTube e Facebook. Il primo è alla vecchia maniera, cioè con il denaro. Il secondo è con il nostro tempo, in particolare guardando le pubblicità visualizzate sui siti: in questo caso, il contenuto o il servizio è pagato dalle entrate pubblicitarie.
Il terzo è simile alla pubblicità, solo che invece di pagare con il tempo si paga con i dati: i nostri dati. Molte aziende fanno affari vendendo informazioni sui loro clienti. Il che significa che il vostro contributo alla crescita avviene in modi che solo l’Agenzia per la sicurezza nazionale comprende davvero. Quella sera a New York, però, stava succedendo anche qualcos’altro. Stavate partecipando a quella che ormai viene chiamata, con efficace espressione, sharing economy o economia della condivisione. Prima dell’era Airbnb, chi andava fuori città di norma lasciava la propria casa vuota. Dopo l’avvento di Airbnb, potete scambiare senza problemi il vostro appartamento con uno in Bassa California, trovando una terza persona cui affittarlo sul mercato telematico. Complimenti, state contribuendo a far fruttare le attività materiali del mondo, trasformando in un hotel quello che altrimenti sarebbe stato un appartamento vuoto. Il che è positivo per l’ambiente (se tralasciamo il piccolo particolare del volo in Messico) perché significa che le società alberghiere non avranno bisogno di costruire così tanti nuovi alloggi. Tuttavia, mantenendo inalterati gli altri fattori, è negativo per l’economia: meno attività edile e stanze più economiche. Lo stesso vale quando vendete i vostri prodotti di seconda mano su eBay. O donate abiti vecchi all’Africa. State danneggiando l’economia, anche se magari pensavate ingenuamente di aiutare l’ambiente o di vestire un bambino povero del Ruanda.
Vi ricordate di Chen, l’operaio immaginario? La vostra improvvisa predilezione per i beni di seconda mano significa che lui non dovrà più produrre tutta quella roba. Se le cose diventano più economiche e convenienti, l’attività economica cala. O almeno dà l’impressione di calare. È come se la nostra definizione di economia non riuscisse a cogliere ciò che sta succedendo veramente. Ma torniamo al vostro portatile, quello che avete usato per fare tutto quel lavoro. Probabilmente ha lo stesso prezzo del portatile che avete comprato tre anni fa. Ma in termini di memoria, velocità e risoluzione dell’immagine, è come minimo due volte meglio. Insomma, vi siete presi un prodotto migliore allo stesso prezzo; per dirla in altre parole, il prezzo è crollato. Questo è importante per il calcolo del Pil, perché i dati sulla crescita che vedete generalmente sono corretti tenendo conto dell’inflazione. Per i computer e altri servizi tecnologici, il miglioramento – e quindi il calo dei prezzi – è più rapido della capacità degli studi statistici di rilevarlo, e questo significa che stiamo sovrastimando l’inflazione e quindi sottovalutando la dimensione reale delle nostre economie.
Nel 1995 il Senato degli Stati Uniti ordinò di far luce sulla questione. L’anno seguente la Commissione Boskin riferì che gli Stati Uniti, in parte a causa dei rapidi progressi di dispositivi come computer e telefonia mobile, avevano sovrastimato l’inflazione di 1,3 punti percentuali un anno prima del 1996; e questo significava che avevano anche sottostimato la crescita nella stessa misura. Altri paesi, fra cui il Giappone e alcuni stati europei, hanno introdotto correzioni analoghe. Ma il ritmo con cui cambia la tecnologia è così veloce che si può dare per scontato, senza timore di sbagliare, che nessuno riesca a stare al passo. Questo vorrebbe dire che stiamo sopravvalutando l’inflazione (e che siamo più ricchi di quanto pensiamo). Un concetto che riassume buona parte di quello che sta succedendo è il surplus del consumatore, che è la differenza fra il prezzo di mercato di un bene e quanto un consumatore è effettivamente disposto a pagarlo. Il concetto venne reso popolare da Alfred Marshall, un economista del XIX secolo. Può essere applicato a qualcosa di semplice come l’acqua, per la quale potreste essere disposti a pagare molto più del prezzo di mercato, soprattutto se avete molta sete. Oppure all’ultimo thriller di John Grisham, per il quale un fan sfegatato pagherebbe molto più del prezzo di copertina pur di dare una sbirciatina in anteprima.
Considerando che la tecnologia fa passi da gigante e il prezzo di certi prodotti tende a zero, secondo alcuni economisti il surplus del consumatore si sta ampliando. Un modo per testare la teoria è vedere, per esempio, quanto sono disposte a pagare certe persone per poter avere prima degli altri, per esempio, l’ultimo modello di iPhone. La differenza tra il prezzo nel weekend di lancio e il prezzo a cui si assesta alla fine è il surplus del consumatore, almeno per quelle persone. Oppure potreste minacciare qualcuno di portargli via l’iPhone e vedere quanto sarebbe disposto a pagare per riaverlo. Un iPhone non è soltanto un dispositivo, ma anche un mezzo per connettersi a reti di amici e soci d’affari e per accedere alle informazioni.
«Penso che il suo valore reale sia di molte migliaia di dollari a persona» sostiene Gavyn Davies. «È una valutazione mostruosamente errata del valore che offre l’iPhone alla maggior parte degli esseri umani». Gran parte degli esperti concorda sul fatto che la contabilità nazionale, a causa di queste rivoluzioni tecnologiche, sottovaluta la crescita economica. Le stime sulle dimensioni di questo fenomeno, però, differiscono notevolmente (per non dire enormemente). Nel 2012, Erik Brynjolfsson del Massachusetts Institute of Technology osservò che negli Stati Uniti il settore dell’informatica valeva la stessa percentuale ufficiale di Pil – circa il 4 per cento – di un quarto di secolo prima; il che è poco plausibile, per usare un eufemismo. Molte persone hanno provato a calcolare quello che va perso nelle statistiche ufficiali. I metodi variano: per esempio si può stabilire una paga oraria per il tempo che trascorriamo su Internet, quantificata da uno studio di Google in 22 dollari, che all’epoca era il salario medio degli Stati Uniti.
Lo stesso Brynjolfsson e una collega, Joo Hee Oh, si sono cimentati nel compito. Sono partiti dalla scoperta che, fra il 2002 e il 2011, la quantità di tempo libero che gli americani hanno trascorso navigando in rete è passata da 3 a 5,8 ore settimanali, utilizzando servizi come Facebook, Google, Wikipedia e YouTube. Considerando che i consumatori avrebbero potuto usare questo tempo per qualcos’altro, i due ricercatori hanno ipotizzato che le ore in più spese su Internet riflettessero un crescente surplus del consumatore, che hanno quantificato in 2600 dollari a utente per un totale complessivo di 564 miliardi di dollari nel 2011. Se fosse stata inclusa nelle statistiche nazionali, questa cifra avrebbe fatto aumentare la crescita di 0,4 punti percentuali all’anno. Secondo altre stime, di quasi il doppio. Non tutti concordano sul fatto che starsene imbambolati davanti a Facebook debba essere considerata un’attività economica, in particolare se avviene al lavoro, quando la gente potrebbe fare qualcosa di utile (come chiacchierare con i colleghi). Perché dovremmo calcolare il tempo che passiamo su YouTube e non quello in cui guardiamo la televisione, giochiamo con i nostri figli o passeggiamo in un parco? Davvero guardare il video di un gatto ha più valore che – per scegliere un’attività del tutto a caso – guardare un gatto dal vivo? I benefici di Internet possono essere sopravvalutati, oltre che sottovalutati.
Non c’è niente di nuovo sotto il sole, è scritto in Ecclesiaste 1: 9. Senza dubbio il tizio che l’ha scritto l’ha copiato da qualche altra parte. Non è mai stato semplice calcolare quanto vale l’innovazione. La cosa vale tanto per i progressi delle automobili e delle fotocopiatrici quanto per le connessioni internet più veloci. Quando una nuova invenzione fa la sua comparsa, può essere incredibilmente costosa. Basti pensare alle medicine, che sono protette da brevetti. Questo consente alle società farmaceutiche di far pagare i loro prodotti centinaia, se non migliaia di dollari. Ma quando il brevetto scade, il prezzo di quella stessa medicina precipita a pochi spiccioli e il prodotto di fatto sparisce dall’economia. Se pensate, come molti, che la tecnologia stia accelerando come mai è avvenuto prima, allora il problema della misurazione errata si aggrava. Secondo alcuni autorevoli studiosi, però, i progressi tecnologici davvero importanti sono tutti alle nostre spalle. Robert Gordon, un esperto di produttività della Northwestern University, sostiene che tutte le invenzioni veramente rivoluzionarie sono avvenute dopo il 1870, e il flusso si è più o meno esaurito intorno al 1970. Gordon cita l’invenzione dell’elettricità e del motore a scoppio, l’acqua potabile e le reti fognarie. Questi progressi hanno portato all’invenzione di macchine come il telefono, la radio, il frigorifero, l’automobile e l’aereo. Molte di queste tecnologie hanno scatenato a loro volta enormi effetti a catena.
(continua)
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